Questo scritto appartiene alla raccolta “Cronache sospese”, a questo link l’introduzione .
DELIRIO 2.9.2018
Arriva come straniero o alieno. fulmine a ciel sereno. entra da una porta chiusa. dentro una stanza vuota. nell’aria piena d’occhi. muove inaspettato e sta. si direbbe curvo se non fosse per l’inclinazione falsa della testa calva. a mento in alto e in fuori. spiovendo scapole sul cuore.
Lui ormai lo sa che gli occhi sono dentro. gli sguardi che feriscono quelli che uccidono. e sempre dentro gli sguardi che osservano e disprezzano. immagina che i pensieri degli altri formino nuvole oscure sulle loro teste. fumetti imbandierati. ma lo sa ch’essi sono diversi dall’immaginato. non ostili temuti respingenti più ragionevolmente annoiati stupidi indifferenti. se potesse leggere le menti ne avrebbe chiara percezione. anzi non è che vorrebbe. decisamente le penetra e sa cosa contengono. di vago e bizzoso. incostante e cruento. vacuo e disperso. e sa anche la distrazione dell’altrui pensiero. che vaga pendulo dal soffitto al portafoglio dal cibo alle scarpe dal pavimento all’orologio. concentrato sul proprio ombelico in cima alla propria pancia. che spancia risate a palate. lacrime più raramente. ed ego infiniti esuberanti senza argini e speranza.
Il suo ingresso voce e corpo rubano la scena per un secondo. l’attenzione è barbaglio poi l’insipienza prende il sopravvento. lui lo sa che accade così. lo sa da lungo tempo. e perciò non gli importa di intromettersi. ha bandito remore e pena. il complesso dell’indiscrezione. ugualmente il disagio di penetrare nell’altrui spazio vitale. rompendo l’equilibrio dell’assenza la pace del silenzio. ora è deciso. testa allo scopo. diretto essenziale. l’incedere è dovuto in quell’atto di presenza quasi marziale. non prova nulla nemmeno un orlo di pathos. omessi virgola e tremore. nel passo fermo fino al cerchio. il domatore d’io vince se stesso.
Entra nella stanza e avanza fino al centro. l’atto successivo è aprire bocca, ma l’azione è uno sforzo relativo. il compimento dell’intento di tener fede alle premesse del precedente ingresso. come giusta sequenza temporale. del resto perché arrivare fino a lì se non per dire quello che va detto. lui parla finalmente e le teste si sollevano dal luogo – atto a cui sono intente. dal piatto dallo schermo dal tavolo dal letto. le parole escono di bocca vagano nell’aria. sprofondano nel cuore. scivolano lungo la pelle viscida di foca. s’indovano tra squame di coccodrillo o pesce. s’annodano alle spire di serpente. fanno strade mai viste di pressione. le parole sono pesi che cadono. tonfi che suonano. l’una dopo l’altra s’inanellano. come un martello pestano. come farfalle volano. riscattano il precedente innesto. lo invasano e disseccano. moltiplicano il senso. rimbombano d’eco e tormento. sprofondano e demoliscono. costruiscono ponti edifici progetti. e tutto il prima ch’è stato e tutto il dopo. il presente del qui ora adesso si fondono e trasformano. le parole si piegano inclinano attorcigliano. s’innalzano e perplimono. si stringono alleano confabulano. vanno a braccetto per il mondo. le pupattole se ne impipano di atto effetto ingresso. dell’idea presenza e stato. una volta espresso afferrano il pensiero lo trascinano di peso. lo sbattono sulla parete e vetri. finestre e pavimento. lo stravolgono e sbeffeggiano. lo infilano infine attraverso l’aria dentro le orecchie d’altri. tradendone il senso allegramente. in misura direttamente proporzionale all’intelligenza.