Questo scritto appartiene alla raccolta “Cronache sospese”, a questo link l’introduzione .

DELIRIO 4.10.2018

Mi chiedo io cos’abbia da spartire con una villa del settecento. e per il momento con la chemio o altra terapia. che per il momento l’oncologia è un ramo ignoto. navigando le cellule primordiali verso altri mali comunque pessimi. e mali e declino e vecchiaia. (signori annotate il futuro. prima che io mi dimetta e rivolti. o vi ceda scassando le occhiaie). oppure mi chiedo io cos’abbia da spartire con questi mari tropicali e la frenesia del vivere smodato. che nemmeno un bicchiere di vino o di fumo. talmente scevro e impotente. che potrei pure un monaco in convento.
Cos’abbia mi chiedo io da spartire con un foglio che solo per il nomi. i soliti noti e gli ignoti. clandestini e badanti. premurosamente amici. interrogante è la distanza che ci commuove. nella stirpe deviata del divaricatore. papaveri nei campi e papere. a misurare l’ombra dell’altezza. o ancora da spartire con una rivista poliglotta un luogo d’aneddoti e avventura. spessa d’occhiali sui giganti. un luogo del presente interessante. dove io sono senza essere. dove vibro di stoppie. nella ricerca insistente di un bel niente. un pressapoco di parole sconnesse. qualche invenzione ogni tanto brillante. talento spigoloso obliquo bislacco pulsante rivoltoso brigante. non preghiera né richiesta di perdono.
Eppure li tocco con gli occhi. sono conformi e di parte. distanti e vicini. familiari ed estranei. m’interrogo e nel chiuso ritorno all’interno. spopolo anfratti ed innesti. li sopprimo uno dopo l’altro. rinviando l’elmo all’angolo prossimo. la svolta a venire sarà un appuntamento mancato. un tentativo obsoleto striato e stranito. vedremo occhi d’alieni e solito gelo. capannelli di giacche e cravatte. signore scendere scale da un’ipotetica altezza. dove s’ammira la pelle perfetta senza bellezza. l’ennesimo lago di sguardi e apparenza. una pretesa viziata dall’incostanza. dai nei sulla faccia alle unghie appassite. i mea culpa giganti. da tutti i passi mancati obbligati. eventi applausi platee. per fortuna non bevo.
Vengo da una sponda diversa di mediocrità incancrenita. vera presunta costretta oppure ingabbiata per scelta dalle sue stesse mani. nonostante le piume e i coltelli. vengo da un certo covo di brina. dove la neve deposta dal tempo ha lo spessore del vuoto. e nelle croste di sale nelle ultime spiagge. in ogni cespo e cespuglio. tra le foglie e le stelle leggo l’autentica essenza. emerge virulenta dal grembo l’appartenenza.
Forse per questo se tendo la mano siamo oltre lo specchio. io e pure l’altro. oltre il divano e la siepe. mi spoglio di questa carcassa mi libero verso la fuga. e sono dentro quei rami. sogno nel loro fragile grasso. nelle rughe e corteccia. e sono pietra albero fune. mi sorpasso.
Ora mi siedo osservando il pullulare d’insetti.