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Ostinato – Suite in versi, Edizioni Helicon, 2019, è la seconda silloge poetica di Cinzia Della Ciana: segue, in un tempo piuttosto breve, la raccolta di esordio Passi sui sassi con la quale la poetessa toscana ha subito dato dimostrazione di chiara disposizione a intessere con la parola della poesia un rapporto sia sonoro sia metaforico, poiché la scelta lessicale densa di sonorità coincide con elementi strutturali, archetipici, mediatori di logos. Ritengo, in relazione alla lettura di Ostinato – libro che presenta complessità concettuale proprio per l’ispirazione e la genesi che intendono correlare, meglio, legare parola e musica come analizza nell’ottima postfazione Franco Di Carlo – necessario prendere in considerazione il termine ‘logos’ nella sua declinazione non solo di sostantivo, ma anche di verbo: in questa accezione ‘leghein’ –  in greco antico significa «conservare, raccogliere, accogliere ciò che viene detto e quindi ascoltare» – ci pone in relazione con tutta la sequenza della silloge pensata come la materializzazione di una suite – composizione musicale già di per sé concepita come espressione architettonica di quadri musicali  – in versi, dimostrando che ciò che urge metacreativamente nella scrittura dell’Autrice non è tanto la liberazione o l’annientamento della damnatio di vissuti feriti o irrisolti, quanto compire, coronare il disegno arduo e in certo modo aristocratico e fiero di un progetto di ricerca poetica e – a ogni modo – rispondente alle istanze del Sé, che mai si esonera dall’essere fautore del sogno e suo puntuale regista.

Nelle intenzioni della poetessa di Ostinato – Suite in versi, che si rivolge alla musica come mediatrice di pensiero e sentimento e alla parola come orchestrazione del segno formale che ha – per costituzione – perso in gran parte l’astrazione della musica e ha assunto l’ambiguità tipica della parola fin dal segno grafico, avviene quanto Martin Heidegger scrive in un passaggio in Saggi e Discorsi: «L’udire autentico appartiene al logos. Perciò questo udire stesso è un leghein. In quanto tale, l’udire autentico dei mortali è in certo senso lo stesso logos» certificando in tal modo l’esistenza di un legame che però, a mio avviso,  presenta un qualche specifico sfolgorìo per poter porre in correlazione l’udire autentico – che non è solo ascrivibile all’udito, ma anche al ‘sentire’ –, poiché ciò che avviene negli strati del pensiero ha rilevanza negli strati della psiche in un sistema di reciprocità, in quella zona dove avviene il processo cognitivo-affettivo.

Che cosa è mai, dunque, lo specifico sfolgorìo che consente il nesso tra poesia e musica? Lo psicanalista di formazione lacaniana Giovanni Sias, in La follia ritrovata, analizzando il rapporto tra musica e poesia individua l’elemento della correlazione nella follia «costitutiva dell’umano, è l’uomo stesso sul piano del suo desiderio, della sua più intima verità. […] La musica è l’emblema della follia. E non solo, o non tanto, perché è stata oggetto di molte composizioni (e anche di molte danze), ma perché è la musica stessa a essere follia nell’uomo. Anzi, è forse il momento più inequivocabile in cui l’uomo la incarna, la porta in scena, la sostiene. […] Ma mentre la poesia, perdendo il senso comune, introduce una pluralità di significati che sconvolge ogni significato determinato a priori aprendo un senso che si fa nel lettore, e a lui solo si dà, nella musica scompare e si rende impossibile ogni significato dato o da darsi, e il suono, il puro suono, scardina ogni possibile senso precostituito o da costituirsi, così che la parola non solo diventa inutile alla comprensione del mondo, ma la rende assolutamente insignificante all’esistenza di un mondo predefinito e del delirio di onnipotenza degli uomini sul mondo stesso».

Cinzia Della Ciana, in Ostinato – Suite in versi compie il grande tentativo di far dialogare la follia del linguaggio della musica «attraverso il quale si esperisce un mondo “puro”, (…) vi fa entrare la verità» con la follia del linguaggio della poesia che, fatto di parole, «non può e non sa esprimere perché falsa (la verità) e la confonde per via della doxa, la rende ordinaria, luogo comune, metro sociale di tutte le cose».

 

Adriana Gloria Marigo

Luino, 29 luglio 2019