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Fin dalla lettura dei primi versi, incisivi e visionari, ci si rende conto della qualità della scrittura, della veemenza tutta giovanile e della intertestualità delle liriche di Fiori estinti, seconda silloge di Mattia Tarantino per i tipi di Terra d’ulivi edizioni. Già il primo verso di Renè Char, riportato come epigrafe, assimila i fiori alle parole, che sbocciano, fioriscono, sfregiano, si estinguono. Il titolo della raccolta riporta alla mente un’altra celebre opera, Les Fleurs du mal di Baudelaire, anche qui, come in quella, affiora frequentemente un’atmosfera surreale, visionaria e vagamente sinistra.

La critica, a volte in modo frettoloso e banale, non manca di indicare percorsi e riferimenti della formazione: Baudelaire, Rimbaud, Verlaine, Thomas citato dallo stesso autore come suo maestro di riferimento. Al di là del rischio, in questo caso calcolato e sapientemente aggirato, di incorrere nell’epigonismo, la visione del mondo appare sofferta e dolorosa, la poesia è per l’autore un modo per cogliere l’essenza profonda delle cose. L’approccio appare quasi mistico con il ricorrente richiamo di termini come terra santa, genesi, croce, benedire, comunione, ostia, vino, salvezza, grazia, stella, epifania, preghiera, cilicio, perfino azzimo, riferito non al pane ma al fiore.

Poesia aulica, ricca di figure criptiche e di commistioni, immaginifica, ai bordi dell’onirismo, poesia caratterizzata da una tecnica compositiva ammirevole per un giovanissimo autore per la fusione di registri, stili, sottocodici diversi. Eppure appare inquieta, insoddisfatta, ossessiva, a tratti dissacrante e irriverente. Ci sono delle parole chiave che ricorrono molto frequentemente nella raccolta, angelo (ricorrente per un’ottantina di volte con il suo plurale), fiore/fiori (67), cielo (58), luce (53), nome (40), lingua (33), verbo (17). C’è anche un altro aspetto da approfondire. Procedendo nella lettura di ogni poesia è come se da ciascuna emergessero in controluce immagini, dipinti antichi e moderni, secondo una vocazione, neanche troppo celata, a concepire pittoricamente la scrittura. Viene spontaneo il confronto con Campana e il suo rapporto con le arti visive, quando annotava nel Taccuinetto faentino  “Ad ogni poesia fare il quadro”. Nella poesia di Tarantino il colore ha valore onirico, emblematico, allusivo, come è possibile notare nei versi “tutta la distanza è capovolta / nell’origine del bianco”, “c’è sempre / una fune fra luce e precipizio”, non v’è trama / che scomponga tutto il bianco della sfera o ancora Venga un volo bianco / in quest’acqua che collassa”, “troppa luce / squarcia il nero e lo redime”, “tacerò per sempre la sillaba / che ci lega al colore e ci strappa / alla terra promessa: qui è altrove”, “Questo verso è patire tutto il cielo, / discordia rosa che fa luce nel mio Sud.” L’aggettivo nerissimo, ad es., di volta in volta, è accostato a talento, oracolo, Cristo, amico, fiocco, astro. Allo stesso modo il silenzio e il suo ascolto iniziatico permette di cogliere e riscoprire religioni dell’antichità, miti pagani, tutto ciò che è sospeso fra il mondo degli uomini e quello soprannaturale, quest’erba ci accoglie, rimette / al silenzio il verbo / obliquo, la traccia / che resiste alla voce.

Fra i temi più ricorrenti occorre ricordare il potere salvifico della parola, “la parola è una percossa / al vento, la parola / ci salva e ci deride, ci trattiene”, “risorga / da Ponente la vocale e sia salvezza”, la sua ricerca fino al parossismo, “Cerco un distico che chiuda / i miei versi o li sbaragli.” Poi il presagio, il viaggio iniziatico e di purificazione, “Sarò il verbo custode / di ogni avvenire, la fiamma / che purifica il fiore /, il dolore “indago la violenza / del verbo, il dolore / delle sillabe compiute.” La figura della madre, non proprio esaltata, ricorre molto frequentemente assumendo connotazioni negative:

“vorrei / morire nel cuore di una madre / orfana, sapere / come ridere dei versi e scompigliarli”, “Ero sbronzo del sangue / di mia madre”, “credevo all’inganno / che ha nome di madre”,” C’è una luce per scavare il grembo / di ogni madre / che divora sangue e ossa del fanciullo: ricorda alla madre / quel canto lontano, perché / il fanciullo è orfanello, e mai / che abbia una voce”.Ma mia madre è un temporale: lei conosce / il mistero che si scorge / in bocca al cielo, scaraventa / una bufera sulla casa e tutto trema”, “mia madre inghiotte cento fiori, / poi rimette dalle vene”.

Il poeta, nonostante le difficoltà e il desiderio di autodistruzione, “ora inverto questi versi e mi impicco alle vocali”, resta il depositario di verità assolute, un’anima alla Rimbaud, che vorrebbe inebriarsi d’assoluto, è il poète maudit, il veggente custode di arcane verità e, come tale, il solo in grado di rivelare realtà sconosciute. È come se le parole scaturissero dal ritmo incessante della mente, dal suo percorso fatto di lacerazioni, gioie improvvise, cadute rovinose, tentazioni, trasfigurazioni. In definitiva è una poesia criptica, misteriosa, esoterica, divinatoria, nel suo esplorare la natura più antica e pura delle cose.

© Deborah Mega

 

Fiorire 

Dolore di fiorire questo cardo

che collassa nella luce.

 

Nella torre 

Nella torre la lingua mi respinge

al precipizio della sillaba e fa polvere

del nome, sbriciolando

l’inverno che abitò la terra santa.

 

Ora le vie del canto sono aperte:

vengano i fiori e tutte le creature

a sputare sui miei versi; accorrano

alla soglia innominabile che al buio

 

dal buio accede e sta sventrando.

 

La terra del verme

Allora donatemi

il cerchio e la croce. Non temete

questa parola che nasce

in altri mondi, dove nerissimi

gigli affliggono e azzannano.

 

Amate anche il canto

finale del passero; le astuzie

che nutrono i morti. Altrove

è la terra del verme, ma solo

al di qua può regnare col cuore.

 

Prima che carne nient’altro

che carne nutrì il fiore ossuto.

Prima che acqua nient’altro

che acqua devastò la mancanza

di forma: tutta loro è la colpa.

 

Ecco, amate

ostinati la grazia, le impervie

vie della sorte e mai, mai

la sciagura dello stare.

 

Testi di Mattia Tarantino, Fiori estinti, Terra d’ulivi Edizioni, 2019