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LIMINA MUNDI

~ Per l'alto mare aperto

LIMINA MUNDI

Archivi della categoria: Cronache della vita

Se questo è un uomo / Sognavamo nelle notti feroci di Primo Levi

27 venerdì Gen 2023

Posted by Deborah Mega in Cronache della vita, LETTERATURA E POESIA, Poesie

≈ Commenti disabilitati su Se questo è un uomo / Sognavamo nelle notti feroci di Primo Levi

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Primo Levi

 

Primo Levi (1919-1937), chimico e scrittore, dopo aver trascorso undici mesi di internamento ad Auschwitz, rientrò a Torino il 19 ottobre 1945 e cominciò a raccontare quello che aveva vissuto. La poesia è tratta dal libro “Se questo è un uomo”.

 

“Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.

Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.

O vi si faccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

 

La foto ritrae alcuni prigionieri nei dormitori, subito dopo la liberazione del campo di Buchenwald, nei pressi di Weimar, I’11 aprile 1945.

 

Tomato in ltalia dopo  la deportazione, Levi scrisse anche la poesia che presentiamo. In essa condensa l’impossibilitä di lasciarsi alle spalle l’esperienza vissuta; nonostante il ritorno a casa, per lui e per i suoi compagni non smetteră di risuonare l’ordine di alzarsi che i detenuti ricevevano all’alba. Circa vent’anni più tardi, la poesia fu scelta da Levi come testo di apertura de La tregua, libro pubblicato nel 1963 in cui egli racconta il lungo viaggio compiuto per tornare in ltalia, dopo İa liberazione di Auschwitz.

 

Sognavamo nelle notti feroci

Sogni densi e violenti

Sognati con anima e corpo:

Tornare; mangiare; raccontare.

Finché suonava breve sommesso

Il comando dell’alba:

«Wstawać »:

E si spezzava in petto il cuore.

Ora abbiamo ritrovato la casa,

Il nostro ventre è sazio,

Abbiamo finito di raccontare.

È tempo. Presto udremo ancora

Il comando straniero:

«Wstawać».

 

(P. Levi, Opere complete. vol. II, Einaudi, Torino 2016, p. 686)

 

 

1.      Wstawać: «Alzarsi», in polacco.

 

 

 

 

 

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CONTRO LA GUERRA!

07 lunedì Mar 2022

Posted by Deborah Mega in Cronache della vita

≈ 4 commenti

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Bertold Brecht, Clemente Rebora, Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo

L’articolo 11 della nostra Costituzione recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”
Anche noi di Limina condanniamo ogni azione armata: per noi non esistono “guerre giuste” o “sbagliate”, non vogliamo parlare di guerra nè schierarci con l’imperialismo russo o con quello occidentale. Allo stesso modo, contro la guerra, si sono schierati molti grandi poeti e intellettuali della storia: alcuni hanno raccontato la tragicità di un’esperienza vissuta sulla propria pelle, altri sono stati impotenti testimoni del dramma. Meditiamo dunque sull’assurdità della guerra in compagnia di alcune delle grandi voci del Novecento da cui, alla luce dei fatti odierni e cioè del conflitto Russia-Ucraina, possiamo affermare di non aver appreso nulla, dal momento che la guerra è tornata, ciclicamente, a manifestarsi.

François Flameng, Craonne, 1917

 

Bertold Brecht

 

La guerra che verrà

La guerra che verrà
non è la prima. Prima
ci sono state altre guerre.

Alla fine dell’ultima
C’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
Faceva la fame. Fra i vincitori
Faceva la fame la povera gente egualmente.

 

Mio fratello aviatore

Mio fratello era aviatore
Un giorno ricevette la cartolina.
Fece i bagagli, e andò via,
Lungo la rotta del sud.

Mio fratello è un conquistatore.
Il popolo nostro ha bisogno
di spazio. E prendersi terre su terre,
da noi, è un vecchio sogno.

E lo spazio che si è conquistato
È sui monti del Guadarrama.
È lungo un metro e ottanta
E di profondità uno e cinquanta…

 

Al momento di marciare

 

Al momento di marciare molti non sanno
che alla loro testa marcia il nemico.

La voce che li comanda
è la voce del loro nemico.

E chi parla del nemico
è lui stesso il nemico.

 

*

 

Giuseppe Ungaretti

Fratelli

 

Di che reggimento siete
fratelli?

Parola tremante
nella notte

Foglia appena nata
Nell’aria spasimante

involontaria rivolta
dell’uomo presente alla sua
fragilità

Fratelli

 

San Martino del Carso

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro

Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto

Ma nel cuore

Nessuna croce manca

È il mio cuore

Il paese più straziato

 

 

Veglia

 

Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore
Non sono mai stato
tanto

attaccato alla vita

 

Soldati

 

Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie

 

*

 

Clemente Rebora

 

Viatico

O ferito laggiù nel valloncello,
tanto invocasti
se tre compagni interi
cadder per te che quasi più non eri.
Tra melma e sangue
tronco senza gambe
e il tuo lamento ancora,
pietà di noi rimasti
a rantolarci e non ha fine l’ora,
affretta l’agonia,
tu puoi finire,
e nel conforto ti sia
nella demenza che non sa impazzire,
mentre sosta il momento
il sonno sul cervello,
lasciaci in silenzio
grazie, fratello.

*

 

Salvatore Quasimodo

 

Uomo del mio tempo

 

Sei ancora quello della pietra e della fionda,

uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,

con le ali maligne, le meridiane di morte,

t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,

alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,

con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,

senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,

come sempre, come uccisero i padri, come uccisero

gli animali che ti videro per la prima volta.

E questo sangue odora come nel giorno

Quando il fratello disse all’altro fratello:

«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,

è giunta fino a te, dentro la tua giornata.

Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue

Salite dalla terra, dimenticate i padri:

le loro tombe affondano nella cenere,

gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

 

 

Alle fronde dei salici

E come potevano noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.

*

Continua tu…

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La storia del Milite Ignoto e la scelta di Maria Bergamas

04 giovedì Nov 2021

Posted by Deborah Mega in Cronache della vita, CULTURA E SOCIETA'

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Maria Bergamas, Milite Ignoto

Oggi, 4 novembre, Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, si commemora la vittoria dell’Italia alla fine della prima guerra mondiale, vittoria con cui si completava il processo di unificazione nazionale dopo la resa dell’Impero austro-ungarico e si verificava l’annessione allo stato italiano di Trento e Trieste. La ricorrenza, istituita nel 1919, rappresenta la data dell’entrata in vigore dell’armistizio di Villa Giusti, firmato il 3 novembre 1918 nella villa del conte Vettor Giusti del Giardino a Padova.

Nel 1921, in occasione di questa celebrazione, il Milite Ignoto, militare morto in un conflitto il cui corpo non è mai stato identificato, venne sepolto solennemente all’ Altare della Patria a Roma. Fino al primo conflitto mondiale i monumenti erano dedicati solo ai condottieri: per i caduti erano previsti solo i cimiteri di guerra. La prima tomba di Milite Ignoto dopo la prima guerra mondiale fu creata in Francia, sotto l’Arco di Trionfo a Parigi e in Inghilterra presso l’Abbazia di Westminster.

In Italia, in ricordo di tutti i soldati dispersi durante la Grande Guerra, il colonnello d’artiglieria Giulio Douhet, propose di raccogliere la salma di un soldato non identificato in rappresentanza di tutti i figli, padri, mariti e fratelli perduti  e di seppellirlo al Pantheon. Il Ministero della Guerra affidò l’incarico a una commissione speciale, di percorrere tutti i principali campi di battaglia e raccogliere undici spoglie non identificate per poi designarne una sola da tumulare a Roma, al Vittoriano, il cosiddetto Altare della Patria. I campi di battaglia prescelti furono quello di San Michele, Gorizia, Monfalcone, Cadore, Alto Isonzo, Asiago, Tonale, Monte Grappa, Montello, Pasubio e Capo Sile. Il 27 ottobre 1921 le undici casse con i resti dei dispersi raccolti vennero adagiate su altrettanti carri trainati da 6 cavalli, giunsero in Piazza della Vittoria a Gorizia, furono salutate da una batteria d’artiglieria e sistemate nella chiesa di Sant’Ignazio dove sarebbe giunta la donna incaricata di scegliere una delle undici salme. L’ardua scelta cadde su Maria Bergamas, una donna di modeste condizioni, originaria di Gradisca d’Isonzo e madre dell’unico figlio Antonio, arruolatosi come volontario nel 137° Reggimento di Fanteria della Brigata Barletta come Antonio Bontempelli, nome fittizio imposto dall’Esercito Italiano per arruolare i volontari irredenti. Al termine del combattimento in cui fu ucciso, nella tasca del ragazzo fu trovato un foglio sul quale era scritto: «In caso di mia morte avvertire il sindaco di San Giovanni di Manzano, cav. Desiderio Molinari». La salma di Antonio Bergamas venne riconosciuta e sepolta assieme agli altri caduti nel cimitero di guerra delle Marcesine sull’Altipiano dei Sette Comuni. In seguito al bombardamento della zona, le salme però risultarono irriconoscibili e Antonio Bergamas risultò ufficialmente disperso.

In una lettera del 27 giugno 1915 Antonio scriveva: “Domani partirò chissà per dove, quasi certo per andare alla morte. Quando tu riceverai questa mia, io non sarò più. […] Addio mia mamma amata, addio mia sorella cara, addio padre mio, se muoio, muoio coi vostri nomi amatissimi sulle labbra davanti al nostro Carso selvaggio, cecando di indovinare se non lo rivedrò il vostro mare, e cercando di rievocare i vostri volti venerati e tanto amati.” (in Fabio Todero, “Morire per la Patria”, Gaspari, Udine, 2005, p. 148). Il 4 novembre 1921, nella basilica di Aquileia, Maria Bergamas, madre del sottotenente disperso, in rappresentanza di tutte le madri e spose di soldati dispersi nella Grande Guerra, scelse una salma tra gli undici corpi riuniti in undici significativi teatri di guerra al suono delle campane, degli spari delle artiglierie e delle note della Leggenda del Piave eseguita dalla Brigata Sassari.

Nonostante all’inizio avesse pensato di sceglierne una il cui numero le ricordasse in qualche modo il figlio Antonio, alla fine, per la commozione, si accasciò vicino alla decima salma, che non aveva alcun collegamento con il figlio scomparso. La salma prescelta venne posta all’interno di un’altra cassa in legno rivestito di zinco e sul coperchio furono adagiate una teca con la medaglia commemorativa e un’alabarda d’argento, dono della città di Trieste.
Il 29 ottobre 1921 iniziò il lungo viaggio del treno a vapore che passò a velocità moderata davanti alle stazioni di Udine, Treviso, Venezia, Padova, Rovigo, Ferrara, Bologna, Pistoia, Prato, Firenze, Arezzo, Chiusi e Orvieto per consentire a tutti di porgere il loro saluto al soldato.

Il 2 novembre il convoglio giunse a Roma e il Milite Ignoto fu esposto nella basilica di Santa Maria degli Angeli. Successivamente il feretro venne trasportato in Piazza Venezia all’Altare della Patria e, il 4 novembre 1921, fu tumulato alla presenza di Vittorio Emanuele III. Da allora, militari di tutte le armi sono impegnati a turno per la guardia d’onore al Milite Ignoto. Il 4 novembre 1921 le dieci salme residue furono sepolte nel cimitero degli Eroi dietro l’abside della basilica. Maria Bergamas morì a Trieste il 22 dicembre 1953 e l’anno successivo, il 3 novembre, la salma fu riesumata e sepolta vicino ai corpi degli altri dieci militi ignoti. A Gradisca d’Isonzo, in Via Bergamas 39, esiste ancora la casa dove Maria ed Antonio abitarono.

In occasione del centenario della traslazione del Milite Ignoto all’Altare della Patria (4 novembre 1921-2021), oltre alle diverse celebrazioni previste, Rai 1 celebrerà la ricorrenza con un docufilm dal titolo La scelta di Maria, che sarà trasmesso il 4 novembre 2021. Nel lungometraggio, girato nell’estate scorsa, fra il Friuli Venezia-Giulia e Roma, sono inseriti filmati dell’Istituto Luce e altri documenti grafici e d’archivio. Il docufilm è diretto da Francesco Miccichè mentre la produzione è affidata a Gloria Giorgianni e Rai Cinema, Fondazione Aquileia, Comune di Aquileia e Istituto Luce-Cinecittà. Il progetto conta anche sul patrocinio del Ministero della Difesa.

Deborah Mega

 

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Il Manifesto della razza

27 lunedì Gen 2020

Posted by Deborah Mega in Cronache della vita, CULTURA E SOCIETA'

≈ 1 Commento

Autoritratto con carta d’identità di ebreo, Felix Nussbaum, 1943, Osnabrück, Felix-Nussbaum-Haus

Pubblicato con il titolo Il fascismo e i problemi della razza, su “Il Giornale d’Italia” del 14 luglio 1938 e sulla rivista  “La difesa della razza”, il Manifesto degli scienziati razzisti o Manifesto della razza, anticipa di qualche settimana la promulgazione della legislazione razziale fascista applicata in Italia fra il 1938 e il 1944. Firmato da alcuni importanti scienziati italiani, Il Manifesto divenne la base ideologica e pseudo-scientifica della politica razzista dell’Italia fascista.

*

Il ministro segretario del partito ha ricevuto, il 26 luglio XVI, un gruppo di studiosi fascisti, docenti nelle università italiane, che hanno, sotto l’egida del Ministero della Cultura Popolare, redatto o aderito, alle proposizioni che fissano le basi del razzismo fascista. Continua a leggere →

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LA SCQUOLA NON E’ ACCUA

22 domenica Apr 2018

Posted by frantoli in Cronache della vita, CULTURA E SOCIETA', SINE LIMINE

≈ Commenti disabilitati su LA SCQUOLA NON E’ ACCUA

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Francesco Tontoli

(foto di Francesco Tontoli)

Sono 40 anni che sono nel mondo della scuola, e faccio parte del Personale Educativo, ho la Funzione Docente, e tutto il “pacchetto di privilegi” (sic!) e di pene di chi bazzica da quelle parti (mi perdonerà Michele Serra di questo linguaggio terra terra?). Per me è un periodo di magra qui su Facebook, non mi sento coinvolto quasi in nulla. Leggo post, faccio cose… (pochissime cose), utilizzo il Mezzo ormai senza l’entusiasmo di una volta nelle discussioni, che sbircio con sempre più sgomento. Sono smarrito, sopraffatto dagli eventi che si affollano e nutrono i profili social che ho di fronte quando siedo davanti a questo schermo. La nausea è forte, gli argomenti spesso durano il tempo di una giornata o due, su episodi che attraversano la cronaca o la politica con la velocità di un meteorite. L’indifferenza si sta impadronendo anche della mia curiosità di comprendere. Il fatalismo del “così è sempre stato” e dell’ “ormai non c’è più nulla da fare” è nell’ordine delle cose della mia giornata.
Eppure l’episodio di Lucca ai danni del prof di Italiano mi ha invogliato a reagire sia pure con i riflessi rallentati e con dubbi, se davvero ne valga la pena di aggiungere il mio mattoncino di opinioni da buttare nel mucchio informe del mondo virtuale.
La scuola italiana è di solito un universo di simulazioni male assortite della vita cosiddetta “vera”. Ci si sta per delle ragioni che i ragazzi fanno fatica a comprendere, e i docenti fanno altrettanta fatica a comunicare. Dall’una e dall’altra parte di questi due schieramenti simulati e strutturati qualche volta i ruoli saltano. E i motivi possono essere diversissimi. Ho in mente decine di colleghi docenti che ho conosciuto nel passato che hanno attraversato momenti terribili, prima di tutto con sé stessi, chiedendosi se erano ancora capaci di potere sostenere l’impatto della gestione di un gruppo di adolescenti attraversati da tempeste ormonali. Spesso il senso di inadeguatezza si impadronisce delle persone , il burn out è malattia diffusa non riconosciuta. Di gente sottoposta a mobbing massiccio è pieno il mondo del lavoro, ma nella scuola le conseguenze possono assumere effetti catastrofici.
La velocità di diffusione di video registrati denuda e scarnifica di significato qualsiasi tentativo di spiegazione o di “giustificazione”. In un video non si può far altro che vedere un povero cristo sgomento e rassegnato, sottoposto ad angherie e a soprusi. Non esiste la possibilità di astrarre dal contesto. L’immagine diventa il documento di una verità crudele e certificata. Un adulto con un ruolo specifico di guida deriso è il segno del fallimento dei modelli di trasmissione dei saperi. Anni fa si contestavano i metodi di questo passaggio di testimone tra generazioni. Stavolta a saltare è il banco tutto. Messo alla berlina è il singolo anello debole, che rappresenta un sistema ritenuto inutile. A scuola, sembrano dire questi ragazzi che filmano loro stessi, le proprie eroiche gesta, ci si va per far casino e poco altro.
Non credo per tutti sia così, ma stavolta c’è di mezzo la prova, non le chiacchiere pedagogiche o le lamentele di categoria. Stavolta il mezzo ha soppiantato qualsiasi analisi e decontestualizzazione mobilitando lo sdegno, che credo durerà qualche settimana in più del solito. Il mezzo sappiamo quale è, ce l’abbiamo tra le mani molte ore al giorno. La responsabilità è di tutti avendone fatto un feticcio da esibire nelle sue possibilità di mostrare spezzoni di vita squallida e di realtà sovradimensionata. Sappiamo da tempo che chiunque di noi forte o debole che sia può essere sottoposto a un crudele giudizio collettivo con sentenza immediata dei suoi presunti pregi e difetti messi all’asta. Non discuto i torti criminali di questi ragazzi che meritano tutto il mio biasimo e la mia condanna, ma la possibilità diabolica di ricatto che ha qualsiasi documento sul nostro mondo privato e sul nostro universo pubblico. L’espressione rassegnata del collega vittima dell’aggressione dice tutto (sembrava dicesse “Cosa ci faccio io ancora qui alla mia età?”) su un passato di tentativi di ribellione al lasciar fare, lasciar passare probabilmente da parte della Direzione. Insomma una pena indicibile.

Francesco Tontoli

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Incipit 19: Un uomo

05 lunedì Feb 2018

Posted by Deborah Mega in Appunti letterari, Cronache della vita, CULTURA E SOCIETA', Incipit, LETTERATURA E POESIA

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Alekos Panagulis, Deborah Mega, Oriana Fallaci, Un uomo

Un ruggito di dolore e di rabbia si alzava sulla città, e rintronava incessante, ossessivo, spazzando qualsiasi altro suono, scandendo la grande menzogna. Zi, zi, zi! Vive, vive, vive! Un ruggito che non aveva nulla di umano. Infatti non si alzava da esseri umani, creature con due braccia e due gambe e un pensiero proprio, si alzava da una bestia mostruosa e senza pensiero, la folla, la piovra che a mezzogiorno, incrostata di pugni chiusi, di volti distorti, di bocche contratte, aveva invaso la piazza della cattedrale ortodossa poi allungato i tentacoli nelle strade adiacenti intasandole, sommergendole con l’implacabilità della lava che nel suo straripare divora ogni ostacolo, assordandole con il suo zi, zi, zi. Sottrarsene era illusione.

[…] 

Oriana Fallaci, Un uomo, Rizzoli, 1979

Un uomo è un libro scritto da Oriana Fallaci e pubblicato nel 1979, in cui la scrittrice racconta la storia di Alekos Panagulis, suo compagno tra il 1973 e il 1976 e simbolo di libertà e democrazia. “La solita fiaba dell’eroe che si batte da solo, preso a calci, vilipeso, incompreso. La solita storia dell’uomo che rifiuta di piegarsi alle chiese, alle paure, alle mode, agli schemi ideologici, ai principi assoluti da qualsiasi parte vengano, di qualsiasi colore si vestano, e predica la libertà. La solita tragedia dell’individuo che non si adegua, che non si rassegna, che pensa con la propria testa, e per questo muore ucciso da tutti.” In questo modo la Fallaci presenta la sua opera nel prologo, attribuisce al suo personaggio i connotati emotivi e caratteriali dell’eroe classico e racconta una vicenda che presenta le caratteristiche mitopoietiche dell’epopea. Il romanzo si apre con i funerali di Alekos che avevano radunato un’enorme folla di persone, paragonata ad una piovra, i cui tentacoli avevano intasato le strade adiacenti. La storia prende avvio dal tentativo da parte del giovane studente di ingegneria, Alekos Panagulis, di uccidere il tiranno della Grecia, Georgios Papadopoulos. L’attentato fallisce ed Alekos viene catturato, torturato e infine condannato a morte il 17 novembre 1968 dunque trasportato all’isola di Egina per l’esecuzione. La sentenza viene rinviata più volte e infine mai eseguita grazie alle pressioni della comunità internazionale e al timore da parte del regime che l’attentatore diventi un martire e così, il 25 novembre 1968, Panagulis viene tradotto nelle prigioni militari di Boiati. Panagulis continua ad essere torturato per cinque anni ma non si piega al progetto dei suoi carcerieri affinchè diventi collaboratore della dittatura. Durante la prigionia tenta più volte di evadere dal carcere di Boiati, ma tutti i tentativi vanno a vuoto. Negli ultimi due anni di carcerazione, i più duri, è imprigionato in una cella di pochi metri quadrati denominata “La Tomba”.  Dopo anni di prigionia e maltrattamenti tornerà libero a seguito della grazia ricevuta dal governo democratico che si instaura alla caduta del regime di Papadopoulos. Qualche giorno dopo incontrerà la Fallaci che si era recata a fargli visita per intervistarlo. Da quell’incontro, prenderà avvio la loro storia d’amore che durerà fino alla sua morte, avvenuta il 1º maggio 1976. Uscito di prigione, Panagulis, viene conteso dalla destra e dalla sinistra ma si rende conto che la democrazia di quel tempo era una farsa e che il parlamento era soggiogato dal potere della dittatura militare, rappresentata da un nuovo colonnello. Sorvegliati dai servizi segreti, Panagulis e la Fallaci riescono a rifugiarsi in Italia, da cui cercano, senza risultati, confidando nell’appoggio dei politici italiani, di rovesciare il dittatore greco. La storia d’amore procede tra alti e bassi, la giornalista in questi anni perde il bambino che aspetta da lui. Qualche tempo dopo Panagulis si rende conto che dall’estero non ha il potere di cambiare la situazione in Grecia e decide di ritornare in patria, tenta di fondare un proprio partito politico ma la sua iniziativa fallisce.  Con il partito Unione del Centro – Nuove forze, riesce a farsi eleggere deputato. Negli anni successivi Panagulis tenta di raccogliere documenti e testimonianze per dimostrare la natura corrotta della democrazia greca ma si mette in contrasto con il ministro della difesa Evangelos Averoff. Quando comincia a diffondere i documenti segreti di cui è venuto in possesso, viene ucciso in un incidente stradale, provocato da due sicari. Nei mesi successivi alla sua morte il governo greco non supporterà l’evidenza dell’omicidio, ignorando le perizie italiane effettuate sull’automobile di Panagulis che dimostravano i chiari segni degli speronamenti e dei tamponamenti. Il libro si conclude riprendendo l’incipit in modo ciclico, con il funerale di Panagulis accompagnato dalle grida dell’enorme massa di persone che urlano: “Zi! Zi! Zi!” (Vive! Vive! Vive!), segno che il popolo ha intuito le verità scomode che Panagulis tentava di far emergere. La Fallaci scrive una storia romanzata in cui si pone come narratore interno, avendo vissuto in prima persona diverse esperienze; talvolta diventa, invece, narratore esterno, quando il suo punto di vista non coincide con quello del suo protagonista. Negli ultimi mesi della sua vita, Panagulis aveva insistito con la scrittrice affinché lei scrivesse un libro sulla sua vita, una volta morto e lei realizzò questo desiderio delineando una figura di eroe moderno che si batte per la libertà e per la verità contro tutto e tutti. Il romanzo è diventato un best seller tradotto in ben diciannove paesi. La Fallaci è riuscita a rendere Panagulis  immortale ed eterno e a trasmettere un insegnamento ancora attuale: “non lasciatevi intruppare dai dogmi, dalle uniformi, dalle dottrine, non lasciatevi turlupinare da chi vi comanda, da chi vi promette, da chi vi spaventa, da chi vuole sostituire un padrone con un nuovo padrone, non siate gregge perdio, non riparatevi sotto l’ombrello delle colpe altrui, lottate, ragionate col vostro cervello, ricordate che ciascuno è qualcuno, un individuo prezioso, responsabile, artefice di se stesso, difendetelo il vostro io, nocciolo di ogni libertà, la libertà è un dovere, prima che un diritto è un dovere”.

Deborah Mega

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Questo trasformarsi in bomba

23 martedì Mag 2017

Posted by Loredana Semantica in Cronache della vita, LETTERATURA E POESIA, Poesie

≈ Commenti disabilitati su Questo trasformarsi in bomba

Manchester, 22 maggio 2017

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ph. Loredana Semantica

Forse anche dio si è stancato
O forse ha distolto lo sguardo.
Una rosa rossa sul selciato
Racconta il dolore
Un poema inascoltato.

Giovanna Iorio

Questo trasformarsi in bomba
e ridurre i bambini a cose
carne rimasticata in martirio.

Sapranno anche essere padri o amici
di altri bambini ridotti in cenere
che non sono stati mai
opportunamente inquadrati.

Come se l’inquadratura giusta
e la visione necrotica ci rendesse
liberi, santi , epifanici e credenti.

Francesco Tontoli

-Passaggio zero-

l’officiante
ancora oggi ripete

gloria negli altissimi cieli
e pace qui in terra
(agli uomini di buona volontà)

avesse sentito la bomba,
l’attentato al mercato
solo ieri mattina,
il sangue, le grida,
la carne al macello

gloria negli altissimi cieli
e qui sulla terra

la solita guerra

(e dio non s’è visto
dio dei cieli
non della terra).

Francesco Palmieri

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Abbiate cuore

22 giovedì Dic 2016

Posted by Loredana Semantica in Cronache della vita, CULTURA E SOCIETA', Ispirazioni e divagazioni, La società

≈ Commenti disabilitati su Abbiate cuore

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Natale

Ecco un altro Natale a ricordarci d’essere più buoni, ma quest’anno, non meno di altri, la nostra bontà è infetta, nessuno innocente di fronte alla guerra. Di fronte a foto di bambini insanguinati e strade che sono laghi di sangue. Occhieggiano orrori dai social network e noi qui al sicuro a chiederci se questo è un uomo, se questo è vero, cosa possiamo, poi restiamo impotenti a chiederci che significato abbia la parola bontà e, persino, scossi, che senso abbia la parola Natale. Siamo solo uomini. Lo sono anche di là dal mare, dalle montagne e dai confini. Uomini. Capaci di efferatezze come di slanci poetici. Questo attraversamento che è essere uomini sulla terra è un miscuglio di dannazione e paradiso. Lo è dalla notte dei tempi.  Lo è ancora adesso. Si spera di poter trascorrere l’esistenza quanto più in salute, bellezza e serenità possibile. Per i più sfortunati non sarà così, alcuni hanno l’inferno in questa terra, ma nel grande disegno ch’è l’esistenza al di qua e al di là della soglia percepibile sono convinta che ci sarà un riscatto per gli afflitti, un momento di catarsi e di rivoluzione, dove chi ha penato trova la sua pace, e chi ha commesso il male la pena. Ed anche questo è Natale.

Questo Natale perciò non è diverso dagli altri, non è meno triste di altri. Dipende dall’angolazione singolare. Chi è nella desolazione lo vedrà con occhi di dolore, chi è sereno, come una festa da trascorrere in famiglia e con gli amici. Nonostante la fame in qualche parte del mondo, con la guerra da qualche parte del mondo, con la miseria e col dolore, che Natale dopo Natale ci sono stati sempre. Non è un’assoluzione, ma una presa d’atto che il nero si accompagna al bianco ed è nelle zone grigie che dovrebbero lavorare bene con senso di responsabilità profondo, consapevoli d’avere le sorti dell’umanità nelle mani.

Ma questo non voleva essere un post pesante e nemmeno di luoghi comuni, anzi il post  voleva essere grazioso, celebrare questo momento che è festa religiosa e tradizionale nel contempo.

Ricca di usanze, come l’albero addobbato di tante luci, palline e pupazzetti, ora il mio di fiori dorati, ma nel ricordo della mia infanzia l’albero per eccellenza era quello del mio povero zio Filippo, buonanima, che aveva golosi pendenti di cioccolato rivestiti di carta stagnola colorata a forma di babbo natale o di monete. Troneggiava irraggiungibile sul pianoforte ed era un albero bellissimo, perché quei ninnoli mangerecci di decorazione erano l’ambizione di noi bambini e, sebbene lo zio Filippo avesse tanti figli, qualche volta una moneta è arrivata anche nelle mie mani e in quelle di mia sorella regalandoci un momento di estatica felicità natalizia.

Altra tradizione del Natale è il presepe che il mio libro delle elementari raccontava  essere nato in Italia, introdotto per la prima volta da San Francesco, che ebbe la bella idea di riprodurre lo scenario della nascita a Betlemme, con gli angeli e i pastori, Maria e Giuseppe, il bue e l’asinello, tante pecore e il bambinello nella mangiatoia, culla del Signore del cielo e della terra.

Ecco che da fame e guerra, che sono la pena del mondo, siamo passati al cuore del Natale, che è commemorazione sostanzialmente, del momento della nascita del Salvatore. Nacque Gesù in Betlemme ed era l’anno zero, zero perché segna il nuovo inizio dell’Umanità che poco dopo quella nascita conoscerà per la viva voce del figlio di Dio – pietra scartata dai costruttori, diventata testata d’angolo – il messaggio d’amore cristiano, qualcosa di profondamente rivoluzionario. Da allora i Cristiani  ricordano l’evento di questa nascita, premessa necessaria di tutti i successivi eventi: dalla passione di Gesù al seguito di una montagna di secoli e storia della cristianità. Tradizione è la messa del Natale per chi voglia porre l’accento più sacro alla festività.

Tradizione del Natale sono i dolci panettone e pandoro che ormai in tutte le possibili coperture e farciture abbondano sugli scaffali dei negozi e supermercati, la cena con la zuppa di pesce, con le impanate e scacciate, con gli arancini o gli arrosti, il gran pranzo di lasagne,  tacchini, prelibatezze e involtini. E così pensando alla pancia, che in allegria reclama la sua ora, concludo dicendo che anche noi da questo scorcio di luce che è il nostro minuscolo blog vogliamo fare i nostri più luminosi auguri.

Buon Natale a tutti, quindi, di cuore – il nostro certo, ma anche di averlo voi stessi – e di ogni bene.

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La destabilizzazione mondiale

11 lunedì Apr 2016

Posted by Loredana Semantica in Cronache della vita, CULTURA E SOCIETA', La società

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attualità, Loredana Semantica, migrazioni, profughi, società

indomeni

Foto dal web: profughi a Indomeni

Credo sia sotto gli occhi e le orecchie di tutti che soffiano venti di bufera sul mondo. L’ultima notizia che getta un ponte d’ansia tra la nostra penisola e il nordafrica si chiama invio di truppe militari in Libia.

Uno spettro si aggira per il mondo e si chiama guerra. Non è cosa nuova sulla faccia della terra, ma ultimamente la guerra è uno degli spettri che popolano anche gli incubi europei.

La realtà ci mostra solo a sprazzi, grazie a un’informazione manipolata, la sofferenza di popoli che protestano senza avere ascolto, che fuggono senza avere accoglienza, coi governi incapaci di dare sicurezza e sviluppo, di convertire tribù in popolazione, individui in cittadini.

Sono in atto, spostamenti di massa motivati dal profondo malessere che induce le persone a preferire l’ignoto e l’incertezza, alle certezze della fame, rovina, guerra, sofferenza che patiscono nel proprio paese d’origine. Continua a leggere →

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Il Dio dei bambini

31 giovedì Mar 2016

Posted by Loredana Semantica in Cronache della vita, La società, Video

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attentati, bambini, guerra, Loredana Semantica, profughi

,Avevo scritto il testo in corsivo più sotto per i bambini siriani coinvolti in una guerra che segnerà inevitabilmente l’intera loro esistenza o ha già causato la loro morte.

L’avevo scritto qualche giorno fa prima dei recenti attentati in Iran a sud di Bagdad e in Pakistan a Lahore. In entrambi un kamikaze si è fatto esplodere seminando il suo carico di terrore, distruzione, dolore. Gli attentati hanno avuto come obiettivo momenti di vita di serenità e festa: a Bagdad la premiazione di un torneo di calcio, a Lahore un parco dove molte famiglie si erano riunite a festeggiare la Pasqua. Continua a leggere →

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La sfida del fondamentalismo

29 martedì Mar 2016

Posted by Deborah Mega in Cronache della vita, CULTURA E SOCIETA', La società

≈ 2 commenti

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Deborah Mega, fondamentalismo, Giacomo Leopardi, John Lennon, primavera araba, terrorismo islamico

Imagine there’s no countries

it isn’t hard to do

nothing to kill or die for

and no religion too

imagine all the people

living life in peace

JOHN LENNON

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