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LIMINA MUNDI

~ Per l'alto mare aperto

LIMINA MUNDI

Archivi della categoria: Eventi e segnalazioni

Il dono

12 giovedì Gen 2023

Posted by Antonella Pizzo in Eventi e segnalazioni, NarЯrativa

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Scritto dal poeta romano Michele Gentile. Si tratta di un libro molto originale come intelaiatura letteraria, a metà tra prosa e poesia. Una favola per adulti con la struttura di un vero e proprio romanzo breve. Il Dono è un libro a metà tra prosa e poesia ma è quest’ultima ad innervare ogni pagina dell’opera dato che essa è presente non solo nei versi della breve silloge che conclude il libro, ma si mostra in tutta la narrazione di questa storia toccante, che vede protagonista il bimbo Giuseppino, rimasto orfano di madre, con un padre assente, e che trova sostegno in Amir, africano sfuggito alle guerre e al razzismo. Il tutto è ambientato nel fantasioso borgo mediterraneo di Roccasolenne, dove il mare è sinonimo di libertà e speranza, dove il bambino si fa cullare dai suoi infiniti orizzonti, trovando sollievo in mondi immaginari e lontani. Continua a leggere →

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ALCYONE 2000.Quaderni di poesia e di studi letterari, vol. 15, 2022. Recensione di Raffaele Piazza

23 venerdì Dic 2022

Posted by Deborah Mega in Eventi e segnalazioni, LETTERATURA E POESIA, Recensioni

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Alcyone 2000, Raffaele Piazza

 

ALCYONE 2000

Quaderni di poesia e di studi letterari, vol. 15, 2022

 Recensione di Raffaele Piazza

 

La composita pubblicazione che prendiamo in considerazione in questa sede, costituisce un volume che per sua natura (anche per la presenza di contributi pittorici e scultorei riprodotti a colori) potrebbe essere considerato un ipertesto, per la commistione e l’interazione che si vengono a realizzare tra i suddetti contributi e i saggi di critica letteraria, le recensioni e le sillogi poetiche che racchiude. La collana di quaderni di poesia e studi letterari “Alcyone 2000”, pubblicata da Guido Miano Editore, i cui volumi sono impaginati come una rivista, emerge nel panorama letterario italiano odierno per l’aspetto culturale come una delle più prestigiose pubblicazioni per l’importanza dei nomi dei critici letterari, dei poeti, nonché dei pittori e degli scultori che hanno firmato le parti letterarie e figurative, tutte connotate dal comune denominatore dell’incontrovertibile alta qualità, della bellezza e dell’intelligenza. Nel tempo della pandemia che tutti stiamo vivendo, fenomeno tragico che ha provocato tra l’altro un aumento numerico dei poeti a causa delle chiusure e del dolore, una simile opera nel mare magnum di una società postmoderna, globalizzata e consumistica che vede la caduta dei valori e il prevalere della mentalità dell’avere su quella dell’essere, come già stigmatizzato dal filosofo e psicologo Erich Fromm negli anni ottanta del secolo scorso, ben vengano questi quaderni quasi come espressione del pensiero divergente anche perché cartacei non destinati solo a un limitato numero di cultori.

* * *

A livello esemplificativo, analizzando il volume 15 di “Alcyone 2000”, ci si sofferma su tre dei saggi che ritroviamo nella sezione dei “Contributi letterari”: quello di Ivo Lovetti intitolato Jean Guitton l’ “eternità” in un istante, quello di Marco Zelioli, La “incontemporaneità” di Eugenio Corti scrittore cattolico più noto all’estero e quello di Ferdinando Banchini, Lugi Fallacara e il Francescanesimo.

Come scrive Lovetti, riguardo a Jean Guitton, il primo dei suddetti scritti L’infinito in fondo al cuore. Dialoghi su Dio e sulla fede, 1999, costruito come un libro intervista da Francesca Pini, giornalista del “Corriere della sera”, si può considerare il sorprendente, esauriente, per certi versi inatteso testamento spirituale del grande pensatore cristiano che ha attraversato quasi nella sua interezza il nostro secolo fino a diventarne un autorevole testimone e interprete. L’immagine che ne scaturisce è quella di un nomo eternamente giovane, sognatore che affermava che la vita gli sembrava fatta di sogni, alcuni dei quali sono notturni altri diurni, dotato di una grande libertà e originalità di pensiero, ma nello stesso tempo rispettoso dell’ortodossia cattolica, innamorato della vita nel dichiarare che va bene aspettare la felicità dopo la morte ma è ancora meglio godere adesso della felicità senza preoccuparsi di tutto quello che accadrà dopo la morte. Quando afferma il concetto di “eternità” in un istante Guitton pare rievocare l’assunto di Heidegger sull’attimo come feritoia atemporale dove il tempo si ferma e non è né passato né futuro ed è forse per sempre. In ogni caso attimo, istante e momento come categorie temporali non sono strettamente sinonimi e tra i tre termini esistono sottili differenze la cui spiegazione esauriente dal punto di vista filosofico sarebbe stato felice di darcela lo stesso Guitton se la sua interlocutrice nell’intervista gliela avesse chiesta. Guitton ha scritto anche il saggio Dio e la scienza nel quale come prova dell’esistenza di Dio il Nostro sostiene che la materia che costituisce le galassie, i pianeti e ogni cosa presente nell’universo è aggregata in maniera così precisa e perfetta e che solo una mente ordinatrice teleologicamente poteva costituirla in questo modo con quella che viene chiamata Creazione.

Nel saggio La “incontemporaneità” di Eugenio Corti scrittore cattolico più noto all’estero che in patria di Marco Zelioli il critico scrive che tra i “casi letterari” del XX secolo senza dubbio uno dei più eclatanti è quello dello scrittore e saggista Eugenio Corti, di cui il 2021 è stato il centenario della nascita. Per quanto incredibile possa risultare a chiunque ne scorra il curriculum culturale, Eugenio Corti più che in Italia è noto all’estero, soprattutto in Francia (le sue opere sono state tradotte in Francese, Inglese, Lituano, Polacco, Portoghese, Romeno, Russo, Spagnolo ed anche Giapponese). Esordì con I più non ritornano, 1947 insieme romanzo e cronaca della rovinosa ritirata dei soldati italiani dalla Russia nel 1942-1943. Il capolavoro di Eugenio Corti è senza dubbio Il cavallo rosso, 1983. Prodotto in oltre trenta edizioni e venduto in quasi quattrocentomila copie, è un romanzo di così ampio respiro da ricordare quelli dei Grandi della letteratura russa tra Ottocento e Novecento da Tolstoj a Dostoevskij a Solzeniciyn. Non per nulla, e soprattutto grazie a quest’opera, dopo aver ricevuto nel 2000 il “Premio internazionale al merito della cultura cattolica”, lo scrittore fu preposto per il Premio Nobel 2011 da un comitato spontaneo, sostenuto dalla Provincia di Monza e Brianza e dalla Regione Lombardia; una figura che il critico ha fatto bene a riattualizzare dopo la sua parziale rimozione dopo la sua morte e anche prima.

Nel saggio dedicato a Luigi Fallacara Ferdinando Banchini riporta le parole dello stesso Fallacara che affermava che il suo incontro con S. Francesco fu anche la scoperta del senso metafisico di ogni vera poesia, nella apertura dell’amore per tutte le creature. L’incontro tra il Nostro e il santo avvenne ad Assisi dove visse tra il 1920 e il 1925. Ivi nel 1921 entrò nel terz’ordine e tradusse le confessioni di Angela da Foligno, mistica francescana del Duecento e soprattutto portò a compimento quella “storia di una crisi religiosa” che è il suo primo importante, duraturo libro di poesia Illuminazioni drammaticamente esemplato sul graduale iter mistico della grande seguace di San Francesco. Il libro successivo I firmamenti terrestri del 1929 presenta, in cinque lunghe poesie in ottave, episodi della vita di Francesco, commossa esaltazione di chi sentì contro il suo cuore, il cuore di Cristo che ricolma il mondo, di chi si fece «carne d’amore, carne di dolore / flutto approdato ai piedi del Signore». Nel ‘55 curò un’edizione delle Laude di Jacopone da Todi, altro grande francescano, diversissimo da Angela ma di lei non meno ardente.

* * *

Passiamo ora ad un’altra sezione del vol.15 di “Alcyone 2000”; il brano intitolato Itinerari di letteratura comparata: cieli ed epoche diversi uniti dalla poesia fa da introduzione ad una serie di saggi appunto di Letteratura Comparata, campo poco praticato nel panorama letterario nazionale contemporaneo. I raffronti, i confronti, i paragoni, le comparazioni tra autori di epoche e lingue diverse, non sono solo utili per allargare il nostro sguardo oltre quel provincialismo che spesso limita in modo angusto il nostro orizzonte culturale, ma addirittura bisogna che siano inevitabili e necessari se si vogliono comprendere gli influssi reciproci tra le varie correnti letterarie e capire a fondo quel sentire comune, quella comune sensibilità poetica e ideale che attraversa in modo osmotico gli autori europei, nell’esprimere un patrimonio di valori sul quale si fonda la vera civiltà umana: legandoli insieme sentiremo una voce unica a difesa e per i principi fondamentali sul quale si basano il nostro sistema di vita e la nostra cultura occidentale. Le comparazioni come linee di codice in un sistema di insiemi sottesi a un principio comune che vede nella parola scritta il suo fondamento comune a prescindere dai luoghi, dalle civiltà, dai costumi e dalle religioni di ogni singolo poeta, romanziere o saggista.

* * *

“Alcyone 2000” comprende anche una sezione dedicata a sillogi di poeti contemporanei; si analizzano a titolo esemplificativo due raccolte: quella di Guido Miano e quella di Renata Cagliari. In I colori dell’isola di Guido Miano predomina la linearità dell’incanto, lo stupore e la capacità della meraviglia per la bellezza inserita nel cronotopo sotto i cerchi limpidi del cielo. Come scrive Enzo Concardi queste liriche sono una dichiarazione d’amore per la natia terra siciliana: le radici, l’identità, la cultura, l’infanzia, il sogno e il successivo abbandono, il dolore, la lontananza, la memoria, la disillusione. Poetica tout-court neolirica e del sogno ad occhi aperti dalla quale trasuda uno sconfinato amore per la natura incarnato negli idilliaci paesaggi della natale isola percepita in una policromia di sensazioni che dai sensi raggiungono l’anima e il cuore del poeta. Una notevole ricerca e raffinatezza del lessico connota il poiein di Miano. La magia della parola diviene il precipitato di una cosciente sospensione che si lega a visionarietà e la natura stessa si fa a tratti numinosa e neoromantica più che neoclassica. In alcuni componimenti il poeta si fa interprete della metafora vegetale e l’infanzia pare collimare con il verde tenero delle piante stesso. Da notare che il poeta nomina con il nome preciso le specie vegetali (l’ulivo saraceno e il gelsomino bianco d’Arabia) come Seamus Heaney, premio Nobel irlandese. L’esattezza di una parola sapientemente dosata è esaltata nei componimenti sempre ben controllati e magistralmente risolti. È affrontato il tema del dolore in un componimento struggente in cui una cerva ferità è alla ricerca del suo piccolo e stabilmente si raggiunge una musicalità nei versi nei quali è presente un ritmo sincopato. Anche un’aurea di favola è presente quando il poeta mette in scena la sirenetta con la coda di delfino, creatura mitica e forse simbolo di bellezza, sirenetta che nuota nel mare che circonda la sua amatissima Sicilia. Si emerge con piacere dalla lettura di questi testi originali e carichi spesso di un arcano fascino.

Nella silloge Attimi di luce di Renata Cagliari nei versi colloquiali e affabulanti ritroviamo il senso e il tema dell’epica del quotidiano e della fiducia nell’amicizia nei passaggi in una poesia in cui l’io-poetante oppresso dal peso della vita va a casa dell’amica Flavia dove la vita stessa ritrova colore, forza e sorriso. Addirittura la casa diviene Paradiso come un rifugio incantato e in essa anche gli oggetti sembrano stagliarsi benevoli e quasi apotropaici, e si fanno correlativi della gioia e della sicurezza. La poetica espressa è neolirica e come scrive Michele Miano si tratta di una poesia intimista, dove la parola si carica d’immagini salvifiche. La luce entra nelle cose e nell’anima come dal titolo della silloge nel permearla e negli attimi il tempo pare fermarsi in un sicuro ottimismo che si manifesta in una vena ludica e giocosa così rara perché si percepisce che la felicità può esistere sia nel giorno che nella notte e che anche se è un fiore raro esiste anche l’amicizia della quale anche il Cristo ha parlato nei vangeli. Una vena sorgiva quella della poetessa di matrice neolirica che provoca emozione e stupore nel lettore e pare anche di intravedere in essa una connotazione vagamente minimalistica. Il senso del bene che viene detto con urgenza è presente, il bene che sconfigge il male e non è buonismo.         C’è anche un aspetto religioso in questa poetica e una poesia è dedicata al Natale e alle sue magiche atmosfere e un’altra a Marco del quale è detto che nella sua vita si è risollevato tante volte dalle tribolazioni e che ora con il suo serafico sorriso aiuta il prossimo a trovare pace e armonia ed è detto qui Dio che pare emanarsi dal sorriso dello stesso protagonista.

* * *

Ci sarebbe da dire molto sulla collana di quaderni “Alcyone 2000” di Guido Miano Editore che richiederebbe un saggio per un’analisi di tutte le sue parti e non lo spazio di una recensione; la presente collana di studi letterari si configura come espressione di una raffinata cultura all’insegna della bellezza come esercizio di conoscenza.

Raffaele Piazza

Alcyone 2000 – Quaderni di Poesia e di Studi Letterari, n°15; Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 108, isbn 978-88-31497-83-1, mianoposta@gmail.com.

 

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AA.VV., Senza tema! Poesie coraggiosamente atematiche, Edizioni Simple, 2022.

19 lunedì Dic 2022

Posted by Deborah Mega in COMUNICATI STAMPA, Eventi e segnalazioni, LETTERATURA E POESIA

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Pietro Pancamo, Senza tema!

 

SENZA TEMA!
Poesie coraggiosamente atematiche
–Antologia a cura di Pietro Pancamo–

 

Consapevole che infrangere le consuetudini, specie se consolidate, è sempre un atto di coraggio, Pietro Pàncamo si è “ribellato” alla moda delle antologie a tema, curando un piccolo volume collettaneo di versi –«Senza tema! Poesie coraggiosamente atematiche» (Edizioni Simple, Macerata, 2022)–, nel quale a ciascun autore è stata lasciata completa libertà di scegliere autonomamente la materia da trattare; ne è nata un’opera corale in cui tutti, svincolati com’erano da forzature di sorta, hanno avuto una preziosa opportunità d’esprimersi al meglio. Ecco qui di seguito alcuni estratti dai commenti critici che, all’interno del libro, il curatore ha dedicato a ciascuno dei quattro autori antologizzati: Kikai, Angela Lombardozzi, Tommaso Meldolesi e Fabio Sebastiani.

“Secondo il critico e storico della musica Massimo Mila, il sentimento predominante, nei brani di Mozart, è una sorta di benefico sorriso fra le lacrime. Io credo di poter dire lo stesso per i versi della brava Kikai.

[…] Le liriche di Angela Lombardozzi s’improntano invece ad un serrato flusso di coscienza, magistralmente concepito per rispecchiare la concitata e penosa assenza di senso, dalla quale l’esistenza quotidiana di noi uomini è ahimè afflitta.

[…] E se le poesie di Tommaso Meldolesi prendono le mosse da una tenera o meglio sognante rassegnazione che, pur attraversata sempre da una favilla di speranza, piega spesso il ginocchio dinanzi alle (s)torture dell’esistenza, Fabio Sebastiani, in una continua e ica(u)stica dissolvenza incrociata d’immagini che sfumano rapide l’una nell’altra, ci svela impietoso le piccole miserie del grigiore quotidiano, presentandole come un rito scaramantico a cui noi esseri umani, in nome di una vita completamente ottusa e quindi molto più comoda, ci siamo autoaddestrati e autoaddomesticati con tenacia imperterrita”.

*

IL CIELO

 

Un lungo istante di pausa, sospesa dentro l’autobus che arranca, e si ferma. Schiacciata contro il vetro, a fissare un angolo di cielo.

 

Domenica fissando

il cielo e vorrei starmene fuori dalla mia storia.

 

Riposare, dalla mia vita.

Dispersa. Per un po’, solo per un po’

 

Come sepolta, sotto chili di nulla, in una tomba di luce,

[oltre gli oggetti e i sentimenti

 

Oltre i cancelli del tempo.

Oltre il pensiero.

 

Dentro qualcosa che non so.

Più grande di me.

 

Kikai

*

ALI

 

Ho una poesia sulla lingua

Il petto batte

Ma non trovo le ali

Guardo in un altrove

perché qui il presente

è annebbiato

– Ti chiedo il sale

della tua presenza

Quell’eterno stare

che produce tutti i mutamenti

Folle! Folle è l’uomo che tesse

la sua più grande virtù

Un ponte di salvezza

Un filo instabile di luce e precipizio

Ma datemi le ali

perché tremo…

Forse basterebbe anche

un solo abbraccio uno sguardo

Una mano sul cuore

Il tuo sorriso tutto.

 

Angela Lombardozzi

 

*

 

PER LE STRADINE DI MONTMARTRE

 

Dalla nebbia degli anni

riaffiorano memorie

avvolte da ampi strali

d’immensa nostalgia.

M’inoltro a passo lento

per vicoli e stradine

e tento di scovare

le ceneri disperse

di volti diluiti,

di parole sgranate,

di note snocciolate

da chansonniers di un tempo.

 

Tommaso Meldolesi

*

AEROPLANO

 

Se tento

di raggiungere il cielo

la distanza rimane invariata.

M’avvicino

soltanto alle nubi.

 

Pietro Pancamo

*

TRA ALI DI FOLLA SENZ’ALI

 

L’uomo è tutto un contrappunto

sopra l’ideologia

sopra i nomi senza nome

sulle forme del vuoto

svuotate anch’esse

come petali rubati ai fiori.

 

L’uomo a volte non è

nemmeno un discorso

ma il santo procedere

dell’ovvietà, muta nella sera

tra ali di folla senz’ali

che andiamo a casa che è tardi.

 

Calcola i passi badando

a non inciampare

ma è lui l’ostacolo

alla caduta provvidenziale, alla felicità

al perdono che l’universo gli offre.

Che poi a casa è sempre tardi per tutto.

 

E finendoci, nel vuoto

invoca il dio che non ha

amato mai veramente.

Solo pretesto per l’ennesimo inganno

spuntato ai giorni tetri, alla noia

alle parole prese in affitto.

 

Fabio Sebastiani

Pietro Pancamo

Pietro Pàncamo è un editor professionista, nato nel 1972. È autore del volumetto di versi «Manto di vita» (LietoColle) e figura nell’antologia  «Poetando» (Aliberti), curata da Maurizio Costanzo. Ha collaborato con “Il sabato del racconto”, rubrica settimanale dell’edizione parmense de «la Repubblica». La radio nazionale della Svizzera italiana gli ha dedicato una puntata del programma «Poemondo», mentre sue liriche, novelle o recensioni sono apparse, nel tempo, su quotidiani e riviste come il «Corriere della Sera», «Il Fatto Quotidiano», «La Stampa», «Carmilla», «Cronache Letterarie», «Gradiva», «Il cucchiaio nell’orecchio», «Il Ridotto», «La poesia e lo spirito», «Nazione Indiana», «Poesia» (Crocetti editore), «Poetarum Silva», «Scriptamanent» (Rubbettino), «Vibrisse» e il blog «Poesia» della Rai. È stato redattore della rivista filosofico-letteraria «La Mosca di Milano», caporedattore per la poesia dell’e-zine «Progetto Babele» e direttore editoriale sia del mensile online «Niederngasse Italian», sia del programma web-radiofonico «Poesia, l(’)abile traccia dell’universo».

Pietro Pàncamo (a cura di), «Senza tema! Poesie coraggiosamente atematiche», collana «Le antologie di “OMERIGGIARE” PALLIDO E ASSORTO», Edizioni Simple, Macerata, 2022, pp. 92, € 12,00.

 

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Dirottare l’esistenza: “Eliodoro” di Mario Fresa

12 lunedì Dic 2022

Posted by Deborah Mega in Eventi e segnalazioni, LETTERATURA E POESIA, Recensioni

≈ 2 commenti

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Eliodoro, Mario Fresa, Rosa Pierno

 

*

Nel romanzo di Mario Fresa Eliodoro (Fallone editore, 2022) la letterarietà è certamente il soggetto-principe, mentre realtà e sogno si palesano come materiali indistinguibili: “certe mosche dalle cinque ali, violente come nei sogni”. È un testo metaletterario in cui il teatro inscena le proprie tecniche rappresentative, i personaggi stanno per gli autori o viceversa, con il coro che interviene, attante fra gli altri; insomma è una letteratura di secondo grado, come dichiarava Genette (in Palinsesti), vale a dire che mette in relazione, segreta o manifesta, un testo con altri testi. Ma è anche un romanzo acustico-visivo, in cui la parola dispiega il proprio desiderio di ingaggiare, con le arti visive e musicali, una gara. Viene in mente il paradosso di Zenone, quello della corsa tra Apollo e la tartaruga, dove il più veloce non raggiunge mai il più lento. Ce lo conferma Mario Fresa stesso, quando scrive “è un susseguirsi di immagini non più sovrapponibili, ciascuna delle quali non è mai identica a ciò che la precede”. Nel testo sui testi tutto si trasforma, non è più simile, ha subito trasformazioni irreversibili, una delle quali è la non ricomponibilità, la misurabilità smarrita. Certamente la coscienza, che dovrebbe reggere le briglie dell’unità, sembra frantumarsi e frammentarsi all’infinito. Quando la coscienza non compie più il suo dovere, le immagini, difatti, si moltiplicano, non vengono scelte in base alla necessità, soprattutto quelle relative a una logica della sussistenza biologica, ma si moltiplicano, quasi ad offrire un florilegio delle possibilità.

*

Ritornando alla parola, essa mostra un’invidia nei confronti delle arti plastiche e musicali. Nel senso che la parola, dall’alto della sua astrazione, le tenta tutte per superare, non la mimesi, giacché di mimesi mai vi è traccia nelle arti, ma appunto ciò che deriva dai sensi. Sarebbe mai la parola, già solo per questo, capace di tenere fermo il toro per le corna, di tenere a freno la sua stessa corsa? Intanto, la sintassi mostra un respiro corto; risente della velocità delle associazioni che vengono alla mente. Deve roteare, mitragliare in tutte le direzioni. Il lessico è accuratissimo, penso alle coppie di participi presenti (“guardanti respiranti”), agli aggettivi joyciani e longhiani profusi nel testo, ma soprattutto al linguaggio pirotecnico, capace non solo di tessere, fra le pagliuzze d’oro, alcune escrescenze dialettali, ma di tenere l’acceleratore premuto senza mai consentire che la tensione cada o si allenti! Se non che, per seguire, quanto più metamorficamente, le arti visive, accade che anch’essa si spacchetti in incongruenze: certi aggettivi sorprendenti rispetto al sostantivo che accompagnano denunciano la rincorsa delle parole ai riflessi, anziché alle sorgenti luminose; si disperde in rivoli fluenti di disgressioni locali. Esattamente come il progetto dell’opera pretende. Con la sua forza propulsiva e deragliante, che gli abbiamo visto sfoggiare nelle sue raccolte poetiche, Fresa fa risuonare la grancassa e rilucere il firmamento.  Il lettore non può lasciare nemmeno per un istante la guida al solo sguardo, staccare il cervello e scivolare sui declivi del consueto. La macchina di Fresa lo costringe a seguire con ansia il prossimo svincolo, il luogo ove si produce uno sviamento continuo: “è tempo di rinunciare a capire”. È tempo cioè di abbandonare la logica, di utilizzare gli strumenti della complessità, di abituarci a un nuovo paesaggio, a nuove figure (gli altri, “se li prendi a uno a uno sono gelati misti, mostruosi dorsi pieni di cecità, di fragore indescrivibile”).

*

La psicanalisi viene equiparata a un’indagine poliziesca che il paziente vuole depistare (e il pensiero corre subito ai testi di Dürrenmatt, dove sono l’ingiustizia e il sopruso a pretendere che sia impossibile annichilire l’indagine). Eliodoro, dallo psicoterapeuta, costruisce l’inconscio che gli aggrada. Ma ancora altri percorsi riflessivi si dipartono dalla frase “ogni malato ha un talento che non mostrerà mai a nessuno” poiché ci sovviene il ricordo della mostra La ricerca dell’identità di Gianfranco Bruno sulle capacità artistiche di soggetti etichettati come mentalmente disagiati o il lavoro ostinato di Nannetti sul muro dell’Ospedale psichiatrico di Volterra. Ciò esige che si estirpino certi paletti divisori all’interno della cultura, i quali sono utilizzati come paratie difensive poste dai benpensanti. Inoltre, l’indagine poliziesca è un genere letterario e i pensieri liberi della madre di Eliodoro ci riportano al discorso interiore della Molly di Joyce. Per quanto giriamo nel labirinto letterario, ci ritroviamo allo stesso punto. E dal linguaggio che non si esce: la realtà così come il sogno noi li restituiamo con la parola. Realtà e sogno sono allora cose già altre, già perdute: “o si parla o si ama” o anche “la vita non mentiva, ma era sempre una cosa dipinta”.

*

Frequentissimi anche i riferimenti non solo ai quadri della storia dell’arte, ma anche alla musica: il gatto che ha “il passo mahleriano”, l’”operistica spruzzatura”, “in un giro di Suite”, “e poi si mette ritto ritto come l’Eroica”, “andatura diavolesca tartiniana”. Certo, se il desiderio di descrivere la musica è ancora più difficile da raggiungere rispetto a quello di far parlare l’arte, nel testo di Fresa si assapora, non di meno, un rutilante, festosissimo ritmo. Sonorissimo. È un romanzo corale; si direbbe che ci siano tutti, da Clara e Schumann a von Eyck, e gli autori non citati esplicitamente vedono comunque i loro personaggi partecipare all’affresco tratteggiato da Mario Fresa, il quale avvisa che “cercheranno di nuovo di far tacere tutte le voci”. Ecco ciò contro cui si deve combattere. Disseppellirle, renderle attuali con la conoscenza, con lo studio, vuol dire fare largo a un pensiero critico, non omologato: “Lottiamo per trasformarci in un verbo finito” e, invece, dovremmo, per l’autore, restituire alla mente la sua potenza, non spaventarci delle sue risorse. Il sogno ridiventa il luogo del possibile, del rovesciamento. Si dovrà però anche comprendere che la storia è sempre la stessa. Che si è affetti dagli stessi vizi, che si hanno pensieri miseri sempre, che tutti compiono bastardate. Che invece, una posizione bisogna assumerla. La storia, presente nella mente dell’autore, diventa, nella sua totalità, attuale: Napoleone o Lenin sono contemporanei. Sono divenuti materiale esistenziale: Robespierre “schiva le pallonate della storia”: la sala della Pallacorda è produttore di metafore attinenti alla sovrapposizione di passato e presente. L’autore si assume la responsabilità di un resoconto da cui non ha alcun senso espungere qualcosa, ma che è da rivisitare e valutare! L’ironia di Fresa è attingibile ad ogni passo e vale come cartellino abbassato o alzato. Ci viene in mente La Divina Commedia per quella perlustrazione che vale come summa, costruzione di valori, mentre si esecrano gli ingiusti!

 

*

Oltre al mito, che funge da materiale costruttivo al pari delle percezioni e degli oggetti, dei personaggi romanzeschi (Malebolge, Ananke) o biblici (Ester), che sono materiali letterari, i quali appartengono alla nostra esistenza al modo dei materiali esistenziali, sono presenti anche materiali televisivi (previsioni meteorologiche, telegiornale), e poi il cinema, la poesia, le ballate, le canzonette. A ogni nome, da Cacciatore al Rinoceronte, sembra di assistere a un continuo scambio di identità. Ci sono ricordi, nella confessione che Eliodoro fornisce al suo psicoterapeuta, che sono parodie (si pensi alle pagine di Klossowski o di de Sade, di cui vengono restituiti protagonisti e vicende). Diversamente che nel gioco del Domino, i pezzi non cadono in maniera prevedibile, ma si aprono a raggiera, captando nuovi sviluppi testuali. E, d’altronde, non sono forse ascrivibile a ogni personaggio molteplici interpretazioni? Dunque, tutto è aperto. Che sarà mai il romanzo, se non lo sviluppo continuo e imprevedibile di casi, quelli sì, sempre prevedibili e finiti, della violenza sessuale, del predominio, del tradimento, dell’innocenza raggirata, delle speranze disilluse, così come naturalmente dei piaceri della carne e del gusto, della felicità, dell’allegria e dell’ingenuità infantile! Ma forse prevale la denuncia che ci fa riassaporare le pagine di Dickens, contro le sopraffazioni, gli appetiti sessuali, le aberrazioni comportamentali. Eliodoro è un testo che ingloba la morale come condizione necessaria per distinguere il bene dal male: ecco ciò su cui non si nutre mai un dubbio nel leggere il romanzo di Mario Fresa.

*

Tutti i materiali collaborano in egual grado alla tessitura dell’arazzo: il filo non si perde. L’associazione è sempre proficua, anzi, la fervida inventiva, la capacità associativa di Mario è strabiliante, oltre che sorprendente, e apre di fatto a nuovi percorsi di senso, di cui uno, particolarmente rorido, è il filone erotico. Nessun materiale letterario è fatto salvo dalla famelica ingordigia citazionista di Fresa. I capolavori che Eliodoro “rivede in mente ovunque” in ogni luogo divengono il nostro inconscio: risalgono, dirottando l’esistenza, il nostro presente. La logica è sopraffatta da codesta immissione continua di materiali testuali ed esistenziali, che passando al vaglio della scrittura, divengono effusiva lava. Non siamo, d’altra parte, lontani dalla Sicilia con Eliodoro, il mago di Catania, invero metamorfico, protagonista del romanzo, ma anche alter ego autoriale. Colpisce, nel romanzo di Mario Fresa, la resa stilistica omogenea capace di tenere testa alle enciclopedie musiliane, la composizione che vale non solo per il presente, ma che si trascina tutto il retaggio culturale messo a segno in tutti i campi dello scibile umano, scienza non esclusa! In questo senso, il romanzo ridiviene strumento efficacissimo che, al di là dell’annuncio sul suo stato di salute, rilancia la questione degli infiniti romanzi che mancano all’appello. Ma vale anche come verifica di ciò che sappiamo e di ciò che non abbiamo ancora imparato. Come se la storia, la narrazione cronologica degli eventi umani, non avanzasse, e per sempre si ritornasse alla favola dei bambini e dell’orco e fosse necessario un pensiero diverso per valutarne possibili origini e probabili esiti.

“La ragione cos’è? “A questa età si crede a tutto…”. “Giganti e fantasmi insieme”.

In un’età in cui sempre più prossima appare la dipartita, non è la ragione, quella ragione che separa e divide, che importa, quanto un accettare qualsiasi cosa, senza preclusione. L’esistenza di tutto e tutto insieme. Soprattutto in riferimento alla seguente questione da non deporre mai come fosse irrilevante: “Perché volere bene se può diventare qualcosa come niente, un breve incidente da cancellare dalla memoria dei più curiosi?”. Non sarà nemmeno una sperata faccenda di metempsicosi: in fondo tutti vivono nella mente degli altri. Certo, negli orti culturali, l’innesto è immediato e inevitabile. Si tratta di qualcosa che invita a non sterminare sensazioni e sentimenti in nome di una logica censurante, spesso scientifica. Se logica non può mancare, a maggior ragione debbono sedere a tavola sensazioni ed emozioni. Leggere Eliodoro è un atto terapeutico, come lo è ogni classico. Sgombra la mente, fa accedere all’intero, accoglie tutte le voci, non più sottoposte ad oblio, soprattutto quando sono una marca del male, consentendo di prendere posizione su una scacchiera finalmente sgombra da rimossi e cancellazioni, macerie di nessuna utilità per la storia.

                                                                                                Rosa Pierno

 

Mario Fresa, Eliodoro, Fallone editore, ‘Gli Specchi Mercuriali’, 2022, pp. 160, euro 22.

 

Mario Fresa

 

Mario Fresa (10 luglio 1973) ha collaborato e collabora a riviste italiane, francesi e internazionali come «Paragone», «il verri», «Nuovi Argomenti», «Caffè Michelangiolo», «Recours au Poème», «Nazione Indiana», «Smerilliana», «La Revue des Archers» e «Poesia». È presente in varie antologie pubblicate sia in Italia sia all’estero, tra le quali Nuovissima poesia italiana (Mondadori, 2004), Almanacco dello Specchio n. 8 (Mondadori, 2008), Veintidós poetas para un nuevo milenio (in «Zibaldone. Estudios italianos»; Università di Valencia, 2017). Ha pubblicato vari libri. In poesia e in prosa: Liaison (Plectica, 2002, Premio Giusti Opera Prima); Alluminio (2008; tradotto in Francia da Viviane Ciampi); Uno stupore quieto (Stampa2009, 2012; menzione speciale al Premio Internazionale di Letteratura Città di Como); Teoria della seduzione (Accademia di Belle Arti di Urbino, 2015); Svenimenti a distanza (Il Melangolo, 2018); Bestia divina (La scuola di Pitagora, 2020). Nel campo saggistico, ha tra l’altro curato l’edizione critica del poema Il Tempo, ovvero Dio e l’Uomo di Gabriele Rossetti (nella collana «I Classici» di Rocco Carabba, 2010) e la traduzione e il commento dell’Epistola De cura rei familiaris attribuita a Bernardo di Chiaravalle (Società Editrice Dante Alighieri, 2012). Ha curato, inoltre, il Dizionario critico della poesia italiana (Società Editrice Fiorentina, 2021). Fa parte del Comitato di redazione del semestrale «La clessidra» e della rivista internazionale «Gradiva» (Università di Stony Brook, New York). Una nuova raccolta poetica, Il mantello di Goya, uscirà nel 2023 a cura di Maurizio Cucchi.

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Anna Chiara Bruno e AA.VV., La libertà può volare, Besa Editore, 2022.

25 venerdì Nov 2022

Posted by Deborah Mega in COMUNICATI STAMPA, Eventi e segnalazioni

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La libertà può volare

Bruno Anna Chiara, Bosnjak Monai Diana, Cobaltini Letizia, Iacovone Maria,

Lacitignola Angela, Lo Prete Maria Piera

presentano

La libertà può volare

 BESA Editore, 2022

Da oggi, 25 novembre, in libreria,

nella Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne.

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Marco Senesi, “Ante meridiem”, Transeuropa Edizioni, 2021.

10 lunedì Ott 2022

Posted by Deborah Mega in Eventi e segnalazioni, LETTERATURA E POESIA, Poesie

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Ante meridiem, Marco Senesi

dreyma

la galaverna logora le cornee,
non dà scampo:
il cigno malvagio termina il volo strabiliante
nel presbiterio in fiamme,
il tonchio assiderato si ritira nel pertugio fra
la pietra miliare e il muro portante.

nell’androne deserto della scuola, lo specchio
violato dove ha luogo il mio colloquio
con il Caso.
un geco attratto dalla preda scompare nella sfera
di luce, e oltre la porta a bilico
la battilana autistica procede alla cardatura.

l’occhio pigro del turista si stacca
dalla Processione Della Desolata e la vanità
si impossessa di me:
forzare l’alternanza naturale luce/buio,
ripensare i fusi orari,
rimuovere il cobalto dalle ciliegie.

il giorno in cui diminuì la concentrazione
di cloruro di sodio nel mare io compresi
che nulla era nostro-
non sai più avvalerti del vento, e
non ti riaffacci più dalla balaustra di granito come
radiosa dama di corte.

nel ballatoio bacheche con comunicazioni
della parrocchia di quartiere.
una falda acquifera sotterranea è il luogo scelto
dalla mosca olearia per morire, lenta
la cicatrizzazione della ferita:

è tutto.

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“Poetry in Music Project in Progress” di Carlo Zarinelli

03 lunedì Ott 2022

Posted by Deborah Mega in Eventi e segnalazioni, LETTERATURA E POESIA

≈ Commenti disabilitati su “Poetry in Music Project in Progress” di Carlo Zarinelli

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Carlo Zarinelli, Poetry in Music Project in Progress

“Poetry in Music Project in Progress” è un encomiabile progetto di Carlo Zarinelli, una rilettura in musica e canzone di testi poetici, un percorso di condivisione di liriche di singolare intensità talvolta poco note, una forma espressiva altra, un differente linguaggio attraverso l’emozione musicale e vocale. Viene mantenuto inalterato il testo poetico, quello che cambia sono i tempi espositivi perché è indubbio che i versi siano scritti per essere letti uno dopo l’altro per un tempo che non varia mai sensibilmente, mentre quando si fonde con la musica la poesia ne risulta in qualche modo modificata ed è in effetti un’altra rilettura. Ad oggi è stato creato un repertorio di circa quaranta opere, indicativamente su liriche di : Emily Dickinson – Antonia Pozzi-  Aldo Palazzeschi – Sami Al Qasim – Camillo Sbarbaro – Vincenzo  Cardarelli – Umberto Saba – Fernando Pessoa – Costantino Kavafis – Giuseppe Ungaretti  – M.L. Spaziani  – William Shakespeare – Elsa Morante – Eugenio Montale – Nazim Hikmet – Dante Alighieri – Patrizia Cavalli – Franco Loi – Ugo Foscolo – Cesare Pavese –  P.P. Pasolini  e alcuni poeti contemporanei tra i quali Maria Grazia Calandrone, Guido Oldani, Alberto Pellegatta, Umberto Piersanti, Elio Pecora. Nel maggio 2020 il Centro Lunigianese di Studi Danteschi ha lanciato la sfida di musicare il terzo appuntamento di una tetralogia dantesca, il tema filosofico era “IL BUON GOVERNO DEL MONDO” e ha proposto quattro terzine dal Canto XI del Paradiso: il canto di San Francesco (Paradiso/Canto XI  55-66 /50/74). All’opera “IL BUON GOVERNO DEL MONDO”,  realizzata in casa nel giugno 2020 per ovvi motivi, è stato conferito il Premio Lunezia 2020 – Musicare i Poeti e consegnato la scorsa estate in una serata concerto dedicata a Lucio Dalla. https://www.lanazione.it/sarzana/cronaca/una-serata-per-lucio-dalla-al-lunezia-1.6587301

Lo spettacolo musicale “Poetry in Music or Music in Poetry”  è strutturato in modalità differenti a seconda delle ambientazioni: in quartetto / duo / singolo e con la proiezione di immagini ed è stato inserito anche tra gli eventi musicali di BookCity Milano 2021 al Teatro Franco Parenti.
https://www.bookcitymilano.it/eventi/2021/poetry-music-or-music-poetry-2021

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Giuseppe Settanni, “Affreschi strappati”, Edizioni Ensemble, 2022.

16 venerdì Set 2022

Posted by Deborah Mega in Eventi e segnalazioni, LETTERATURA E POESIA, Poesie

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Affreschi strappati, Giuseppe Settanni

Postfazione di Ilaria Triggiani

Cosa fa di un verso, una poesia? Cosa rende un uomo, anche un poeta?

Sono queste le domande da porsi al termine di Affreschi strappati, terza pubblicazione di Giuseppe Settanni, arrivata un po’ insieme alla stessa maturità anagrafica dell’autore. Forse perché, già dal titolo, si avvertiva un senso di rottura, un piccolo momento – o motivo? – di ribellione, un’inquietudine non ancora risolta, ma finalmente rivelata. Continua a leggere →

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Carlo Tosetti, “La teoria del transatlantico”, Edizioni Cofine, 2022.

09 venerdì Set 2022

Posted by Deborah Mega in Eventi e segnalazioni, LETTERATURA E POESIA, Poesie

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Carlo Tosetti, La teoria del transatlantico

La teoria del transatlantico si articola in sette libri di sette componimenti ciascuno: I. Il transatlantico Albizia, II. Il funzionario del magazzino, III. Il cuciniere, IV. L’addetta all’ufficio reclami, V. Il direttore della compagnia di navigazione, VI. Il passeggero, VII. La teoria del transatlantico. Fin dalle prime battute, il poema unisce l’allegoria della nave alla collocazione storica che va dal ‘secolo breve’ – il Novecento dei due conflitti mondiali, dei totalitarismi e della ‘scoperta’ della propaganda come strumento di suggestione delle masse e di conseguente gestione di un ampio potere su di esse – alla contemporaneità dell’automazione del lavoro, delle nuove schiavitù e del sempre più feroce classismo.

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“Amuleti ” di Lorenzo Pataro, Ensemble poesia 2022

22 mercoledì Giu 2022

Posted by Loredana Semantica in Eventi e segnalazioni, LETTERATURA E POESIA

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Amuleti, Ensemble, Lorenzo Pataro

«Lorenzo Pataro è nato nel secolo sbagliato, o migliore di tutti a seconda dei punti di vista, per offrire la sua voce di poeta radicale. La sua è una parola di luce e vertigine, di visione e tragedia. È poesia. Autentica. Che se ne frega dei secoli e dei regnanti». Daniele Mencarelli

Potremmo dirci salvi soltanto
tra il freddo delle mura nella casa
di campagna, nell’aperto grido dello spazio
salvi soltanto nel vecchio pagliaio
diroccato incontro alle tele impolverate
nella luce sotto il melo o fra le tegole
spostate, umidi sui greppi o tra le fronde
pronti a gettarci come semi nella terra
salvi come scarti – come la scorza del frutto
spellata dalla lama.

Insegnami la quiete delle gazze
di vedetta sui cipressi
e recita al contrario rovesciati
tutti i salmi che conosci
come fosse un cifrario per il volo,
impara dal silenzio tra i richiami
il segreto di ogni correre in picchiata,
posa la tua insonnia e la tua febbre
– di pane che lievita la notte –
sulle tegole spostate dalla pioggia
e aspetta che ogni passero
spezzi l’ala come un’ostia contro il vento
che ripeta in ogni verso
il miracolo dell’uva che fermenta
ciò che ha visto da lontano
ciò che brilla tra la rena del torrente
e nel raduno dei frammenti nel suo nido
scopre qualcosa che non sai, che non cerchi,
che punge quando dormi nelle scapole
ferite dal respiro troppo umano.

Una fibra di legno rovente tra i passi – la senti? – fa eco ai resti dei merli sotto la terra, chiama e spalanca o dilacera un nome, lo gira sciamanico leggero sul palmo, batte il tamburo, evoca uno spirito antico, il canto lacero delle balene – l’amu leto di pietra che pende dal collo stacca la pelle, scopre il magma perduto, la punta sottile che riga e spolpa le ossa da gli ultimi resti di carne e si macera il gelo (o la nebbia) coi fuochi accesi dai ragazzi a notte sulla riva del fiume e il tonfo di qualcosa che cade dai rami del pioppo nero lucente sveglia un bambino scomparso che dorme nella tana viscerale dei tassi e il tuo occhio che pulsa caldo di febbre è il richiamo del bosco alla fuga o alla resa.

Se dico casa, non avrai riparo. Se dico pane.
Se dico grano tu lieviti e ti spalanchi nel mio nome.
Siamo nati. “Alberi case colli per l’inganno consueto”.
Se dico àncora, mi abissi. Siamo nati.
Gettati in un nome verso un nome.
Se dico tetto mi scoperchi, se dico cielo
mi nevichi e mi scardini dal corpo.
Con la grazia dei vulcani. In quello
stare delle cose illuminate per sé stesse.
Se dico sillaba, fonemi si sparpagliano
e poi il gelo li ricuce, li spoglia
e fa nuda la parola, esposta
e divina come un barbaro in esilio.
Adesso. Se lo dico, già è passato.
Siamo nati. Gettati in un nome verso un nome.

Stella di grafite, ti ho gettato
tra le onde, lieve combustione.
Luce primitiva, fammi iena
fammi aratro, braccato
nella nebbia. Luce-grembo.
Ti ho gettato in tutti i pori
nascita ulteriore, dono dei relitti,
fatica del restauro, sapiente oro.

Entriamo nella nebbia dei corpi,
siamo fari, ci arriva fino al petto, tutta
intera proprio adesso la nostra
debolezza scorticata come i lupi
dell’inverno insieme a quello stare sulla soglia
dove ognuno è la propria nostalgia, quel
momento proprio quello in cui tutto arriva
allo scoccare delle ore, quella voglia
quella furia che divide le frontiere,
ci arriva al midollo e ci attraversa
ci unge della fame che hanno i cani,
ci arriva improvviso come il sale
nell’arteria di uno scoglio quel respiro
che solleva la marea e ci battezza.

Capire che l’Altro è una fiamma:
se la tocchi col dito
o la spegni o ti bruci.

Dicono che ci passerà, questa pigrizia viscerale, il male è ovattato nella stanza, non sentiamo aria respirare nemmeno da una mosca, dicono che il seme disperso ha causato nascite improvvise, lì fuori, la finestra ha favorito il passaggio dei cromosomi, abbiamo bevuto tutto il nettare dai seni sospesi di Madre-Noia, dicono che non resta altro se non piangere, spingere fuori la gioia dalle zampe – come un animale – e dargli un nome, sentirla urlare.

Quanto siamo transitori. Da un buio
verso un altro, piccoli graffi di luce.
Ferite che brillano, schegge nell’aria.
Braccati, con le fiaccole spente
dal vento. Piccole scie. Di una parola
soltanto, dilla adesso, adesso che hai
un altro nome. Benedetto il tuo bacio,
benedetto il tuo fuoco, benedetti gli astri
del corpo, benedetto il grano nel capo,
benedette le mani, le braci negli occhi,
benedetto il tuo passo di neve, benedetto
ogni singolo soffio, ogni gioia che arde,
benedetto ogni sguardo lasciato, benedetta
ogni ora negli anni a venire, benedetto
il nome che hai ora, benedetto sia
tutto il creato celeste in cui voli,
benedetto il tuo amore che è sparso
nel cosmo, benedetta ogni fibra leggera,
ogni spina, ogni graffio, ogni fiamma
riaccesa, splendore di quarzo, miracolo
d’acqua, benedetto ogni seme gettato,
benedetti i germogli, il miracolo, il dono
di esserci stata.

Lorenzo Pataro (Castrovillari, 1998) ha pubblicato la raccolta di poesie Bruciare la sete (Controluna, 2018). Sue poesie sono state pubblicate su ri – viste e blog come Atelier, Interno Po – esia, Poesia del nostro tempo, Clan – Destino, Il sarto di Ulm – bimestrale di poesia, sul sito ufficiale di poesia della Rai (Poesia, di Luigia Sorrenti – no), sul quotidiano La Repubblica. Ha vinto i premi “Ossi di seppia” (2021) e “Poeti oggi” (2022)

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Stefano Colucci, “Abbi cura del tuo infinito”, Wonderlart, 2022.

20 lunedì Giu 2022

Posted by Deborah Mega in Eventi e segnalazioni, LETTERATURA E POESIA

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Abbi cura del tuo infinito, Stefano Colucci

 

Brevi appunti lunari

“Abbi cura del tuo infinito” è un libro di poesie, incantesimi, amuleti, antidoti e miracoli. Una forma di lotta e di difesa allo stesso tempo contro il buio interiore, un libro affollato di ritmi che spingono nella danza della vita, una raccolta di balli e canti. Questo libro si potrebbe quasi definire antropologico nel suo continuo guardarsi dentro e guardarsi attorno. La raccolta è divisa in quattro sezioni tematiche – una per ogni fase della Luna, richiamando così i quattro tipi di magia bianca: Novilunio (incantesimi per rinascere), Luna Crescente (rituali d’amore), Plenilunio (incantesimi per guarire) e Luna Calante (magia contro l’oscurità). È un libro dove tutto si mescola, si annullano i confini, si strappano i calendari, gli orologi impazziscono. Gli amori si inseguono di millennio in millennio, di vita in vita, di dimensione in dimensione, prima ancora d’incontrarsi fisicamente, mentre attorno tutta la storia dell’umanità avviene nello stesso momento. Nella stessa poesia possono coesistere i giganti norreni e la realtà virtuale, Debussy e il reggaeton, i fiori e i vulcani. Ci si orienta cantando come gli aborigeni, si percorre il proprio cammino di Santiago, le canzoni alla radio sono messaggi in codice delle nostre versioni di dimensioni parallele per comunicarci qualcosa di importantissimo, e nel mezzo due anime che si trovano e si stringono fortissimo. Un libro per guarire, che cerca la salvezza senza trovarla, per questo è una festa, una raccolta di inni a ogni elemento di questo universo per festeggiare il fatto di essere ancora vivi e ancora insieme nonostante tutto. Una festa perpetua, una raccolta di poesie per alzare il volume del cuore, con gli occhi di un bambino come strumenti magici per incantare la realtà. Un libro di incanti e canti, un libro di miracoli realmente accaduti, un libro di mantra, un libro per ballare.

 

Archeologia del mare dentro

  

Non temere.

Siamo qui

da un numero preciso di giorni

e ci resteremo

per un tempo indefinito.

Nel mezzo

morti e rinascite interiori.

Tutto ciò che sappiamo

è ciò che siamo stati.

Il resto non ci riguarda,

quando sarà il momento

saremo già cambiati

e ci saremo già dimenticati,

sepolti dalle macerie

delle cattedrali dei noi passati

e dei cuori-alberghi crollati.

Un giorno scaveremo

a mani nude dentro noi stessi

e riporteremo alla luce

ciò che sarà sopravvissuto al tempo:

il timone di una nave, una bussola

che punta solo all’orizzonte e mai alle spalle,

la piuma di un’ala per ricordarci

che se vogliamo siamo capaci di volare.

Un giorno

torneremo in quelle zone abbandonate

a bordo della nostra barca

e incontreremo parti di noi

che credevamo morte

e invece erano solo disperse.

Un giorno riemergeranno soltanto

le parti di noi che ci servono davvero

e perderemo tutto ciò che è superfluo,

tutto ciò che non ci appartiene.

 

Un giorno

ci metteremo in viaggio

e ci dirigeremo verso noi stessi.

Quel giorno ci incontreremo

per la prima volta.

Quel giorno diventeremo

chi siamo davvero.

 

Cerimonia del risveglio

 

Infilo gli occhi

nelle vene del mondo.

Mi piace guardare le strade

e ascoltare

il canto popolare delle risate

sopravvissute alle stelle.

Al mattino

dal letto – osservatorio astronomico

di megaliti, colazioni,

poesie lette appena sveglio e sigarette –

tutto sembra piccolissimo

e contemporaneamente grandissimo.

Come quando ci siamo tenuti la mano

tra le statue colossali

che sfioravano il soffitto

nella villa di Andersen.

Metto le scarpe, scendo le scale.

 

Un gatto ambrato

nel cortile del condominio

fugge via appena apro la porta

portandosi via la notte

e illuminando lo spazio d’alba.

Entrambi siamo soli,

eppure lui sa splendere anche così.

Imparo da tutte le forme di vita

come esistere.

Celebro la cerimonia del risveglio.

Appena si schiudono gli occhi

è primavera.

Accolgo le api

dell’imprevisto quotidiano.

Le punture fanno male

ma sono un bene.

Sarà un giorno di miele.

 

La topologia dello spazio tra il tuo collo e il cuscino

  

La prima volta che hai

detto di amarmi

ho pianto nascondendo la testa

nello spazio tra il tuo collo e il cuscino.

Mi sentivo nello spazio, in un’abitazione

postmoderna sulla Luna, finalmente

a casa.

Sei tu, ho detto.

Sei tu, hai risposto.

 

Oracoli

 

Le mie scarpe preferite

piene di tutte le passeggiate fatte insieme.

La sigaretta che hai lasciato a metà

nel posacenere sopra la finestra

perché eri troppo impegnata ad ascoltarmi.

Un singhiozzo di sole che illumina la cucina

mentre mangiamo la pasta appena svegli.

Il tuo odore nel letto dopo l’amore.

Il tuo primo ricordo, il mio primo ricordo,

chissà se ci saremmo amati anche da bambini.

Il piccolo ragno che abita in camera tua.

La formica che ho trovato in camera mia

mentre parlavamo al telefono.

È nelle cose minuscole

che vedo miracoli.

Nelle tue vene, nelle tue mani,

nei tuoi occhi che venero come oracoli.

 

Sbadiglio

  

Musica

da un’altra stanza.

Corde di pianoforte

nella tua gola.

Ti sento

mentre ti svegli

e risvegli il mondo,

voce del mare

e ruggito di stelle

nel tuo sbadiglio.

Preparo la colazione.

Ti sento.

Buongiorno.

 

Meditazione 

 

Affacciatevi in voi,

andate in cerca

della cosa più innocua

che possedete

e lasciatevi sopraffare

dalla sua ferocia.

Un fiume è solo un fiume

finché non sfocia.

 

Amuleti magici per sconfiggere l’oscurità

  

Amuleti magici

per sconfiggere l’oscurità,

i nostri canti militari di felicità;

psicomagia per guarire dalla malattia

di non riuscire a vedere l’infinito;

stadi di calcio come cattedrali,

pellegrinaggi domenicali

nella speranza di un miracolo;

felicità sotterranee nelle metropolitane,

due persone che viaggiano velocissime

per riabbracciarsi;

fiori sottopelle e primavere interiori;

cuori passaporti per altre dimensioni,

per andare oltre l’altrove;

migrazioni verso nuove terre emerse

tra un battito e l’altro;

meditazioni e mantra

nei ritornelli delle canzoni;

danze primitive per celebrare gli abbandoni,

perché ogni abbandono è un ritorno a casa

e se non trovi più la strada

significa che il posto in cui sei ora è tuo;

souvenir spaziali,

da Marte arrivano delle fotografie;

poesie, incantesimi e profezie nascoste nei baci;

costellazioni di cicatrici

all’altezza del cuore;

sciamani insospettabili,

pericoli benedetti, sbagli perfetti

e cieli stellati indimenticabili.

C’è un’alba in ogni cosa.

Siamo ancora nel mese di gennaio

della storia dell’umanità.

Chissà che bella sarà

l’estate che verrà.

 

Stefano Colucci (22 settembre 1995) nasce ad Avellino e vive a Roma, dove si è laureato in Arti e Scienze dello Spettacolo presso l’università Sapienza. Si fa conoscere come poeta grazie a Youth Symphony – Sinfonia della giovinezza, esordio suddiviso in tre parti tra il 2016 e il 2020 in cui racconta con la poesia l’adolescenza e la post-adolescenza. Dopo varie esperienze come attore sia in teatro che in televisione, nel 2019 debutta come autore teatrale con “Invisibile”, testo drammatico sul bullismo e l’omosessualità tra gli adolescenti che gli permette di farsi notare come drammaturgo dalla critica di settore. Nello stesso anno il suo progetto di visual art Breath, Earth è esposto a New York presso le Nazioni Unite, in occasione del summit giovanile sul cambiamento climatico, e successivamente a Tokyo presso la sede della Soka Gakkai. Collabora negli anni con nomi importanti come Treccani e Roma Pride, ed è inoltre regista di cortometraggi. Nel 2020, in piena pandemia, fonda Wonderlart, cantiere artistico e culturale. Attualmente ricopre il ruolo di art director presso il festival cinematografico Queer Days. Nel 2022 pubblica il suo nuovo libro di poesie intitolato Abbi cura del tuo infinito.

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Paulo Leminski “Distratti vinceremo”traduzione e cura di Massimiliano Damaggio

16 giovedì Giu 2022

Posted by emiliocapaccio in Eventi e segnalazioni, LETTERATURA E POESIA

≈ Commenti disabilitati su Paulo Leminski “Distratti vinceremo”traduzione e cura di Massimiliano Damaggio

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Distratti vinceremo, L'Arcolaio, Massimiliano Damaggio, Paulo Leminski

Damaggio ha una bella confidenza con la parola, o meglio con “questa cosa inutile, che è la pura bellezza del linguaggio”, per dirla come Leminski. Leminski, chi? Già, ecco un’anima, un nulla, un prodigio, che “questa cosa inutile” ingrandisce, getta oltre l’ostacolo e vi tende. Paulo Leminski, uno delle figure più influenti della poesia d’avanguardia e sperimentale brasiliana della seconda metà del secolo scorso, poliglotta, traduttore e critico letterario, pressappoco sconosciuto anche ai più accorti naviganti nell’ars poetica dell’anziano Belpaese, si fa spirito e voce in lingua italiana nella sedicesima uscita della collana “L’altra lingua”, diretta da Lorenzo Mari, edita da “L’arcolaio”. Si fa verso e significato per intercessione dell’opera meritoria di Damaggio che a “questa cosa inutile” ci crede e vi si tuffa, e nell’arco di sei anni ha tradotto di Leminski quasi tutti i componimenti, una biografia, Vida, e due libri di articoli per riviste e quotidiani, Ensaios e anseios crípticos. Ha letto una ventina di pubblicazioni universitarie sull’autore, due biografie ufficiali, diversi saggi e traduzioni in varie lingue. Il volume, di cui ha curato anche la scelta dei testi oltre che la traduzione, prende il nome dall’ultima opera pubblicata in vita da Leminski nel 1989, e ha avuto la supervisione della figlia Áurea e di alcuni amici dell’autore.

Emilio Capaccio

Como abater uma nuvem a tiros

sirenes, bares em chamas,
carros se chocando,
a noite me chama,
a coisa escrita em sangue
nas paredes das danceterias
e dos hospitais,
os poemas incompletos
e o vermelho sempre verde dos sinais

Come abbattere una nuvola a fucilate

sirene, bar in fiamme,
auto che si scontrano,
la notte mi chiama,
la cosa scritta a sangue
sui muri dei locali
e degli ospedali,
le poesie incomplete
e il rosso sempre verde dei semafori

Razão de ser

Escrevo. E pronto.
Escrevo porque preciso,
preciso porque estou tonto.
Ninguém tem nada com isso.
Escrevo porque amanhece,
e as estrelas lá no céu
lembram letras no papel,
quando o poema me anoitece.
A aranha tece teias.
O peixe beija e morde o que vê.
Eu escrevo apenas.
Tem que ter por quê?

Ragion d’essere

Scrivo. La cosa è questa.
Scrivo perché ho bisogno,
bisogno perché gira la testa.
E altra gente non c’entra niente.
Scrivo perché in cielo schiarisce
e le stelle rassomigliano
alle lettere sul foglio,
quando la poesia m’imbrunisce.
Il ragno si tesse la rete.
Il pesce bacia e morde ciò che vede.
Io scrivo, e questo è.
Ci dev’essere un perché?

Voláteis

Anos andando no mato,
nunca vi um passarinho morto,
como vi um passarinho nato.

Onde acabam esses vôos?
Dissolvem-se no ar, na brisa, no ato?
São solúveis em água ou em vinho?

Quem sabe, uma doença dos olhos.
Ou serão eternos os passarinhos?

Volatili

Camminare anni nel bosco
e mai vedere un uccellino morire
come vederlo nascere.

Quei voli, dove vanno a finire?
In aria, brezza, atto si disfanno?
Solubili in acqua o in vino?

Che sia un malanno agli occhi
oppure è eterno l’uccellino?

Massimiliano Damaggio vive in Grecia da molti anni. Ha studiato lingua e letteratura portoghese. Si occupa di scrittura e traduzione di poesia. Ha pubblicato alcune raccolte, poesie e traduzioni in rete. È tra i fondatori del blog “Perìgeion” e redattore della “Dimora del tempo sospeso”.

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Roberto Crinò, “Verrà ottobre”, Eretica Edizioni, 2021.

06 lunedì Giu 2022

Posted by Deborah Mega in Eventi e segnalazioni, LETTERATURA E POESIA

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Roberto Crinò, Verrà ottobre

 

“Verrà Ottobre” è una silloge composta prevalentemente, ma non esclusivamente, da liriche scritte durante i tempi della “distanza pandemica”, che pressoché ovunque si è stati chiamati a vivere e che si continua ad esperire da più di un anno a questa parte, con repentine quanto fugaci variazioni sul tema della quarantena o della chiusura (chiusura per carità e non lockdown!) La silloge raccoglie poesie che sono state scritte dall’autore dall’ottobre del 2019, l’ultimo scorcio quindi di vita ante quam, fino a giungere ai tempi attuali per proiettarsi verso un ipotetico post quam individuato nell’autunno prossimo, e più precisamente nel mese di ottobre 2021. Senza possedere una chiara consapevolezza della reale durata di questa condizione di distanziamento collettivo forzato, che va oltre dei semplici termini di legge, poiché ha e avrà delle ricadute psicologiche e culturali, per chissà quanto tempo ancora, l’autore ha scelto questo titolo nella speranza di un dopo, non troppo lontano, in cui sarà possibile riprendere una vita “normale”, con tutto ciò che, forse o di certo utopisticamente, questo termine in positivo veicola e insieme, come opposto, ad esorcizzare tutto ciò che esso significa in senso negativo, laddove “normale” fa rima con “ordinario”, “abituale”, “convenzionale”. L’autore auspica, sotto certi aspetti, l’inizio di una vita nuova. In tal senso la congiuntura pandemica non deve colmare di sé tutto l’orizzonte esistenziale e insieme compositivo. Non è solo la diffusione di un virus patogeno a diventare occasione di ripensamento, ma questa assume un ruolo paradigmatico, poiché la vita è piena di “occasioni palingenetiche”, le quali per loro stessa natura passano dalle “strettoie” del dubbio, della paura o del timore. E così il mese di ottobre, l’autunno diventano il tempo di una seconda opportunità, una “seconda primavera”, una seconda fioritura, stagione di rinascita consapevole e matura, come appunto sono i frutti autunnali. In fondo anche i colori autunnali hanno una loro precipua e inconfondibile bellezza, tenue, lieve e pacificata.

 

Soffro di umanità

 

Ti ho osservata,

quasi tutta la sera,

gli occhi rivolti verso il basso,

non del tutto aperti

– che peccato, che spettacolo

negato al mondo –

come diretti su te stessa,

le tue profondità,

schermata da un velo

di assenza, di altrove.

Il tuo sorriso

alla mia frase

“soffro di umanità!”

è stato un lampo,

un richiamo,

un immediato riconoscersi

e non è vero,

non andavi

solo in avanti,

ma anche indietro,

ondeggiavi,

come in balìa

di spumosa risacca

in una vita di

coste,

approdi,

partenze,

mancanze.

 

 

Verrà ottobre

 

Verrà ottobre

e sarà fragranza

di tempi lenti

e buoni venti,

la cicala ancora canterà,

mentre gli ulivi,

carichi di antichità,

riveleranno

consapevoli verità.

 

Verrà ottobre

e avrà del canto

eburneo manto,

foglie rosse vino

di pace e sincerità

riposeranno,

gravida vitalità,

e la luce lieve

notti afose disperderà.

 

Verrà ottobre

e saprà di quiete,

matura onesta requie,

dopo rancorose

canicole e immobilità

d’onuste stagioni

d’accecante aridità,

ritorneranno

raccolti di nuova intimità.

 

 

Invero volare

 

La strada all’improvviso

mi condusse di notte

nel bosco, luogo inviso,

delle storie interrotte.

 

Una pioggia

di foglie stanche,

manto del sentiero,

rotta soffice di passi

e monumenti di sassi,

ammassi di possibili

trionfi finiti in tonfi.

 

Intonsi giorni

lasciati disadorni

in castelli ghiacciati,

aspettano parole

dimenticate da suole

use alla marcia,

prone al marcio

di spiriti avvelenati.

 

Non è sostanza

l’umbratile parvenza

di fatui fuochi,

di suoni rochi,

l’emozionale paccottiglia

dell’ansia insana figlia.

 

Allontanarsi

dall’inganno

che non è,

non è stato,

 

non sarà,

rivelarsi

in nuovo

dipanarsi,

amarsi,

davvero amare

e così finalmente

invero volare.

 

 

L’essenziale

 

La vita scorre

su lastricati d’azioni

compiute a malincuore

e poi restano porzioni

di rimorso e sordo livore.

 

Sbadiglia solo

quando hai sonno,

che tutto il resto è gioia

scambiata per viziata noia,

capricci di puerile affanno.

 

Di venti in venti

diventi ciò

che t’inventi.

 

Di canti in canti

decanti ciò

che t’incanta.

 

E non rimane che

una sagoma algente,

cristallizzato profilo

di ardore rovente,

di legame potente,

nel cuore trova asilo.

 

 

 Anime guerriere

  

Così è quando spiove,

il cielo s’apre,

le nuvole cedono

il passo ai raggi

d’un sole tenue,

re rosso nel suo trono

blu, siderale sede,

firmata una tregua

tra il buio e la luce,

risplendono d’acqua

atomi di mondo nuovo

e l’eco della tempesta

si placa nella risacca

di anime guerriere.

 

 

Rampa di (s)lancio

 

Oggi nascevi

a vita nuova,

che male non fu

quel dolore

che ti partorì

e vigore ti diede

quel baratro

che ti ghermì.

È lancio alle stelle,

rotte d’asperi astri,

ciò che sembrava caduta.

È ascesa dall’altra parte

del mondo sorgente,

del vagito potente,

inconsapevole sé

nascente,

presente,

nuova-mente.

 

 

Giorni senza ritorni

 

Nostalgia di giorni

appesi su fili di

biancheria al sole,

caldo tepore di

brezze e leggerezze

d’istanti distanti,

nel tempo remoto

d’erose risa rosate,

di vini veri avìti,

effluvi d’ore a venire,

non ancora avute,

come succo spremute.

Resta una sete d’attimi

a colmare arsure di

giorni senza ritorni.

 

 

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Francesca Innocenzi, “Canto del vuoto cavo”, Transeuropa, 2021.

03 venerdì Giu 2022

Posted by Deborah Mega in Eventi e segnalazioni, LETTERATURA E POESIA

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Canto del vuoto cavo, Francesca Innocenzi

 

Canto del vuoto cavo è una plaquette di 60 componimenti brevi, che adottano la metrica dello haiku e delle sue varianti; precisamente, 40 haiku doppi (6 versi) e 20 tanka (5 versi). Ma la metrica è un mero contenitore rispetto a svariate tematiche attinenti realtà umane; gli elementi naturali, tradizionalmente in rilievo nello haiku, restano sullo sfondo. L’unico tratto coerente con il genere è l’assenza della prima persona: si evita di dire io e noi e di utilizzare verbi alla prima persona singolare e plurale. Il titolo, incentrato intorno al concetto di vuoto, intende portare l’attenzione sulla bivalenza insita nello stesso: vuoto come lacuna e mancanza, ma anche spazio fertile di nuove possibilità. I vari componimenti possono essere letti come un itinerario in versi, che temporalmente si avvia al compimento dei quarant’anni: si susseguono immagini e ricordi di un vissuto recente o remoto, come pure riflessioni suscitate dalla pandemia e punti di vista sulla società in genere: nel dittico del dio estremo si propone la tematica dello sfruttamento nel mondo capitalista, mentre le tre elegie dell’uomo comune vertono sulle variegate forme della “banalità del male”. Il mito occupa un posto di rilievo per la sua valenza universale, in grado di svelare l’umano di qualsiasi luogo e tempo. Nel trittico per Medea, in particolare, lo sguardo dell’altro si rivela essere una condanna, marchio del pregiudizio che colpisce inesorabilmente chi è «donna, straniera,/ pazza incantatrice». Dal punto di vista lessicale, si rileva una tendenza alla sperimentazione, con l’utilizzo di vocaboli in diverse lingue: il tedesco, l’inglese, il francese, il latino, il greco antico; una trasversalità dei codici linguistici che insegue l’utopia di una lingua poetica, che comprenda tutte le lingue, per una comprensione profonda tra gli esseri umani.

 

[tre elegie dell’uomo comune]

I.

inoculando

banalità del male

l’uomo comune

si dà un senso

il covid non c’è, però

i negri lo hanno

 

*

 

II.

i mantenuti

dallo Stato negli hotel

con cellulari

costosi – gabbie

di sproloqui su mondi

che non si sanno

 

*

 

III.

gli zingari, i rom

pensa che sono ladri

e delinquenti

pensa che sono

cromosomi erranti

alla deriva

 

*

 

quando la pioggia

si frantuma sui coppi

e cade in basso

l’eclissi di te

si inacqua e dona luce

alla grondaia

 

*

 

[dittico della puella]

 

I.

un grande buco

vuoto l’adolescenza.

come perversi

cenni di vita

gli attacchi di panico,

unica nota

 

*

 

II.

il greco antico

fu un amore saggio

e corrisposto.

un miracolo

di aoristi a sanare

solitudini

 

da Cerimonia del commiato, Transeuropa 2021

 

Francesca Innocenzi è nata a Jesi (Ancona). È laureata in lettere classiche e dottore di ricerca in poesia e cultura greca e latina di età tardoantica. Attualmente insegna nella scuola secondaria di secondo grado. Ha pubblicato la raccolta di prose liriche Il viaggio dello scorpione (2005); la raccolta di racconti Un applauso per l’attore (2007); le sillogi poetiche Giocosamente il nulla (2007), Cerimonia del commiato (2012), Non chiedere parola (2019), Canto del vuoto cavo (2021); il saggio Il daimon in Giamblico e la demonologia greco-romana (2011); il romanzo Sole di stagione (2018). Ha diretto collane di poesia e curato alcune pubblicazioni antologiche, tra cui Versi dal silenzio. La poesia dei Rom (2007); L’identità sommersa. Antologia di poeti Rom (2010); Il rifugio dell’aria. Poeti delle Marche (2010). È redattrice del trimestrale di poesia «Il Mangiaparole» e collabora con vari siti letterari. Ha ideato e dirige il Premio letterario Paesaggio interiore.

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Massimiliano Damaggio, “Edifici pericolanti”, Dot.com Press, 2017. Nota di lettura di Deborah Mega.

30 lunedì Mag 2022

Posted by Deborah Mega in Eventi e segnalazioni, LETTERATURA E POESIA, Recensioni

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Edifici pericolanti, Massimiliano Damaggio

 

Massimiliano Damaggio

Edifici pericolanti

Dot.com Press 

Postfazione di Fabio Franzin

Nota di lettura di Nino Iacovella

 

La poesia è “una mosca tossica / che depone nel corpo le uova della solitudine” scrive Massimiliano Damaggio in Edifici pericolanti, silloge curata da Giusi Drago per Dot.com Press, ai tempi del compianto Fabrizio Bianchi. Nonostante l’uomo sia un animale sociale è isolato nel mondo, cristallizzato in una condizione di sostanziale incomunicabilità con i suoi simili. L’opera, pubblicata nel 2017, si presenta attuale, originale e compiuta, dalla scelta del formato digitale scaricabile, che mette in evidenza la generosità dell’autore purchè si legga poesia, all’architettura ripartita in sei sezioni di poesia, i cui titoli non compaiono su ogni testo per non interrompere il flusso narrativo ma sono ripresi dalle sei prosette di commento contenute nella seconda parte. A conclusione di ogni sezione appare, come in un refrain, uno slogan pubblicitario dall’effetto straniante e dissonante, con piccole variazioni sul tema. La plastique c’est chic! […] Ti senti spensierata? Immergiti… e poi Lasciati ammaliare! E ancora Sarà easypink o chicblack l’estate?

Le sei parti poetiche recano titoli significativi: Sell-in, sell-out che tratta il tema del lavoro alienante, spersonalizzante, coercitivo, che allontana dalle giuste priorità; Sette tentativi di salvezza che raccontano altrettanti tentativi di resistenza e di dare ordine al caos del reale; Ultime dall’iperghetto su chi assiste impotente allo sfacelo; Sarà la bellezza la nostra vendetta in cui si torna a parlare di resistenza; Cinque simulazioni, in cui si descrivono cinque simulazioni di realtà, infine … E una risposta, in cui si è proiettati in una rassicurante condizione di non tempo. La poesia è potente, caustica, asfittica per chi si pone empaticamente in ascolto. L’uomo vive, lavora, produce, e in questo processo capitalistico di produzione e trasformazione che investe oggetti, persone, sentimenti, emerge il dolore, la pena da cui non è possibile fuggire. Si procede su un terreno insidiosamente minato, costantemente tesi alla ricerca dell’equilibrio mentre si tenta di sopravvivere. La terra è inquinata, defunta, l’Italia, la Grecia, dove vive il nostro autore, non fa alcuna differenza precisare il luogo, perché a causa dell’alienazione a cui ci sottopongono la logica del mercato e le esigenze del processo produttivo, ovunque ci si trovi, siamo vittime di un processo irrefrenabile, squilibrato e inarrestabile di sovrapproduzione, destinati a perdere la nostra natura umana e ad estinguerci. Siamo uomini dismessi come oggetti in disuso, siamo uomini in affitto, mercificati e in attesa dell’accredito mensile. Questo è quello che resta di ideali, speranze, sogni, illusioni. La società contemporanea è sempre più frenetica nel suo consumare tutto in breve tempo, travolgente perché di forte impatto ambientale, invivibile, caotica, e riflette la crisi gravissima dell’uomo e della natura. Gli edifici pericolanti diventano metafora esistenziale della condizione umana, corrispondono alle foglie autunnali di Ungaretti con tutte le loro caratteristiche di precarietà e provvisorietà. L’equilibrio è una condizione interiore, raramente programmabile, scrive Damaggio. Peccato che molto spesso agiscano forze avverse, traumi, dispiaceri che violentano la condizione umana, ne logorano l’armonia e la bellezza e ne compromettono la stabilità. I più compromessi risultano le persone sensibili, senza pelle, troppo permeabili al dolore. Questa è, oltre ad equilibrio, l’altra parola-chiave più ricorrente. Esistono due modi per non soffrire: accettare l’inferno, fingere di non vederlo e accettarlo fino a non vederlo più oppure riconoscere e cogliere persone e sentimenti positivi a cui dare spazio nella propria vita e nel proprio cuore. Fortunatamente, per dirla con Quasimodo, di tanto in tanto appare uno spiraglio di luce, un raggio di sole che rende la condizione umana appena più sopportabile. Ma a volte ci amiamo, nelle pause / piantiamo nel solco un feto ancora, scrive Damaggio. La sua poesia ricava molti elementi d’ispirazione dalla realtà. La osserva, la indaga, la racconta. Per amore di verità il poeta supera il suo isolamento e si mette in contatto con il mondo: il dolore personale diventa compianto universale e la rappresentazione di eventi e stati d’animo si fa sempre più rassegnata, distaccata e obiettiva. L’apertura tematica in direzione civile si accompagna a un linguaggio epico-lirico, il tono diviene disteso, comunicativo, tendente all’oratoria in alcuni punti, ma sempre costantemente pervaso da una incantevole grazia. “Apro le mani, piene di dita inutili / che sanno solo scrivere parole.” Occorre saper osservare e saper raccontare al mondo, con generosità ed empatia. Forse è questa la via di fuga, la soluzione che Damaggio, forse inconsapevolmente,  suggerisce. E non è poco.

 

© Deborah Mega

*

Da Sell in, Sell out:

Le cose con le dita

 

Transitiamo nella zona industriale

su questa terra defunta riposano

nomi di cose in disuso

gonfi di piogge oblique fioriscono

gli uomini dismessi

 

Aspettiamo, alla fermata dell’autobus, la sera

 

Sono piccoli vegetali oscuri

dove immergere la mano

è questo rumore senza forma

sono le cose con le dita

impermeabili fiori all’incontrario

 

corpi scivolati nell’ingorgo

di acque inquinate defluiscono

in esistenze decimate

un nome dopo l’altro, dentro i tabulati, fino all’estinzione

 

In questo modo precipita la notte

Un alito assente scivola fra i denti

Aspettiamo l’accredito sul conto corrente

 

Poesia della forza vendita

 

Esiste il tempo degli uomini in affitto

ripiegati in due dentro il contratto nell’atto

di spalancare la bocca

per ingoiare la moneta: Complimenti

mi dice il manager, Lei è in progressione

tuttavia non sa gestire le risorse:

ci vuole la carota, e ci vuole il bastone

 

Esiste il tempo dei ruminanti

che sanno l’intimo piacere del bastone

il Suo scopo è essere una molla

caricare il significato dei corpi: Lei

deve scavalcare la catasta dei giorni

sopra cui sta un obbiettivo,

che ci segna

 

Il materiale

 

È molto il materiale, che risale

fino alla superficie: del tuo giorno

del passante, di quest’animale

sull’asfalto, aperto in due

all’eccessivo sentimento

per un solo corpo, questo

 

sopravvivere, gravido di cose

da fare, da acquistare

un articolo, questo conviene

il calcolo del margine, Guardi

non vedo margini di manovra

 

Eccessivo il materiale

che acquista, che figlia, che insiste

nell’avventura umana e dura:

la nessuna avventura

 

Risale il materiale

fino al sorso delle mani:

non potabile. Una mano

nella serra dei corpi

raccolti a fatturare

chiede due ore di permesso

per andare a riprodursi

 

Io non posso tradurre tutto

questo pianto, tutto

in parole, non posso

tracciare il grafico esatto

della produzione di massa del dolore

 

Da Otto tentativi di salvezza

Bambino

 

Mi guardi dalla fotografia

ma io non so scrivere nella tua lingua

di ciò che si chiamava bambino

ed era viaggio di vento, irruzione

nel nuovo giorno, al calendario

scandalo

 

Incontrarti oggi in uno specchio di carta

mi ha fatto tremare le mani

perché ti ostini ad accompagnarmi di nascosto

all’uscita di ogni galleria

 

quando insieme per la sorpresa ridiamo

di fronte a un’improvvisa voragine di luce

 

Sulla statale per Killini

 

Ma io alla fine è con l’aria che combatto

e levo in alto le braccia per tradurre

una carne in una frase, un risorgere impossibile

e così torno al volante, così incontro

il cane morto per la strada

 

Se la tua parola era di inciampare nella ruota

e il vuoto che hai lasciato è ignorato da ogni cosa

con che grammatica interrotta chiami, ora

quelli che passano, e non si fermano

perché di te hanno paura

tanto terribilmente presente sei in tutta la tua assenza

 

 

Da Sarà la bellezza la nostra vendetta

Starsailor

 

Siamo qui per la bellezza, ma

come rifugiati fra due porte

in attesa di un fuoco qualunque

che commuova il calendario

 

In questo venire e andare di corpi

non hai nemmeno il tempo di dargli un nome:

lanciano sul tavolo poche parole, si alzano

 

Siamo qui per la bellezza, ma

come pieni di linee scure

che potevano essere albero, nuvola: attendiamo

 

nell’apnea delle disattese

è tua la voce a filo d’acqua

che modula una fiamma

per chi, liquido, sta

 

 

Giulia 

 

Ogni cosa mi fa a pezzi

e non basta averti accanto, come hai capito

perché un morso di vita residuo

ritorni al concreto di un sapore

 

Questi i fogli di carta

con il numero del giorno

che ho buttato senza sosta nel cestino

 

Li cerchi, li raccogli, insisti

a vivere, del nostro calendario

la pagina strappata

per lasciarmi quella intatta

 

Testi tratti da Edifici pericolanti di Massimiliano Damaggio, Dotcom.Press, 2017.

 

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Michela Zanarella, “Recupero dell’essenziale”, Interno Libri, 2022.

27 venerdì Mag 2022

Posted by Deborah Mega in Eventi e segnalazioni, LETTERATURA E POESIA

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Michela Zanarella, Recupero dell'essenziale

 

Dopo il fortunato “Le parole accanto” pubblicato con Interno Poesia nel 2017, a distanza di cinque anni esatti, Michela Zanarella si presenta ai lettori con una nuova e insolita raccolta edita con Interno Libri, progetto editoriale di Interno Editoria, casa editrice che ha fondato e gestisce il marchio Interno Poesia Editore. ‘Recupero dell’essenziale’ prende forma dal mistero delle coincidenze. Il libro è il frutto di un recupero di poesie andate perdute, ritrovate con l’aiuto di alcuni amici dell’autrice. La raccolta, con prefazione di Dante Maffia e postfazione di Anna Santoliquido, è dedicata all’amica Marcella Continanza, voce nota della poesia contemporanea, ideatrice del Festival della Poesia Europea di Francoforte sul Meno, scomparsa il 29 aprile 2020. Con una scrittura densa e viva, la poetessa ci accompagna nel suo cammino di ricerca e riflessione sui grandi temi dell’esistenza fino a condurci nella dimensione del sogno, della memoria, della bellezza, in piena comunione con l’universo. Attenta scrutatrice del mondo, Zanarella si lascia trasportare dagli elementi della natura che regolano la vita sulla terra, si pone in ascolto rivelando al lettore le infinite voci del cosmo.

 

Cosa resta di un’estate
 
 
 
Cosa resta di un’estate ormai finita
 
il corpo del mare visto di sfuggita
 
la memoria di un sole che non si è mai arreso
 
e l’asprezza delle cose inattese.
 
Ci ha preso alla sprovvista il dolore
 
è sceso a mutare la luce negli occhi
 
a disorientare gli equilibri del tempo.
 
Settembre ha le sembianze di un sudario
 
la cura è la pazienza ardente tra le viti
 
l’amore che resiste a pugni chiusi.
 
 
 
 
 
 
Chiedere riparo alla notte
 
 
 
Chiedere riparo alla notte
 
per tutto il dolore vissuto
 
respirare un buio che sa di luce assorta
 
ne scuotono il rumore le stelle
 
ed è come se accadesse un sussulto
 
al cielo di novembre
 
l’autunno prende fiato nei sogni compiuti
 
e la luna pare un segreto di sole
 
rimasto impigliato tra i rami
 
un destino immutabile
 
uguale al colore di albe già viste.
 
 
 
 
 
Da questo tempo
 
 
 
Da questo tempo dove la vita si attorciglia
 
come un’edera che sale sui muri
 
si farà notte come ogni notte
 
e sarà un andare incontro alla luna
 
a colpi di sogno – percorreremo la memoria
 
delle stelle fino a rivederne l’infanzia.
 
È ancora estate e diamo un nome diverso ad ogni cosa:
 
le nuvole si chiamano isole
 
il sole è un pensiero di luce espresso sottovoce,
 
quasi l’amore.
 
 
 
—
 
 
Michela Zanarella 

 

Michela Zanarella è nata a Cittadella (PD) nel 1980. Dal 2007 vive e lavora a Roma. Ha pubblicato diciassette libri. Negli Stati Uniti è uscita in edizione inglese la raccolta tradotta da Leanne Hoppe “Meditations in the Feminine”, edita da Bordighera Press (2018). Giornalista, autrice di libri di narrativa e testi per il teatro, è redattrice di Periodico italiano Magazine e Laici.it. Le sue poesie sono state tradotte in inglese, francese, arabo, spagnolo, rumeno, serbo, greco, portoghese, hindi, cinese e giapponese. E’ tra gli otto co-autori del romanzo di Federico Moccia “La ragazza di Roma Nord” edito da SEM.

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Riccardo Mazzamuto, “Tredici giorni al rifugio”, Eretica Edizioni, 2022.

23 lunedì Mag 2022

Posted by Deborah Mega in Eventi e segnalazioni, LETTERATURA E POESIA

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Riccardo Mazzamuto, Tredici giorni al rifugio

 

sfollamento da livorno e il primo bombardamento a castelnuovo

 

 

livorno città piana

mare distesa

anticipa addii

da sabbia ordigni

di onde alte nel porto

e gente gente

 

il vento porta anglo

americani sbarcati

in sicilia – anzio –

 

sorvolano piccoli aerei

e palle di fuoco

con scopo

d’avvilire verde

la campagna rivale

e fredde rive

senza verdi acque

 

spaventando terrore

grida certezze

di piccoli episodi

a – castelnuovo della misericordia –

paura dei vivi

rabbia dei popoli morti

 

l’avanzata degli anglo – americani e le case in fiamme

 

millenovecentoquarantaquattro

primavera rosicata

infrante le foglie

resistenza tedesca

in combattimento

e\a luglio pian di – vada –

– castelnuovo della misericordia –

retrovia

rilevante per ritardare

l’avanzata

 

iniziano a devastare

il paese

fuoco paglia case

chiome di alberi

dai colori ingannati

semi morti che forse

ri-diventeranno erba

 

successivamente

spento

da noi uomini donne giovani

dal vento che non soffia

con pompe a zaino

da ramato acqua

 

portiamo via

sacchetti farina

bianca gialla

il mugnaio del paese

– marino ciampi- l’aveva occultata

 

in casa

da – giuseppa ceccanti-

per necessità

quella riserva in deposito

che solo i vecchi

antichi sapevano fare

con semplicità

 

il ritorno al rifugio

 

 

se dobbiamo morire

moriremo al rifugio

 

dai campi incolti

vigne uliveti

i miei figli mia moglie

mia nonna – emilia –

e famiglie

l’avevano pensata come noi

 

noi uomini – tordi

dai turni di guardia

per difenderci

da attacchi

 

nascosti tra i cespugli

attigui come insetti

armati muti

di bombe a mano

da fucile modello 91

 

le donne sistemarono

poche vettovaglie

sedie

panche carrozzine

per farvi dormire

i bambini e la magnolia

sembrava spingersi in cielo

con un aereo

da ricognizione da noi

chiamato – la cicogna –

volteggiava

malinconicamente

sulle nostre teste

 

 

le SS a castelvecchio

 

 

vennero a – castelvecchio –

un gruppo di soldati

appartenenti

alle famose SS

armati di mitragliette

bombe a mano

 

incontrate alcune donne

chiesero

loro da mangiare

 

una di queste – gelinda pagliai –

venne al rifugio

a chiedere che qualcuno

andasse a parlare

con quei soldati

 

tutti avevano paura

perché sapevano

che in certi casi

uccidevano

 

decido a malincuore

di parlare con loro

per evitare il peggio

uccido un coniglio

poi cotto

e divorato

dai quattro militari

 

durante il pranzo

parliamo gesti

e al meglio

della guerra in corso

in cambio del mangiare

ci offrirono dei sigari

la natura

non avrebbe voluto questo

 

volevano entrare

in casa per riposarsi

lì indirizziamo

verso la stalla

di proprietà di – sirio morelli-

detto – gigino –

e con grosso respiro

torniamo al riparo

 

viva la libertà

 

 

in festa

abbandoniamo il rifugio

lungo le strade

ad accogliere con gioia soldati

che ci avevano liberati

 

con loro nella piazza

del paese

oltre gli abitanti in festa

partigiani che avevano

operato contro i tedeschi.

 

Ora il rifugio è ancora là

e vi rimarrà per sempre

a testimoniare ai posteri

che lì soffrirono

e sperarono nella pace

e nella libertà gli abitanti

di castelvecchio

 

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Mattia Tarantino, “L’età dell’uva”, Giulio Perrone Editore, 2021.

09 lunedì Mag 2022

Posted by Deborah Mega in Eventi e segnalazioni, LETTERATURA E POESIA

≈ Commenti disabilitati su Mattia Tarantino, “L’età dell’uva”, Giulio Perrone Editore, 2021.

Tag

L'età dell'uva, Mattia Tarantino

 

Vorrei conoscere il mondo dei morti,

reclamarlo in una lingua senza storia

che non abbia una grammatica, ma possa

avverare tutto ciò che si pronuncia.

 

Mi usano per parlare a chi è rimasto,

vogliono che dica, rovesciandola,

la parola che non hanno mai trovato.

 

*

 

Rovesciata nel sangue una preghiera

indecifrabile rimane nelle vene:

nessuno ha mai saputo pronunciare

la parola con cui inizia: pare venga

dalla lingua dei morti, e rivelata

li farebbe ritornare al nostro mondo.

 

Il segreto è che se bruci

i fiori che ti ho dato troverai

nel fuoco i segni per comporla.

 

*

 

I bambini giocano a intrecciare

le storie dei morti: hanno mille

voci in una sola lingua.

 

Conoscono la linea tra il mondo

e la sua conclusione; intuiscono

che le cose non durano e bisogna

piangere per tutto e per tutto

strillare, agitarsi, poi ridere.

 

*

 

E poi cammini con un cero

sciolto in bocca per ripetere i proverbi

con fatica, e tutti i nomi

comuni delle cose; oppure quelli

che di inverno reciti allo specchio.

 

Sarà che non conosco i segni

né l’Arcano della Luna, e non ho mai

saputo interpretare le stagioni;

 

sarà che ho in gola antichi canti

in una lingua incomprensibile di vento

e di fortuna, tra ostie sparpagliate,

 

ma l’ho stretto il patto con i morti,

esausto nella stanza, con un libro

lasciato sotto al letto, rovinato.

 

*

 

Vedi, non restano che i nostri

frutti sulla tavola:

mia madre che li sbuccia; i loro

nomi che pendono dall’orlo

e cadono tra il pavimento e l’invisibile.

 

Ora all’uva basta un soffio per marcire

in fretta e diventare una preghiera.

 

*

 

Dammi la cenere, la sorte

rovesciata dei morti che ridono

in cerchio attorno al fuoco; che bevono

per varcare ubriachi la soglia.

 

Alla festa non hanno invitato

chi ha sofferto la caduta del cielo;

chi ha corrotto con la lingua la voce

udita alla fine del sabba:

 

un giorno ciò che intendono i morti

a tutti sarà rivelato.

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Alle madri

08 domenica Mag 2022

Posted by Deborah Mega in ARTI VISIVE, Eventi e segnalazioni, SINE LIMINE

≈ Commenti disabilitati su Alle madri

Masaccio e Masolino da Panicale, S,Anna Metterza

 

Vergine madre, figlia del tuo figlio – Dante Alighieri

 

Vergine madre, figlia del tuo figlio,

umile e alta più che creatura,

termine fisso d’eterno consiglio,

tu se’ colei che l’umana natura

nobilitasti si’, che ‘l suo fattore

non disdegnò di farsi sua fattura.

 

Nel ventre tuo si riaccese l’amore,

per lo cui caldo ne l’eterna pace

così è germinato questo fiore.

 

Qui se’ a noi meridiana face

di caritate, e giuso, intra mortali,

se’ di speranza fontana vivace.

 

Donna, se’ tanto grande e tanto vali,

che qual vuol grazia e a te non ricorre

sua disianza vuol volar senz’ali.

 

Gustav Klimt, Le tre età della donna

 

A Mia Madre – Edmondo De Amicis

 

Non sempre il tempo la beltà cancella

o la sfioran le lacrime e gli affanni

mia madre ha sessant’anni e più la guardo

e più mi sembra bella.

 

Non ha un accento, un guardo, un riso

che non mi tocchi dolcemente il cuore.

Ah se fossi pittore, farei tutta la vita

il suo ritratto.

 

Vorrei ritrarla quando inchina il viso

perch’io le baci la sua treccia bianca

e quando inferma e stanca,

nasconde il suo dolor sotto un sorriso.

Ah se fosse un mio prego in cielo accolto

non chiederei al gran pittore d’Urbino

il pennello divino per coronar di gloria

il suo bel volto.

Vorrei poter cangiar vita con vita,

darle tutto il vigor degli anni miei

Vorrei veder me vecchio e lei…

dal sacrificio mio ringiovanita!

 

Edward Munch, La madre morta e la bambina

 

A mia madre – Eugenio Montale

 

Ora che il coro delle coturnici

ti blandisce nel sonno eterno, rotta

felice schiera in fuga verso i clivi

vendemmiati del Mesco, or che la lotta

dei viventi più infuria, se tu cedi

come un’ombra la spoglia

(e non è un’ombra,

o gentile, non è ciò che tu credi)

chi ti proteggerà? La strada sgombra

non è una via, solo due mani, un volto,

quelle mani, quel volto, il gesto d’una

vita che non è un’altra ma se stessa,

solo questo ti pone nell’eliso

folto d’anime e voci in cui tu vivi;

e la domanda che tu lasci è anch’essa

un gesto tuo, all’ombra delle croci.

 

 

 

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Guglielmo Aprile, “Sinfonia del mare”, Il Convivio Editore, 2021.

06 venerdì Mag 2022

Posted by Deborah Mega in Eventi e segnalazioni, LETTERATURA E POESIA

≈ Commenti disabilitati su Guglielmo Aprile, “Sinfonia del mare”, Il Convivio Editore, 2021.

Tag

Guglielmo Aprile, Sinfonia del mare

 

 

 

Mi parlarono le onde

 

Risuonano tra le onde eco disperse di

altre voci, di uomini

vissuti in altre età, boati e gemiti di

Atlantidi dimenticate, il rombo di

uragani e naufragi

anche se per la distanza smorzato si

prolunga nel rantolo

della risacca che cresce dal largo

e che parla alla spiaggia, e le confessa il

remoto martirio di qualcuno

che si annegò, e di cui si ignora il nome; e

brandelli riemergono

di rotoli e di codici, in un vortice

di spume, avvolti dalle alghe, cocci

alla rinfusa, formule sbiadite

da acqua e sale, di rune e di saghe,

e tavole ma infrante tra gli scogli

e pagine di silice ma in pezzi

con sopra incise e quasi cancellate

le prime leggi e stralci del racconto

di come ebbe origine il mondo;

e sull’acqua prendono forma a volte

i tratti di quello che sembra un volto.

Mare, di fronte a te, sulle tue sponde

a lungo siedo, da solo, in ascolto.

 

Soglia

 

Il mare piange un figlio mai tornato:

ascolta, invoca un nome

e lo ripete a vuoto

fino allo sfinimento, tante volte

quante le onde che fanno al suo grido

una ironica eco,

e andare in cerca sembra

anche se esausto, in una via deserta, da

solo e scalzo, sotto il temporale, di

qualcuno, chiamandolo

a piena voce: implorante orfeo

di un volto che le ombre reclamarono,

troppo presto rapito

da un Averno che ha lungo la battigia la

sua soglia vorace.

 

Rapsodia marina

 

Le galassie raccontano

alle conchiglie il proprio lungo viaggio;

e lui, il mare, raccoglie e poi disperde

l’eco di quella lunga confessione:

 

dissipa sillabe d’alghe e di schizzi

sopra la pergamena delle spiagge,

senza posa versifica

perduti amori e la storia del mondo

 

e quella del gigante senza nome

che espia una certa colpa

da quando in tufo si mutò il suo corpo, in

sbraccianti scogliere;

 

mare, ossesso in catene

che sbraita e strepita, voce straniera

che innalza la propria preghiera

e le distanze scavalca e le ere.

 

“Ama celarsi, parla per enigmi…”

 

Metamorfico mare, ha molte maschere

ma una sola anima: suo è il dono

di mutare, di assumere

 

qualunque profilo, a capriccio,

quando l’onda disegna sulla riva

ora un cavallo, o un’idra, o una fanciulla,

 

ma sempre confonde i suoi esegeti

e dei loro pronostici si beffa,

e il suo vero volto non mostra

 

a chi si affacci sul suo specchio; mare, a

ogni nostro bussare il tuo silenzio è la

sola risposta.

 

L’azzurro rotolo della sapienza

 

Quanto per te è dio, per me è il mare;

è il gelsomino che soffoca quasi

chi il suo alito esali, tanto è dolce,

ed è il fabbro operoso delle ere

che lascia su costoni e rupi traccia

della sua mano d’acque e venti e lave,

è il fremito che percorre il fogliame

ed è il boato che stacca le frane,

il ronzio in mezzo agli steli dell’ape

e l’eco montante delle risacche,

la chiocciola che su un tronco o su un muro

impercettibile all’occhio risale,

la lunghissima marcia dei ghiacciai

che il calcare scavò con la sua unghia

tracciando corridoi, gole dai fianchi

a precipizio invase poi dai laghi,

le piste che i capodogli tramandano

alla ricerca di plancton ogni anno

sulle mappe delle correnti oceaniche,

le orbite che gli infuocati globi

attraverso distanze buie battono;

è come una colorata voragine

che sul proprio orlo srotola una danza

di corpi che un solo brivido infiamma,

è quel trasalimento dello sguardo

che allo scoccare del fulmine segue

o quando spiega il suo incendio il tramonto e

allestisce la sua coreografia

fastosa drappeggiando con le nuvole

vascelli in fiamme; è la prima fonte

di meraviglia e di angoscia di fronte

ad ogni epifania dell’esistenza,

è la terribile magnificenza

che non si sa come chiamare, e a cui tu

dai nome di dio, io di mare.

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