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LIMINA MUNDI

~ Per l'alto mare aperto

LIMINA MUNDI

Archivi della categoria: Fiabe

VAGABOLARIO Viaggio miniato tra le leggende dei piccoli popoli nelle isole linguistiche d’Italia

04 venerdì Nov 2016

Posted by francescoseverini in Appunti d'arte, Appunti letterari, ARTI VISIVE, Fiabe, Il colore e le forme, LETTERATURA E POESIA, Mostre e segnalazioni

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Francesco Severini, Vagabolario, Viaggio miniato tra le leggende dei piccoli popoli nelle isole linguistiche d’Italia

 

 

vagabolario-copertina

La leggenda

Com’è nata la neve in Carnia 

Tratta da

Renzo Balzan, Poesiis e Liendis de Tiere di Cjargne, A. Moro, Tumieç 2000

della quale esiste il testo originale

(una delle 21 tratte dal libro, relativa ad uno degli altrettanti “piccoli popoli” oggetto del mio studio e del libro).

Cemût che je nassude la nêf in Cjargne 

Ducj in Cjargne lu san, almancul chei che a lòghin tal Cjanâl di Guart, che la mont clamade di Crostas e je une des plui ricjis di lejendis. A Culino, a Gjviano, a Tualis e a Salârs s’in puedin scoltà plui di une. Su la mont di Tencje si dan adun in cunvigne e a bàlin lis striis, come che si saveve ancje deant che lu scrivès tes sôs prosis la Percude, e che il Carducci lu cjantâs te sôs poesiis; ma che su la mont di Crostas e fos nassude la nêf o crodìn che a sèdin pardabon in pôs a savêlu.

E conte cheste liende che si jere a la fin dal mês di març e che i prins clips de vierte a tacavin bielzà a fâsi sintî. Dutcâs une buinore de tiere al scomençà a burî fûr come par un incjantesim, un lizêr vapôr  ch’al lave jevansi simpri plui in alt, fintramai ch’al rivà a subissâ e a cuviergi i flums, i lâts, i plans, i boscs e la mont di Crostas. E plui il timp al passave, plui si faseve dut blanc.

Un blanc simpri plui penç. Cussì ogni cjosse e restà torcenade e subissade di chel ch’al jere aromai diventât une sorte di mâr di fumate cjandide. Ma vè che a un ciert pont e vignì fûr une piore che lè su disburide pe cleve di Tualis, e traviersà il bosc e svelte come un cjavrûl e corè su la cueste de mont fintremai a l’ultime cime, po cun tun grant varc e rivà sù tal cîl. Daûr di jè e rivà une seconde, e une tierce, e dîs e cinquante e cent… Alore pai infinîts prâts, colòr blâf dal cîl s’invià une gare, vivarôse e graciôse. Lis pioris al corevin lizeris une plui di chê âtre e i agnui ur svualavin daûr e a cirivin di fermâlis cjapanlis pai riçts de lôr velade di lane. Ma lis pioris si diliberavin, lassant tes mans dai agnui  i bocui de coltre mulisite. A un ciert pont al rivà ancje il vint e si zontà a cheste sorte di zûc. La lane sgjarpide e lizere si niçulave ta l’arie muesse, slusint al soreli ch’al lave a mont daûr lis cretis. A sgurlavin i flocs cjandits in lêgre danze, si alçavin sù adalt e po biel planc a vignivin jù, a vignivin jù… La nevere e lè indenant fissè, fissè, pa dute la gnot, po sul scricâ de l’albe la neule e scomençà a viergisi e sot la lûs incierte de buinore la tiere braurôse e mostrà lis monts cuviertis dal blanc mantîl. In face a cheste vision al ridè apajât purpûr il soreli ch’al jevave su la mont di Crostas, come par un strieç ch’al jere riessût pulît.

 Com’è nata la neve in Carnia

francesco-severini_vagabolario_capolettera-f

Forse non tutti sanno che sul monte Crostis, un giorno, è nata la neve. Questa leggenda racconta che si era alla fine del mese di marzo, e che i primi segni della primavera cominciavano già a farsi sentire. Cominciò d’un tratto a fuoriuscire un leggero vapore dalla terra, che si alzava sempre più in alto, fino ad arrivare a ricoprire i fiumi, i laghi, le pianure, i boschi e il monte Crostis.  E più il tempo passava, più si faceva tutto bianco.  Un bianco sempre più denso. Così ogni cosa venne circondata e avvolta da quello che era ormai diventato una sorte di mare di nebbia candida. Ma ecco che a un certo punto venne fuori una pecora che andò su per la salita di Tualis, attraversò il bosco e svelta come un capriolo corse sulla cresta della montagna fino su all’ultima cima, poi con un grande salto arrivò su nel cielo. Dietro di lei arrivò una seconda, e una terza, e dieci e cinquanta e cento… Allora sugli infiniti prati dal cielo iniziò  una gara, vivace e graziosa.  Le pecore correvano leggere una più dell’altra e gli angeli volavano loro attorno e cercavano di fermarle afferrandole per i riccioli del loro vello di lana. Ma le pecore si liberavano, lasciando tra le mani degli angeli i boccoli del loro soffice mantello.  A un certo punto arrivò anche il vento ad unirsi a questa specie di gioco.  La lana sfilacciata leggera dondolava nel vento, rilucendo al sole che stava salendo dietro le cime. Giravano attorno a se stessi  i fiocchi candidi in una danza leggera, si alzavano su in alto e poi piano piano venivano giù, venivano giù… La nevicata è andata avanti fitta, fitta, per tutta la notte, poi alle prime luci dell’alba la nuvola cominciò ad aprirsi e sotto la luce incerta del primo mattino la terra mostrò i monti coperti dal bianco mantello. A questa vista rise appagato perfino il sole che si alzava sul monte Crostis, come per una stregoneria che era riuscita bene.

Francesco Severini

Vagabolario

Viaggio miniato tra le leggende dei piccoli popoli nelle isole linguistiche d’Italia

Prospettiva Editrice, Civitavecchia, 2016; br., pp. 264

SINOSSI

Il progetto Vagabolario nasce con l’intento di rendere plausibile il nesso tra la parola e l’immagine, il legame che scaturisce da vincoli intimi e giocosi mediante i quali è possibile dare ancora voce cristallina alla narrazione. Quella capace di suggerire e dar vita ad infiniti racconti, proprio come nella tradizione orale che rigenera fiabe e leggende, modificandole di volta in volta, arricchendone il senso, ridefinendone gli spazi ed i tempi d’azione. Il sottotitolo in tal senso, oltre il titolo stesso, ne definisce inoltre i contorni e gli ambiti. Si tratta appunto di un viaggio miniato, un viaggio per immagini vivo di racconti nel racconto, tra le leggende di quelle che sono state (in certi casi anche giuridicamente) definite isole linguistiche esistenti in varie zone d’Italia, ciascuna virtualmente inscritta entro confini regionali, il più delle volte troppo angusti e per questo limitanti. Dove variegati sono i popoli che le costituiscono e le abitano, seppure persino misconosciuti, eppure forti di un’energia straordinaria; quella che attinge, coniugandoli, sapere e attenzione alla vita. Il mio lavoro di ricerca intorno alle leggende di questi piccoli popoli – la definizione è solo apparentemente, volutamente minimizzante – è diretto ad una riscoperta, che in molti casi diventa vera e propria scoperta, dei rimandi ad una tradizione che fonda le proprie radici nel tessuto letterario dell’oralità. Il fine: restituire loro una dignità culturale capace di rimarcare, elevandola, l’identità peculiare di ciascuno di essi. Ventuno, dunque, i popoli, tanti quanti le lettere dell’alfabeto italiano. Di qui l’idea di altrettanti capolettera da rendere quali miniature di un singolare vocabolario, il mio personale Vagabolario, appunto: una sorta di breviario laico che attraverso un ordine ben noto, dalla A alla Z, scandisca il tempo della narrazione. Ventuno capolettera, ciascuna densa di figurazioni che illustrano la storia presa in esame – essa stessa stimolo primario di un soggetto (oggetto) visuale – spesso in maniera didascalica, altre volte lasciando che un’immagine chiave della leggenda ne divenga il punto focale. Il progetto non ha la pretesa di rappresentare una indagine demologica esauriente, tanto meno esaustiva, in merito ai piccoli popoli e alle loro leggende prese a riferimento. Mi auguro, piuttosto, essa sia stimolo per nuovi ed interessanti approfondimenti che possano far luce su alcune realtà ancora poco indagate, quando anche sconosciute, di un Paese già minato nelle sue fondamenta più solide, ovvero la disattenzione alla propria storia e alla sua straordinaria cultura. Non dimenticando, mai, che proprio nel ricorso alla tradizione un popolo, pur nelle sue infinite differenze identitarie, può trovare sempre ulteriori spunti per la coesione e la sua unitarietà. Il volume, stampato da Prospettiva Editrice, consta di una introduzione, di una breve prefazione di Antonella Orlacchio, della successione delle ventuno “stanze” ordinate alfabeticamente, come in un comune vocabolario, all’interno di ciascuna delle quali c’è l’immagine del capolettera miniato, alcune informazioni relative di ognuno dei “piccoli popoli”, in una sezione finale il rimando ad una loro relativa sitografia e bibliografia, oltre a rimandi generali sitografici e bibliografici, infine una nota biografica sull’autore.

Francesco Severini

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Lo specchio magico

29 venerdì Lug 2016

Posted by Deborah Mega in Appunti letterari, Fiabe, LETTERATURA E POESIA, Racconti

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Deborah Mega, Michel Tournier, racconto

01910260

Salvador Dalì, Dalì alle spalle dipinge Gala di spalle (1972)

Michel Tournier (Parigi, 19 dicembre 1924- Choisel, 18 gennaio 2016) é stato uno degli scrittori francesi più importanti della seconda metà del Novecento,  autore di diversi romanzi come Venerdì o il limbo del Pacifico del 1967, Il re degli ontani del 1970 con cui aveva vinto il Premio Goncourt, Le meteore del 1975, La goccia d’oro del 1986, Mezzanotte d’amore del 1989, Eleazar ovvero La sorgente e il roveto del 1996, infine del saggio filosofico Lo specchio delle idee del 1994. Caso raro in letteratura, era tenuto in grande considerazione dalla critica ma era anche molto amato dal pubblico, che ha acquistato milioni di copie dei suoi libri.

Quello che propongo oggi é un breve racconto fantastico il cui titolo originale é Le miroir à deux faces.

C’era una volta un califfo di Ispahan che dopo vent’anni di felicità coniugale s’andava tristemente disamorando della regina. Col cuore in pezzi, la vedeva perdere di giorno in giorno il fascino che aveva conservato tanto a lungo. Il viso della regina stava diventando scialbo, appariva grigio, cupo e mesto. Gli angoli delle labbra mostravano una piega amara e delle rughe violacee le appesantivano lo sguardo spento. Pareva soprattutto che avesse rinunciato a sedurre e che deliberatamente venisse meno al dovere di essere bella a cui ogni donna, e una regina più d’ogni altra, è tenuta.

Così, il califfo si stava allontanando da lei. Tutti i pretesti erano buoni per andarsene in guerra, a caccia o in missione diplomatica. Anche il suo interesse verso le damigelle di corte appariva sempre più insistente.

Un giorno però, uscendo dalle sue stanze per andare nella sala del Consiglio, gli accadde di passare dietro alla regina che s’acconciava la capigliatura davanti a uno specchietto. Guardò di sfuggita nello specchio e si fermò sbalordito. Il viso che vi aveva appena scorto risplendeva di radiosa bellezza. Quegli occhi brillavano di gioia. Gli angoli delle labbra si rialzavano in un sorriso pieno di gaia ironia. Colto da stupore, il califfo restò fermo, e, poggiando le mani sulle spalle della regina, la fece voltare verso di lui. Che mistero! Il viso che adesso stava fissando era, come al solito, grigio, cupo e mesto. Gli angoli delle labbra ricadevano in una piega amara. Delle rughe violacee le appesantivano lo sguardo spento. Il califfo alzò le spalle e si recò al Consiglio.

Tuttavia la fugace illuminazione che aveva colto al mattino seguitava a occupare la sua mente. Cosicché l’indomani fece in modo che si ripetesse la scena del giorno prima. Mentre la regina stava di fronte al suo specchietto, le passò dietro osservandone la sua immagine riflessa. Il miracolo si ripeté: vi si rifletteva una donna che risplendeva di gioia. Di nuovo il califfo la fece voltare verso di lui. Di nuovo, il volto che scoprì era solo una maschera di lutto e malinconia. S’allontanò ancora più inquieto del giorno prima.

La sera, si recò presso il saggio Ibn Al Houdaïda. Era un vecchio infarcito di filosofia che un tempo era stato suo precettore e che non dimenticava mai di consultare nei casi difficili. Gli raccontò del disamore che si stava instaurando tra lui e la regina, del velo di infelicità che abitualmente le copriva il volto, ma anche della scoperta di una donna trasfigurata nel piccolo specchio, come per due volte aveva constatato, e gli raccontò pure della sua delusione quando poi l’aveva guardata dritto in volto.

Ibn Al Houdaïda meditò a lungo in seguito a questo racconto. Lui che viveva da tanto tempo senza moglie e senza specchio, cosa ne poteva capire? Interrogò il suo discepolo d’un tempo.

– Cosa vedevi esattamente, nello specchio che osservavi da sopra la spalla della regina?

–  Ve l’ho già detto – rispose il califfo – vedevo la regina radiosa di bellezza.

Il saggio seguitò a riflettere.

– Ricordati bene. Davvero vedevi soltanto il volto della regina?

– Sì, insomma…credo. Forse vedevo anche il muro della stanza, o una parte del soffitto.

– Domani mattina riprova di nuovo e guarda meglio – gli ordinò Ibn Al Houdaïda.

L’indomani sera, il califfo si presentava di nuovo a casa sua.

– Allora? – gli chiese il saggio. – Che hai visto nello specchio, oltre alla regina trasfigurata?

– Ho scoperto la mia testa in secondo piano e un po’ sfocata nella penombra – rispose il califfo.

– Ebbene, – disse il saggio – ecco la chiave del mistero! Quando affronti la regina di fronte, con durezza, senza amore, come un giudice, quando la squadri come se volessi contare le sue rughe o i suoi capelli grigi, allora la getti in una solitudine che l’addolora e l’imbruttisce. Invece, quando il tuo viso è accanto al suo essa irradia bellezza e gioia. Ti ama, ecco, e si illumina solo quando le vostre due teste sono unite nella stessa cornice con lo sguardo rivolto allo stesso paesaggio, allo stesso avvenire, proprio come su un ritratto di nozze.

(da Michel Tournier, Racconti d’amore del ‘900, trad. di P. Dècina Lombardi, Mondadori, Milano)

***

Per l’ambientazione orientale ed esotica il racconto sembra uscito dalla raccolta de Le Mille e una notte, é infatti ambientato a Ispahan, antica città dell’Iran, l’attuale Esfahān; vi agiscono tre personaggi: un califfo, una regina, un vecchio saggio infarcito di filosofia.

Si tratta di un testo narrativo che presenta anche sequenze descrittive, riflessive, dialogiche. Gli inserti narrativi riguardano le azioni e i sentimenti del califfo. Ciascuna sequenza é segnata da un mutamento di tempo o dall’introduzione di nuovi personaggi. Nella prima sequenza, di tipo descrittivo-riflessivo, dopo l’avvio tipicamente fiabesco, si parla del disamore del califfo per la regina, divenuta col passare del tempo invecchiata, imbruttita e triste. In particolare il narratore si sofferma sulla descrizione del volto della regina, dapprima presentato nel suo complesso come scialbo, grigio, cupo, mesto, poi nei particolari: gli angoli delle labbra, le rughe violacee intorno agli occhi. La regina, circostanza questa ancor più grave e spiacevole, ha rinunciato al “dovere” di essere bella e desiderabile.

Nella seconda sequenza, narrativa-descrittiva, il califfo vede di sfuggita il volto della regina riflesso in uno specchio e la rivede com’era un tempo, radiosa di bellezza e addirittura felice. Quando però la fa girare verso di sè per osservarla meglio lei assume la stessa espressione amara che lo allontana da lei. Nella terza sequenza, di tipo prevalentemente narrativo, si ripete il misterioso fenomeno di mutamento del volto della regina. Quando il califfo la fa voltare e la guarda nuovamente, quella di lei è una maschera di lutto e malinconia. Nella quarta sequenza, narrativa-dialogica, compare il personaggio del vecchio saggio al quale il califfo chiede spiegazioni. Solo nella quinta sequenza di tipo dialogico finalmente è spiegato il mistero del fenomeno dello specchio ed appare finalmente evidente il messaggio racchiuso nel racconto.

Lo specchio per le sue caratteristiche e per il ricco simbolismo di cui è dotato, da sempre ha colpito l’immaginario umano, duplica e replica il mondo mostrandone anche i suoi lati nascosti ed è legato al tema del doppio rivelando in alcune situazioni un effetto perturbante. Il riflesso infatti pone il soggetto di fronte ad un altro se stesso da riconoscere o al contrario, disconoscere. E’ l’altro che guarda, un oggetto che permette di operare confronti tra la propria rappresentazione mentale a noi nota e familiare, l’heimlich e quella esternamente visibile, l’unheimliche per dirla con Freud, che a volte non coincide con quella a cui siamo abituati.

Quando il volto del califfo e della regina sono vicini come in un ritratto di nozze e guardano insieme il mondo e la vita, la regina non è più sottoposta al giudizio del marito, pronto a cogliere i segni dell’età che avanza, lo sente vicino e capace di condividere le gioie e le sofferenze dell’esistenza. La fiaba diviene moderna e attuale e contiene un’importante riflessione sull’amore e sui rapporti di coppia : il messaggio dell’autore é che anche quando la bellezza é sfiorita occorre guardare l’altro con l’amore di un tempo per recuperare la capacità di percorrere insieme la vita e per mantenere vivo l’amore che, a sua volta, opera perfino il suo miracolo, quello di far ritrovare la bellezza e l’incanto del primo sguardo.

Deborah Mega

 

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Principe Solitario e Piccolo Cuore. Epilogo.

01 venerdì Lug 2016

Posted by LiminaMundi in ARTI VISIVE, Fiabe, Il colore e le forme, LETTERATURA E POESIA

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fiaba, Francesco Palmieri, Francesco Severini

Continua e si conclude oggi la suggestiva fiaba di Francesco Palmieri accompagnata dai bei dipinti di Francesco Severini. Qui è possibile leggere la prima parte della fiaba e a quest’altro link la seconda.

Le fate italiane olio su tela - cm. 120x60

 

tratta da “Le Fate italiane” di Francesco Severini

olio di cm. 120×60 (2009)

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Principe Solitario e Piccolo Cuore. Parte II.

24 venerdì Giu 2016

Posted by LiminaMundi in ARTI VISIVE, Fiabe, Il colore e le forme, LETTERATURA E POESIA

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fiaba, Francesco Palmieri, Francesco Severini

Continua la suggestiva fiaba di Francesco Palmieri accompagnata dai bei dipinti di Francesco Severini e inaugurata qui.  

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“Gli occhi della pittura” (1999) di Francesco Severini

– oil on canvas – cm. 100×100

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Principe Solitario e Piccolo Cuore (quasi una fiaba). Parte I.

17 venerdì Giu 2016

Posted by Deborah Mega in ARTI VISIVE, Fiabe, Il colore e le forme, LETTERATURA E POESIA

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Deborah Mega, fiaba, Francesco Palmieri, Francesco Severini

Inauguriamo sul nostro blog un genere antichissimo che da sempre affascina grandi e piccoli, la fiaba. Non è facile risalire alle sue origini; tra le diverse teorie, una in particolare collega le peripezie degli eroi, alle prese con difficili prove da superare con l’aiuto dell’intelligenza o di mezzi magici, ai primitivi rituali di iniziazione. Si trattava di cerimonie magico-religiose che prevedevano il temporaneo allontanamento dei giovani dalla tribù allo scopo di sopravvivere in un ambiente ostile. Solo dopo aver acquisito la capacità di vivere da soli, facevano ritorno nel gruppo per essere accolti come adulti e sottoposti alle regole della comunità.

Lo studioso russo Vladimir Propp, dopo aver esaminato e confrontato molte fiabe tradizionali ha identificato 7 ruoli fissi  dei personaggi ed elencato 31 funzioni cioè azioni ricorrenti: la mancanza, l’allontanamento, il danneggiamento, l’ordine, il divieto infranto, l’incontro con un aiutante, il conseguimento del mezzo magico, l’impresa da compiere, le prove da superare, la lotta con un antagonista, la sua sconfitta e punizione, infine il premio dell’eroe. A volte tali funzioni sono tutte presenti nelle fiabe, altre volte solo in parte. 

Quello che conta é il piacere della storia, la presenza di personaggi straordinari, il susseguirsi di azioni e trasformazioni magiche infine l’insegnamento che le fiabe vogliono trasmettere, primo tra tutti il concetto che vale sempre la pena di affrontare le difficoltà e non perdere mai la speranza di cambiare il proprio destino. Quella che vi proponiamo oggi presenta la struttura tipica della fiaba che prevede l’allontanamento del protagonista, uno svolgimento ricco di suspense, il superamento di difficoltà e ostacoli che mettono a dura prova il personaggio principale.

L’autore con cui esordiamo é Francesco Palmieri, le cui parole sono illustrate da un grande artista delle forme e del colore, Francesco Severini, il quale non solo ci ha concesso le sue meravigliose creazioni ma a breve figurerà anche tra i nostri autori.

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“Gli occhi della pittura” (1998) di Francesco Severini

– oil on canvas – cm. 100×100

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