
Massimiliano Damaggio
Edifici pericolanti
Dot.com Press
Postfazione di Fabio Franzin
Nota di lettura di Nino Iacovella
La poesia è “una mosca tossica / che depone nel corpo le uova della solitudine” scrive Massimiliano Damaggio in Edifici pericolanti, silloge curata da Giusi Drago per Dot.com Press, ai tempi del compianto Fabrizio Bianchi. Nonostante l’uomo sia un animale sociale è isolato nel mondo, cristallizzato in una condizione di sostanziale incomunicabilità con i suoi simili. L’opera, pubblicata nel 2017, si presenta attuale, originale e compiuta, dalla scelta del formato digitale scaricabile, che mette in evidenza la generosità dell’autore purchè si legga poesia, all’architettura ripartita in sei sezioni di poesia, i cui titoli non compaiono su ogni testo per non interrompere il flusso narrativo ma sono ripresi dalle sei prosette di commento contenute nella seconda parte. A conclusione di ogni sezione appare, come in un refrain, uno slogan pubblicitario dall’effetto straniante e dissonante, con piccole variazioni sul tema. La plastique c’est chic! […] Ti senti spensierata? Immergiti… e poi Lasciati ammaliare! E ancora Sarà easypink o chicblack l’estate?
Le sei parti poetiche recano titoli significativi: Sell-in, sell-out che tratta il tema del lavoro alienante, spersonalizzante, coercitivo, che allontana dalle giuste priorità; Sette tentativi di salvezza che raccontano altrettanti tentativi di resistenza e di dare ordine al caos del reale; Ultime dall’iperghetto su chi assiste impotente allo sfacelo; Sarà la bellezza la nostra vendetta in cui si torna a parlare di resistenza; Cinque simulazioni, in cui si descrivono cinque simulazioni di realtà, infine … E una risposta, in cui si è proiettati in una rassicurante condizione di non tempo. La poesia è potente, caustica, asfittica per chi si pone empaticamente in ascolto. L’uomo vive, lavora, produce, e in questo processo capitalistico di produzione e trasformazione che investe oggetti, persone, sentimenti, emerge il dolore, la pena da cui non è possibile fuggire. Si procede su un terreno insidiosamente minato, costantemente tesi alla ricerca dell’equilibrio mentre si tenta di sopravvivere. La terra è inquinata, defunta, l’Italia, la Grecia, dove vive il nostro autore, non fa alcuna differenza precisare il luogo, perché a causa dell’alienazione a cui ci sottopongono la logica del mercato e le esigenze del processo produttivo, ovunque ci si trovi, siamo vittime di un processo irrefrenabile, squilibrato e inarrestabile di sovrapproduzione, destinati a perdere la nostra natura umana e ad estinguerci. Siamo uomini dismessi come oggetti in disuso, siamo uomini in affitto, mercificati e in attesa dell’accredito mensile. Questo è quello che resta di ideali, speranze, sogni, illusioni. La società contemporanea è sempre più frenetica nel suo consumare tutto in breve tempo, travolgente perché di forte impatto ambientale, invivibile, caotica, e riflette la crisi gravissima dell’uomo e della natura. Gli edifici pericolanti diventano metafora esistenziale della condizione umana, corrispondono alle foglie autunnali di Ungaretti con tutte le loro caratteristiche di precarietà e provvisorietà. L’equilibrio è una condizione interiore, raramente programmabile, scrive Damaggio. Peccato che molto spesso agiscano forze avverse, traumi, dispiaceri che violentano la condizione umana, ne logorano l’armonia e la bellezza e ne compromettono la stabilità. I più compromessi risultano le persone sensibili, senza pelle, troppo permeabili al dolore. Questa è, oltre ad equilibrio, l’altra parola-chiave più ricorrente. Esistono due modi per non soffrire: accettare l’inferno, fingere di non vederlo e accettarlo fino a non vederlo più oppure riconoscere e cogliere persone e sentimenti positivi a cui dare spazio nella propria vita e nel proprio cuore. Fortunatamente, per dirla con Quasimodo, di tanto in tanto appare uno spiraglio di luce, un raggio di sole che rende la condizione umana appena più sopportabile. Ma a volte ci amiamo, nelle pause / piantiamo nel solco un feto ancora, scrive Damaggio. La sua poesia ricava molti elementi d’ispirazione dalla realtà. La osserva, la indaga, la racconta. Per amore di verità il poeta supera il suo isolamento e si mette in contatto con il mondo: il dolore personale diventa compianto universale e la rappresentazione di eventi e stati d’animo si fa sempre più rassegnata, distaccata e obiettiva. L’apertura tematica in direzione civile si accompagna a un linguaggio epico-lirico, il tono diviene disteso, comunicativo, tendente all’oratoria in alcuni punti, ma sempre costantemente pervaso da una incantevole grazia. “Apro le mani, piene di dita inutili / che sanno solo scrivere parole.” Occorre saper osservare e saper raccontare al mondo, con generosità ed empatia. Forse è questa la via di fuga, la soluzione che Damaggio, forse inconsapevolmente, suggerisce. E non è poco.
© Deborah Mega
*
Da Sell in, Sell out:
Le cose con le dita
Transitiamo nella zona industriale
su questa terra defunta riposano
nomi di cose in disuso
gonfi di piogge oblique fioriscono
gli uomini dismessi
Aspettiamo, alla fermata dell’autobus, la sera
Sono piccoli vegetali oscuri
dove immergere la mano
è questo rumore senza forma
sono le cose con le dita
impermeabili fiori all’incontrario
corpi scivolati nell’ingorgo
di acque inquinate defluiscono
in esistenze decimate
un nome dopo l’altro, dentro i tabulati, fino all’estinzione
In questo modo precipita la notte
Un alito assente scivola fra i denti
Aspettiamo l’accredito sul conto corrente
Poesia della forza vendita
Esiste il tempo degli uomini in affitto
ripiegati in due dentro il contratto nell’atto
di spalancare la bocca
per ingoiare la moneta: Complimenti
mi dice il manager, Lei è in progressione
tuttavia non sa gestire le risorse:
ci vuole la carota, e ci vuole il bastone
Esiste il tempo dei ruminanti
che sanno l’intimo piacere del bastone
il Suo scopo è essere una molla
caricare il significato dei corpi: Lei
deve scavalcare la catasta dei giorni
sopra cui sta un obbiettivo,
che ci segna
Il materiale
È molto il materiale, che risale
fino alla superficie: del tuo giorno
del passante, di quest’animale
sull’asfalto, aperto in due
all’eccessivo sentimento
per un solo corpo, questo
sopravvivere, gravido di cose
da fare, da acquistare
un articolo, questo conviene
il calcolo del margine, Guardi
non vedo margini di manovra
Eccessivo il materiale
che acquista, che figlia, che insiste
nell’avventura umana e dura:
la nessuna avventura
Risale il materiale
fino al sorso delle mani:
non potabile. Una mano
nella serra dei corpi
raccolti a fatturare
chiede due ore di permesso
per andare a riprodursi
Io non posso tradurre tutto
questo pianto, tutto
in parole, non posso
tracciare il grafico esatto
della produzione di massa del dolore
Da Otto tentativi di salvezza
Bambino
Mi guardi dalla fotografia
ma io non so scrivere nella tua lingua
di ciò che si chiamava bambino
ed era viaggio di vento, irruzione
nel nuovo giorno, al calendario
scandalo
Incontrarti oggi in uno specchio di carta
mi ha fatto tremare le mani
perché ti ostini ad accompagnarmi di nascosto
all’uscita di ogni galleria
quando insieme per la sorpresa ridiamo
di fronte a un’improvvisa voragine di luce
Sulla statale per Killini
Ma io alla fine è con l’aria che combatto
e levo in alto le braccia per tradurre
una carne in una frase, un risorgere impossibile
e così torno al volante, così incontro
il cane morto per la strada
Se la tua parola era di inciampare nella ruota
e il vuoto che hai lasciato è ignorato da ogni cosa
con che grammatica interrotta chiami, ora
quelli che passano, e non si fermano
perché di te hanno paura
tanto terribilmente presente sei in tutta la tua assenza
Da Sarà la bellezza la nostra vendetta
Starsailor
Siamo qui per la bellezza, ma
come rifugiati fra due porte
in attesa di un fuoco qualunque
che commuova il calendario
In questo venire e andare di corpi
non hai nemmeno il tempo di dargli un nome:
lanciano sul tavolo poche parole, si alzano
Siamo qui per la bellezza, ma
come pieni di linee scure
che potevano essere albero, nuvola: attendiamo
nell’apnea delle disattese
è tua la voce a filo d’acqua
che modula una fiamma
per chi, liquido, sta
Giulia
Ogni cosa mi fa a pezzi
e non basta averti accanto, come hai capito
perché un morso di vita residuo
ritorni al concreto di un sapore
Questi i fogli di carta
con il numero del giorno
che ho buttato senza sosta nel cestino
Li cerchi, li raccogli, insisti
a vivere, del nostro calendario
la pagina strappata
per lasciarmi quella intatta
Testi tratti da Edifici pericolanti di Massimiliano Damaggio, Dotcom.Press, 2017.
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