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LIMINA MUNDI

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L’intervista a Margherita Pascucci: “Il tempo tessuto di Dio. Ritratto filosofico immaginario di Dacia Maraini”

07 martedì Set 2021

Posted by Deborah Mega in Interviste

≈ 1 Commento

Tag

Il tempo tessuto di Dio. Ritratto filosofico immaginario di Dacia Maraini, Margherita Pascucci

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.

La redazione ringrazia MARGHERITA PASCUCCI per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: “Il tempo tessuto di Dio. Ritratto filosofico immaginario di Dacia Maraini“, Il ramo e la foglia edizioni, 2021.

 

  1. Ci parli della tua pubblicazione?

 

È un saggio narrativo dove filosofia e letteratura si intrecciano. È costruito intorno all’idea della composizione di un saggio filosofico sull’opera di Maraini in cui irrompono momenti di dialogo e epistolario immaginario tra Dacia Maraini e chi scrive. Con un taglio dialogico e narrativo ritrae la figura “immaginata” di Maraini che parla attraverso citazioni da libri e stralci di interviste da me intessuti per riflettere su temi filosofici e letterari che rintraccio nel corpus della sua opera. Ogni capitolo ha quattro parti: la parte di saggio, una parte di dialogo immaginario, una lettera non spedita, e un tratto (del ritratto che vado facendo di lei nel mio saggio.)

  1. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Penso che sia interessante fare letture incrociate: la filosofia che legge la letteratura, e la letteratura che si fa filosofia. Vediamo sempre più oggi filosofi che scrivono romanzi, o che rendono temi filosofici un oggetto di scrittura, abbattendo così barriere (di pensiero e di senso) e creando, inaugurando, nuove composizioni. Questi due campi del sentire, della conoscenza, erano un tempo uniti. Adesso si riavvicinano in molti autori vertiginosamente. Per la mia esperienza, scrivere una lettura filosofica di Shakespeare, leggere Shakespeare non soltanto come il grande drammaturgo ma come colui che crea pensiero nuovo (la definizione che Gilles Deleuze e Félix Guattari davano del filosofo) è un atto che può liberare, a sua volta, nuovo sentire e nuovo pensiero, oltre che nuovi studi. Faccio un esempio: leggere il denaro come si trova in Timone di Atene, mettendolo a confronto con Platone, è illuminante del perché Marx diceva che Shakespeare è stato il primo a fare del denaro una persona concettuale. E quello che dice Shakespeare sul denaro è ancora potentissimo per noi oggi. Leggere le opere di Dacia Maraini come figure concettuali, come ‘pensiero nuovo’ è un atto che mi ha aiutato, per esempio, a capire cosa Walter Benjamin intendeva con la ‘merce come oggetto poetico’, a vedere viva la raccomandazione di Baudelaire: sii sempre poeta, anche in prosa, e a capire come il cinema di poesia di Pasolini si trovi quasi traslato in quella che chiamo ‘prosa di poesia’ di Maraini: l’immaginario come la macchina da presa del reale. Questo potrebbe aprire nuove domande, nuovo pensiero sulla creatività e le sua modalità negli anni condivisi da Pasolini e Maraini, così come, dal punto di vista politico, per esempio, vedere come la ‘prosa di poesia’ (se la mia lettura può essere valida) gemmi, produca, una koiné aisthesis (riaprendo il sentire e l’esigenza della Grecia di Aristotele oggi qui), un sesto senso comune per cui diventa per me possibile sentirmi diventare Teresa la ladra, Manila la prostituta, Veronica meretrice e scrittora… è un ampliamento dei sensi (campo della letteratura, che porta altro immaginario ad aprirsi) ma anche del pensiero (tutti i luoghi muti del corpo di Marianna Ucrìa che diventano espressione, liberano un fiorire di sensazioni in me, e credo in qualunque altro lettore, che diventano non solo sentire comune, condiviso, ma anche liberazione del sentire stesso). Quindi: quanto possa essere utile nel panorama di oggi un’operazione come la mia, non so. L’ho scritta per Maraini, senza pensare molto ai suoi risvolti. Ora che però il libro vive di vita propria, spero che questo arduo connubio che ho tentato possa suscitare anche in chi legge una liberazione del pensiero quanto le opere di Maraini hanno fatto con me.

  1. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a impegnarti in questa opera? In altri termini qual è la sua genesi?

Ho vissuto molti anni all’estero. Al mio ritorno in Italia, i primi mesi, mi capitava di vedere spesso Maraini in televisione o di ascoltarla alla radio. Incuriosita da questo pensiero così diretto e limpido, ho iniziato a leggere qualche suo libro – a quel tempo avevo letto soltanto Marianna Ucrìa – e il secondo, o forse il terzo libro che ho letto, è stato Chiara di Assisi. Elogio della disobbedienza. Anni fa ho scritto un testo sulla povertà, in cui era fondante la rivoluzione indicata da Chiara nel suo privilegium paupertatis (il diritto a non possedere che lei chiese a Innocenzo III, e che ottenne nel 1216). Più procedevo nella lettura della Chiara di Maraini, più mi colpiva il modo in cui lei fosse riuscita a dire in modo lirico e forte al tempo stesso, comprensibile da tutti, questa potente rivoluzione che Chiara chiese. Giorno dopo giorno, mese dopo mese, ho letto quindi (quasi) tutto quello che Maraini ha scritto, avendo una predilezione per i suoi testi di teatro. Più leggevo più desideravo conoscere questa autrice che era riuscita a mettere insieme una scrittura altissima a un raffinatissimo, setacciato, depositato eppure immediato e limpido profondo pensiero. Come se il pensiero trovasse, nella scrittura di Maraini, una sua carnalità cruda, e vera. Ne sono rimasta affascinata. Un giorno di maggio dell’anno scorso vidi che Maraini presentava a Firenze Corpo felice, testo sulla maternità. Andai ad ascoltarla, senza però riuscire a parlarle.

Un mese dopo Maraini tornò a Firenze e in un giorno fece due presentazioni: una su Pinocchio nel pomeriggio tardo di inizio estate, in una bella piccola libreria nel centro di Firenze. E una su ‘Scrivere come impegno sociale’ quella stessa sera, dopo cena, in una libreria nella periferia di Firenze. Durante il primo incontro rimasi stupefatta da come Maraini parlava del tempo, della immaginazione, e della creazione (parlando di Pinocchio!). Nei mesi successivi iniziai a scriverle, e Maraini gentilmente mi rispose. Ero attratta, o forse trasportata, da due motivi, o movimenti interiori: far venire alla luce quella trama filosofica che sentivo nei suoi testi, nei suoi discorsi, e conoscerla. In un certo senso speravo di poter, in modo silenzioso, umbratile, conoscendola, imparare a liberare la scrittura filosofica, o forse a fare della scrittura filosofica un percetto (un concetto sensibile). Desideravo imparare quello spogliarsi dell’io che mi sembrava essere la forza della sua scrittura e ciò che dava, magistralmente, carnalità al suo pensiero. Una carnalità particolare a un pensiero, un sentire, universali. Abbiamo continuato a corrispondere per qualche tempo, e io, a un certo punto, le ho proposto il mio progetto di provare a farle un ritratto filosofico. Lei mi disse sì, e questa grande generosità mi riempì di gioia. Rimanevo pur sempre una sconosciuta. Io avevo sempre pensato di fare un saggio che diventasse, attraverso il dialogo tra noi, lentamente narrazione, ma non mi ero resa conto che questo avrebbe implicato una scrittura a quattro mani, cosa che non poteva darsi. Al tempo stesso non volevo che fosse una intervista, perché ce ne sono già diverse, molto belle, né tantomeno un saggio di pura critica letteraria o filosofica. Volevo creare quell’interazione chimica che ci porta sull’orlo della creazione di qualcosa di nuovo. Interazione profonda e impercettibile che è ciò che i testi di Maraini hanno fatto su di me. Dopo qualche momento di crisi, ho deciso di fare il testo lo stesso, facendo fare la parte del dialogo alle parole dei suoi personaggi, dei suoi libri. Ma a quel punto non poteva che essere un ritratto immaginario, un dialogo immaginario. Con tutte le mancanze e gli errori dell’immaginazione. E così è nato Il tempo tessuto di Dio. Sono profondamente grata a Maraini per avermi permesso di immaginarla, anche se a tratti mi sento a disagio per aver reso l’immaginazione qualcosa di espresso. Certo, è la grande forza che ha lei. Dà realtà all’immaginario, all’immaginazione. Solo che il personaggio che viene fuori non è più Dacia Maraini, il suo pensiero, ma una Dacia immaginata da me, la figurazione nel pensiero che un lettore – in questo caso io – si fa di lei. È soltanto un’interpretazione, che offre delle tracce.

  1. La copertina. Chi, come, quando e perché?

La copertina è opera della redazione, la foto è di Roberto Maggiani. Ecco cosa scrivono gli editori della scelta della copertina, da me condivisa:

“Le nostre copertine cercano di esprimere un sentire in equilibrio tra il reale e l’immaginario, cercano un significato che stia alla radice dell’invenzione letteraria. La radice non è mai pulita, è la parte dell’albero che si insinua nelle profondità del terreno in cerca del fluido vitale, necessario a innalzare l’albero verso il sole. “Il tempo tessuto di Dio” è un saggio, un ritratto filosofico immaginario di Dacia Maraini nella cui opera e nei personaggi che in essa vivono, Margherita Pascucci cerca e trova elementi universali che vanno a innestarsi nella storia umana, in molteplici diramazioni che diventano una sorta di tessuto temporale, dunque storico, sul quale è possibile riconoscere la quasi millimetrica scrittura di Dio, con caratteristiche che possono anche apparirci in forme note ma la cui essenza più profonda può assumere “colori” e proprietà del tutto diverse dalle nostre attese. Al di fuori di tale focalizzazione che cosa ne sappiamo noi del carattere dell’esistenza e del reale pensiero di Dio? Il bianco è lo spazio del mistero.”

  1. Come hai trovato un editore?

Ho mandato Il tempo tessuto di Dio a molti editori, ma nessuno ha risposto.

Un caro amico traduttore, Giuseppe Girimonti Greco, mi ha parlato de Il ramo e la foglia edizioni e mi ha proposto di mandare loro il testo. E loro in poco tempo mi hanno dato una risposta affermativa. È stato un incontro felice.

  1. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

A tutti, anche se inizialmente sembra un libro specialistico (il saggio) o ostico (la sua composizione intrecciata). Credo che con un po’ di curiosità a farsi trasportare in un linguaggio e un’immaginazione a cui non si è abituati, possa parlare a tutti.

  1. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

La casa editrice sta facendo un ottimo lavoro con l’ufficio stampa (contatti a tappeto di blogger, scrittori, giornalisti, studiosi), da cui nascono recensioni, interviste, possibilità di presentazioni.

  1. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legato e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa)

“[Una sera, una mattina]

Lettera non spedita

Oggi è un momento di calma – il cielo torrido sta per essere attraversato da una tempesta, si sentono i tuoni ma ancora non c’è acqua e l’azzurro è imperturbabile. Sembrano quei cieli di Bestie di Tozzi, dove le allodole si buttano a capofitto. In realtà ora, qui, è troppo caldo, e le nuvole insieme all’azzurro sono sospese come in un fermo immagine… Mi chiedo, ma che senso ha continuare a scrivere come se lei potesse leggere, come se potesse rispondermi, come se fossimo davvero in un dialogo? E addirittura un dialogo in differita, io che scrivo un saggio su di lei, rileggendomi cercando di immedesimarmi nei suoi occhi che scorrono queste pagine, cercando di fare da contrappunto. Un dialogo in differita e indiretto, in cui si innestano, come un grande discorso indiretto libero, i miei pensieri che cercano di dire i suoi. Mi deve perdonare, ma in questo viaggio dentro la sua scrittura, leggendo il giorno quando e dove posso, e soprattutto la notte, mi sembra di averla qui. E non riesco a trattenermi, mentre leggo devo scrivere, in un movimento pressocché auscultante. E immagino di averla qui. È un’illusione, lo so, come quelle meravigliose che ogni arte regala, e di cui la scrittura è per me la più ammaliante. Il tempo cambia le cose, i pensieri, le relazioni, quindi chissà, potrebbe forse avere un piccolo spazio di desiderio per un ritratto filosofico dal vero? Mi spiego – continuo a essere così sbadata e astratta nella comunicazione con lei, parlo, parlo e non le dico in concreto cosa voglio: per ritratto filosofico intendo descrivere, attraverso un dialogo con lei sulle sue opere e il suo pensiero su alcuni temi importanti, da lei scelti, la sua filosofia. Trovo che nella sua prosa sia nascosto un profondo pensiero filosofico e mi piacerebbe portarlo alla luce con lei. Da sola non posso farlo, è il suo ed è in nuce, solo lei può farlo diventare espressione. Se lo volesse, mi piacerebbe poter venire a trovarla prima di ottobre. Non le porterei via tempo prezioso, glielo prometto. Mia madre è pittrice, fa ritratti. Per anni ha dipinto per amore e progettato case per amici, trompe-l’œil, quadri e, soprattutto, ritratti. È sempre stata molto veloce a cogliere quel tratto fondamentale e misterioso del carattere in un’espressione del volto. Però aveva sempre, e ha tuttora, bisogno di una manciata di ore con la persona da ritrarre. Io non sono altrettanto veloce, e so che il tempo di questo ritratto filosofico si distenderà oltre qualche ora. Comporre due immaginazioni richiede forse più conoscenza, e più tempo – ‘ontologico’ direbbe il filosofo – di un dipinto. Per questo mi piacerebbe passare un piccolo frangente di tempo ‘ontologico’ con lei, per poter intravedere quei tratti invisibili di cui la filosofia si nutre, e che realtà e immaginazione vivono e tessono alacremente.  A me basterebbe, per iniziare, una sera e una mattina. Ecco, il velo si sta squarciando e la tempesta è qui. E uno Schumann meraviglioso rivisitato da Uri Caine ha ripreso a suonare.” (Il tempo tessuto di Dio. Ritratto filosofico immaginario di Dacia Maraini, pp. 65-66)

Ricordo il momento esatto in cui l’ho scritto, è stato il filo a piombo, il momento di svolta nella scrittura stessa.

  1. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

Che il testo possa circolare e venga letto trasversalmente, anche da chi non conosce bene Maraini. Soprattutto possa arrivare a chi non ne conosce i lavori teatrali.

  1. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

      Ti senti a disagio per avere ‘messo a nudo’ il tuo immaginario su un’altra scrittrice?

  1. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Sto finendo di lavorare a due manoscritti. Uno è un testo puramente filosofico, che chiude una sorta di trilogia iniziata anni fa (con La potenza della povertà. Marx legge Spinoza e proseguita in Causa sui. Saggio sul capitale e il virtuale – sono testi di lettura del meccanismo del capitale, della povertà e della soggettività). L’altro testo cui sto lavorando è un testo letterario, sulla morte. Stavolta, anche se non lo è propriamente, assomiglia più a un romanzo, la forma saggio è sparita. Ma rimane il confronto, sotto forma di riflessione, attraverso citazioni, con un grande autore della letteratura novecentesca.

Margherita Pascucci

Margherita Pascucci, dopo essersi laureata in filosofia a Firenze, ha proseguito i suoi studi a New York, conseguendo un Master in Yiddish studies a Columbia University e un dottorato in Letteratura Comparata a New York University. Ha poi conseguito un secondo dottorato in Filosofia a Viadrina Universität, Germania, e proseguito le sue ricerche al Collège de France, Parigi e a Royal Holloway, University of London, Inghilterra. Ha insegnato e vissuto in molte città (New York, Berlino, Parigi, Londra, Dhaka, Betlemme, Abu Dis). Ha pubblicato quattro monografie e vari articoli di filosofia politica e morale (Philosophical readings of Shakespeare. “Thou art the thing itself”, Palgrave Macmillan, 2013; Causa sui. Saggio sul capitale e il virtuale, ombre corte, 2009; La potenza della povertà. Marx legge Spinoza, ombre corte, 2006; tr. in farsi Qoqnoos, tr. Foad Habibi, 2019); Il Pensiero di Walter Benjamin: un’introduzione (Edizioni il Parnaso, 2002).

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Gino Pantaleone,  Lĭbĕr – Storia della scrittura, biblioclastie, letture resistenti – Ed. EXLIBRIS. Intervista all’Autore a cura di Anna Maria Bonfiglio.

24 mercoledì Mar 2021

Posted by marian2643 in Interviste

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Gino Pantaleone, Lĭbĕr – Storia della scrittura

 

 

Con questo libro, frutto di accurate ricerche e di paziente studio, l’autore compie un’operazione di carattere divulgativo in seno alla storia della scrittura dalle origini ai nostri giorni, un excursus narrativo e critico che riguarda il prodotto libro nella sua evoluzione, dai primi segni ai codici miniati fino alla stampa, per concludere con la problematica del loro rifiuto da parte delle istituzioni attraverso il rogo. Un “libro sui libri” a certificare il valore e l’importanza che essi hanno avuto e hanno nell’evoluzione della Storia.

INTERVISTA  ALL’AUTORE

  • E’ uscita lo scorso autunno la tua ultima, in ordine di tempo, pubblicazione, Lĭbĕr, un volume di carattere divulgativo che racconta la Storia della scrittura dalle origini ai giorni nostri. Come è nata l’intenzione di affrontare un argomento così impegnativo e quale è stata la finalità che pensavi potesse avere un libro di questo genere?

Come tu ben sai ogni scrittura nasce da diverse esperienze che convergono e si concentrano fino a diventare un tema ben preciso. Ascolto, letture, studi approfonditi… la lettura dell’Epopea di Gilgamesh sumerico, del Libro dei morti egiziano, la visita alle grotte dell’Addaura, vederne i graffiti, ad esempio, sono state esperienze illuminanti. Un altro imput è stato pure l’aver presentato, da relatore, insieme al poeta Lucio Zinna, il primo volume della Storia della poesia del prof. Salvatore Lo Bue, che riguarda proprio la poesia mesopotamica ed egiziana. Il resto lo hanno fatto l’amore per i libri antichi che ho visto in varie biblioteche della Sicilia, i codici miniati, vere e proprie opere d’arte, la formulazione di un ragionamento sul perché si bruciano i libri e sul perché i libri e la loro lettura invece appassiona così tanto sino alla dipendenza. Tutto questo mi ha fatto approfondire questa ricerca. Al solo pensiero che l’Epopea di Gilgamesh, questa grande e potente opera, fu scritta in una serie di tavolette di 30cm per 30cm con caratteri incomprensibili ai più, ed oggi invece la possiamo leggere tutti, dico tutti, scritta nel nostro codice alfabetico, tutto questo non è strabiliante? Io spero che queste mie curiosità le abbiano anche i potenziali lettori del libro, di Lĭbĕr.

  • Lĭbĕr è un testo sui generis, non si inscrive nella categoria della narrativa né della saggistica e meno che meno in quella della poesia, a quale genere di lettori hai pensato nel comporlo? E quale è stato il nucleo generativo del libro?

Per la stesura di questo volume ho consultato diciotto libri, quindici siti specializzati, ho dovuto chiedere alcune autorizzazioni per la pubblicazione di immagini a musei, siti e persone; alcuni mi hanno chiesto soldi, altri mi hanno negato di pubblicare, ad altri è bastato inviargli due copie del libro per farmi pubblicare un’immagine (ad esempio il Museo delle Civiltà di Roma per la Fibula Prenestina). Ho visitato due biblioteche per completare il lavoro sui codici miniati ed ho pubblicato foto di libri fatte sui leggii e tra gli scaffali. Insomma, vista la vasta mole di lavoro nella ricerca, penso che Lĭbĕr si avvicini più alla saggistica. Se lo avessi scritto per ciò che ho letto, sarebbe diventato un vero e proprio macigno, io, invece, ho pensato di renderlo fruibile a tutti raccontando si, l’evoluzione della scrittura, ma includendo momenti di vita vissuta e inserendo un cospicuo numero di curiosità che, nel complesso lavoro di interpretazione delle varie scritture, diventano lo stimolo principale, il vero sale della lettura di questo volume. Penso che i lettori di Lĭbĕr potrebbero essere i buoni lettori di libri, in quanto libro che parla di libri nella sua storia, nella sua nascita, nelle forme assunte nel tempo, nei materiali utilizzati sino all’invenzione della stampa. Altri lettori potrebbero essere coloro che amano conoscere l’evoluzione delle varie forme di comunicazione, dal graffito, alla cuneiforme, al geroglifico, al primo alfabeto fenicio, il susseguirsi delle varie scritture sino al latino e al medioevo da cui la nostra lingua attuale ha preso forma.

  • Prima di Lĭbĕr tu hai pubblicato quattro raccolte di poesia, due saggi e un testo che raccoglie le interviste ad alcuni poeti palermitani di lunga militanza, tre diverse categorie di scrittura, quale delle tre è stata quella a cui ti sei accostato per prima, e quale quella che senti ti appartenga maggiormente?

Il mio primo amore indubbiamente è la poesia. Chi mi conosce bene, e tu sei una di queste, sa bene da quanto tempo io mi sono gettato sui versi anche se il mio primo libro è datato 1995, Urla di dentro e il secondo 1997, Io così, se volete. Si, è vero, poi sono sparito. Per una decina d’anni, ho dovuto affrontare una parte impegnativa della mia vita, anche se, nel frattempo ho ascoltato, e per ben quattro anni, le lezioni di Poetica e Retorica a Lettere tenute dal prof. Salvatore Lo Bue. Poi, nel 2007 è uscito Il vento occidentale, altra raccolta di poesie. Quindi, amo la poesia, sentita, studiata, approfondita. Il libro che tu citi sulle conversazioni intraprese con poeti e poetesse siciliane di lunga militanza, tra le quali ci sei anche tu, mi ha dato possibilità di prendere consapevolezza di molti fattori relativamente alla funzione creativa, alla formazione dello stile, all’evoluzione personale della versificazione soggettiva in riferimento alla propria vita vissuta, alla propria esperienza, al proprio modo di interpretare la poesia. Un altro lavoro-studio per me questo testo, penso anche un ottimo abbecedario per chi vuole intraprendere questa complessa strada che ha come obiettivo finale spandere bellezza. I miei libri mi appartengono tutti, ma se devo fare un resoconto affettivo, il saggio al quale sono più legato è Il Gigante Controvento – Michele Pantaleone, una vita contro la mafia, è stato quello che ha avuto un consenso indescrivibile, ho fatto più di settantacinque presentazioni in Italia tra circoli culturali, sedi di associazioni e scuole di ogni ordine e grado. A zio Michele (lo chiamavo così ma non abbiamo mai saputo se fummo parenti), uomo scomodo e per questo diffamato e delegittimato, glielo dovevo. Ed è anche grazie al libro che allo scrittore di Villalba è stata dedicata una via a Palermo.

  • Quale fra i tuoi libri finora pubblicati è quello di cui ti senti maggiormente soddisfatto e perché?

Tra i libri di poesie, per quello che mi riguarda, i Canti a Prometeo sono quelli che sento più vicini a me in quanto hanno avuto una lavorazione di ben undici anni. Un genere poetico fuori moda trattandosi di ventidue sonetti, un lunghissimo lavoro di labor limae, che avrò abbandonato e ripreso centinaia di volte, iniziato nel 2007 e che ha visto la luce solo nel 2018.

Per la saggistica penso proprio che Lĭbĕr sia il frutto di una giusta ed equilibrata maturazione anche se non mi aspettavo questa grande attenzione che quotidiani, riviste, programmi radio, scrittori e amici comuni stanno dando al testo. Evidentemente l’oggetto libro, nel suo essere estremo, pericoloso sino ai roghi e bello sino alla dipendenza, desta eterno interesse.

  • Quali sono stati gli artisti, poeti o scrittori in prosa, che hanno contribuito alla tua formazione di autore letterario e in che modo?

Autori che ho studiato a fondo e che mi hanno segnato in genere nella poesia sono Shakespeare, Dante, Leopardi, Pessoa, Negri, Rilke, Caproni, Achmatova, i Lirici Greci, Hemingway, Tagore, Baudelaire, Horderlin, Merini… l’elenco è lungo ma questi credo siano da me i più letti e apprezzati. Narrativamente Dostoevskij, Valery, Yourcenar, Calvino, Balzac, Goethe, Mandel’stam, Pirandello, Wolf, Wilde… anche qui, l’elenco è lungo ma ho citato quelli che mi sono venuti per prima. Leggo soprattutto e volentieri i poeti e le poetesse di casa nostra, che conosco e che apprezzo. La lettura è una forma di apertura a trecentosessanta gradi. C’è chi scrive della cruda realtà, chi invece è visionario e rappresenta l’inesistente, chi riesce a raccontare i propri sogni, c’è chi sta a cavallo tra il sogno, la visione e la realtà. Ed è da queste letture e dalle personali prove di scrittura che ognuno di noi forma il proprio stile che diventa il vero suggello, come la firma in calce.

  • Quali sono i tuoi prossimi progetti di scrittura?

Dopo aver scritto un libro per bambini dal titolo Alice in wonderland a Palermo, fra non molto verrà pubblicato Alice in wonderland sul Parco delle Madonie, patrocinato proprio dall’Ente Parco delle Madonie. Così come Alice sogna e si perde a Palermo descrivendone le bellezze e facendosi descrivere i posti più belli di Palermo da personaggi inesistenti, la stessa cosa succede sul Parco delle Madonie attraversando i quindici comuni che lo rappresentano in un racconto realistico e nello stesso tempo fantastico. Per il resto sto tornando alla poesia con i miei Studi sulle attese. Si, si chiamerà così la mia prossima raccolta di poesie, ma per il momento non diciamolo a nessuno.

Gino Pantaleone

NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA

Gino Pantaleone è nato e vive a Palermo. Ha pubblicato quattro raccolte di poesia, tre saggi di carattere socio-politico e il libro di interviste ad alcuni autori siciliani Entronautica. Ha ottenuto diversi riconoscimenti in campo nazionale fra cui il premio speciale della giuria al concorso letterario Piersanti Mattarella. E’ autore di una rivisitazione della fiaba di Alice dal titolo “Alice in Wonderland…a Palermo”.

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Domenico Pisana: “Nella trafitta delle Antinomie”. Edizioni Helicon, 2020. Quattro poesie e una intervista

12 venerdì Mar 2021

Posted by adrianagloriamarigo in Interviste, MISCELÁNEAS

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Adriana Gloria Marigo, Domenico Pisana, Nella trafitta delle Antinomie

Domenico Pisana: “Nella trafitta delle Antinomie”

Edizioni Helicon, 2020

Prefazione di Dario Stazzone

Quattro poesie e una intervista

 

Dalla prefazione di Dario Stazzone

 

«Come ogni atto poietico e poetico anche Nella trafitta delle antinomie è testimonianza di fede nella parola, sostenuta dalla fede dell’autore. Ma la nostra contemporaneità è segnata da una parola sempre più retorica, cinica e interessata, una parola che perde capacità di significazione e possibilità di raggiungere l’altro. Per questo i versi della prima sezione, Tettonica della contraddizione, ci consegnano una continua e inquieta meditazione, il sogno di una rinnovata onomathesia, la necessità di un rinnovato ascolto della Parola. (…) Ma il caos babelico ha ormai preso il sopravvento, ha determinato la confusione delle favelle, la frattura tra res e verba (…)

La cifra civile della poesia di Pisana è evidente in Passaggio in Italia, dove «silenzio e sdegno di un popolo diviso mi fa eco», in Passaggio in Europa, dov’è incastonato un forte interrogativo: «Ma che vale l’irenismo se ora / cade la memoria, se tutto scivola nell’imbuto / della dissolvenza a materia del golpe, la verità rimane». Questi versi possono essere ricondotti alla tradizione poetica dell’indignatio, vigorosa in seno alla letteratura italiana fin dalle sue origini, da Dante al Petrarca della canzone All’Italia, da Machiavelli che nella conclusione del Principe cita i versi della canzone petrarchesca nell’ambito di una più ampia e veemente adlocutio agli italiani ad una pletora di secentisti, dal Leopardi delle canzoni del 1818 al tentativo foscoliano di fondazione di una laica religio.

La raccolta di versi di Pisana riserva una sorpresa, un’Appendix che raccoglie una successione di ritratti in versi di poeti ed artisti, un’isola in cui si respira un’aria pura che sembra concepita in contrappunto all’aspra realtà rappresentata. Ma una citazione tratta da Ovidio, esergo a questa più breve sezione, ci ammonisce contro la perdita di memoria e le umane ingenerosità: «Finché sarai illeso, potrai contare numerosi amici, ma se il tempo si abbuia, allora sarai solo».

Intersecando la sua voce con quella di altri poeti, evocando le immagini di un grande pittore, Pisana ci riconduce a ciò che è realmente umano, all’irrinunciabile valore tetico della parola e dell’immagine, contro l’odierno universo di barbarie.»

 

Le lingue incespicano

 

Quanta umanità smarrita hai già narrato,

anima mia, voce solitaria nel deserto:

dalla notte rifluisci all’aurora,

dall’aurora torni ad abbracciare la notte,

per via ti tracima la lucerna.

Senza amore, senza forza

di speranza – ma vedi come il sogno

lentamente si dilegua nel tramonto –

a volte ti innalzi illuminata

dalla fede, a volti ripiombi nell’abisso.

Parli la Lingua dell’Eden che ti fu data;

esisti, come sia lo chiedo ancora

al cielo, a questo tempo in cui

le lingue incespicano

su simboli sbagliati

aumentando l’infelicità del mondo,

a questa ora in cui più forte

ogni popolo – forse – dà nomi errati alle cose

implorando la sera della tirannia

che le stelle fuggono e rischiarano.

 

 

Pensando di cambiare

 

Se non cambia il cambiabile

l’incambiabile è il nostro futuro,

disegno di parole versate sul letto del fiume,

raccolte da canoe in cerca di successo.

Viviamo di pensieri che non sono Parola,

si contano sillabe, suoni e insulti

si plagiano bellezze, costruiscono gabbie

si appicca il fuoco, si colorano le nuvole,

diventano amore, odio, inferno e paradiso.

Bruciamo parole per reggere tesi, costruire

castelli con muri di cinta, frugare

nell’anima di uomini soli, si erigono sepolcri

e accendono fiaccole, sono lame e carezze,

miele e fiele, rose e spine.

Mi turbano opere di cuori perversi, sagome

di follia in valigie di morte, virus

d’invidia custoditi nel petto, maschere

di tenebre travestite di angeli, alchimie

d’arcobaleni per assalti di pioggia.

E chi non vede e non sente apre la strada

al silenzio che odora di veleni,

di sangue e di paludi, distrugge la speranza

che l’acqua prevalga sui roghi del male.

Pensando di cambiare, abbiamo

dimenticato di cambiare

noi stessi.

 

 

Nel fossato di parole

 

Leggera piuma ormai sono le pagine,

da tutti osservato

con esse io sto nella mia anima,

mi sento granello di sabbia;

al di là dell’ombra e della nuvola rossa

si nasconde il pensiero

si sbriciolano le certezze

ed il muto dolore

per cui paventasti con assenza d’amore

questo sangue della notte

e la sua tenebra travestita di luce.

Del mio pianto sfavillano gli specchi

ed i frutti di casa mia,

le forbici son per prime

sul crinale madido di lingue,

tutta la trasparenza dell’acqua è nella fogna

tutto l’amore della croce nel ghiaccio

e fanno rime con le forbici.

Di città in città si piangono i feriti

nel fossato di parole

e il sole di giustizia sbiadisce

su un’altra pagina di morte.

 

 

Ad Andrea Zanzotto

(Dietro le quinte)

 

Esili ormai sono le parole,

da molti isolato

con esse io convivo nella mia terra,

mi sento un ramo d’ulivo;

oltre il muro e la collina colorata di luci

si riaccendono i sogni

si sveglia la notte

e la pallida speranza

per cui vale resistere

a pantomime di latente potere

recitate nei palazzi che sanno d’antico.

Del mio canto suonano i pensieri

e le ore attendono l’uomo unto di magie,

le città sono vuote di fiducia

con lo sguardo al cielo madido di veleni,

tutta l’aria cristallina è nel pozzo

tutto il fumo nelle apparenze

e fanno squame sugli occhi.

Di giorno e di notte si battono le mani

nella morbida distruzione

e il rosso del tramonto si curva

su un’altra pagina di luna.

 

 

Intervista

 

  1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

La domanda apre nella memoria momenti legati alla mia adolescenza. È fra i banchi di scuola dello storico Liceo Classico “T. Campailla” di Modica che ho cominciato a scrivere versi. L’input, in quel periodo (eravamo tra la fine degli anni ’60 e gli inizi degli anni ’70), mi venne dal mio docente di Lettere, morto il 7 gennaio scorso a 90 anni, che era un fine poeta, un saggista e critico letterario.  Le sue lezioni, la lettura dei versi di autori della letteratura italiana e latina, che egli  faceva con grande pathos interiore, suscitavano in me un fascino ed una attrazione forte. È sin dalla mia vita scolastica, insomma, che è nato l’amore per la poesia.                        

2. Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la vita e l’arte?

Ogni epoca storica ha avuto i suoi poeti. Dai tempi delle mitologie, delle antiche letterature orientali, dalle Teogonie di Esiodo e dai lirici greci ai poemi omerici, per passare a Dante, Petrarca e fino al XX secolo, la poesia ha avuto le sue figure e i suoi personaggi di grande rilievo, che hanno lasciato un segno nella storia della letteratura. Riconosco che questo patrimonio poetico che abbiamo alle spalle continua, in un modo o in un altro, ad avere proiezioni ed influenze sulla  dimensione del mio poetare, ma  con l’obiettivo di ripensarlo rispetto alla condizione esistenziale dell’uomo di oggi. Carducci, Pascoli, Montale, Quasimodo, Ungaretti, Rebora, Zanzotto, Saba sono alcuni dei miei riferimenti letterari italiani, mentre per gli stranieri sono miei riferimenti i poeti francesi Baudelaire, Verlaine, Mallarmé e Rimbaud, ed ancora i poeti Lorca, Neruda, Tagore e Gibran.

Dentro questa geografia di riferimento ritengo che la poesia debba essere ripensata in “senso intuizionista”, cioè nella direzione dell’ “intuire”, cioè dell’ entrare dentro questo nostro tempo per fare venire alla luce il “perché” questa nostra società post moderna sta andando sempre più alla deriva. Dentro alla rilevante fioritura poetica contemporanea, ritengo sia necessario trovare “convergenze di poetica” che siano frutto di una “intuizione della storia”, in grado di trasformarsi in arte e comunicazione poetica. Credo in una poesia con un’idea di poetica. Fare poesia non è certo un mestiere, ma non può essere neanche un gioco; se il poetare diventa il pastiche-passatempo di anime belle, cioè lo sfogo di emozioni che coinvolgono il sentimento, la denuncia o il lamento di cose che non vanno, con versi che in tutto o in parte rielaborano brani tratti da opere preesistenti, per lo più con intento imitativo, credo sia difficile per la poesia contemporanea lasciare un segno negli anni a venire.

3. Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai con i luoghi dove sei nato o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

I luoghi in cui sono nato e vivo entrano molto nella mia opera poetica. Questi, infatti, non sono  per me pure e semplici ambientazioni, sfondi coreografici, contenitori retorici che distolgono l’attenzione del lettore dai contenuti, ma  conglomerati di senso e di significato che la poesia, in particolare, avoca a sé ogni qual volta percorre la strada di una seria riflessione sull’esistente e sul fenomenico. Ecco, dunque, l’importanza dei  luoghi iblei nella mia poesia, tant’è che ho anche pubblicato a riguardo, una silloge bilingue (italiano–inglese) Odi alle dodici terre, Armando Siciliano editore, 2016, dove la mia scelta di cantare in versi i luoghi della terra iblea non si configura come  un mettere in fila sfondi di paesaggi e “contenitori retorici” né rappresenta una opportunità letteraria quant’anche interessante, ma piuttosto un modo di recuperare, descrivere, esaltare e dare significato ad una terra plurale, composita (“signorile e rusticana”, direbbe Bufalino), con città, campagne, mare, coste dalle peculiarità individuali ben definite; i luoghi da me individuati e cantati nelle Odi ricompongono allora, attraverso la mia sensibilità e il mio sentire poetico, i tratti distintivi, fondativi, identitari di una terra, di una civiltà:  ad ogni città iblea dedico odi poetiche, facendone risaltare valori, bellezze, paesaggi, architettura e tradizioni aprendo nel lettore una sorta di dialettica poetica tra storia e memoria.

 

4. Ci parli della tua pubblicazione?

La mia ultima pubblicazione, Nella trafitta delle antinomie, è dell’agosto 2020, ed esiste sia in versione italiana, pubblicata da Helicon di Arezzo,  sia in versione rumena, În străpungerea antinomiilor, pubblicata dalla casa editrice Editura Școala Ardeleană; è stata recentemente insignita dal Centro Lunigianese di Studi Danteschi del “Premio speciale della Critica” nel quadro della XIII Edizione del Premio Internazionale di Poesia per la pace universale “Frate Ilaro del Corvo”. I versi di  questa raccolta – come fa rilevare molto bene anche il prefatore Dario Stazzone dell’Università di Catania nonché Presidente della Dante di Catania – si riconducono alla tradizione poetica dell’indignatio, vigorosa in seno alla letteratura italiana fin dalle sue origini, da Dante al Petrarca della canzone All’Italia, da Machiavelli che nella conclusione del Principe cita i versi della canzone petrarchesca nell’ambito di una più ampia e veemente adlocutio agli italiani ad una pletora di secentisti.

 

5. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Certamente io non l’ho partorita con una finalità specifica, ma con la consapevolezza  che  scrivere versi è sempre un modo per essere di più legato al mondo; potrà o meno piacere, ma sono convinto che  il poetare non deve staccarsi dalla vita nelle sue articolazioni storiche, politiche, sociali, filosofiche, religiose, di idealità, passioni, difficoltà e speranze; del resto sono convinto che la coltivazione della poesia come valore a sé stante o come insieme di dilettazioni poetiche disancorate dalla vita e dal suo sitz im leben resterebbero solo flatus vocis destinato a dissolversi.

Dunque credo, sulla scia della Tradizione letteraria internazionale, che questa mia ultima opera presenti contenuti, linguaggi e forme che non ignorano i “segni dei tempi”, e che tengono conto del contesto e dell’uomo contemporaneo al quale la mia parola poetica spero possa arrivare.

6. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

Questa mia opera nasce – come bene ha anche fatto rilevare in una sua nota di analisi il critico letterario Federico Guastella – dalla contestazione delle degenerazioni socio-politiche, e col bisogno di fare continuamente i conti col disagio; ragion per cui si sviluppa nell’impegno costruttivo del “dover esserci” come soggetti di continua prassi. Si tratta di poesia civile, dunque, entro l’ampio respiro del “fare anima”, nel senso che vi si trovano delicate, intime suggestioni in un’atmosfera di umana universalità; di una poesia che, dettata dalla necessità di scendere nelle profondità dell’uomo e della società, si radica in vigorosi moduli etico-linguistici, dove la parola è vissuta come innamoramento per farsi dirompente nella ricerca del vero quale misura di vita.

7.Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale” scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi oppure a poco a poco? E poi con sistematicità, ad orari prestabiliti oppure quando potevi o durante la notte, sacra per l’ispirazione?

Neruda coglieva un aspetto essenziale e fondamentale nella vita di un poeta, e cioè quello dell’ispirazione, della folgorazione – oserei dire-; come San Paolo sulla via di Damasco, il poeta vive un momento in cui cade dal cavallo grigio della quotidianità e intuisce qualcosa dentro che lo porta a scrivere, a ritirarsi, a dare alla parola la sua forza espressiva per interpretare un sentimento che è suo, ma che diventa collettivo, di tutti e che si fa epifania di una essenza metafisica universale.

Personalmente ho scritto questa raccolta progressivamente e quando mi sono sentito ispirato; io credo molto nell’ispirazione e sento la poesia come una dilatazione dell’anima che partorisce una parola che si fa linguaggio; il verbo dilatare è allusivo: potremmo cogliere una analogia tra la dilatazione dell’utero della madre proprio nel momento in cui dà alla luce un figlio e la dilatazione del sé del poeta che partorisce un testo poetico. C’è in entrambi i casi la sofferenza di un parto: fisico quella della madre, metafisico quello del poeta. Ecco, è l’ispirazione poetica, anzitutto, a svolgere nel mio poetare  un ruolo importante; l’ispirazione, certo, non è da intendersi come una speciale rivelazione né come uno scrivere di getto quasi sotto dettatura, ma è l’intervento del pensiero pensante, del sentimento, di uno stato d’animo, che si fanno presenti in modo straordinario al poeta , la cui intelligenza, è resa capace di concepire idee, immagini, figure, simboli e di formulare contenuti, particolarmente rilevanti all’interno di una struttura metrica e di un codice lessicale, per l’identità di una comunità civile. Nell’ispirazione poetica di questa mia raccolta, dunque, hanno interagito contemporaneamente tre ordini di facoltà: la concezione dei contenuti, che in questa opera sono sociali, politici, satirici, esistenziali, di respiro collettivo; la volontà di esprimerli in una data forma stilistica e l’atto concreto dell’espressione di questi contenuti.

8.La copertina e il titolo. Chi, come, quando e perché?

Il titolo dato a un qualsiasi libro ha una funzione di sintesi in cui è racchiuso il senso dell’architettura espositiva. In questa mia ultima raccolta due sono i lessemi che la specificano e guidano: “trafiggere” e “antinomia”.                                                      Il termine “antinomia” da un punto di vista filosofico evidenzia un contrasto fra due concetti opposti che per Kant non è risolvibile con l’uso della ragione: tra tesi e antitesi c’è una contraddittorietà che le pone sullo stesso piano di validità. Da qui l’impossibilità di operare una scelta a favore dell’una o dell’altra. A me è stato più congeniale pensare all’albero edenico della conoscenza, nonché alla condizione dell’uomo che nella concretezza del momento storico vive sulla propria pelle le irrazionalità del sociale.  I miei versi lunghi nascono difatti da questa realtà resa nella prima parte dell’opera: è la lirica d’apertura, Le lingue incespicano, ad evidenziare il motivo tematico fondamentale, quello di un cosmo regolato dalla complementarietà di coppie contrarie (notte/giorno; sogno/tramonto; fede/abisso; vero/falso). Il “trafiggere” esprime invece  la brutalità, la violenza, la crudeltà che di prepotenza entrano nei rapporti tra gli uomini, deformando volti e situazioni.

La copertina della silloge reca il dipinto di René Magritte L’uomo allo specchio, ora al museo Boymans di Rotterdam. In piedi di fronte ad uno specchio, osserviamo un uomo di spalle che è vestito elegantemente. Indossa un abito scuro e ha i capelli accuratamente tagliati. Un ritratto dai dettagli ben definiti: dalla cornice dorata alla mensola in marmo di un caminetto. Eppure il suo volto è invisibile: nell’immagine riflessa, l’uomo è ancora visto di spalle. A vedersi nettamente è invece il libro sulla mensola: Le avventure di Gordon Pym di Edgar Allan Poe, probabilmente amato dal committente. La sua essenza resta nascosta, negandosi allo sguardo. Anonimo dunque il personaggio e inquietante come il volto indistinto del “Potere”, che secondo me ha fatto perdere il linguaggio del mondo sempre più posseduto dal buio, dove tutto appare doppio nella illeggibilità di una realtà abitata dal disordine e dalla asimmetria.

  

9. Come hai trovato un editore?

In realtà non ho cercato un editore,  in quanto  a seguito della mia classificazione al I posto al  Premio Internazionale di Arte Letteraria “Il Canto di Dafne” con un saggio letterario inedito dal titolo Quasimodo, Rebora e Garcia Lorca: Poetas que tienen el fuego entre sus manos: percorsi di umanesimo, spiritualità e poesia sociale, ho vinto, come previsto dal bando, un contratto editoriale per la pubblicazione gratuita di una raccolta di poesie o di una raccolta di racconti o di un romanzo a cura delle Edizioni HELICON di Arezzo, nonché diploma artistico personalizzato e targa. Nella trafitta delle antinomie nasce così. In secondo luogo a proporre la pubblicazione in Romania lo scorso novembre e ad occuparsi della traduzione è stato Stefan Damian, poeta, scrittore, saggista, filologo e direttore della cattedra di lingue e letterature romanze, Facoltà di lettere dell’Università Babeș-Bolyai,  che ha tradotto numerosi libri di narrativa, poesia, saggistica, storia dall’italiano al rumeno e dal rumeno all’italiano.

 

10. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

Poggiando il libro su temi di poesia sociale, ed avendo esso una prospettiva cognitiva, filosofica, antropologica, etica ed estetica , credo abbia un ampio spazio di movimento per poter essere letto. Ad ogni buon conto, applico a me stesso le parole che Henry James, scrittore e critico letterario statunitense, noto per i suoi romanzi e i suoi racconti sul tema della coscienza e della moralità, rivolgeva a se stesso: «Meglio essere attaccato che passare inosservato. Perché la peggiore cosa che si possa fare a uno scrittore è non parlare delle sue opere».

 

11. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

L’opera si trova ora nel portfolio editoriale della casa editrice rumena Editura Şcoala Ardeleană, che comprende importanti titoli di letteratura transilvana, ma anche saggi, teologia, arti visive, psicoanalisi, spiritualità, storia letteraria, filosofia, studi culturali, teatro, nonché articoli accademici, tesi di dottorato e altri articoli scientifici e universitari e traduzioni di autori della letteratura straniera (inglese, spagnolo, italiano, portoghese, ceco, serbo, ungherese, ebraico, giapponese e russo). In  Italia le Edizioni Helicon hanno patrocinato una campagna di promozione, tant’è che la versione italiana del libro si trova in diverse distribuzioni on line: www.mondadoristore.it, www.ibs.it , www.bookdealer.it , www.libraccio.it

 

12. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legato e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa)

Paradigmatica è per me, in questa pubblicazione, la poesia Suolo e sottosuolo, ove spicca evidente l’antinomia:

 

“Quando mi adagio al suolo appare tanta bellezza:

volti smaglianti, bicchieri trasparenti, filari tessuti

di ricami, intarsi costruiti con marmo di Carrara,

eloqui caldi di parole e di “mi piace”: sembra che sia

dappertutto  sole, luna che ispira parole d’amore, 

stella che ti fa sognare mare che t’apre all’infinito.

Il corno suona giustizia e speranza, il lupo e l’agnello

pascolano insieme nei campi madidi di miele,

l’odio e l’amore s’abbracciano alla bisogna.

Quando mi adagio al suolo, ogni voce annuncia

il  paradiso, ogni viso pratica la giustizia,

si indigna, versa lacrime, dice la verità e ama

d’amore sincero e passionale.

 

Quando scendo nel sottosuolo, rimango strabiliato,

i miei occhi s’impaurano, arrossiscono:

trovo animali feroci, persone cambiate,

in rivolta, infelici e dannati.

Raccolgo gramigna, bicchieri sporchi,

filari intemperanti, urla, sguardi abbuiati, noia,

volti soli, senza vita e senza maschera.

 

Quando scendo nel sottosuolo, sento che il corno

suona per sé, mi vedo agnello in mezzo ai lupi, odoro

fiele  e non più miele, mi sperdo nell’olimpo degli dei

ove ognuno adora se stesso in mezzo al sangue di innocenti.

Trovo il vero suolo: anime assetate d’amore, pianto

e lacrime, persone con le spalle curve, sguardi in cerca

di sorrisi, agnelli in attesa del pastore che dà senso.

 

Quando scendo nel sottosuolo, trovo animali smarriti

in cerca di persone, volti che cercano il cielo, la luna,

le stelle,  sottratti alla maschera del giorno.

 

Vorrei rimanere nel sottosuolo senza cambiare identità,

per dire che l’amore è ciò che più conta,

sognare sogni di libertà, cantare il canto della speranza

con le mani verso il cielo, abbracciare la terra

dal legno della croce, costruire il mondo senza guerra

e senza odio, fare delle mie mani una coppa di neve.

 

Spesso non resta che adagiarsi al suolo

inferno vellutato di paradiso, arma di difesa

per non morire:

uno, nessuno, centomila! 

 

 

13. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

Non ho particolari aspettative. Continuo a credere in una poesia dinamica, che si evolve restando radicata in un umanesimo che riesce ad innovare, a sperimentare senza perdere il contatto con la tradizione, con la storia, con la società. Personalmente non mi appassiona il purismo lirico disancorato dal reale, dalla conoscenza e dalla filosofia, né il prosaicismo privo di tensione morale. Rispetto a quest’opera, spero che i miei versi – per dirla con Montale – non rimangano “spoglie morte”, ma che trovino accoglienza tra i pochi lettori di poesia.

14. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

Come mai ha scelto come epigrafe del libro la frase di Leonardo Sciascia “Nessuno è al di sopra di ogni sospetto”?

 

15. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Sì, ho parecchi lavori in corso. Un’altra raccolta dal titolo provvisorio L’esilio della notte. E ancora un testo di critica letterario Donne in poesia: si tratta di una panoramica su alcune significative voci femminili contemporanee della poesia italiana; e infine  un saggio dedicato a poeti contemporanei stranieri.

 

 

Biobibliografia

 

Domenico Pisana è nato a Modica nel 1958. È laureato in Teologia ed ha conseguito il dottorato in Teologia Morale presso l’Accademia Alfonsiana dell’Università Lateranense di Roma. Pisana ha pubblicato con editori di caratura nazionale ed europea, come la San Paolo, la SEI, la Albalibri di Livorno, le Edizioni del Rinnovamento di Roma, la Inumea di Bucarest, la San Pablo di Bogotà, la casa editrice polacca 4 KP di Varsavia, ma anche con medie e piccole case editrici. Ha pubblicato: 9 volumi di poesie, 8 libri di critica letteraria, 11 testi di carattere teologico ed etico, 3 volumi di carattere storico-politico. In quasi un trentennio di fiorente attività letteraria, si sono occupati di Domenico Pisana la rivista di Letteratura greca Pancosmia Sunergasìa, l’Antologia poetica Romanta in italiano, inglese, francese e tedesco, gli autori Irena Burchacka e Anna Sojka che hanno tradotto in polacco l’opera teologica di Pisana Sulla tua parola getterò le reti, tradotta anche integralmente in versione spagnola da Augusto Aimar; ed ancora si sono occupati di Pisana il poeta e critico letterario rumeno Geo Vasile, che ha tradotto il suo saggio Quel Nobel venuto dal Sud. Salvatore Quasimodo tra gloria ed oblio  e la poetessa Floriana Ferro che ha tradotto in inglese il suo recente volume Odi alle dodici terre. Il vento, a corde, dagli Iblei.

Di Domenico Pisana si sono anche occupati “Il Giornale Italiano de Espana” di Madrid,  il Giornale on line “L’ItaloEuropeo Independent” di Londra, la rivista francese “La Voce” di Parigi, la rivista letteraria internazionale Galaktika Poetike “ATUNIS”,  il quotidiano on line dell’Arabia Saudita “Sobranews.com”.

Recentemente Pisana è stato anche tradotto in rumeno da Stefan Damian, poeta e scrittore e docente di letteratura italiana presso il Dipartimento di Lingue Romanze dell’Università di Bucarest, sulla rivista romena “TRIBUNA”; è stato tradotto dal poeta e docente universitario albanese Arjan Kallco sulla rivista italo-albanese “ALTERNATIVA”,  ed è stato inserito nel volume ATUNIS GALAXY ANTHOLOGY – 2019, a cura di Agron Schele, autore albanese residente in Belgio,  scrittore di romanzi e co-fondatore della rivista internazionale  ATUNIS.

È stato ospite e recentemente  ha ricevuto riconoscimenti in importanti Festival Internazionali: in Bosnia al Festival “La Piuma d’oro”, a Istanbul in Turchia al FeminIstanbul” e il 24 novembre scorso in provincia di Massa Carrara al Festival Internazionale di Arte Letteraria “Il Canto di Dafne”.

Tra i numerosi  premi e riconoscimenti letterari ricevuti, ne ricordiamo alcuni:

– Medaglia d’oro del “Premio alla Modicanità”, conferitogli nel settembre del 2006 dall’Amministrazione Comunale e dalla Pro Loco di Modica;

– Premio “Capitale Iblea della cultura” per l’impegno profuso nella promozione della cultura e dell’espressione poetica proprie degli Iblei”, conferitogli a Comiso il 15 dicembre 2015;

– “Premio Sicilia Federico II” alla cultura per le sue pubblicazioni e attività culturali, conferitogli a il 27 novembre del 2016;

– “Premio Europeo FARFA” per la cultura e il territorio 2017, dall’Associazione Internazionale dei Critici Letterari il 21 gennaio 2017;

– Premio alla cultura “Magister vitae” conferitogli a San Vito Lo Capo (Trapani) il 2 settembre 2017;

– I° Premio internazionale “Dal Tirreno allo Jonio” conferitogli il 20 dicembre 2010 per la saggistica, nell’ambito delle manifestazioni di chiusura di Matera Capitale Europea della Cultura 2019;

-Premio speciale della critica conferitogli dal Centro Lunigianese di Studi Danteschi alla raccolta poetica Nella Trafitta delle Antinomie.

 

 

 

 

 

 

 

 

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L’intervista a Grazia Procino: “E sia”

01 lunedì Mar 2021

Posted by Deborah Mega in Interviste

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E sia, Grazia Procino

 

 

 

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni. La redazione ringrazia GRAZIA PROCINO per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: “E sia”, Giuliano Ladolfi Editore, 2019.

 

  1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

È nato parallelamente all’intensa attrazione verso i libri e la lettura; fin da bambina mi sentivo protetta e coccolata dalle parole di un libro, entravo a far parte di un mondo parallelo che mi soddisfaceva completamente. Con il tempo il desiderio di esprimermi attraverso la scrittura si è espanso fino ad annullare la barriera della timidezza.

 

  1. Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la vita e l’arte?

Sono molti, tra gli scrittori Saramago ( il primo in assoluto);  tra i poeti  Montale, Kavafis, Ritsos, i poeti meridionali Bufalino, Gatto, Bodini, Prete e il poeta caraibico Derek Walcott. Sono solo i più amati e i più letti, poi seguono altri.

 

  1. Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai con i luoghi dove sei nato o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

La mia scrittura nasce dal sangue e dalla carne, dai dolori e dalle gioie, dai tradimenti e dalle disillusioni, insomma dalla vita; ma è lo studio, l’impegno e la cura verso la parola che illumina e cerca un senso al magma originato dalle passioni del vivere. Il rapporto che ho con la mia terra, il Sud e la Puglia, è viscerale, materno, ma nello stesso tempo lucido, paterno. Fin dalla prima silloge, “Soffi di nuvole” (Scatole parlanti), la mia terra ha uno spazio privilegiato e lo è ancor più nell’ultima raccolta, che è stata pubblicata a febbraio 2021 “Di albe e di occasi” (Macabor editore), dove non solo le luci abbacinanti del Meridione donano speranze e gioie, ma anche le ombre della nostra sventurata terra forniscono stimoli di riflessioni civili e sociali. Cito un mio testo fra tutti, emblematico per la denuncia che provoca, mi riferisco a “Raccoglitrice di pomodori in una campagna pugliese”.

 

  1. Ci parli della tua pubblicazione?

La silloge “E sia” è un’esplorazione al presente del passato, da cui proveniamo, quello mitico della Grecia antica. Ho voluto ripercorrere la traiettoria culturale della tragedia classica, per questo il libro ha la struttura della tragedia greca: si apre con il prologo, si snoda in stasimi e monodie e si conclude con un epilogo. I testi sono percorsi da un’interna musicalità, quella tipica del dionisiaco tragico; mi piace pensare che per questo, otto mie poesie della raccolta sono diventate canzoni nel CD del gruppo rock “CFF e il Nomade Venerabile”, che per Paolo Benvegnù rappresentano uno dei gruppi migliori presenti nel panorama italiano.

 

  1. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Sarebbe da parte mia schietta arroganza pensare che la raccolta sia necessaria o fondamentale; forse sarà stata utile per le conseguenze che ha generato, l’occasione bellissima di partorire un progetto musicale, di cui sono felice ed entusiasta.

 

  1. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

La genesi dell’opera è rintracciabile nei racconti dedicati ai poeti Esiodo e Ibico, contenuti nella raccolta “Storie di donne e di uomini” ( Quaderni edizioni). Da lì è partita l’idea di narrare poeticamente nell’oggi lo ieri che ci ha plasmati, e ho assecondato l’onda di intenti, costruendo un percorso e dei movimenti entro personaggi e stati d’animo eterni e profondamente attuali. Quello che si legge in “ E sia” non è il passato museale, atrofizzato, ma è la classicità che dialoga ancora con l’uomo contemporaneo.

 

  1. Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale” scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi oppure a poco a poco? E poi con sistematicità, ad orari prestabiliti oppure quando potevi o durante la notte, sacra per l’ispirazione?

È stato un progetto a cui mi sono dedicata per due anni, con un impegno quotidiano fatto di ritorni frequenti sulle parole già scritte, di interruzioni dalle attività consuete per rimodellare versi già elaborati. Credo nella fatica di una costruzione che si realizza giorno dopo giorno, non nel riversamento delle parole in un solo giorno.

  1. La copertina. Chi, come, quando e perché?

È stato l’editore Giulio Ladolfi a propormi la copertina di una sobria eleganza che io ho accolto con favore.

 

  1. Come hai trovato un editore?

Non è stato facile. Un libro di poesie che riannoda il presente con il passato classico non risulta appetibile per editori tesi a impacchettare prodotti per un mercato di consumo effimero. Quando l’ho proposto a Giulio Ladolfi e mi ha contattato telefonicamente, ho capito di avere trovato la persona giusta e competente, capace di intendere la cura che c’è dietro alla raccolta.

 

  1. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

È un pubblico di due tipologie: uno attrezzato di conoscenza del patrimonio culturale classico e un altro che, pur sprovvisto, è interessato a gustare gli echi di quel patrimonio all’interno della nostra contemporanea complessità.

 

  1. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

Ho presentato il libro “in presenza” e sono stata molto soddisfatta del riscontro favorevole del pubblico presente; non ho voluto espormi in presentazione on line, almeno finora, per imbarazzo e soggezione rispetto a un mezzo freddo, di cui ignoro le possibilità.

 

  1. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legato e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa)

Sono diverse le poesie di cui mi reputo soddisfatta. Ne riporto quella che conclude il libro e che è risultata profetica, avendo mostrato la prospettiva del futuro, pur essendo stata composta nel 2019:

 

“ Epilogo

Finiremo, finiremo

di stancarci per questi giorni magri,

smunti, per queste ore

che indeboliscono gli ardori,

per questi individui – spettri, che mai

risorgono alla sveglia dell’impegno,

pigri – ahi, ma quanto pigri! – e

guardano sempre dove Circe

sedusse i loro stupidi compagni e

si indignano senza conoscere il perché.

Ameremo senza stancarci

in stanze grandi a contenere cieli

neri come la pece

per confondere il mio dal tuo

ed essere nostro.

Torneremo a godere di vita.”

 

  1. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

“E sia” mi ha reso felice sia per i risultati conquistati in diversi concorsi sia per il corollario del progetto musicale, che sarà pubblicato a marzo prossimo. Quello che posso augurarmi è che il mio nuovo libro “Di albe e di occasi” raggiunga lo stesso gradimento e conquisti altri traguardi, di cui compiacermi.

 

  1. Una domanda che faresti a te stessa su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

Mi hanno posto molti e diversi quesiti sul libro, incuriositi dalla sua originalità; pertanto, in questo ambito curiosità e interesse sono esauriti.

 

  1. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

A febbraio è stata pubblicata la raccolta “Di albe e di occasi” , che è  un viaggio a ritroso nel tempo individuale e collettivo e, da ultimo, nel tempo sospeso della pandemia. Ho scandagliato la mia geografia degli affetti anche, e soprattutto, dei luoghi dell’anima. Mentre si assiste al tramonto della civiltà, declinata nei suoi valori fondanti (l’educazione dei gesti e delle parole che fa luogo alla miopia indocile di individui-monadi), mi sono posta come obiettivo una nuova Itaca, un’alba di ripensamenti e di diversi orizzonti. Una ripartenza dalla fine.

 

Grazia Procino

 

NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA

Grazia Procino, docente di Lettere presso il Liceo Classico di Gioia del Colle,  ha pubblicato haiku in due raccolte collettive edite da Fusibilia, la raccolta poetica “Soffi di nuvole”( Scatole parlanti, 2017)- Finalista Premio Nabokov e Premio Speciale al Premio nazionale “Poetika” a Verbania- e i racconti “Storie di donne e di uomini”( Quaderni edizioni, 2019).

 “E sia” ( Giuliano Ladolfi Editore) è stata la sua seconda silloge poetica: medaglia d’onore al Premio Don Luigi di Diegro 2020,  finalista al Premio “Città di Acqui Terme” e attestato di merito al premio “Lorenzo Montano”. Una sua poesia è stata selezionata per l’IPoet di gennaio 2019 dalla casa editrice Lietocolle; sue poesie sono apparse su riviste specializzate come Poesia Ultracontemporanea, Poesia del nostro tempo, Poetarum silva e Poeti Oggi. Una sua intervista è stata pubblicata su L’Estroverso a cura di Grazia Calanna. Il poeta Maurizio Cucchi su La Repubblica di Milano e il poeta Vittorino Curci su La Repubblica di Bari hanno selezionato delle sue poesie per la rubrica “La bottega della poesia”.  E’ tra i 12 poeti selezionati nell’antologia “Officina iPoet 2019” della casa editrice Lietocolle (Libriccini da collezione).

A febbraio 2021 è venuta alla luce la terza silloge poetica “Di albe e di occasi” (Macabor). Il poeta Antonio Nazzaro ha tradotto in spagnolo e pubblicato sul sito Centro cultural Tina Modotti  una sua poesia “Distanze incolmabili”, tratta dalla prima raccolta. Hanno rivolto la loro attenzione, realizzando note di lettura e recensioni alla raccolta “E sia” il poeta Leopoldo Attolico, il critico Giuseppe Giglio, Paola Casulli sul blog “Incanto errante”, il poeta Fabio Prestifilippo, il poeta Gianluca Conte, Federico Migliorati sul Gazzettino Nuovo nella rubrica “Spaziolibri”, Alessandra Farinola su “Mangialibri”, Felicia Buonomo su “Carteggi letterari”, Rita Bompadre su “L’altrove appunti di poesia”, il poeta Mario Famularo e il poeta Federico Preziosi su Exlibris 20, Graziella Atzori su Sololibri.net

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L’intervista a Tommaso Urselli: “Oggi ti sono passato vicino”

25 lunedì Gen 2021

Posted by Deborah Mega in Interviste

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Oggi ti sono passato vicino, Tommaso Urselli

 

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.

La redazione ringrazia Tommaso Urselli per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: Oggi ti sono passato vicino (Edizioni Ensemble, 2020).

 

  1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

Ad essere sincero, ricordo meglio quando è nato il mio disamore: sui banchi delle scuole elementari, durante la correzione di un tema a traccia “Parla di tuo padre”, o qualcosa del genere… l’insegnante mi disse che quello svolgimento non poteva essere farina del mio sacco… e io ho finito col credergli per anni!

L’amore è nato molto più tardi, attraverso il teatro: credo che lo scrivere per qualcun altro, come la scrittura per la scena ti obbliga a fare, mi abbia liberato dalla preoccupazione di ricercare una scrittura che fosse a tutti i costi solo “mia”…

 

  1. Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la vita e l’arte?

Giusto per scomodare qualche grande, ma tra un minuto potrei far riferimento a tanti altri… nel teatro ho sempre guardato alla scrittura di Beckett, e mi è sempre piaciuta anche l’asciuttezza della sua poesia; tra i poeti italiani del ’900 Ungaretti, Caproni, Penna, Pasolini… E dopo Conte, Cucchi, De Angelis, Candiani, Gualtieri… Mi piace prestare ascolto a voci anche molto differenti… E poi ci sono i musicisti: da ragazzo ho ricevuto una formazione prima di tutto musicale, il jazz è stato il primo grande amore. La poesia ora è forse il tentativo di recuperarlo e farlo incontrare con quello per la parola, scoperta successivamente attraverso il teatro: due amori che, incontrandosi, ne generano un terzo…

 

  1. Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai con i luoghi dove sei nato o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

Credo nasca da una fragilità, da una ferita. La componente autobiografica può divenire un elemento di composizione passando attraverso il filtro di questa ferita, solo così ha senso e necessità il suo divenire scrittura: l’autore si mette da parte e lascia che sia la ferita a parlare, a sanguinare inchiostro sulla carta. Detta così può sembrare una cosa un po’ pulp, ma non necessariamente: da una ferita può anche sgorgare leggerezza, musica, canto…

 

  1. Ci parli della tua pubblicazione?

Tecnicamente, una parte di queste poesie (quelle della sezione Parole alle formiche) era giunta finalista al Premio InediTO – Colline di Torino. Parallelamente il poeta Giuseppe Conte, a cui le avevo inviate, mi aveva incoraggiato ad andare avanti. Così ho continuato a scrivere, a limare…

Non saprei dire molto di più: faccio fatica a parlare del mio stesso lavoro, per lo meno a così poca distanza dalla sua uscita. Qualcuno, leggendola, ha avuto la sensazione che sia il risultato di un aver “coltivato per vent’anni la poesia quasi in segreto, dietro le quinte della scrittura e dell’esperienza teatrale”: non saprei trovare una definizione migliore… a volte – quasi sempre, forse – gli altri possono raccontare meglio di noi quello che facciamo.

 

  1. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Per me è stato necessario scriverla; sulla necessità di leggerla, preferisco sia il lettore a esprimersi. Ad ogni modo, a giudicare da alcune segnalazioni e recensioni che cominciano a uscire su riviste e blog, mi pare stia suscitando l’interesse di persone anche molto differenti per età e formazione.

 

  1. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

Come è raccontato nelle note di chiusura, la “spinta” iniziale è arrivata durante la cura e riordino delle poesie di mio padre, lavoro ancora in fieri che ho avuto il coraggio di iniziare solo dopo più di dieci anni dalla sua scomparsa, e che mi permette in qualche modo di incontrarlo ancora (come suggerisce il titolo del libro e della sezione di apertura a lui dedicata).

 

7. Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale” scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi oppure a poco a poco? E poi con sistematicità, ad orari prestabiliti oppure quando potevi o durante la notte, sacra per l’ispirazione?

Sono lento, e frammentario… la sistematicità per me solitamente arriva in una fase successiva, quando si tratta di comporre i frammenti in qualcosa che possa stare insieme in un unico corpo organico, con un suo respiro… anche se poi la costituzione originaria, fatta di frammenti e corpi più piccoli, resta volutamente sempre visibile in filigrana. Non aggiungerei altro se non le parole di Antonio Fiori su Atelier Poesia già citate nel punto 4 (http://www.atelierpoesia.it/tommaso-urselli-esordio-in-poesia/).

 

  1. La copertina. Chi, come, quando e perché?

È la copertina standard della collana Alter di Edizioni Ensemble, che trovo bella per la sua essenzialità – niente immagini, solo un testo estratto dalla raccolta –.

Il testo scelto affronta un tema che da diversi punti di vista – autobiografico, quotidiano, mitologico – attraversa un po’ tutto il libro… il padre, il figlio…

 

9. Come hai trovato un editore?

Ne ho contattati diversi parallelamente al lavoro di composizione della raccolta, inviando del materiale ancora in fieri. Indipendentemente dalla reciproca scelta finale, con diversi editori si è instaurato un bel rapporto di scambio e dialogo.

 

  1. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

È un libro che contiene testi anche molto differenti tra loro per contenuto, struttura, linguaggio. In alcuni utilizzo forme più classiche, chiuse; in altri il linguaggio si apre, il ritmo è volutamente spezzato, sincopato; c’è una sezione di poesie brevissime, e altre sezioni con poesie dal respiro più lungo; ci sono inoltre composizioni la cui lingua risuona dell’esperienza teatrale; chiude il libro un testo di poesia in prosa, un flusso di parola priva di versificazione e punteggiatura, una sorta di unica lunga frase musicale dal tempo sospeso… come un assolo di sassofono mentre la sezione ritmica tace, per tornare al jazz… Penso quindi a un pubblico curioso e disposto, con chi scrive, a rischiare un po’. E tante volte lo è molto di più di ciò che comunemente si pensa. Lo dico per la pregressa esperienza in teatro: c’è spesso questa idea che il pubblico voglia a tutti i costi restare comodo e vedere sempre le stesse cose, mangiare sempre lo stesso rassicurante cibo surgelato da anni, sopravvivere più che vivere… ma forse è appunto solo un’idea, che riguarda più alcuni produttori di teatri e di surgelatori…

 

  1. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

Cerco di raccontarlo, in situazioni simili a questa. La cosa che mi piace è che, raccontandolo ad altri, lo racconto nuovamente anche a me… è come rientrarci ogni volta di nuovo, riviverlo, e la cosa mi diverte…

 

  1. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legato e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa)

“Allora abitavo acqua / suonavo / strumenti fatti / d’aria: e di parole / nemmeno l’ombra.”.

È il testo di apertura della sezione “Parole alle formiche”. Non lo cito per questioni di primato rispetto ad altri ma perché è il primo testo in assoluto ad essere stato composto: nel 2001 Maurizio Cucchi lo pubblicò e recensì nella sua rubrica su Specchio de La Stampa, accostandolo per tematica alla poesia di Giuseppe Conte. Subito dopo mi sono dedicato al teatro… Così ora, a distanza di vent’anni, ho ricominciato da là, da quel primo passo; e ho inviato i testi di questa sezione a Conte, che mi ha risposto con le parole riportate in quarta di copertina.

 

  1. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

“Passo”, dicevamo: mi pare di ricordare che un passo sia un po’ una situazione di disequilibrio che necessariamente dobbiamo attraversare se vogliamo spostarci da un punto all’altro, disegnare un cammino… Ecco, mi auguro che anche questo libro possa essere un passo, un piccolo disequilibrio per chi scrive e per chi legge.

 

  1. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

Ci penso.

 

  1. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Tornare al teatro. Depistarsi, sempre.

 

Tommaso Urselli

 

NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA

Tommaso Urselli è autore di teatro. In passato alcuni suoi componimenti poetici sono stati pubblicati e recensiti da Maurizio Cucchi su Lo Specchio de La Stampa. “Oggi ti sono passato vicino”, da poco pubblicata per Ensemble, è la sua prima silloge poetica; alcuni estratti sono pubblicati da Maurizio Cucchi e da Vittorino Curci su Repubblica per la rubrica Bottega della Poesia, e su blog e riviste on-line; la sezione “Parole alle formiche”, particolarmente apprezzata dal poeta Giuseppe Conte (sue le parole in quarta di copertina), è giunta finalista al Premio InediTO – Colline di Torino 2019. Tra i suoi testi teatrali rappresentati e pubblicati: “Un vecchio gioco“ (La Mongolfiera Editrice) commissionato da Compagnia Scena Nuda. “Boccaperta” (La Mongolfiera Ed.) commissionato da Teatro Periferico. “Ipazia. La nota più alta” (pubblicato da Sedizioni) su commissione di PactaDeiTeatri. “Il Tiglio. Foto di famiglia senza madre”, prodotto dall’autore in collaborazione con l’attore-regista Massimiliano Speziani: il testo, tra i vincitori del premio Borrello per la drammaturgia (e premio Fersen alla regia) è pubblicato sul n. 727 della rivista Sipario, in volume per La Mongolfiera Editrice, in e-book per Morellini Editore. Su commissione del Festival Connections – Teatro Litta, Milano, scrive “In-equilibrio”. Viene prodotto dal Teatro Litta il suo testo “Esercizi di distruzione. L’importanza di chiamarsi Erostrato” (pubblicato in volume per Edizioni Corsare e sul n. 758 della rivista Sipario; vincitore del premio Lago Gerundo). È attore-autore di “Ma che ci faccio io qua” (pubblicato da Edizioni Corsare). Cura con Renata Molinari e Renato Gabrielli la pubblicazione di “A proposito di menzogne – testi per Città in condominio”, L’Alfabeto urbano, Napoli. Scrive “Canto errante di un uomo flessibile”, tra i vincitori del Premio Fersen per la drammaturgia e pubblicato da Editoria&Spettacolo. Vince la prima edizione del premio Parole in scena per il teatro-ragazzi con il testo “La città racconta” (pubblicato da Edizioni Corsare). È autore-regista di “Piccole danze quotidiane” (messo in scena al PimOff e presso la Triennale di Milano per il Festival Tramedautore, Outis).

Blog: https://tommasourselli.wordpress.com/

 

 

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Edoardo Gallo: “La Verità è un Bambino dagli Occhi Grandi” Liberodiscrivere, 2020. Cinque poesie e una intervista

15 venerdì Gen 2021

Posted by adrianagloriamarigo in Interviste, MISCELÁNEAS

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Adriana Gloria Marigo, Edoardo Gallo, La Verità è un Bambino dagli Occhi Grandi

Edoardo Gallo: “La Verità è un Bambino dagli Occhi Grandi”

Liberodiscrivere, 2020

Prefazione di Sotirios Papadopoulos e di Giuliana Balzano

Postfazione di Sara Zanferrari

 

 

Dalla prefazione di Sotirios Papadopoulos

«Edoardo Gallo con la sua nuova silloge intitolata La Verità è un Bambino dagli Occhi Grandi ci fa fare un tuffo nel sacro concetto di Alitheia (Verità); un viaggio nello sforzo di essere sempre noi stessi ma attraverso la paura del giudizio sociale. Siamo consci che il cervello umano è in grado di svolgere infinite e complesse operazioni in tempi ridotti. Ma esiste soltanto una di queste che non può essere eseguita ed è proprio questa che compromette i rapporti tra tutti gli esseri su questo pianeta. Distinguere il Vero dal Falso, la Verità dalla Menzogna, la Alitheia dal Pseudos. Edoardo ci porta attraverso le sue melodie visive a capire che la Verità non può coesistere con la Menzogna senza essere contaminata, deformata, svilita e annientata. Ma non è forse che la Verità è la concordanza tra Giudizio e Realtà? E che cosa è Reale se non la manifestazione dell’Essere? I poemi di Gallo, come specchio vivente della nostra Anima, dietro a una trama semplice, nascondono uno spirito agonistico pieno di voglia di Bellezza interna e di coraggio guerriero nel mezzo di una società alla deriva, in cima a naufragi di valori e di detriti di anime vendute al Consumismo Materiale.»

 

Dalla prefazione di Giuliana Balzano

«L’ispirazione poetica di Edoardo Gallo nasce da un intenso stato emotivo derivato dalla puntuale osservazione di ciò che lo circonda. Il poeta fa un’attenta analisi interiore dei propri sentimenti dando vita a liriche dinamiche e nel contempo dolcissime. Nelle sue poesie si “leggono” chiaramente due elementi: la forza interiore che caratterizza il suo pensiero; il bisogno costante di cogliere quelle verità difficili da negare. Il suo stato d’animo va a distendersi sui versi e la poesia diventa un mezzo indispensabile per lui, per poter camminare nei meandri più bui dell’esistenza umana. Gallo sente il bisogno di amare, cerca la pace nella magia del silenzio, ambisce a trovare la verità. Amore, silenzio e verità diventano un modo per lui di affrontare la frenesia di questo nostro tempo sofferto e avverso. Gallo crede nella forza delle parole, ha fiducia nelle parole, gioca con le parole creando liriche riflessive, cariche di schiettezza.»

 

A portata di mano

 

Il mio mondo

lo tengo a portata di mano

tutto dentro a una tasca.

Chiavi per aprire porte

Un fazzoletto per le lacrime

Una conchiglia per aver con me le onde

Alcune monete per un gelato

E quella poesia che scriverò domani

 

 

 

Da qualche parte

 

Alla fine vince chi non ha paura del buio.

Alla fine.

Là al bivio tra la strada che sale e quella che scende.

Da qualche parte starà pur la fine.

Del lasciarti andare,

dell’un po’ morire.

Dell’unica volta che abbiamo saputo cos’è l’amore

 

 

 

Il nido del desiderio

 

Vivo nel desiderio di tutto quel che ho già scritto.

Non c’è nuovo che mi appassioni più

di quelle labbra che furono il mio sorriso.

Ancor oggi ripensando al ramo

ci porterei la paglia per costruire il nido

per tutte le volte che torno e non ti trovo

 

 

 

Infinito e confine

 

Infinito e confine

i tuoi occhi,

acqua e fuoco

la tua bocca;

tra l’infinito e la bocca

i tuoi occhi.

E sono con te oltre quel confine,

oltre le terre conosciute,

al di là di tutti i mari,

sopra le stelle

con te

 

 

 

Soldati

 

Come i milioni di soldati abbattuti un secolo fa

Siamo stati sterminati.

La montagna è diventata ancora la nostra tomba

la nostra anima è stata sradicata e siamo caduti a terra.

Tutto esattamente come cento anni fa.

Qualcuno potrebbe pensare che noi non abbiamo sofferto.

Noi custodi di queste cime,

Noi soldati di queste vette.

Abeti, Larici, Faggi, Frassini, Tigli

siamo nuovamente morti.

Non il nostro spirito che vivrà per sempre

Tra i sassi che abbiamo vegliato

i sentieri che abbiamo adombrato

i ricordi che abbiamo protetto.

E in tutti voi che ci avete amato

 

29 ottobre 2018 tempesta Vaia: dedicata agli alberi dell’altopiano di Asiago

 

 

 

Intervista

 

  1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

Risale ai tempi del liceo con lo studio dei classici della letteratura, ma questo innamoramento ha avuto la sua folgorazione dopo aver visto il film l’Attimo Fuggente; film che ho riassaporato recentemente assieme ai miei figli. Ricordo che io adolescente lo approfondii in modo viscerale andando a cercare e poi leggere o rileggere tutti gli autori citati: da Whitman a Thoreau, da Byron a Frost, fino ad Orazio per citarne alcuni.

 

  1. Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la vita e l’arte?

Faccio veramente fatica a dare solo alcuni nomi. Leggo molta poesia e cerco di spaziare quanto più possibile per “succhiare” il nettare delle parole di questi immensi poeti. Decisamente sono molto legato a Leopardi e Whitman. Mi piacciono Montale, Caproni, Gozzano, Pavese fino a Zanzotto, molto le poesie di Szymborska, di Dickinson, di Cvetaeva. Mi affascinano Pozzi e Plath. Amo viaggiare con Prevert ed Hesse, innamorarmi con Lorca e Neruda. Ho un debole per l’intrigante e diretto Bukowski, per i più meditativi e spirituali Hikmet, Gibran, per la filosofia di Pessoa e Rilke. Direttamente o indirettamente cerco di farmi coinvolgere da tutti, credo comunque di avere un mio stile che mi dicono sia riconoscibile e distintivo.

 

  1. Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai con i luoghi dove sei nato o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

 Tutto nasce dal mio innato istinto di osservare. Vedo, guardo, ascolto, sento e porto a scrittura ogni emozione. Ogni sentire. Per me infatti «la poesia è un ponte che unisce ogni intimo sentire». Un ponte che collega il fuori al dentro di noi per poi ritornare fuori, in un moto quasi perpetuo e sconvolgente. Tutto ciò che scrivo fa parte di un vissuto, a volte intimo, a volte spaziale; a volte è inconscio che vive nel sogno e che poi diventa attimo vissuto. Non potrei mai scrivere qualcosa per la quale non ho provato nulla. Ho bisogno di respirare e tramutare in parola ogni emozione, qualcosa che mi ha colpito, che mi ha ferito o fatto gioire o solo ho vissuto per un istante. In alcune poesie ci sono i posti a me cari, spesso i colli Berici dove ho una casa e dove ho vissuto da bambino. I ricordi d’infanzia dati da un albero, l’erba appena tagliata, la raccolta dell’uva, la neve, un pettirosso. Da mio padre che siede sotto al portico e guarda la vallata al di là del muro. Insomma ogni cosa che osservo e che ricordo può essere motivo per fare e dire poesia.

 

  1. Ci parli della tua pubblicazione?

Dopo aver pubblicato le prime due sillogi a me molto care Giorno Zero e È Solo Poesia nel marzo scorso ho deciso di mandare in stampa la terza raccolta che ho voluto intitolare La Verità è un Bambino dagli Occhi Grandi e che ha visto la sua prima presentazione solo nel giugno 2020. Ho vissuto un periodo dove la verità era diventata profondamente urgente e necessaria. Ma non tanto la verità in sé ma l’ “essere vero”. Legata quindi alla sincerità e alla lealtà come forme di gentilezza, di passione, di credibilità. Ero stanco di vedere il continuo depauperamento dei valori veri a vantaggio di forme egocentriche, narcisiste e arroganti, veloci da raggiungere, effimere e superficiali. La poesia è per me sinonimo di verità, perché canta il vero, e lo descrive raccontato dentro le sue fatiche, le sue malinconie tuttavia restando verità di speranza, con slanci di illusione e di utopia per compiere ogni giorno un passo avanti.

 

  1. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Non lo so se sia utile, e tantomeno necessaria. Lo è per me, sicuramente. La poesia è per me un’urgenza necessaria; in tal senso credo possa essere utile anche a qualcun altro. Quello che mi dicono i lettori, e lo riporto fedelmente, è che nel leggermi trovano serenità e, in alcuni concetti espressi con metafore e paradossi, leggono una filosofia buona a sostegno del possibile, impavida nella sua completa fragilità. Come ha scritto in una prefazione il prof. Sotirios Papadopoulos, «Edoardo Gallo con la sua nuova silloge ci fa fare un tuffo nel sacro concetto di Alitheia (Verità); questa dolce e amara sensazione rende la sua opera Fragile come l’acciaio e Robusta come le ali di libellula».

 

  1. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

Non c’è un preciso momento. È nata con il vivere quotidiano, giorno dopo giorno. Segue il corso delle mie giornate e degli eventi.

  1. Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale” scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi, oppure a poco a poco? E poi con sistematicità, ad orari prestabiliti oppure quando potevi o durante la notte, sacra per l’ispirazione?

Quasi ogni componimento lo scrivo di getto e solo in alcuni casi, o nelle poesie più lunghe, metto mano ad alcuni versi anche a distanza di tempo. In altri non trovo subito la parola giusta, e così torno sopra la poesia per sentire se riflette appieno l’emozione che ho provato e che voglio trasmettere. A volte per lavoro sono in viaggio e lì l’ispirazione può giungere improvvisa, anche se è la notte il tempo migliore per il mio scrivere. Quello che è certo è che scrivo perché ne ho bisogno e quando lo sento forte mi fermo ovunque io sia e scrivo. Mi distoglie dalla vita stressante che il lavoro mi obbliga a fare seppur con piacere, e mi catapulta in un mondo parallelo dal quale torno rigenerato e rinnovato.

  1. La copertina e il titolo. Chi, come, quando e perché?

Ho l’abitudine, suggerita dal mio editore Antonello Cassan di Liberodiscrivere, di scegliere per le copertine un’opera pittorica. Dopo aver collaborato con Andrea Marchesini, ho sentito la forte necessità di chiedere a Bruna Lanza una sua opera. Il colore segue il filo conduttore del contenuto del libro. In questo caso è stata scelta un’opera che emotivamente mi ha molto colpito, di prevalente colore arancio perché questo colore, caldo e attraente, per me simboleggia la poesia e quindi la verità. Il titolo del libro è preso dal titolo di una poesia in esso contenuta che declina in tutti i modi possibili la verità. La migliore sua descrizione risiede nel verso La verità è un bambino dagli occhi grandi.

  1. Come hai trovato un editore?

È una storia che serbo gelosamente ed è quasi romantica. Nel giugno 2016 ero a Genova per lavoro e da poco avevo tra gli amici di facebook la poetessa e filosofa Grazia Apisa che lì vive. Le ho scritto un messaggio chiedendole di poterla incontrare e, non senza mio stupore, lei ha accettato. Abbiamo trascorso diverse ore parlando di poesia, leggendone, bevendo un tè. È stato uno dei momenti più preziosi e intensi della mia vita. È stata lei a suggerirmi, durante quell’incontro, la mia attuale casa editrice Liberodiscrivere.

 

  1. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

Credo che possa essere molto interessante per tutte le persone che si pongono domande, pertanto non solo agli amanti della poesia ma a un pubblico di lettori più vasto. Avviso che non so se nel leggerle troveranno le risposte che cercano, ma forse sarà più probabile che si porranno ulteriori domande. Credo inoltre che questa pubblicazione possa comprendere un’ampia fascia di età, anzi lo spero. Ho avuto il piacere di portare le mie poesie anche in alcune scuole primarie e secondarie; sono stati momenti di grande stupore, vedere come menti così giovani riuscissero a captare e andare oltre il significato stesso della poesia. Ricorderò per sempre la risposta di una bambina di nove anni alla mia domanda “cos’è per voi la poesia”, rispose: «Per me la poesia è follia». Cosa potevo sentirmi dire più di questo?

 

  1. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

Per lavoro mi occupo di vendite e indirettamente di marketing. Sono pertanto abituato ad utilizzare le diverse forme di comunicazione. I canali distributivi sono i più disparati: direttamente dalla mia casa editrice, attraverso Amazon o IBS libri, oppure si possono prenotare in quasi tutte le librerie anche se in questo caso, purtroppo, la consegna è sempre piuttosto lenta. Mi piace promuovere personalmente la distribuzione; spedisco le copie direttamente a casa dei lettori, naturalmente con dedica, oppure li distribuisco durante gli incontri di presentazione. Quest’anno inoltre alcune aziende hanno trovato interessante omaggiarlo ai loro clienti come regalo di Natale. Utilizzo poi i social più significativi: ho un mio blog edoardogallopoesia su facebook che sta ricevendo una buona attenzione e, con lo stesso nickname, sono presente anche su youtube, dove presento il progetto PoeMusìa in collaborazione con il compositore e pianista Giuseppe Laudanna.

 

  1. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legato e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa)

 

« Pensare di aver perso una cosa.

Ritrovarla

ed essere felice.

Piccoli attimi

nei quali riconosci

il senso della vita.

Perché la vita

è nelle cose

ritrovate.

Anche quando

sono perdute »

 

Una delle poesie che preferisco perché mi dà un senso di pace e di accettazione.

 

  1. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

Spero riuscirà ad avvicinare un maggior numero di lettori alla poesia. La poesia infatti è per me curativa, una medicina buona e chi la legge non può altro che trarre giovamento. La poesia è sempre stata un po’ troppo tenuta in disparte rispetto le altre forme di scrittura, non so se per rispetto o più per paura. Essa, anzi Ella, è fondamentale, illumina la vita come un lampo. È distillato, un’estrema sintesi di qualcosa di molto più grande. In poche parole riesce a contenere un mondo di emozioni e di significati. Non si possono infatti leggere decine di poesie tutte d’un fiato. Un libro va letto adagio, facendo sedimentare le parole, rileggendole se possibile così da scoprire i molti e diversi “messaggi” contenuti. A volte la poesia è un codice segreto e come tale ci vuole la giusta pazienza per decodificarlo e apprezzarlo totalmente.

 

  1. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

Cosa contiene il QR Code stampato in quarta di copertina?

 

  1. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Sto continuando a scrivere ma è ancora presto per pensare al prossimo libro. Vorrei solo riuscire a tornare a presentarlo pubblicamente, vedere tutto il viso delle persone, guardare dentro i loro occhi, respirare la loro stessa aria. Potere stringere nuovamente le mani e abbracciare, forte, a lungo restando ad ascoltare il prezioso silenzio che si scatena in quel momento.

Edoardo Gallo

 

Biobibliografia

Edoardo Gallo è poeta vicentino. Ha pubblicato tre libri in forma collettiva esprimendo poi la sua cifra poetica originale e polimorfa nelle tre raccolte personali Giorno Zero, È Solo Poesia , La Verità è un Bambino dagli Occhi Grandi.

Ha partecipato a Poetry Vicenza, FlussiDiVersi di Caorle, Parole Spalancate Festival Internazionale di Genova e al BeArt Festival dell’Arte di Vicenza. Con la poesia Io sono mio padre è vincitore assoluto del Premio Letterario Nazionale “Giorgio Gaiero”. Nel 2020, quale rappresentante della poesia italiana, è invitato a partecipare alla mostra virtuale “Mediterranean Anatomy” patrocinata dall’Ambasciata Italiana in Grecia. Le poesie A chi importa e Il nido del desiderio sono diventate canzoni d’autore.                L’inedito Soldati viene utilizzato quale voce poetica del video realizzato da Adifly in collaborazione con l’associazione culturale Liberi Pensatori, in ricordo degli alberi abbattuti dalla tempesta Vaia. Il progetto viene patrocinato dall’Assessorato alla Cultura e Turismo della Regione del Veneto. A luglio 2020 è finalista alla XIV edizione del Premio Letterario “Città di Livorno” con la poesia Le cose difficili. Prestigiose sono le collaborazioni con numerosi artisti e musicisti, tra i quali il pianista e compositore Giuseppe Laudanna con il quale crea il progetto artistico PoeMusìa.

 

 

 

 

 

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L’intervista a Mario Fresa: “Bestia divina”

26 lunedì Ott 2020

Posted by Deborah Mega in Interviste

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Bestia divina, Mario Fresa

 

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.

La redazione ringrazia Mario Fresa per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: Bestia divina (La Scuola di Pitagora editrice, 2020).

 

  1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

Ho iniziato a scrivere, in prosa, intorno ai quattordici o quindici anni. Erano testi narrativi e teatrali. Sono quindi passato alla traduzione letteraria e, infine, all’acuminata esattezza della poesia.

 

  1. Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la vita e l’arte?

Citerò solo alcuni nomi (includendo anche quelli che non appartengono alla scrittura propriamente “letteraria”). Per la prosa: Flaubert, Schopenhauer, Eliade, Bufalino, Hesse, Jesi, Evola, Kafka, Molière. Per la poesia: Ovidio, Petrarca, Baudelaire, Foscolo, Rilke, Leopardi, Mandel’štam, Rosselli, Orten.

 

  1. Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai con i luoghi dove sei nato o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

C’è una componente autobiografica, sì, ma di natura inconscia: il luogo di origine della scrittura è una zona d’ombra, non del tutto controllata dal nostro cosiddetto “io”. I luoghi nei quali ho vissuto non sono mai entrati nella mia scrittura.

 

  1. Ci parli della tua pubblicazione?

Bestia divina è il diario postumo, o la cronaca indotta, della cancellazione di un’identità: il racconto di una morte vera (quella di una persona cara) e, insieme, un attento e perturbante “ricordo del futuro”: cioè l’analisi della scomparsa del proprio nome, del proprio esserci.

 

  1. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

 Non spetta a me dirlo…

 

  1. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

Ho scritto questo lavoro su invito del curatore della collana, Andrea Corona. Un incontro bellissimo, direi da “amicizia stellare” (nel senso nicciano dell’espressione).

 

  1. Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale” scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi oppure a poco a poco? E poi con sistematicità, ad orari prestabiliti oppure quando potevi o durante la notte, sacra per l’ispirazione?

Ho impiegato un paio di anni per la stesura del testo. Durante gli ultimi mesi, ho contemporaneamente scritto una seconda raccolta, dal titolo Il mantello di Goya, che completa la prima, siccome un dittico ideale. Questa seconda raccolta sarà pubblicata tra un paio di anni.

 

  1. La copertina. Chi, come, quando e perché?

Sulla copertina è riportata una meravigliosa incisione di Loredana Müller, un’artista straordinaria. Rappresenta uno dei miei animali “totemici”. Nel contemplare il disegno, è miracolosamente riemerso un cruciale ricordo visivo della mia infanzia.

 

  1. Come hai trovato un editore?

Come ho già detto, è stato l’editore a “trovare” me.

 

  1. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

Nel testo sono presenti costanti riferimenti all’arte visiva (in ispecie alla pittura di Goya) e alla musica. Il lettore “ideale” dovrebbe saperli riconoscere con una certa facilità.

 

  1. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

Non lo sto promuovendo, né ho intenzione di organizzare una presentazione del volume.

 

  1. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legato e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa)

«Per te ho serbato una violenta fedeltà».

Spiega compiutamente il senso di una delle poche manifestazioni dell’esistenza che continuo ad amare.

 

  1. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

Che possa raggiungere amici sconosciuti.

 

  1. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

L’interrogazione (insolubile, ma vitale) che sempre ci pone l’occhio albertiano: Quid tum?

 

15. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Nei primi mesi del 2021 uscirà un Dizionario della poesia italiana (1945-2020) da me curato. Un volume impegnativo: è il frutto della collaborazione di oltre cinquanta redattori e ospita più di duecento schede critiche. Nel 2022 è prevista la pubblicazione di una nuova raccolta poetica. Ora sto lavorando a un lungo testo in prosa che (non) assomiglia a un romanzo.

 

Mario Fresa

 

Mario Fresa, poeta e saggista, è nato a Salerno giovedì 10 luglio 1973. Ha collaborato e collabora a riviste italiane, francesi e internazionali: «Paragone», «Nuovi Argomenti», «Caffè Michelangiolo», «La Revue des Archers», «Almanacco dello Specchio», «Poesia», «il verri», «Nazione Indiana», «Recours au Poème», «Semicerchio», «Gradiva». Esordisce in poesia con l’avallo di Maurizio Cucchi, sulle pagine di «Specchio della Stampa» e nella silloge mondadoriana Nuovissima poesia italiana (2004). Tra i suoi lavori, l’edizione critica del poema Il Tempo, ovvero Dio e l’Uomo di Gabriele Rossetti (2012) e l’edizione commentata e tradotta dell’Epistola mediolatina De cura rei familiaris di Bernardo di Chiaravalle (2012). Tra i suoi ultimi libri di poesia: Uno stupore quieto (2012); Svenimenti a distanza (2018); Bestia divina (2020). Ha ricevuto, di recente, il Premio Cumani-Quasimodo e, ad honorem, il Premio Internazionale Prata per la critica letteraria.

 

 

 

 

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L’intervista a Nino Iacovella: La linea Gustav

14 lunedì Set 2020

Posted by Deborah Mega in Interviste

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La linea Gustav, Nino Iacovella

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.
La redazione ringrazia Nino Iacovella, per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: La linea Gustav, Il Leggio Libreria Editrice, 2019.

  1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

È stato un amore tardivo. Tardi ho iniziato a leggere. Tardi ho iniziato a scrivere. Tutto è accaduto dopo la mia laurea in economia. Lì è successo qualcosa. Ero fiaccato da quell’epopea formativa rivelatasi a posteriori, in buona parte, errata. Avrei dovuto seguire un percorso umanistico. Studiare filosofia o musica. Imparare a suonare uno strumento: il contrabbasso, il sax (amo il jazz), la fisarmonica. Forse tutte queste cose insieme. Molto probabilmente la scrittura è stata l’ultima occasione praticabile per rientrare in un alveo più consono alla mia natura: l’attività creativa. La mia è una famiglia d’arte. Il mio paese, Guardiagrele, è una terra di arti e mestieri. La creatività si respira in ogni angolo, persino nel linguaggio. Il dialetto guardiese, in Abruzzo, è fortemente contraddistinto da una dialogica aforistica. La lingua così è già una palestra di metafore e figure retoriche che pochi si rendono conto, parlando, di creare.

  1. Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti
    hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la
    vita e l’arte?

Da autodidatta mi sono nutrito di qualsiasi libro capitato a tiro. Un grande disordine e una grande abbuffata che per anni, compulsivamente, ho portato avanti rubando le ore al sonno. Ho sempre amato leggere le biografie dei grandi scrittori e dei grandi artisti in generale. Ero affascinato dalla loro dedizione. Amo molto la letteratura americana contemporanea. I grandi maestri, prima che nella poesia, li ho trovati negli autori di narrativa breve: Raymond Carver, Richard Yates, Alice Munro. Tra i grandi romanzieri invece Truman Capote e Richard Ford, così come l’intramontabile William Faulkner e Michel Houellebecq. Degli italiani faccio un nome deciso: Giorgio Vasta de Il tempo materiale. La poesia è arrivata dopo con Charles Simic, Philip Schultz, Seamus Heaney e René Char tra gli stranieri; tra gli italiani la scrittura di Antonella Anedda ha avuto, per stile e suggestioni, il risalto maggiore nelle mie preferenze. Notti di pace occidentale e Le residenze invernali sono state svolte decisive per i primi passi della mia scrittura.

  1. Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai
    con i luoghi dove sei nato o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

La componente autobiografica non è il fulcro della mia scrittura, preferisco ciò che osservo della realtà cercando di riproporla con immagini e linguaggio il più possibile aderente all’oggetto di osservazione. Il rapporto con il luogo dove sono nato è stato fondamentale sinora solo in una raccolta: La linea Gustav, dove, con andamento poematico, ripercorro i tristi accadimenti della Seconda Guerra Mondiale in Abruzzo.

  1. Ci parli della tua pubblicazione?

La linea Gustav fu originariamente pubblicato nel 2013 all’interno di una opera più vasta dal titolo Latitudini delle braccia. Ebbe una certa eco tra i lettori. Ma negli esordi, si sa, vengono commessi sempre degli errori. La sensazione era che il libro non avesse raggiunto tutto il suo pubblico potenziale, pur sapendo di quanto esiguo sia quello della poesia. In Abruzzo, soprattutto, sarebbe un libro da scoprire, anche per riaprire un dialogo su quello che siamo stati e quello che, purtroppo, per certi versi, siamo diventati.

  1. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Penso di sì, soprattutto per il suo contenuto di memoria storico-epica. Storia e poesia sono una miscela letteraria che non deve cadere in desuetudine.

  1. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

Un racconto di mio padre. Lui e mia zia erano bambini quando furono presi di mira da un cecchino della Wehrmacht. Era una storia che spesso mi raccontava. Mi ha ispirato profondamente. Da lì è partito il tutto.

  1. Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale”
    scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi oppure a poco a poco? E poi con sistematicità, ad orari prestabiliti oppure quando potevi o durante la notte, sacra per l’ispirazione?

L’ho scritta lentamente, in questo caso intendo Latitudini delle braccia, in quasi dieci anni di lavoro. Ma debbo dire che è stata anche l’opera con la quale ho cercato di “costruire” la mia voce più matura. Scritta per lo più la notte. Ai tempi lavoravo come amministrativo in una multinazionale. I tempi per la scrittura e per la lettura erano molto ristretti.

  1. La copertina e il titolo. Chi, come, quando e perché?

Per la foto di copertina, innestata nell’elegante format a sfondo nero dei libri della collana Radici de Il Leggio Editore, ho scelto uno scatto che ritrae due bambini di spalle lungo un sentiero nel bosco. Dietro di loro un cane segugio. Il sentiero e i bambini rappresentano il passaggio generazionale lungo il percorso della Storia. Storia tracciata nella Linea Gustav, la linea difensiva costruita dall’esercito nazista che serviva per ritardare la risalita delle truppe alleate sbarcate in Sicilia.

  1. Come hai trovato un editore?

L’anno scorso fui contattato da Gabriela Fantato che aveva letto dei miei inediti pubblicati sul sito di Atelier poesia. Gli piacquero al punto di chiedermi se l’opera dalla quale erano stati tratti era pronta per propormi, da curatrice della collana, la pubblicazione. Ma a causa dei miei tempi di scrittura lunghi, la raccolta era ancora incompleta e così proposi in alternativa la ripubblicazione de La linea Gustav. Gabriela e Sandro Salvagno (l’editore) accolsero la proposta con entusiasmo. Figurarsi io.

  1. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

A un pubblico più ampio di quello degli addetti ai lavori, visto che è un libro di poesia che parla di un periodo storico cruciale del nostro Paese che non può essere dimenticato.

  1. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

Il lock down ha interrotto una serie programmata di incontri sul territorio di Milano e nelle scuole, sia milanesi che abruzzesi. Da poco in Abruzzo, a Guardiagrele, con i testi de La linea Gustav abbiamo realizzato un recital. A breve sarà riproposto a Milano, nel mio quartiere, al Corvetto. Per adesso ci muoviamo così.

  1. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più
    legato e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa)

L’incipit dell’opera. Rappresenta un momento dello sfollamento del mio paese proprio a causa della fortificazione della Linea Gustav: “E cercarvi lì, tra i vecchi a coprire le madri, / le madri come rifugi per sagome minute / (tra il seno e la spalla, insenature / come porti per piccole teste / spaurite nella burrasca. // Sul paese come un’ombra la Linea Gustav / tracciato d’inchiostro sulle rovine, / il confine di chi si butta a terra / prima o dopo lo sparo.

  1. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

Che possa arrivare soprattutto ai più giovani. Poesia e storia, cattura emotiva e memoria, un modo per ridare un senso a una società che da tempo vedo rannicchiarsi su se stessa, individualmente appagata dal piccolo cabotaggio narcisistico e dall’autoreferenzialità.

  1. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

“Perché ci metti sempre così tanto a scrivere un libro di poesia?” E qui la mia risposta: “Perché ho parecchi vizi e intendo coltivarli tutti. Uno in particolare: la lettura”.

  1. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova
    opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Sono entrato nel settimo anno di lavorazione di un progetto dal titolo “La parte arida della pianura”. Mi coccolo il lento crescere di questa raccolta come una gestante con il proprio figlio. Nessuna continuità con i progetti precedenti. Ogni tanto pubblico qualche inedito tra le pagine online dei blog letterari da me più frequentati. Il tema di fondo, a farla breve, è l’epica umana tout court. Ora sto terminando l’ultimo pezzo di una sezione intitolata Madre della violenza (titolo ispirato a una canzone di Peter Gabriel). Il prossimo anno penso che potrei chiudere il progetto e iniziare a proporlo per la pubblicazione.

Nino Iacovella

Nino Iacovella è nato a Guardiagrele nel ’68, ha una formazione socio-economica. Ha riesordito in poesia nel 2013 con Latitudini delle braccia (deComporre, Gaeta). Del 2015 è la plaquette con i primi testi de La parte arida della pianura (Edizioni culturaglobale, Cormons). Ha curato insieme a Sebastiano Aglieco e Luigi Cannillo l’antologia “Passione Poesia – Letture di poesia contemporanea (1990-2015)” Ed. CFR, Milano, 2016. Del dicembre del 2019, è La linea Gustav, Il Leggio Editore, Chioggia. È tra i fondatori e redattori del blog di poesia Perigeion, un atto di poesia. Vive e lavora a Milano.

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L’intervista a Cinzia Della Ciana: Grumi sciolti

28 domenica Giu 2020

Posted by Loredana Semantica in Interviste

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Cinzia Della Ciana, Grumi sciolti

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende
dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti,
sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla
redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del
mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.
La redazione ringrazia Cinzia Della Ciana, per aver accettato di rispondere ad
alcune domande sulla sua opera: Grumi Sciolti, Helicon Edizioni, 2020.

1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

L’ “amore per” è una condizione con cui si nasce, è una predisposizione fatta
di passione e curiosità che fa parte del proprio bagaglio genetico e che si
amplia interagendo con il nutrimento della vita. Per cui posso dire che
nasco con l’amore per la “bellezza”, includendo in essa ogni espressione
artistica a mezzo della quale l’uomo riesce a comunicare emozioni. I miei
studi si sono rivolti fin dalla giovane età a ampliare questa vis interiore e
così ho condotto parallelamente gli studi giuridici presso l’Ateneo fiorentino
e quelli pianistici al Conservatorio. Ma ad un certo punto l’impegno a livello
professionale, anche per l’incompatibilità dei percorsi, ha imposto una
scelta e ho optato per la via “ortodossa”. In pratica, come si fa con un
amore, ho abbandonato la tastiera chiudendola e mi sono dedicata alla
professione forense (che ormai esercito dal 1991, nelle materie prevalenti del
diritto del lavoro e di famiglia). Riavvolgendo il nastro v’è da dire che
giunta a “mezzogiorno” della mia vita (ora più ora meno) improvvisamente
ho avvertito la “necessità” di tornare a suonare. Ormai erano circa 25 anni
che avevo abbandonato lo strumento e poco mi restava nelle dita. Quindi mi
sono detta: “cosa posso suonare dopo oltre 25 anni che “scrivo e leggo” dalla
mattina alla sera (ancorché in ambiti diversi, ma sempre con l’ “umano” al
centro). La mia risposta è stata “le parole”. Da qui inizia l’avventura della
“mia” scrittura che si poggia sul motto “del suonar colle parole”, nel senso
che la musica ha permeato così tanto la mia sensibilità che “penso e scrivo in
musica”, prosa o poesia che sia.

2. Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti
hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la
vita e l’arte?

Non basterebbe una giornata per rispondere compiutamente alla domanda.
Diciamo che sono una toscana figlia della mia terra e le mie radici
affondano in Dante (distante da Petrarca che a Arezzo ha avuto solo i
natali). Poi aggiungo a volo di uccello che i miei “livres de chevet” sono una
pila in cui la base resta fissa: “Le lettere a Lucilio” di Seneca, “Le ceneri di
Gramsci” di Pasolini e il meridiano di tutte le poesie di Montale. Gli ultimi
grandi libri che ho riletto “Il Barone rampante” (la genialità del romanzo di
formazione che accoglie fiaba allegorica e filosofia, sempre all’insegna della
leggerezza calviniana) e di Dostoevskij “Ricordi dal sottosuolo” (il flusso di
coscienza ossessivo di un “malato” che opera un distinguo nell’abisso dei
ricordi, dove vi sono cose che non si rivelano a tutti, ma solo agli amici, altre
che non si rivelano neppure agli amici, ma soltanto a sé ed infine, e questo è
spietatamente vero, cose che si ha paura di svelare anche a noi stessi).

3. Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente
autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai
con i luoghi dove sei nato o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

Penso di aver già posto le basi alle risposte di questi interrogativi. Scrivo
per necessità che è ri-sorta, non posso fare altrimenti. Sono immersa nella
vita e l’uomo in tutte le sue declinazioni sta al centro del mio interesse, anche
la professione forense ne è “fonte”. Sono figlia della mia Terra di Toscana, in
cui ho il privilegio di esser nata (Montepulciano in provincia di Siena), di
abitare (Arezzo) e di aver studiato (Firenze), un triangolo questo dove
l’ingegno da secoli si è di-spiegato e ha trasformato il territorio in
paesaggio. Qui ogni angolo parla di storia e anche il borgo più piccolo
nasconde tesori artistici unici.

4. Ci parli della tua pubblicazione?

Bella domanda, come chiedere a una madre di parlare dell’ultimo figlio
nato. Tutti sono da lei amati, tutti gridano, ma ora “Grumi sciolti” grida più
degli altri. Dopo una parentesi poetica (“Passi sui sassi”, 2017 e “Ostinato”,
2019) sono tornata al mio primo amore, il racconto. “Quadri di donne di
quadri” (una raccolta di racconti incentrata sulle figure femminili) era
stato, infatti, il mio libro di di esordio, nel 2014. Per me, parafrasando, il
romanzo è un film, mentre il racconto è una foto che concentra, tagliando il
prima e il dopo, quel “grumo” evenemenziale. Insomma il racconto dà la
massima densità “fotografica” su un nodo che la vita ha lungamente
preparato e chissà come svilupperà. La mia esperienza poetica poi fa sì che
il linguaggio anche nella prosa abbia una valenza lirica, evocativa, e mai
solo descrittiva. Ma nonostante ciò, e anche se ogni singolo racconto è un
distillato di un piccolo segmento di vita, il libro “Grumi sciolti” ha una sua
struttura, sottolineata dall’Incipit e dall’Explicit. All’interno ospita 18
racconti articolati in tre sezioni: la prima, i “Grumi”, sono storie, anzi,
“scatti” di donne alle prese con un momento risolutivo della propria vita;
poi i grumi si liberano con la fantasia e diventano “Grumi sciolti”, cioè storie
che variano dal mito alla favola, dove la voce narrante può appartenere
anche a un topo, e perfino a un profumo; infine quando i grumi sono
completamente sciolti, non restano che i “Grani” (racconti simbolicamente
dedicati a qualcosa che attiene al caffè oppure a al tè) e il ciclo si chiude
pronto a riaprirsi in un eterno moto perenne. Un lunghissimo “rosario” che
finisce con un omaggio a “La storia” della Morante, come una sorta di inno
alla vita. Un libro che alla vita, “qua sine proposito vaga est”, è dedicato.
Un libro che la prefatrice Letizia Cirillo ha scritto “va letto a voce alta”,
proprio a sottolineare la sua vocazione a trascendere l’esperienza interiore
per approdare alla dimensione collettiva.

5. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Non mi sono posta e non mi pongo il “problema”, io sento la necessità di
scrivere e di farlo in una sorta di “predicazione”. Portare avanti l’arte
nell’attuale indipendentemente dall’utile e dal riconoscimento, diventare
una sorta di “madonnaro mentale” che ha l’entusiasmo di sdraiarsi a terra
per poetare pavimenti e pittare “pietre di inciampo”… perché gli altri
passano, distratti passano, ma non calpestano e alla fine si fermano. Come
sta scritto appunto nel finale lirico del racconto “Il madonnaro”.

6. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

I racconti sono come le poesie, nascono e basta. Si stratificano col tempo.
Poi il difficile sta nel selezionarli e trovare un fil rouge che in coerenza li
struttura in sequenza in modo da divenire “il racconto dei racconti”. Il
difficile ritengo risieda non tanto, o meglio non solo, nelle singole tessere
dell’opera, ma nel disegnare con esse qualcosa che abbia un senso e un
valore al di là delle stesse.

7. Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale”
scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi oppure a poco a
poco? E poi con sistematicità, ad orari prestabiliti oppure quando potevi o
durante la notte, sacra per l’ispirazione?

I racconti di Grumi sono stati scritti in epoche differenti e molti hanno avuto
già riconoscimenti in premi da inediti. Ripeto i racconti sono come le poesie,
ad un certo punto balugina il primo verso e tu ti fermi e lo devi scrivere. Poi
segue il necessario e rigoroso labor limae. La notte o meglio la mattina
presto è una nicchia che mi accoglie bene.

8. La copertina e il titolo. Chi, come, quando e perché?

La copertina è del Maestro Mauro Capitani, un pittore molto noto della cui
amicizia mi fregio. Si tratta di un particolare di opera in vetro dalla mostra
“Tra Kea e Tenedo”, 1996. Questo particolare ben rappresentava il quadro
in divenire di cui volevo parlare: quel cosmo in cui qua e là si osservano
“grumi”, cioè “luoghi di addensamento”, “momenti di intenso ammasso”, in
cui ogni componente fluida si perde e resta solo materia, materia che si
coagula e si rapprende chiudendosi a giro. Ma poiché tutto è movimento,
anche questo processo di avvitamento non si sottrae alla legge del divenire,
e il grumo si evolve in una spirale che lo porta inevitabilmente a spandersi.
Ovvero a sciogliersi, a nebulizzarsi lasciando a galleggiare in sospensione
grani. Grani che a loro volta sono nuclei di potenziali nuovi grumi.

9. Come hai trovato un editore?

La mia casa editrice è la Helicon Edizioni di Maria Eugenia Miano, una
realtà familiare di lunga storia e tradizione E’ un Editore che vanta al suo
attivo anni di pubblicazioni con Autori di pregio (da Parronchi a Macrì, da
Bonifazi a Luti, a Ramat – per citarne solo cinque tra le ‘fedelissime firme
Helicon). Nel 2018 con “Solfeggi” (raccolta di racconti umoristici) vinsi un
premio che prevedeva la loro pubblicazione proprio da Helicon. Adesso i
“Grumi sciolti” sono stati inseriti in una delle sue più prestigiose collane,
quella di narrativa “Le crete” diretta da un’ambasciatrice della cultura per
eccellenza, oltre che autrice, giornalista pubblicista, saggista e critica
letteraria, quale è Marina Pratici.

10. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

A chi ama le parole, il loro suono e la loro storia/valenza/potenza, a chi
vuole non solo leggere un testo, ma piuttosto “rileggerlo” perché come la
musica la parola che si combina alla parola abbisogna di esser riascoltata
per penetrare dentro.

11. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

Era programmata l’uscita per il Salone di Torino 2020, ma tutto è saltato e i
Grumi sono voluti nascere ugualmente in pieno lockdown. In pratica nel
momento in cui le librerie per decreto sono state riaperte. Mi sono detta che
era un segnale. Attualmente è distribuito in libreria e nei portali web.
Recensioni, interviste radio e televisive, dirette sui social e presto anche
presentazioni dal vivo.

12. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più
legato e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se
lungo, è necessario alla comprensione della stessa)

Ho già citato il racconto del Madonnaro perché finisce con una poesia che è
una metapoesia. Ad esso aggancio un’altra citazione poetica con cui termina
il racconto “La roba”: “La vita era questo scialo di trita roba fatta e
accumulata. E anch’io ero inventariata”

13. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

Amo parlare dei passi che ogni giorno compio più che delle mete astratte, la
meta è proprio il passo, ho scritto in una poesia, e il viaggio poi disvelerà il
disegno fatto e inventato con il progredire.

14. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è
venuto in mente di farti?

Mi piacerebbe che mi chiedessero l’autorizzazione a che uno dei miei
racconti diventasse soggetto per un film.

15. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova
opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Scrivere e ancora scrivere come il fiume porta acqua: il prossimo parto sarà
una silloge poetica. Dimenticavo a me piacciono le “contaminazioni” con
varie discipline (come sul mio sito cinziadellaciana.it si può vedere) e quindi
“predicare” poesia e letteratura fuori dai circoli, portare la bellezza per
“strade diverse” avvalendomi della collaborazione di altri artisti, questa la
mia più sentita missione.

Cinzia Della Ciana

Laureata il 24.10.88 in diritto del lavoro con il Prof. A. Aranguren presso l’Università di Firenze,collabora per alcuni anni con il Prof. G. Zangari, docente di diritto del lavoro Università di Siena. Esercita la professione di avvocato in Arezzo dal 1991; dal 2011 iscritta come Cassazionista, materie prevalenti diritto del lavoro e famiglia.
E’membro del direttivo dell’ALT (Avvocati Lavoro della Toscana). E’ membro dell’Accademia delle Scienze e delle Arti e della Letteratura Francesco Petrarca di Arezzo. Parallelamente agli studi giuridici ha effettuato studi di pianoforte col Maestro Carlo A. Neri del Convervatorio Morlacchi di Perugia. E’membro del “Tagete Ass. Scrittori Aretini di Arezzo”. La sua prima opera narrativa è “Quadri di donne di quadri”(Aracne 2014) (World Literary Prize 2015 a Parigi e al Tagete 2015).
Del maggio 2016 è il romanzo edito da Effigi “Acqua piena di acqua”.(premio “Pianeta Donna” al Montefiore Rocca, Fiorino di bronzo al “Premio Firenze 2016”, primo premio al Tagete 2016, secondo premio al “Portovenere – Le Grazie 2016”, la “Targa Città di Cattolica” al “Pegasus 2017” e “Premio speciale della Giuria” al “Città di Pontremoli 2017”, “Premio Speciale Frunzi al Premio Casentino 2018).
Nel maggio 2017 con Effigi pubblica la silloge poetica “Passi sui sassi” (per gli inediti già finalista al premio “Astrolabio 2016”, secondo posto al “Premio Casentino 2016”, finalista al San Domenichino 2017; da edito menzione d’onore a Le Grazie – Portovenere 2017, il diploma d’onore al Milano International 2017, il 2^ premio al “Tagete 2017”, riconoscimento speciale al “Pegasus 2018, premio della giuria al “Città di Pontermoli 2018”, premio speciale giuria Città di Conza 2018). Il libro nel febbraio del 2018 diventa uno spettacolo di poesia e musica con la pianista Lenora Baldelli dal titolo “Accordi di versi”, in scena in varie platee fra il Dovizi di Bibbiena, Cassero di Castiglion Fiorentino e Museco Civico di Sansepolcro. Per vari inediti sia di prosa che narrativa riceve importanti riconoscimenti. Suoi racconti e poesie fanno parte di varie antologie. Con la raccolta di racconti umoristici “Solfeggi”(Helicon 2018) si classifica prima ex aequo al premio “La Ginestra 2017” e successivamente Premio della giuria al Lord Byron Portovenere 2018, Premio speciale al Michelangelo 2019 e il Premio Milano Donna 2018 e il terzo premio al Città di Pontremoli 2019. Con la soprano Gaia Matteini realizza uno spettacolo dal titolo “Solfeggi parlati e cantati” in cui vengono portati in scena letture tratte da Solfeggi cucite da improvvisazioni vocali (Teatro Dovizi di Bibbiena e Auditorium Santa Chiara di Sansepolcro).
Ha tenuto presentazioni dei suoi libri ai Saloni del libro sia di Torino che di Roma, nonché in vari centri d’Italia; ha partecipato anche vari Festival e Rassegne culturali.
Nel maggio del 2019 pubblica con Helicon Edizioni, dove aver ricevuto da inedito il premio Laura Pasquini, la raccolta poetica “Ostinato – Suite in versi” con la quale ha già ottenuto i seguenti riconoscimenti: finalista al PoetiKa di Verbania, Segnalazione di merito al Premio Conza, 2^ posto al Pascoli – L’ora di barga, Finalista al Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti 2019, Premio speciale di opera poetico-musicale al Città di Pontremoli 2020; l’opera è stata inserita nel
2020 nella rivista scientifica americana “Gli annali di italianistica”.
A aprile del 2020 nascono sempre per i tipi Helicon Edizioni “Grumi sciolti”. Molti dei racconti di “Grumi sciolti” hanno ricevuto premi da inediti. In particolare al corpo centrale della raccolta fuconferito il Premio della giuria al “Città di Pontremoli 2016”, il Premio  speciale Silvio Miano al “Casentino 2017”, al racconto “Canne d’organo” la menzione d’onore al “Città di Cattolica 2016” e, da ultimo, il racconto “La Teiera triste” ha ricevuto il primo premio a “Lo Zirè d’oro Città dell’Aquila 2019”.
Nel giugno 2020 il “Premio Città della rosa” conferisce all’autrice l’onorificenza di “Eccellenza Donna Italia 2020”.

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L’intervista a Silvia Rosa: Maternità marina

25 lunedì Mag 2020

Posted by Deborah Mega in Interviste, LETTERATURA E POESIA

≈ Commenti disabilitati su L’intervista a Silvia Rosa: Maternità marina

Tag

Maternità marina, poesia contemporanea, Silvia Rosa, Valeria Bianchi Mian

copertina

Questa intervista appartiene a un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.

La redazione ringrazia Silvia Rosa per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: “Maternità marina” (Terra d’ulivi edizioni, 2020).

http://www.edizioniterradulivi.it/maternita-marina/232

 

  1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

 

Il mio amore per la scrittura è nato quando ero bambina, ed è legato, come lo sono due facce della stessa medaglia, a quello per la lettura. Ho ricordi lontanissimi nel tempo, ma molto vividi, di mia madre che insieme a una piccola me di tre anni leggeva il primo volume di un’enciclopedia per l’infanzia, I Quindici, in voga negli anni Settanta. In quelle pagine c’erano immagini incantevoli e soprattutto filastrocche, nenie, poesie che piano piano avevo finito con l’imparare a memoria, prima ancora di saper decifrare da sola quei piccoli segni neri misteriosi, che tanto mi affascinavano. Nel tempo sospeso dell’infanzia c’erano anche fiabe, favole e racconti a farmi compagnia e il mio interesse per i libri cresceva così anno dopo anno. Alle scuole elementari ho avuto la fortuna di essere seguita da un ottimo maestro, che ha saputo trasmettermi tutto il suo amore per la letteratura e per la poesia: è stato lui che mi ha accompagnato mentre fiorivano in me tutte le parole seminate in precedenza. Ho iniziato a leggere da sola, e a scrivere temi e poesie, con gusto, con gioia: non erano semplici compiti da svolgere, scrivendo sentivo di dare un senso alla realtà e al mondo in cui ero immersa, soprattutto ai loro aspetti più incomprensibili e sofferti, con cui ero costretta a confrontarmi. E poi avevo una fantasia strabordante e una passione viscerale per la Parola, che fosse scritta o che fosse pronunciata a voce, ne sentivo tutta la forza e tutta la potenza creatrice, ed ero animata dal desiderio di dare vita a nuovi microcosmi a misura dei miei desideri. A dieci anni volevo riscrivere il mondo, lo volevo a immagine e somiglianza dei miei sogni!

 

  1. Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la vita e l’arte?

 

Ecco, questa è una domanda che di solito temo, perché l’aspettativa è che io sappia rispondere con un elenco puntuale di nomi, e a seguire di ragioni, per cui quell’autrice o quell’autore ha segnato i miei orizzonti letterari. Io però non sono capace di stilare questo tipo di lista, è come se tutto quanto abbia letto in passato viva allegramente in anarchia nella mia memoria, sfumato in un mix indistinguibile di titoli, di libri di ogni genere, di scrittrici, scrittori e poeti di tutti i tempi e i luoghi, così, senza un ordine gerarchico particolare, confuso e refrattario alle categorizzazioni. Ci sono stati grandi amori (perché certa scrittura si ama al pari di una persona), passioni fugaci ma anche storie che sono durate negli anni (di alcuni autori ho letto via via la produzione al completo!), epifanie improvvise e delusioni, seconde opportunità rivelatrici (le riletture riservano sempre sorprese), età che hanno segnato un nuovo sentire e dunque altre esigenze, altre domande, un gusto che si è modellato con il trascorrere del tempo, seguito dalla voglia di non fossilizzarsi su quanto risuona di più per similitudine di vedute e di stile. Penso anche che in molti casi sia inconsapevole l’influenza che certe letture e certe personalità artistiche o letterarie hanno avuto, e che non sia così lineare l’attribuzione di maternità e paternità varie alla propria visione della vita e dell’arte. Per esempio, anche un autore con cui non si sente di aver nulla in comune, la cui lettura lascia apparentemente indifferenti, può invece esercitare un’influenza sommersa, anche solo per contrasto, per opposizione. Se mai mi riuscisse un giorno di compilare un elenco, sarà forse di questo tipo: quali sono stati i nomi che ho ignorato, non apprezzato, incompreso, sottovalutato, dimenticato… una lista delle influenze alla rovescia!

 

  1. Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai con i luoghi dove sei nato o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

 

Per me la differenza tra “componente autobiografica” e “osservazione della realtà circostante” è abbastanza sfumata. Non credo in una scrittura oggettiva, impersonale, asettica, e se di osservazione si parla, allora è partecipata, lo sguardo è un setaccio che coincide con l’interiorità, si osservano certi dettagli del reale, e non altri, e quando si restituisce a essi una forma, attraverso la propria voce e il proprio modo di usare le parole, inevitabilmente lo si fa a partire dal sé, anche corporeo. Quindi penso che laddove non si scelga di narrare situazioni direttamente correlate alla propria autobiografia, comunque l’Io sia implicato in modo più o meno centrale nel processo di scrittura, anche se posto a latere del discorso. I miei testi nascono da esperienze non sempre vissute in prima persona, che però hanno avuto una forte risonanza emotiva, un impatto che ha smosso qualcosa nel profondo, gettando d’improvviso luce in quelle zone d’ombra che sono di solito inaccessibili. Quanto ai luoghi, sono presenti, a volte con riferimenti precisi, più spesso con una certa vaghezza che li rende un poco anonimi, qualche volta si assottigliano e diventano paesaggi onirici, o accolgono memorie di viaggi sedimentate nel tempo.

 

  1. Ci parli della tua pubblicazione?

 

“Maternità marina” è un’antologia poetica, che raccoglie i testi di trenta autrici italiane contemporanee, scritti a partire dalle suggestioni di una serie fotografica di ventotto scatti, con inserti grafici a ricamare le fotografie e illustrazioni a puntellare i versi, come una sorta di  sottotesto che accompagna la narrazione poetica e tiene insieme tutto l’impianto dell’opera. Nasce da una mia idea, e da un primo esperimento che mi ha visto cimentarmi con la macchina fotografica. Adoro la fotografia e spesso in passato ho collaborato con artisti e fotografi, scrivendo poesie per dare voce ai loro scatti. Con “Maternità marina” è successo il contrario, ho coinvolto le poete: Franca Alaimo, Vera Bonaccini, Angela Bonanno, Claudia Brigato, Martina Campi, Paola Casulli, Mirella Ciprea Crapanzano, Flaminia Cruciani, Alessia D’Errigo, Lella De Marchi, Francesca Del Moro, Laura Di Corcia, Claudia Di Palma, Alba Gnazi, Ksenja Laginja, Anna Lamberti-Bocconi, Daìta Martinez, Silvia Maria Molesini, Gabriella Montanari, Renata Morresi, Daniela Pericone, Valeria Raimondi, Anna Ruotolo, Silvia Secco, Francesca Serragnoli, Enza Silvestrini, Claudia Sogno, Alma Spina, Antonella Taravella, Claudia Zironi, perché fossero loro a scrivere i testi in sintonia con le mie immagini.

Valeria Bianchi Mian, con la quale collaboro al progetto “Medicamenta- lingua di donna e altre scritture” sotto la cui egida è nato il libro, è stata invece l’ideatrice del racconto grafico, dedicandosi alle illustrazioni e realizzando la delicata trama di inserti che riscrivono le foto di significati ulteriori. Il libro contiene anche le nostre due introduzioni come curatrici (quella di Valeria con un taglio psicoanalitico) e due nostre poesie, che abbiamo volutamente lasciato a margine della narrazione, a cui invece hanno dato forma le altre autrici. A conclusione dell’opera appare la postfazione accurata dell’artista Sandra Baruzzi, che riflette sulla sintesi che linguaggio visivo e scritto producono. Insomma, è un libro composito, stratificato, multiforme, onirico, conturbante e perturbante, tutto al femminile.

 

  1. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

 

A essere onesta non ho mai pensato che un mio libro potesse essere utile o necessario, in generale. Ho avuto piuttosto la speranza che potesse incontrare lo sguardo generoso di una lettrice o di un lettore, essere riconosciuto, prestare la sua voce per incarnare un sentire altro dal mio, rinascere a nuova vita attraverso inedite attribuzioni di senso. Per quanto riguarda “Maternità marina”, trattandosi di un’opera corale, incentrata sul tema complesso del materno, mi auguro che possa interessare ed essere d’aiuto ‒ come una mappa ‒ a chi voglia incamminarsi in questo territorio originario, accogliente e impervio al contempo, accompagnato dall’eco dei versi e delle immagini, per un’esperienza totalizzante e sinestetica, al confine tra sogno e incubo.

 

  1. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

 

Quasi un decennio fa, durante una vacanza al Sud, stavo passeggiando sulla spiaggia, nella luce abbacinante dell’estate mediterranea, quando ho visto una poltrona rossa abbandonata sugli scogli, scolorita e segnata dal tempo, eppure ancora così accogliente. Ho avuto una visione, non so come altro dire, cioè ho visto (immaginato, ma sembrava molto reale) una giovane donna vestita di bianco, seduta sulla poltrona, e a questa immagine primigenia poi ne sono seguite altre, un racconto intero, una specie di fiaba, a cui ho sentito il bisogno di dare concretezza  attraverso le immagini fotografiche. Io però non sono una fotografa, quindi è stato tutt’altro che semplice realizzare gli scatti. Solo molto tempo dopo, quando ho ripreso la serie fotografica dall’oblio in cui l’avevo relegata, quando ho condiviso questa visione con Valeria e poi con le altre poete, solo in quel momento è stato davvero gettato il seme da cui l’opera è nata.

 

  1. Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale” scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi oppure a poco a poco? E poi con sistematicità, a orari prestabiliti oppure quando potevi o durante la notte, sacra per l’ispirazione?

 

Di solito scrivo quando ho l’ispirazione, di getto, e spesso succede la notte. Durante il giorno poi mi occupo della revisione, del lavoro di limatura. L’unico mio testo poetico contenuto in “Maternità marina” è nato in un periodo in cui stavo leggendo il libro di Tiziana Cera Rosco, “Corpo finale”, un’opera potentissima, che mi ha molto turbato. Diciamo che per certi versi è stato come gettare sale su una ferita, la mia ferita, quella con cui da sempre faccio i conti.

Il libro nella sua interezza, invece, ha avuto una lunga gestazione, durata più di due anni. Ho scoperto mio malgrado che essere curatrice mi rende ancora più perfezionista del solito, perché è più forte il senso di responsabilità che accompagna il prendersi cura di poesie altrui. Poi il libro è stato il frutto della collaborazione con Valeria, quindi per due anni abbiamo discusso, vagliato e valutato tutti i dettagli, ci siamo confrontate su ogni decisione da prendere, ed essendo due personcine dalla testa molto dura non sempre siamo giunte subito a un accordo su come procedere.

 

  1. La copertina. Chi, come, quando e perché?

 

La copertina è in linea con lo stile della collana “Le Avventurine” in cui è stata pubblicata “Maternità marina”. L’immagine è una foto presente nel libro, nella seconda sezione, lavorata con gli inserti grafici che Valeria ha creato per ogni scatto, seguendo una sua linea narrativa precisa e circolare. L’abbiamo scelta perché non rivela troppo, pur presentando tutti gli elementi salienti della storia: il riferimento al mare (la conchiglia), la donna-madre, l’ambientazione nella natura, quel qualcosa di fiabesco che connota tutta l’opera.

 

  1. Come hai trovato un editore?

 

Ho scritto, presentando una prima versione del progetto, direttamente all’editore Elio Scarciglia, di Terra d’ulivi edizioni. Volevo che fosse proprio lui a occuparsene, cercavo un editore in grado di curare la parte grafica/fotografica nel migliore dei modi, e sapevo che lui è un ottimo fotografo e che Terra d’ulivi ha una collana dedicata ai libri foto-poetici. Inoltre nel suo catalogo molti sono i nomi di autori e autrici validi e quindi avevo la sicurezza che le due anime del libro, poesia e immagini, avrebbero trovato tutta l’attenzione e la cura necessarie. La prima versione del progetto non ha convinto l’editore, così dopo qualche tempo gliel’ho ripresentato con alcune varianti. Nel frattempo l’ho mandato anche a poche altre case editrici, diciamo per avere un piano B nel caso Elio bocciasse di nuovo la proposta. Invece gli è molto piaciuta l’idea nuova e così abbiamo iniziato a lavorarci. È stato prezioso potermi confrontare con lui, e non posso che ringraziarlo per la pazienza cha ha avuto con me e con Valeria.

 

  1. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

 

A chi apprezza la commistione dei linguaggi artistici, a chi ama la buona poesia, a chi ha voglia di immergersi in atmosfere oniriche e fiabesche, a chi non ha paura di sondare zone d’ombra, a chi è interessato alla scrittura contemporanea che pone al centro paure, limiti, complessità, aperture ed epifanie del femminile, a chi è animato da curiosità, a chi è sedotto dalla bellezza e dai suoi rovesci, a chi cerca un libro originale e fuori dagli schemi.

 

  1. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

 

Si era pensato a una serie di presentazioni su tutto il territorio nazionale, dal momento che le autrici coinvolte abitano in quasi ogni regione d’Italia. Data la situazione contingente, tuttavia, al momento l’idea è di iniziare a dare notizia del libro tramite i social e i blog, magari anche con l’ausilio di video presentazioni.

 

  1. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legata e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa)

 

Per non fare torto a nessuna autrice, scegliendo una sola poesia delle trenta che compongono l’opera ed escludendo dunque tutte le altre, riporto il mio testo, che come dicevo è a margine della narrazione, insieme a quello di Valeria, contenuto nell’introduzione. Non è assolutamente il più riuscito, anzi, e forse nemmeno il più rappresentativo dell’antologia, proprio perché pur essendo in tema, non è associato a nessuna foto. Nell’introduzione lo presento come “preludio [al] viaggio nel luogo più terrestre e viscerale che ci appartenga, una piccola bussola da disattendere alla ricerca del proprio spicchio di luna, del volto autentico della Madre che ci abita dall’origine dei tempi”:

 

L’ALTRA MADRE

 

Avrebbe potuto essere

animale respiro bianco

latte di tenerezza sangue

nel sangue identico,

un cordoncino ombelicale

di silenzi esattamente puntati

al petto dal viola di un capezzolo

al cuore tutto pieno di mani,

fare parola passi centro

di ogni sguardo del presente

e del futuro stella polare

 

Avrebbe potuto essere

non la distanza siderale

in luogo d’ogni azzurro,

la purezza del bicchiere vuoto

della carne intatta destinata

ad avvizzire ‒ meraviglia

in una teca senza corpo

 

Avrebbe potuto scegliersi

colomba un manto di peluria

imponente fiera d’unghie

che ruotano intorno al giallo

degli occhi, schiudersi, sfuggire

alla precisione di sé stessa

 

(invece)

 

  1. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

 

Vorrei tanto che questo libro tutto al femminile fosse letto anche dagli uomini. Mi piacerebbe che qualcuno ne scrivesse, vorrei avere riscontri per scoprire se e quali corde ha sfiorato nel lettore. Mi piacerebbe che, al di là degli esiti perfettibili, fosse evidente quanta cura e attenzione ci sono state dietro alla sua realizzazione.

 

  1. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

 

Non saprei. Sono io la prima ad avere molte domande in sospeso con me stessa rispetto a questo progetto. Vorrei tanto che a qualcuno venisse in mente di darmi proprio le risposte che non ho trovato da sola. Ecco perché aspetto qualche parere, qualche restituzione di senso, la possibilità di nuove interpretazioni.

 

 15. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova        opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

 

Sempre in collaborazione con Valeria Bianchi Mian, ho in cantiere una nuova antologia, di cui saremo curatrici.  È un lavoro che nasce da una mia rubrica pubblicata a puntate sul blog Poesia del nostro tempo, dal titolo “Confine donna: poesie e storie d’emigrazione”, dedicata al tema dei confini e della migrazione, con un focus sulla questione linguistica di chi scrive in una lingua seconda. Poete straniere, che vivono o che hanno vissuto in Italia, raccontano la propria storia di migranti anche attraverso la poesia. Sto lavorando a una mia prossima raccolta, ma sono ancora in una fase aurorale, è troppo presto per prevederne gli sviluppi e dare anticipazioni in merito.

Speriamo bene!

silvia

 

Silvia Rosa nasce a Torino, dove vive e insegna. Laureata in Scienze dell’Educazione, ha frequentato il Corso di Storytelling della Scuola Holden (2008/2009). È vicedirettrice del blog “Poesia del Nostro tempo”, dove si occupa tra l’altro delle rubriche “Confine donna: poesie e storie d’emigrazione” e “Scaffale poesia: editori a confronto”, ed è redattrice di “NiedernGasse”, dove cura le rubriche “L’asterisco e la Margherita”, firmandosi con il nome di Margherita M. e “Fuori banco: cronache dalla scuola degli ultimi”. Collabora con il blog Margutte e fa parte della redazione di “Argo annuario di poesia”. È tra le ideatrici del progetto “Medicamenta: lingua di donna e altre scritture”, che propone una serie di letture, eventi e laboratori rivolti a donne italiane e straniere, con le loro narrazioni e le loro storie di vita. Ha intervistato e tradotto alcuni poeti argentini, dando vita al progetto Italia Argentina ida y vuelta. Incontri poetici, pubblicato nel 2017 in e-book (edizioni Versante Ripido ‒ La Recherche). Suoi testi poetici e in prosa sono presenti in diversi volumi antologici e sono apparsi in riviste, siti e blog letterari. Tra le sue pubblicazioni: le raccolte poetiche Tempo di riserva (Giuliano Ladolfi Editore 2018), Genealogia imperfetta (La Vita Felice 2014), SoloMinuscolaScrittura (con prefazione di Giorgio Bàrberi Squarotti, La vita Felice 2012), Di sole voci  (LietoColle Editore 2010); il saggio di storia contemporanea Italiane d’Argentina. Storia e memorie di un secolo d’emigrazione al femminile (1860-1960) (Ananke Edizioni 2013).

Biobibliografia completa qui:

http://www.larecherche.it/biografia.asp?Tabella=Biografie&Utente=silviarosa

 

 

 

 

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L’intervista a Viviana Viviani: Se mi ami sopravvalutami

12 giovedì Mar 2020

Posted by Loredana Semantica in Interviste, LETTERATURA E POESIA

≈ 1 Commento

Tag

poesia contemporanea, Se mi ami sopravvalutami, Viviana Viviani

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.
La redazione ringrazia Viviana Viviani, per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: Se mi ami sopravvalutami, Controluna, 2019

1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

Ho imparato a leggere e scrivere a tre anni, grazie a una madre maestra, e a scuola ero tra i pochi ad essere felice quando c’era il tema in classe. Poi, quando ho scelto di studiare ingegneria, ho smesso di scrivere (ma non di leggere) per un lungo periodo. Credo fosse il mio modo per non sentire troppo il peso di quella rinuncia: renderla definitiva. Ma la passione è rimasta, mi ha seguita come un fiume sotterraneo, e alla fine è riemersa.

2. Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la vita e l’arte?

Per quanto riguarda la poesia, due autrici in particolare: Wislawa Szymborska e Viviane Lamarque. Credo che dalla sintesi tra la grande intelligenza, la razionalità chirurgica ma densa di emozione della prima, e l’apparente ingenuità infantile, in realtà ricca di consapevolezza, della seconda, potrebbe nascere la poesia perfetta. Ma le tre più belle poesie d’amore in assoluto per me sono state scritte da uomini: “Il minacciato” di Borges, l’amore feroce e ossessivo, “Ho sceso dandoti il braccio” di Montale, l’amore quotidiano e compiuto, e “Scrivo a te donna” di Salvatore Fiume, l’amore segreto, forse solo immaginato.

3. Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai con i luoghi dove sei nato o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

La componente autobiografica è di certo importante, ma cerco di nasconderla: si rischia sempre di essere noiosi quando si parla troppo di sé. Mi reputo invece una buona osservatrice, soprattutto delle contraddizioni umane. Lavorare in un ambito esterno alla letteratura, quello aziendale, in un certo senso mi aiuta a stare vicino alla realtà quotidiana.

4. Ci parli della tua pubblicazione?

“Se mi ami sopravvalutami” è una silloge poetica, prosastica ma non troppo. Alcuni componimenti usano un linguaggio anche crudo, altri sono più leggeri e non disdegnano rime e assonanze. Parlo spesso di amore, ma anche amicizia, lavoro, tecnologia, vecchiaia, con un occhio particolare alle nuove forme di comunicazione, le chat, i social. Il testo più noto, “Non mandarmi il tuo cazzo in chat”, ne è esempio. Nella prefazione, Franz Krauspenhaar dice che colpisco “i vizi del cuore con un po’ di perfidia tutta femminile”, e trovo sia un grande complimento.

5. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Credo sia utile, se non necessaria – ma cosa è necessario? La poesia in generale è quanto di più deliziosamente inutile – in quanto a detta di molti offre uno sguardo nuovo sulla realtà. Nuovo in cosa, non saprei dirlo. Non si inventa mai nulla. Semplicemente è la mia voce, che prima taceva. Molti poeti contemporanei tendono, a mio parere, a far prevalere il suono sul senso, accostando le parole a prescindere dal significato, alla ricerca di una musicalità un po’ fine a se stessa. Io cerco invece di fare una poesia che racconti, se non una storia, almeno una situazione, un’idea. Al tempo stesso rifuggo ogni istinto morale o pedagogico. Mi piace che la poesia abbia qualcosa da dire, senza però la pretesa di insegnare nulla.

6. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

Ho iniziato a pubblicare su Facebook qualche poesia, alcune le avevo lì da tempo, ma la maggior parte sono recenti. Ho visto reazioni positive e ho continuato. Credo che i social siano un grande laboratorio culturale, e un’immensa risorsa di confronto e libertà. Insomma credo che su questo Umberto Eco, pur essendo un grande, avesse torto. Avranno pur dato voce a legioni di imbecilli, ma anche a falangi e testuggini di creativi, spesso di valore, a volte anche geniali.

7. Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale” scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi oppure a poco a poco? E poi con sistematicità, ad orari prestabiliti oppure quando potevi o durante la notte, sacra per l’ispirazione?

Giorno per giorno, ispirandomi alla vita quotidiana, fuori e dentro i social. Di solito le idee mi vengono di notte, poi butto giù la prima bozza in pausa pranzo e la rielaboro alla sera. Ma perché mi viene spontaneo così. In realtà sono abbastanza pigra e indisciplinata, purtroppo.

8. La copertina e il titolo. Chi, come, quando e perché?

Il titolo è lo stesso di una delle poesie, l’ho proposto io all’editore ed è piaciuto. La copertina è invece completamente dell’editore.

9. Come hai trovato un editore?
Naturalmente su Facebook! Mi hanno contattato loro, non ho dovuto nemmeno propormi. Credevo fossero leggende, invece succede davvero.

10. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?
Molto eterogeneo, con un picco forse per le donne tra i 30 e i 50, ma ricevo apprezzamenti da entrambi i sessi e da tutte le età.

11. In che modo stai promuovendo il tuo libro?
Principalmente sul web. Stavo organizzando una serie di presentazioni, quando è arrivato il Coronavirus che ha congelato tutto. Spero torneremo presto alla normalità, nel frattempo credo sia il momento ideale per leggere tutti di più. Non solo il mio libro, eh!

12. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legato e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa)

Sono molto affezionata a tutte le poesie della silloge, faccio fatica a scegliere. Ripropongo quella più nota, Non mandarmi il tuo cazzo in chat, e un’altra che amo molto, Il mendicante ha un dobermann

NON MANDARMI IL TUO C@ZZO IN CHAT
Non mandarmi il tuo c@zzo in chat
che ancora non ho navigato
le lunghe vene delle tue braccia
né attraversato fiumi
camminando sulle tue vertebre.
Non ho sovrapposto le impronte digitali
per vedere se si assomigliano
e nemmeno disegnato ghirigori
tra le nocche delle tue mani.
Non ho contato una ad una
le tue ciglia nel sonno
o soffiato parole audaci
nel labirinto delle tue orecchie.
Non ho ancora cercato l’orsa maggiore
tra le costellazioni dei tuoi nei
né dato un nome a quelle senza nome
sulla volta della tua schiena.
Non conosco le risse
dietro le tue cicatrici
e non so se odori più di bosco
di biblioteca o di autogrill.
Non mandarmi il tuo c@zzo in chat
o finirà tra i tanti c@zzi senza storia
che vivono nelle chat
spade di pixel sguainate nel nulla
non voglio sapere la sua solitudine
prima di conoscere la tua.

Il mendicante ha un dobermann

Il mendicante ha un dobermann,
mi guarda mentre dorme
cammino più veloce
sulla strada dell’ufficio.

La collega lavora bene
tra le gambe del direttore,
avrà un contratto migliore
io più lavoro arretrato.

Lui dice che non mi ama
ne ha una più felice
ma cedo alle sue urgenze
quando è stanco di allegria.

La mia amica è buona
mi odia se non piango
per chi annega e brucia
nel TG del pomeriggio.

Il mendicante è un dobermann,
se solo mi avvicino
mi sbrana di pietà.

Un euro a un lavavetri
colpo di straccio al cuore
pulisce anche le colpe
di cui sono innocente.

13. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

Più che un’aspettativa una speranza, forse persino eccessiva: che scrivere diventi il mio mestiere.

14. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

Ne ho ben due!

“A che lettore vorresti arrivare?”

A quello che non ha mai amato la poesia, che dice di non capirla, che la ricorda dai tempi della scuola come qualcosa di pesante. Quello che lavora troppo, che non ha tempo, che non ha voglia, che ha fretta, che però viene catturato casualmente da una parola, un verso, un’idea. Quello che non sa chi sia la Szymborska, ma magari dopo aver letto questa intervista si va a cercare le sue poesie su Google. Vorrei essere un seme.

“E qual è il tuo grande timore?”

Fermarmi qui, come quei cantanti di una sola canzone. E passare alla “storia” come la “poetessa del cazzo”. Il che comunque non sarebbe poco.

15. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Ho in lavorazione una seconda silloge e anche un romanzo. Vi regalo volentieri un inedito. C’è chi dice io sia ossessionata dalla vecchiaia, in realtà trovo sia un tema affascinante e poco trattato, nella poesia e nella letterature in generale.

DA VECCHIA

Da vecchia non ballerò il liscio,
non l’ho saputo fare mai,
non giocherò a carte, non cucirò,
da vecchia mi farò
di botox come eroina,
truccata da vecchia gallina,
da giovane ero bella, dirò.
Da vecchia, mentirò.

Viviana Viviani è nata a Ferrara nel 1974 e vive a Bologna. È ingegnere. Ha pubblicato racconti su varie antologie. Giornalista pubblicista, ha scritto sulla rivista on line LucidaMente e oggi scrive su Pangea News e Hic Rhodus. Nel 2012 è stata finalista del premio Giallo Mensa di Mondadori e nel 2013 ha pubblicato il romanzo “Il canto dell’anatroccolo”, con Corbo Editore, nella collana di Roberto Pazzi. Nel 2018 il suo progetto di scrittura multimediale “Penitenziagite – Un cadavere nella rete”, scritto a quattro mani con l’amico Stefano Machera, è arrivato in finale al Macchianera Awards tra i siti letterari. Ha appena pubblicato la silloge poetica “Se mi ami sopravvalutami” con Controluna – Il seme bianco.

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L’intervista a Sergio Sichenze: Tutto è uno

09 lunedì Mar 2020

Posted by Deborah Mega in Interviste, LETTERATURA E POESIA

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intervista, Sergio Sichenze, Tutto è uno

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.

La redazione ringrazia Sergio Sichenze per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: “Tutto è uno”, Terra d’ulivi edizioni, 2020.

  1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

Una casa dove i libri costituiscono le pareti portanti è un buon inizio: così è accaduto. Non erano organizzati per autore o per genere: erano lì, a disposizione. Quello è stato il primissimo amore per la scrittura. La fascinazione derivante dal profumo della carta, toccare le copertine che percepivo fossero custodi di mondi e paesaggi sconfinati, e poi le parole. Il transfert emotivo sono state e sono le parole: forma e suono. Cardini sui quali scivola la porta che spalanca a epifanie. Leggere e quindi leggere, poi leggere e rileggere: la più concreta forma di scrittura, un flusso ininterrotto che ancora mi percorre.

  1. Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la vita e l’arte?

I primi vagiti di passione letteraria: Salgari e Verne. Sono autori che ti conducono magicamente nelle storie…e Kipling. Ricordo che quando vidi al cinema il mio primo film della Disney rimasi deluso, lo trovai sottotono rispetto alla magnificenza dei libri che in quel periodo maneggiavo. Fino al liceo sono stato bulimico, vorace, caotico: afferravo ciò che trovavo. Un libro, tra i tanti, mi scosse: “Ferito a morte” di Raffaele La Capria, soprattutto l’incipit: la caccia alla spigola nel mare di una Napoli che non avevo conosciuto. Poi i grandi classici latini e greci, l’epica omerica: irripetibile caleidoscopio di miti, dei, uomini e sentimenti verticali. Gli autori italiani che hanno avuto e continuano ad avere una notevole influenza sono tanti: Pavese, Fenoglio, Piovene, Pasolini, Arpino, Bernari, Carlo Levi, Primo Levi, Ortese, Nigro, Tobino, Silone, Tabucchi e altri. Un posto del cuore lo riservo a tre scrittrici: Natalia Ginzburg, Goliarda Sapienza ed Elsa Morante. Ma sono gli scrittori siciliani che mi hanno conquistato e decisamente orientato: Pirandello, Verga, Tomasi di Lampedusa, De Roberto, Vittorini, Brancati, Sciascia, Consolo e, con un sentimento di amore incondizionato, Gesualdo Bufalino: un uso della lingua incomparabile. Altri due autori rappresentano una luce costante: Gadda e Calvino. Quest’ultimo supera qualsiasi genere letterario, per affermarsi in uno spazio del pensiero e della riflessione attualissimo: non ha eguali. Da Calvino il passaggio a Borges è immediato, la magnificenza dei labirinti della mente, la rete inestricabile di storie: unico. Quindi Pessoa con i suoi eteronimi, nonché gli scrittori della letteratura ispanoamericana: Reyes, Paz, Cortázar, Vargas Llosa, Márques, Allende, Sèpulveda, Galeano, Mutis e altri. Degli autori transalpini contemporanei mi affascina Annie Ernaux. Ho richiamato solo alcuni scrittori che hanno incrociato la mia vita; alcuni di essi hanno intrattenuto un rapporto anche con la poesia (si veda Borges). È la poesia, però, l’amore di sempre, d’altro canto è il genere che sperimento. Qui si apre un discorso vastissimo, che circoscriverei così: la poesia classica greca e latina (Esiodo, Saffo, Virgilio, Catullo, Orazio); quella mistica araba e quella europea (includendo anche l’area russofona). La poesia italiana costituisce un ecosistema a sé, soprattutto perché non richiede traduzioni, ed è, a mio avviso, la vera palestra sull’uso della lingua: gli amatissimi Leopardi e Montale, due autori di formazione imprescindibili. Poetesse cruciali: Pozzi e Rosselli. Quasimodo, Sereni, Rebora, Campana, Cavacchioli, Luzi, Penna, Caproni, Gatto: in ordine sparso. Ungaretti: una sorta di trasfusione materna. Un salto all’estero richiederebbe un viaggio. Mi limito a Neruda e Hikmet, Zagajewski e Brodskij, Carver, Celan ed Éluard. Un posto speciale nella mia libreria l’ho riservato a Ritsos, Kavafis, Seferis ed Elitis. Le meravigliose Mistral e Plath. Fortemente Rilke. Desidero qui rammentare tre scrittori poco noti ai più: Dolci, Piccolo, Buttitta. Il primo libro di poesie che comprai con la mia “paghetta” fu “I fiori del male” di Baudelaire. Mi fermo!

  1. Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai con i luoghi dove sei nato o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

La scrittura nasce dall’urgenza irrefrenabile di mettere su carta il sé profondo, che nel mio caso si manifesta con la poesia: so cose di lui solo scrivendo! È sempre un ospite inatteso: arriva e si piazza in soggiorno, o in qualsiasi altro luogo che frequento, soprattutto durante i viaggi, negli spostamenti in treno: mezzo che frequento assiduamente. Pertanto, ciò che scrivo non può che non essere autobiografico. Parlo di una autobiografia emotiva, del mistero che in modo permanente mi abita. I luoghi hanno una grandissima influenza, sono segnatamente evocativi: scatenano un sistema complesso e intrecciato di stati d’animo e richiami mentali. Nonostante sono quasi quarant’anni che vivo in Italia del Nord, sono un uomo forgiato nel Sud del Mediterraneo: direi nelle sue acque. Vuol dire che la mia matrice, non solo biologica, ma soprattutto culturale, proviene da quell’ecosistema. Porto in me l’impronta della Storia che l’ha generato. La Sicilia, anche se nato a Napoli, è, senza alcuna incertezza, la mia terra d’origine. Più ciò che è, che è stata, il lunghissimo processo naturale e culturale che l’ha prodotta, è il suo inestricabile arcano che catalizza la mia passione. La terra che mi ospita da così lungo tempo è meravigliosamente boreale. Vi ho costruito un legame fortissimo, anche se non mi ha generato; intendendo con generare molto più e molto altro dell’esito biologico che determina la vita, mi riferisco all’ignoto di cui sono intriso. Mi sento a casa lì dove posso ascoltare la sua voce.

  1. Ci parli della tua pubblicazione?

“Tutto è uno” è un libro che viene da lontano. Lo considero un approdo, potrei dire che incarna il mito di Ulisse. L’epica omerica ci restituisce un eroe e, al tempo stesso, una figura umanissima che sferza i suoi compagni e sfida l’universo deiforme in quanto in lui agisce la nostos. Il ritorno a casa, nella mia epica, è il ricongiungersi al mistero dell’esistenza, cui prima ho fatto cenno. Il titolo richiama Rilke ed Eraclito. Rilke, di cui riporto in introduzione una quartina, sviluppa nel corso della sua poetica la dimensione olistica dell’esistenza, propria di Eraclito. L’unità è matrice di diversità, ma non smarrisce mai la sua natura spirituale. Non intendo attribuire a ciò un significato religioso, semmai mistico, che dal verbo greco “myein” significa celato, intimo, nascosto. L’essenza. È una riflessione che ha richiesto un lungo processo di consapevolezza e di maturazione, che inevitabilmente proseguirà. Anche se in questa silloge poetica c’è completezza di pensiero. Tutto ciò ha trovato compimento in un momento preciso della mia vita, un’epifania che ha fatto emergere un codice sacro che si è palesato nei versi.

  1. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Il contemporaneo ci mostra un mondo frammentato, parcellizzato, carico di timori e confuse aspettative: seppur inneggiato come globale. Assistiamo inermi, spesso sopraffatti, a eventi planetari che non siamo in grado di decodificare. Immersi in un flusso che sembra trascinarci verso l’ineluttabile, senza avere la possibilità di esercitare la nostra scelta individuale. Una bufera nella quale smarriamo i punti di riferimento. Il mio libro può offrire una sosta, contribuire a riappropriarsi del senso spirituale dell’unità. Rimarco che si tratta di una silloge profondamente laica, che non cede alla semplificazione dogmatica, ovvero a un pensiero che tende all’unificazione del vero e alla separazione dei credi. Il tempo dedicato al consumo ha di molto superato il tempo del sacro, all’inclinare lo sguardo verso i valori fondativi dell’umano, della consapevolezza dell’esistenza. Proverei gratitudine verso coloro che volessero leggermi, tenendo a mente le argomentazioni fino a qui espresse.

  1. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

Alcune idee le ho già tratteggiate: è un libro che affonda le sue radici in uno spazio temporale indefinibile. Concretamente fogli e penna si sono incrociati nel mese di luglio del 2019. Non poteva che essere così: l’estate è per me stagione rigogliosa. La metà di quel mese l’ho trascorsa nel Salento, che mi ha offerto doni che hanno contribuito a chiarificare le acque che mi attraversavano. Molti versi hanno trovato forza e linfa proprio lì.

  1. Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale” scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi oppure a poco a poco? E poi con sistematicità, ad orari prestabiliti oppure quando potevi o durante la notte, sacra per l’ispirazione?

Diciamo che il movimento tellurico ha avuto un’attività effusiva copiosa e ininterrotta, anche se la lava scorreva sottostante da chissà quanto tempo. I versi non si presentano però come rocce magmatiche, ovvero non sono una massa amorfa, nera e inospitale, a seguito di un raffreddamento rapido a contatto con l’aria, semmai sono rocce sedimentarie, con precisa stratificazione che consente la lettura della Storia che le ha formate. In generale, e anche in questo caso, non ho orari, o momenti della giornata in cui prediligo scrivere. La mia modalità percettiva dominante è la vista. In quanto soggetto visivo, immagazzino frammenti di immagini che continuamente si ricompongono, fino a formare la parola. È un processo inarrestabile. Poi c’è la fase lenta del tramonto, dove tutto si stempera e lentamente si focalizza ciò che trasferisco nei versi.

  1. La copertina. Chi, come, quando e perché?

L’immagine di copertina, la carta, il formato, sono opera di Elio Scarciglia: editore e grafico eccelso. Ha colto l’essenza, e di questo gliene sono molto grato. Forma e contenuto costituiscono un unicum che ha un valore simbolico ed evocativo determinante. Quando accade ciò, si conferma l’assoluta insostituibilità del libro: oggetto di intensa fascinazione.

  1. Come hai trovato un editore?

La mia collaborazione con Terra d’ulivi edizioni è iniziata nel 2018, allorquando Elio Scarciglia mi ha coinvolto, in fase ancora embrionale, nell’avventura di Menabò: quadrimestrale internazionale di cultura poetica e letteraria. Lo scambio continuo di idee e la condivisione d’intenti, di progetti e obiettivi comuni, hanno prodotto l’humus ideale per creare un libro assieme. Ritengo, infatti, che un libro non è un prodotto commerciale, semmai uno strumento culturale che diventa, una volta lasciato il porto sicuro, un messaggero di princìpi e valori, un contenitore di mondi da indagare. In questo lavoro sperimentale, autore ed editore concorrono paritariamente a imprimere la propria visione. La dimensione finita appartiene ai lettori nella loro difformità. È quello che accade durante il viaggio che ha valore.

  1. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

La poesia, meno della narrativa, è ed è stata oggetto di classificazioni di genere, e risente degli orientamenti dei diversi periodi storici. Tale aspetto, questa volta rimarcando una sostanziale differenza con la narrativa, difficilmente la registro nel pubblico al quale presento i miei libri: la poesia è la poesia. Noto posizioni dicotomiche, che si identificano talvolta con il gusto: mi piace o non mi piace. Bella o brutta. Molto spesso: mi ha fatto emozionare e quindi pensare. Nelle librerie, inoltre, lo scaffale (uso non caso il singolare: ahimè!) dedicato alla poesia si presenta in modo caotico, qualche volta organizzato per autore, mai per genere. Nell’epoca dei social, però, leggo molte più citazioni poetiche che di narrativa. È uno spaccato che mi incuriosisce. Mi rivolgo a chiunque abbia voglia di aprire un libro e leggere dei versi, portarseli a casa, farli viaggiare, riporli e magari rileggerli dopo molti anni, farne dono. Sono convinto che la poesia non si consuma, non perde di attualità e continua a mordere la vita, o a baciarla.

  1. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

Questo è un aspetto che denota fragilità. La mia natura riservata, la scarsa propensione a essere un animale da social media, sicuramente penalizza la promozione. Devo dire però che, anche se lentamente, riesco a veicolare i miei libri attraverso micro reti territoriali e sociali. Sto scoprendo strati di realtà a forte connotazione partecipativa: ciò mi rassicura. Il rapporto diretto con le persone mi vivifica, è un antidoto alla sciatteria e brutalità dei luoghi comuni, alla masticazione ripetitiva e seriale degli stereotipi. Anche questa intervista s’inscrive nel solco delle relazioni vivificanti, così come l’apprezzamento di amici scrittori e poeti ai quali l’ho inviato.

  1. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legato e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa).

La silloge è stata costruita in modo evolutivo. Segue un flusso non temporale ma di elaborazione di pensieri che via via si sono dipanati. La potrei definire un tappeto, dove l’intreccio dei fili, la mescolanza dei colori, l’attenta scelta dell’orditura, ha consentito l’emersione di una raffigurazione complessa. Le chiavi di lettura sono molteplici, segnatamente soggettive. Ciascuno può costruire la propria realtà, la quale potrà mutare al mutare delle percezioni. In tal senso l’ultima poesia che s’intitola “Origine” fornisce il senso di circolarità della silloge. I versi di chiusura sono per me rappresentativi di questo lavoro: “Alcuna legge ha luogo in sé / Essere noi, adesso, / è origine”.

  1. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

La raccolta costituisce un elemento di cambiamento e di conferma del mio percorso letterario. Di cambiamento in riferimento alla struttura e alla maturazione poetica, di conferma in quanto è da qui che desidero ripartire. La percezione è quella di aver costruito un setaccio con nuove maglie, che spero mi aiuteranno a filtrare e selezionare in modo diverso il divenire esistenziale. L’aspettativa verso l’esterno, quella a cui tengo maggiormente, è che diventi uno strumento di confronto e discussione, non tanto e non solo sull’opera, quanto sul contributo che spero potrà fornire alla riflessione sul nostro tempo. La poesia ha svolto sempre una funzione nelle società, non contemplativa o accademica, semmai di presa di coscienza della condizione umana. Poeti quali Hikmet, hanno subito il carcere, o sono stati uccisi o fatti sparire: quando un regime cerca di tappare la bocca a qualcuno, una delle prime voci a cui si rivolge è quella dei poeti. Scriveva Pablo Neruda, sulla cui morte c’è ancora un fitto mistero in merito al coinvolgimento del regime instaurato in Cile da Augusto Pinochet nel 1973: “Guardatevi in giro, c’è una sola forma di pericolo per voi qui: la poesia!”

14. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

Apporre un punto interrogativo al titolo di quest’opera: Tutto è uno?

Siamo stati forgiati per esprimere complessità, eppure assistiamo a una linearizzazione del pensiero, all’affermarsi di visioni assertive, dove le certezze soppiantano l’indefinito, lo sfuggente senso dell’esistere. Se da un lato sostengo che “Tutto è uno”, dall’altro il senso di tale unità si cela. Ne “La Repubblica”, Platone parte dal principio che la conoscenza sia proporzionale all’essere: è perfettamente conoscibile ciò che è massimamente essere, al contrario, è assolutamente inconoscibile il non-essere. Tra essere e non-essere, esiste una realtà intermedia, il sensibile. Porrei, dunque, sempre il mistero quale antidoto all’irrimediabile realtà. Italo Calvino, avvertiva i lettori di essere diffidenti della sua biografia, soprattutto se redatta da lui. Un modo mirabile per dubitare anche dei fatti che costellavano la sua vita, quali immagini vaghe, pronte a disparire sotto i colpi della bufera.

15.Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Sto lavorando a un progetto poetico che cerca significato e senso in merito a un tema a me molto caro: le isole. C’è un’isola reale in questo lavoro che assurge a paradigma universale. L’isola però è anche il poeta. Nel discorso di premiazione tenuto in occasione del conferimento del Premio Nobel per la letteratura, Wislawa Szymborska, disse «fino a non molto tempo fa, nei primi decenni del nostro secolo, ai poeti piaceva stupire con un abbigliamento bizzarro e un comportamento eccentrico. Si trattava però sempre di uno spettacolo destinato al pubblico. Arrivava il momento in cui il poeta si chiudeva la porta alle spalle, si liberava di tutti quei mantelli, orpelli e altri accessori poetici, e rimaneva in silenzio, in attesa di se stesso, davanti a un foglio di carta ancora non scritto. Perché, a dire il vero, solo questo conta». Esseri isolati è una condizione duale, perennemente oscillante tra il sé e l’altro, e come altro intendo le molteplici dimensioni dell’esistere che rimandano al sé: una ricorsività pregnante. Le isole sono paradigmi di tale condizione. Corrispondono a una delle forme che può assumere il mito. Il poeta, dunque, si trova a suo agio a sperimentare tale materia, sempre in bilico tra indefinito e realtà, senza mai avere la tensione a risolvere l’enigma, anzi a rafforzarlo.

Sergio Sichenze è nato a Napoli nel 1959. Vive e lavora a Udine. Ha pubblicato racconti e raccolte poetiche, tra cui “Nero Mediterraneo” (Campanotto Editore, 2008), “BOBBIO Y MOSTAR” in “La natura dell’acqua: almanacco di letteratura rinnovabile 2011” (Marcos y Marcos Editore, 2011), “Nei chiaroscuri del tango” con Elisabetta Salvador (Campanotto Editore, 2018), “Il futuro cede al ritorno” (Convivio Editore, 2019), “Tutto è uno” (Terra d’ulivi edizioni, 2020). Sue poesie compaiono in alcune raccolte. Nel 2018 ha vinto il Premio Nazionale di Poesia Terra di Virgilio. Dal 2019 è membro della giuria Premio Nazionale di Poesia Terra di Virgilio. Fa parte del comitato di redazione del quadrimestrale internazionale di cultura poetica e letteraria “Menabò” (Terra d’ulivi edizioni) per il quale cura la rubrica “Pi greco”.

 

 

 

 

 

 

 

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L’intervista a Patrizia Destro: Haiku dal silenzio

13 giovedì Feb 2020

Posted by Loredana Semantica in Interviste, LETTERATURA E POESIA

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Haiku dal silenzio, intervista, Patrizia Destro

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.
La redazione ringrazia Patrizia Destro, per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: Haiku dal silenzio, Ennepilibri

1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

Si, lo ricordo. Ho iniziato a leggere e a scrivere a quattro anni. Mi hanno insegnato i miei genitori. Avevo una scrivania per bambini il cui piano di appoggio, ribaltato, si trasformava in una lavagna. Ero felice di imparare qualcosa che sentivo importante. A scuola ho avuto la fortuna di avere un’insegnante all’avanguardia, che ci incoraggiava a dire la nostra su qualunque argomento. All’indomani di gite scolastiche a fattorie, fabbriche, studi di pittori e altri luoghi interessanti puntualmente ci dava dei temi da svolgere, i quali venivano poi raccolti in un giornalino, che stampavamo noi stessi. Leggevamo ad alta voce Gianni Rodari e Italo Calvino e altri autori che al momento non ricordo. Disponevamo di una biblioteca di classe e anche a casa per fortuna avevo abbastanza libri, anche se all’epoca quelli per l’infanzia non erano così numerosi come ora. A diciotto anni ho scritto la mia prima poesia e non ho più smesso. Da adulta ho iniziato a scrivere racconti.

2. Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la vita e l’arte?

Non so se succede anche ad altri: in gioventù si leggono più che altro i classici (nel mio caso Leopardi, Jules Verne e qualcosa dei lirici greci, come Saffo, per citarne alcuni) e poi si inizia ad allargare gli orizzonti verso autori a noi più vicini nel tempo. Da ragazza ho amato molto Pirandello e Ray Bradbury. E appunto Calvino come dicevo prima. Comunque ero abbastanza “onnivora”. Da adulta sono subentrate esigenze diverse: cercare di capire qualcosa di più delle realtà in cui viviamo diventa sempre più impellente. Così ho iniziato a leggere anche saggi sulle discipline più diverse: psicologia contemporanea, scienze naturali, politica.
Per la poesia breve, ispirata ai lavori dei maestri giapponesi, di sicuro Basho, Issa, Shiki. Poi i moderni Murata Keinosuke e Tanaka Sadami, per citarne alcuni.
Ora che ci penso: non mi ricordo di autrici donne studiate a scuola. Neppure all’università! (studiavo lingue, ma ci sono rimasta poco, il tempo di qualche esame). Per fortuna è un buon momento per la letteratura e da qualche decennio è possibile colmare questa triste lacuna. Ultimamente ho letto Ann Tyler (che, tra le altre cose, ha partecipato ad un programma di riscrittura delle opere di Shakespeare in chiave moderna), Grazia Deledda (meglio tardi che mai!), qualcosa di Virginia Woolf, Vivian Lamarque e Rupi Kaur.
Questo è solo un piccolo elenco degli autori e delle autrici che leggo volentieri.

3. Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai con i luoghi dove sei nata o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

La mia scrittura direi che nasce per raccolta inconsapevole e per sedimentazione. Detta così forse fa un po’ sorridere però è esattamente quello che succede. Lascio che impressioni e suggestioni e idee maturino mentre mi occupo di altro, e poi inizio a scrivere. I luoghi dove vivo c’entrano molto. Anni fa mi sono accorta che ho potuto osservare più varietà di piccola fauna nei dintorni di casa piuttosto che, per esempio, durante uscite in montagna. Perchè fuori città gli animali si nascondono (e fanno bene!). Le grandi città, non solo in Italia, stanno diventando sempre più il rifugio di molte varietà di insetti e altri piccoli animali. Questo per restare nell’ambito della poesia che ha per oggetto la natura. Per quanto riguarda i racconti: con una densità abitativa di duemila persone per chilometro quadrato, ecco che il materiale da cui trarre ispirazione è a portata di mano! Anche se, il più delle volte, le mie storie non somigliano per niente a quotidiane interazioni tra esseri umani ma hanno un taglio decisamente surreale e spesso ironico.

4. Ci parli della tua pubblicazione?

Si, volentieri. Si tratta di una raccolta di un centinaio di haiku e di poesie brevi nello spirito dell’haiku, cioè quei componimenti di diciassette sillabe (5-7-5) nati da autori giapponesi di 350 anni fa. L’haiku tradizionale trae a sua volta origine dalla poesia classica giapponese, antica di 1500 anni. Verso gli anni ’50 del Novecento questa corrente poetica è arrivata in occidente e da allora conta migliaia di cultori anche qui da noi. E’ un genere di espressione artistica di una freschezza tutta particolare. Ha il fascino di qualcosa che è sempre in divenire pur nella descrizione del momento specifico. Dice tutto senza dire troppo o troppo poco.

5. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Per parafrasare quel detto: “Tutto può essere utile, niente è indispensabile”. La mia pubblicazione, come altre analoghe, può essere un esempio di come si possa fare poesia con mezzi semplici ma efficaci. La cosa importante è sentire quello che scriviamo. Riuscire ad esprimere in pochi versi o in alcune pagine aspetti di una emozione o di un’idea che il vivere quotidiano ci ha portato. E poi lavorarci sopra finchè il risultato non ci soddisfa.

6. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

Venticinque anni fa ho conosciuto un funzionario del settore cultura della regione in cui abito. Quasi per scherzo gli ho fatto leggere alcuni miei haiku. Mi ha detto che non si aspettava una qualità così buona. Siccome è anche un autore e tiene corsi di scrittura e letteratura internazionale, avrebbe potuto dirmi: “Sei bravina! Iscriviti al mio corso, così migliorerai di sicuro!”. Ma non lo ha fatto. Ha espresso un apprezzamento positivo che andava contro i suoi interessi. Questo mi ha dato la fiducia necessaria per presentare la mia raccolta agli editori, anni dopo.

7. Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale” scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi oppure a poco a poco? E poi con sistematicità, ad orari prestabiliti oppure quando potevi o durante la notte, sacra per l’ispirazione?

L’ho scritta poco per volta, durante gli anni. Lascio che la parte della mia mente che si occupa di rielaborare idee, intuizioni ed emozioni faccia il suo lavoro mentre “io” sbrigo le attività quotidiane. Quando il tutto affiora allo stato della consapevolezza inizio a scrivere. E si, può accadere anche di notte!

8. La copertina e il titolo. Chi, come, quando e perché?
L’illustrazione in copertina l’ha realizzata Marco, mio marito, come pure la scritta in giapponese, che è la traduzione del titolo. Il disegno rappresenta una spirale logaritmica, per la spiegazione della quale rimando a Wikipedia o altra fonte, poichè di matematica, purtroppo so molto poco. A me l’idea della spirale piace perchè è una forma che si ritrova in natura, nelle conchiglie e nelle galassie, per esempio. Nel piccolo e nell’immenso. In quanto al titolo: Haiku dal silenzio perchè è il silenzio a fornire lo spazio mentale indispensabile per la scrittura.

9. Come hai trovato un editore?
Ho conosciuto gli editori ad un pomeriggio di letture poetiche al mare, in Liguria. Fra i partecipanti, chi voleva poteva intervenire e leggere componimenti personali. Mi sono presa alcuni minuti per ricordare e trascrivere alcuni dei miei haiku o quasi haiku e poi li ho letti ad alta voce. Gli editori li hanno apprezzati e mi hanno proposto di pubblicarli.

10. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

A chiunque interessi la poesia, soprattutto naturalistica (non so se il termine è giusto) che si esprime in modi essenziali. C’è più vuoto che pieno, in questo tipo di componimenti. E’ un vuoto, però, a cui a mio avviso non manca nulla. Faccio un esempio: “Piccolo granchio / un’alga lo nasconde / sulla battigia”. Ho voluto descrivere ciò che ho visto durante una passeggiata al mare e che mi ha meravigliato: un granchietto che, per passare inosservato, si è messo un’alga sopra la testa!
Altre volte la visione è un poco mesta, malinconica:
“Grandi slanci ma / anche grandi dolori / una vita”

11. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

Al momento non lo sto promuovendo. Posso però raccontarti un aneddoto: anni fa ho ricopiato i miei haiku su foglietti colorati, li ho messi in una scatola e li ho offerti ad amici e colleghi. Li hanno apprezzati molto. Alcuni prendevano un foglietto, lo leggevano, lo rimettevano nella scatola e poi ne pescavano un altro. Alla fine ciascuno ha portato a casa una delle mie piccole poesie. Nella scatola ne è rimasta una, non so se è stata una cosa voluta oppure casuale; un collega ha commentato: “Ne abbiamo lasciata una per educazione, come si fa con i cioccolatini!”

12. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legato e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa)

Trascrivo di seguito alcuni versi, che mi sembrano riusciti meglio, oltre a quelli che ho citato più sopra:

Già le castagne
occhieggiano sui rami –
Fine d’estate.

Un migratore!
Rapido maestoso
alto nel cielo

Esili ragni
silenziosi amici
ospiti grati

13. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

Non ne ho alcuna. Ho invece l’intenzione di continuare ad esprimere in queste forme ciò che vedo durante le uscite in cui osservo piante, animali, situazioni. La poesia breve e brevissima mi è congeniale e mi gratifica. Di recente ho letto in rete haiku sbalorditivi per bellezza e per quel non-so-che che trasforma una poesia in un’opera d’arte! Cerco di migliorare e a volte inseguo quel non-so-che, ma non ne faccio un’ossessione.

14. Una domanda che faresti a te stessa su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

Mi chiederei: “Quali altri regali ti ha fatto, questo tuo libro?” E mi risponderei: “Oltre ad averne condiviso i contenuti con persone a cui voglio bene o che stimo, mi ha permesso di vedere, per la prima volta, direttamente, quanto lavoro c’è dentro e dietro alla pubblicazione di un libro. Quante competenze diverse sono necessarie alla produzione perfino di una semplice raccolta di poesie brevi”.

15. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Si, volentieri! Ho appena finito di sistemare due raccolte, una di racconti e l’altra di poesie. Le ho spedite a due editori. Sono in attesa di risposta e intanto lavoro ad altri racconti. Non dico i titoli per scaramanzia! Non pensavo di voler pubblicare ancora dopo i primi due libri, ma è successa una cosa che mi ha fatto cambiare idea. Da due anni partecipo come allieva ad un laboratorio teatrale. La scuola mi ha proposto di portare in scena alcune delle mie storie e io ho accettato con entusiasmo. La fase di costruzione del personaggio, come si dice in gergo, mi ha reso i miei racconti più vivi e coinvolgenti e ha avuto dei risvolti positivi psicologici inattesi, per me che non me ne intendo. So che invece agli addetti ai lavori (insegnanti di teatro e attori professionisti) questi e altri “effetti collaterali” positivi sono ben noti.
In quanto alle poesie inedite, posso anticiparvene una, alla quale tengo molto:

Una farfalla
rimasta uccisa per il freddo improvviso
o forse perché ha concluso
il suo ciclo vitale
è incastonata nel tronco d’un albero
con le piccole squame
bianche e grigie
in rilievo,
come un gioiello,
come una decorazione
su una scultura estemporanea
che narra la lunga vita di un albero
e la breve vita
di un insetto.

Sono nata nel 1965 e da almeno dieci anni ho scoperto che mi piace far ridere o almeno sorridere. E cerco di farlo attraverso i miei racconti ironici, surreali e spesso decisamente buffi! Che poi ci riesca o meno è tutto un altro paio di maniche. Però quando ci riesco, be’… è un po’ come se fosse un giorno di festa. Lungi da me credere che la vita sia tutta una risata, anzi! Ma appunto per questo ogni tanto è piacevole alleggerire le tensioni della vita contemporanea leggendo e scrivendo brani di letteratura comica.

Pubblicazioni:
– 1989 in Antologia I Poeti 1989, dell’Associazione Incontri, Milano
– 1998 su Literatura Foiro, anno 29, n.174, LF-koop, La-Chaux-des-Fonds (CH)
– 1999 su Kontakto, anno 36, n.174, UEA, Rotterdam (NL) (*)
– 2004 su Il Foglio Clandestino, n.54, Edizioni del Foglio Clandestnio, Sesto San Giovanni
– 2004 Haiku dal silenzio, Ennepilibri Edizioni, Imperia
– 2012 Tra il fragore del treno e del mare, Ennepilibri Edizioni, Imperia
– 2016 in L’Antologia di Sintetizziamoci – Testi di microletteratura contemporanea,
Book Sprint Edizioni
(*) Primo premio al concorso letterario EKRA 1998, Razgrad (BG). Se interessa. 😀

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L’intervista a Mariangela Ruggiu: Il suono del grano

31 venerdì Gen 2020

Posted by Loredana Semantica in Interviste, LETTERATURA E POESIA

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Il suono del grano, intervista, Mariangela Riggiu

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.
La redazione ringrazia Mariangela Ruggiu, per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: Il suono del grano, Terra d’ulivi Edizioni, 2019

1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

Prima dell’amore per la scrittura è nato quello della lettura: da bambina, appena mi venivano consegnati i libri scolastici, scorrevo quello di lettura cercando le poesie che leggevo prima di tutto. A scrivere iniziai nelle scuole medie, conservo ancora dei fogli con le prime poesie… amavo così tanto la sintesi dei versi che facevo la versione in poesia della prosa.

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Intervista a Sal Ferranti: La legge della piuma

23 giovedì Gen 2020

Posted by Loredana Semantica in Interviste, LETTERATURA E POESIA

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intervista, La legge della piuma, Narrativa, Sal Ferranti

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.
La redazione ringrazia Sal Ferranti, per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: La legge della piuma, Pedrazzi editore, 2020.

1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

Il mio amore per la scrittura è nato attraverso la lettura. Chi legge molto è attratto dalla parola scritta e l’immaginazione lo porta inevitabilmente ad immaginare storie nuove. Io leggo da sempre. Da adolescente andavo a prendere in prestito libri in biblioteca (d’avventura, soprattutto) e li riportavo indietro nel giro di qualche giorno. Poi sono diventato un lettore onnivoro e un frequentatore di librerie. Credo di avere acquistato (in trent’anni circa) almeno tremila volumi. Il mio primo romanzo lo scrissi a diciannove anni, ed è ancora lì, incompiuto e con le pagine consumate dal tempo. All’epoca leggevo parecchi romanzi horror e mi ero convinto di saper scrivere romanzi alla Stephen King. Ripensandoci, mi viene un po’ da ridere adesso, e provo tenerezza verso quei facili entusiasmi da ragazzo che amava sognare in grande. Continua a leggere →

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Intervista a Federica Galetto: La neve e la libellula

18 sabato Gen 2020

Posted by Loredana Semantica in Interviste, LETTERATURA E POESIA

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Federica Galetto, La neve e la libellula

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni

La redazione ringrazia Federica Galetto, per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: La neve e la libellula, Terra d’ulivi Edizioni, 2019

1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

La scrittura è dentro di me, da sempre. Nel tempo ho imparato a comprenderlo e dopo molti anni l’ho accolta e accettata come parte imprescindibile di me.

Continua a leggere →

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Intervista a Irene Ester Leo: Fuoco bianco

16 lunedì Dic 2019

Posted by Deborah Mega in Interviste, LETTERATURA E POESIA

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Fuoco bianco, Irene Ester Leo, Poesie

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni. La Redazione ringrazia Irene Ester Leo per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: Fuoco bianco (Capire Edizioni, CartaCanta < I Passatori, collana a cura di Davide Rondoni, 2019.)

  1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

Attraverso la lettura. Ricordo la bambina curiosa di un tempo affamata di parole, pagine, mondi interi, non necessariamente poesia, ma anche narrativa, che crescendo ha affinato lo sguardo in questa maniera. L’amore per la scrittura, come emblema universale non individualista, nasce da lì. Poi ha trovato un tratto d’unione tra ”quel mondo” letto nelle pagine degli altri e quello che intercettavo in me e scalciava in parole e versi, ed ho cominciato a scrivere mescolando in maniera sinestetica ogni cosa.

  1. Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la vita e l’arte?

Rainer Maria Rilke per la luce azzurra, Eugenio Montale per la musica della disarmonia, Cesare Pavese per la bellezza del dolore, Paul Celan per la  polisemia acuminata,  Mario Luzi per la  necessità di vita al quadrato, Davide Rondoni per la libertà del suo respiro poetico, Cristina Campo per la precisione chirurgica delle parole, Michail Bulgakov per l’intensità della  narrazione, Claudia Ruggeri per l’antitesi forte e lucente tra vita e morte,  Giacomo Leopardi  per il contrappunto lunare della sua speranza. Questi i nomi che mi stanno particolarmente a cuore per ragioni differenti, ma potrei elencarne molti altri. Però al di là di quello che può essere un semplice elenco cerco il barbaglio e lo schiocco, qualcosa di simile ad un risveglio, quell’aura che è propria dei maestri, che non mira ad ”insegnare” ma a rimescolare tutte le certezze consone, a spezzarti e poi ricomporti come se fossi di fronte allo stesso orizzonte di ieri, ma oggi con occhi più grandi.

  1. Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai con i luoghi dove sei nato o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

“Madame Bovary c’est moi”. Inevitabilmente la componente autobiografica calibra l’altezza dell’osservazione, quello della scrittura è un percorso che richiede presenza umana, il solo esercizio estetico mi interessa davvero poco, perchè poi serve a poco. La scrittura per me è selvatica per nulla addomesticabile, come tale nasce in frangenti spesso strani, ma fatti di realtà e del suo contrario. I luoghi che vivo sono geografie, i luoghi che amo sono persone.

4. Ci parli della tua pubblicazione?

Il fuoco bianco è quello degli inizi, dell’attimo prima di. La pagina attende il fuoco nero della parola, l’ispirazione aleggia in controluce e brucia, così come la presenza dell’Assoluto prima che la parola potesse dar Lui un nome, secondo la Cabala. C’è qualcosa di vivo che chiede ossigeno per la sua combustione. Questa pubblicazione ha cominciato a scalciare e gemmare prima della nascita di mia figlia e poi in parallelo come lei in me, è diventata più vicina, reale. Ed aggiungo rivista, spezzata, rivissuta, riscritta, fino al risultato finale che sfoglio tra le dita. Ora mia figlia ha quattro anni, questi versi sono il risultato di sei, sfidando la dolcezza e il nero del mondo, ricomponendo poi il fuoco e la rosa, di T. S. Eliot, citato da Davide Rondoni nell’introduzione al testo.

5. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Me lo sapranno dire i lettori in un secondo momento. Mi limito a consegnarla alla realtà della poesia contemporanea, senza maschere o congetture. Ho un desiderio, che non ha nulla a che vedere con il senso dell’ambizione, che qualcosa resti. Oltre me.

6.Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

Immaginiamo una galleria d’arte. Quadri illuminati dalla luce naturale, sculture e fotografie. Ognuna di queste opere ha in sé il fulcro di un attimo ispirato. Ogni poesia è frutto di una visione, di quell’attimo. Quindi mille scintille, che hanno innescato “quel” fuoco (bianco) condensato in un viaggio di carta. “Naturalmente come le foglie vengono ad un albero” per citare Keats che è in epigrafe nell’antefatto del libro.

7.Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale” scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi oppure a poco a poco? E poi con sistematicità, ad orari prestabiliti oppure quando potevi o durante la notte, sacra per l’ispirazione?

Come ho accennato, è il frutto di anni, un tempo necessario. Senza fretta: che è una cosa che conta se si vuole avanzare o farne tesoro  per la crescita personale, che scava, leva, attraverso le parole ti dice: ascoltati e poi fai cadere la tua pelle, resta in contatto con l’altro, senza difese.

8. La copertina. Chi, come, quando e perché?

L’ho subito amata, mi ricorda le donne di Dante Gabriel Rossetti, nella vaghezza dolce del sembiante. E poi le dita che fiammano, gli occhi chiusi volti all’interiorità, elegante, iconica, secondo me perfetta per il contenuto che rappresenta. Mi è stata proposta dall’editore. L’artista è Elena Miele, che l’ha realizzata appositamente, la cui sensibilità interpretativa è unica, e non posso che essere grata.

9. Come hai trovato un editore?

In realtà non ho cercato un editore, ma un confronto. Davide Rondoni che ho citato su per l’introduzione e che cura appunto questa collana poetica (I Passatori) ha letto ed ha apprezzato i miei versi, ed è stato testimone diretto dell’evoluzione di questo lavoro. Mi sono confrontata in merito spesso con lui, (accostarsi con umiltà ai Maestri è salutare, sia per lo stile e soprattutto per l’anima) e da qui siamo giunti poi in un secondo momento alla proposta vera e propria di pubblicazione con Capire Edizioni, Carta Canta. Renzo Casadei, direttore editoriale che dirige questa splendida realtà indipendente, si è mostrato entusiasta di questo progetto. Tutto quindi nasce da una base solida fatta di incontro, persone, umanità, bellezza, spessore.

10. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

Mentirei se dicessi che ho scritto queste poesie indirizzandole mentalmente ad un pubblico specifico. Ci si incontra su di un filo rosso comune. Unico canone indispensabile, presumo, l’amore per la poesia.

11.In che modo stai promuovendo il tuo libro?

Il libro è fresco di stampa, esordiremo a breve con le presentazioni, gli incontri con i lettori, mescolando in maniera ibrida, musica, parole, multimedialità, attraverso canali convenzionali e non, cercando sempre di far rete. Intanto saremo presenti a Roma alla fiera nazionale della piccola e media editoria:“Più libri più liberi” per dicembre e a gennaio al Fondo Verri di Lecce.

12. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legata e perché?

La bambina immagina l’amore

dalla finestra chiama l’aria d’oro,

fiorisce una farfalla e non resta.

Gli occhi rompono piano la visione,

la vita nei suoi pezzi ha radici,

e le radici nascono e fanno nuovi alberi

e la primavera verdi tremori.

La marcia dei risvegli

ha suono e gambe umane,

è dolce nei tuoi sguardi.

Chi non si è perso non possiede

la curva del cielo.

Siamo a pagina 19, è la poesia che apre la prima parte del libro. Ma preferisco tacere sui motivi della scelta, lascio al lettore la grazia del mistero e della scoperta.

13. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

Dipende dalle priorità da assumere nelle aspettative che sono molto chiare in me: lasciare qualcosa, un odore, una piccola emozione, un indizio, auspicarsi che ogni cosa diventi ”esperienza di chi legge”.

14. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

E’ la domanda che mi rivolgo ogni volta che scrivo un verso, che pubblico un libro, che mi innamoro di una poesia, e che muovo sulla voce di Nietzsche: “perché questo impulso verso il vero e il reale, perché questo batticuore fosco e impetuoso insegue proprio me” ?

15. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Ho in mente delle idee, progetti in fase embrionale, sperimentazioni poetiche, magari anche abbracciando la storia dell’arte, materia dei miei studi accademici. Ma come sempre lascio fare al tempo, mi affido alla naturalità delle cose, ai plurali, alla reciprocità della disciplina umana.

Irene Ester Leo

Irene Ester Leo(1980) Laureata in storia dell’arte, critico d’arte e letterario. Ha pubblicato: “Canto Blues alla deriva” Besa 2007; “Sudapest” Besa 2009; ‘Io innalzo fiammiferi” con prefazione di Antonella Anedda, Lietocolle (Premio Letterario Nazionale di Calabria e Basilicata I^ Edizione 2010  primo classificato) 2010; Una terra che nessuno ha mai detto” con prefazione di Andrea Leone, Edizioni della Sera 2010; ”Cielo” con prefazione di Davide Rondoni, La Vita Felice 2012 (Premio Laurentum 2012  libro edito di Poesia secondo classificato). Nel 2007 ha ricevuto dal Teatro di Musica e Poesia “L’Arciliuto”di Roma un riconoscimento di merito e nel 2019 presso il concorso letterario ” Inedito” di Torino un menzione d’onore. I suoi versi sono stati tradotti in lingua spagnola, per l’America Latina, e in inglese su riviste internazionali.

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Intervista ad Alessandro Porto: A Regular Poem

09 lunedì Dic 2019

Posted by Deborah Mega in Interviste, LETTERATURA E POESIA

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A Regular Poem, Alessandro Porto, Poesie

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.

La Redazione ringrazia Alessandro Porto per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: A Regular Poem (Ananke Lab, 2019).

  1. Ci parli della tua pubblicazione?

La mia pubblicazione? Un poema, una cosmogonia. Un uomo si innamora di una prostituta e nel tentativo di farla sua moglie si perde a Milano, dove gli capitano assurdi incontri ed esperienze estranianti: orge, sbronze, risse, rapimenti. Durante il viaggio, però, si evolve: la sua metamorfosi si conclude nella sua trasformazione nell’Oltreuomo nietzschiano. Diciamo che è il racconto del passaggio da uomo a Oltreuomo. La cosa strana è che un racconto perfetto per un romanzo si trovi scritto in poesia, nel 2019. Pare una follia, un suicidio editoriale, ma non poteva essere altrimenti. A Regular Poem è il racconto dell’umano che diventa dio, che plasma il cosmo, che crea la realtà. Solo la poesia, con i suoi ritmi e le sue suggestioni, poteva suggerire questa magia.

  1. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Credo che tutto ciò che viene prodotto in una determinata epoca e circostanza non può che essere necessario, in senso stretto. L’arte, credo, nasce da una pulsione collettiva che s’incanala in una mano a nome di più spiriti; solo ciò che viene fabbricato per narcisismo o interesse economico risulterà inutile al panorama letterario. Nel caso di A Regular Poem, be’, si tratta di un poema. Nasce dalla mia necessità di scriverlo, io ne avevo bisogno, lo sentivo, da sempre. Necessitavo di una poesia che divenisse discorso, che si guardasse, dipanasse, fluisse, come di fatto succede tra i canti di ciò che ho scritto. Se un ragazzo di vent’anni sente il bisogno fisiologico di scrivere un poema, evidentemente un qualche scopo, una qualche utilità, in un simile elaborato vi deve pur essere.

  1. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a impegnarti in questa opera? In altri termini qual è la sua genesi?

Ho sempre, sempre, immaginato di scrivere un poema. La prima volta che tentai di comporne uno avevo undici anni. Ritentai a quindici anni e poi a diciassette. A diciannove anni finalmente capii come sarebbe dovuto essere. Quando ero bambino una pulsione mi sussurrava di scrivere un poema e nella mia innocenza tentavo di farlo con gli strumenti a mia disposizione. Crescendo e imparando l’arte del verso provai a modellare la mia intuizione su forme più o meno conosciute, ricalcando la Divina Commedia o i poemi classici. A maggio 2018, per puro caso, mi sedetti a scrivere un proemio, anzi, la parodia dei proemi classici, e apparve Romeo, il protagonista, con la sua storia. Da lì lavorai ininterrottamente per un anno. Iniziai convinto di scrivere una parodia e mi ritrovai tra le mani qualcosa di completamente diverso. Avevo capito che nel mondo di oggi un poema non poteva che aprirsi in maniera tragicomica e disillusa, parodistica: questo è il nostro mondo. Mentre Romeo navigava tra i canti del mio poema, però, diventava una persona differente. Cambiava e con lui cambiava lo stile di quello che stavo scrivendo. Il mio protagonista, nel tentativo di dare un senso al mondo moderno, creava il mondo, gli ridava ordine e significato. Di conseguenza il mio poema prendeva il volo, smetteva di essere un giochino letterario e diventava un poema epico, un testo di marmo. Questa la base, la nascita, l’ispirazione. Tra questo primo parto e la pubblicazione ci sono una decina di mani di sistemazione stilistica, metrica e linguistica.

  1. La copertina. Chi, come, quando e perché?

La copertina è stata realizzata da Giulia Mezzadri, la grafica della mia casa editrice, Ananke LAB. L’idea principale era quella di raffigurare un uomo che puntasse alle stelle, per suggerire l’idea di Oltreuomo, assalto al cielo, resurrezione. Io avevo pensato ad una figura dai tratti rapidi, intricati, abbozzati, come in uno schizzo di Klimt, ma l’editrice, Elisa Santini, preferiva qualcosa più in linea con l’estetica della casa editrice. Dall’incontro tra le nostre due idee è nata la magnifica figuretta di Giulia Mezzadri, quest’uomo bianco e oro che indica una stella.

5. Come hai trovato un editore?

Ho trovato un editore grazie al concorso Parole Aperte – X-Factor Letterario, organizzato dall’Associazione Hemingway & Co. e ideato da Dario Lessa. Un concorso che ha ospitato in giuria personaggi del giornalismo e dello spettacolo, tra cui Massimiliano Rossin, Aldo Baglio, Giancarlo Bozzo e molti altri ancora. In palio c’era il contratto editoriale con Ananke LAB. Il concorso consisteva in una lettura pubblica dei propri testi, durante le tre fasi eliminatorie. Essendo la poesia performativa il mio forte, ho pensato di iscrivermi e in effetti è andata bene.

  1. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

All’umanità, con particolare attenzione per quella futura. È un testo a torta, stratificato. Chiunque può leggerlo e divertirsi o emozionarsi con la semplice storia, con il racconto di Romeo e con le storie dei personaggi che incontra. Un pubblico più colto potrà poi cogliere le innumerevoli citazioni, tanto dal mondo dell’arte quanto dalla cultura pop, e riflettere sulla filosofia di fondo che permea il poema. Infine, per esperti di letteratura e poesia, A Regular Poem risulterà un vero e proprio studio di metrica e poetica, in cui ai canti iniziali, caratterizzati dal verso libero e sciolto, tipico dei nostri tempi, seguono canti che riprendono tutte le forme metriche della tradizione poetica italiana per approdare poi a quella neoritmica che si sente sempre più spesso nei Poetry Slam e nella poesia orale. Insomma, il mio poema è letto con gusto tanto dai miei coetanei (ho vent’anni) quanto dagli adulti e gli sfegatati lettori. Quando i contenuti del mio poema saranno più in sintonia con la cultura del tempo, sono certo che A Regular Poem sarà ancor più apprezzato.

  1. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

In molti modi. In primis faccio moltissimi eventi, dai Poetry Slam alle letture, dagli show di poesia performativa ai firmacopie nelle librerie. Sono uno strenuo sostenitore della necessità di riportare la poesia nelle piazze, di renderla ascoltabile, declamabile, apprezzabile come musica, per questo amo esibirmi in locali e teatri. Essere molto presente in questo ambito sta portando al mio scritto non poca pubblicità. C’è poi la dimensione socialnetwork, che fosse per me passerebbe in secondo piano, ma è anche vero che molte persone che mi seguono e conoscono solo in virtuale, magari perché distanti, hanno poi realmente acquistato il libro. Infine, essendo anche sceneggiatore e regista, ho pensato di promuovere il libro tramite una sua trasposizione teatrale. Lo spettacolo si terrà il 16 maggio a Binario 7, Monza, grazie ai finanziamenti di La Casa della Poesia di Monza, che ha da subito sostenuto la scrittura del poema. Ho riscritto l’intero testo per adattarlo alla performance teatrale e il risultato pare davvero interessante, credo possa funzionare. Sarà la prima volta che usufruirò di uno dei teatri più importanti della mia città, perciò è per me e per il libro un’occasione non da poco. Confido negli attori con cui sto lavorando, tutti ragazzi davvero bravissimi e talentuosi, un gruppo giovane ed energico, l’ideale per mettere in scena le vicende di Romeo-Zarathustra.

  1. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legato e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa)

Più riuscito non saprei. Ogni canto è così diverso dagli altri che ognuno di essi pare riuscito e compiuto nel proprio stile e posizione. Allo stesso modo, essendo stato per me questo libro l’esito di una ricerca personale, non ho passi ai quali sia più legato rispetto ad altri. Dovendo citare però qualche verso, credo che i seguenti siano significati:

“La luce, capivo, non me ne facevo niente,

ora che la mia mente se ne stava sveglia e sgombra;

splendevo nel nulla.

Splendevo nell’ombra.”

-A Regular Poem, Canto XXII-

Li cito, perché sono forse una delle rappresentazioni più intime dell’essenza del poema e del suo significato. L’idea di rifiutare ogni luce esterna, ogni finta salvezza, ogni promessa di ricchezza e conquistarsi personalmente il proprio posto nell’universo. Intendo, l’ideale del brillare: viviamo in un cosmo buio e vuoto, siamo sabbia sospesa nel nulla, siamo noi contro al niente più assoluto; dobbiamo splendere così intensamente da soppiantare l’Abisso e diventare il centro, il senso dell’universo intero.

  1. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

Non mi aspetto nulla, le aspettative intaccano il normale fluire delle cose. Non potrei dire di aspettarmi che sopravviva, essendo per sua natura non mortale e al contempo non posso aspettarmi diventi un bestseller, così, su due piedi. È un libro che medita e crea nascosto, che brucia piano le vecchie filosofie che lo circondano. Diventerà una stella, con il tempo che gli è necessario a immagazzinare combustibile. Non prima, non ora. L’unica cosa che mi auguro è che il suo valore venga riconosciuto da chi lo ha tra le mani, esattamente come ho fatto io, ma questo, in effetti, sta già accadendo.

  1. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

Mi chiederei: -Credevi che saresti mai riuscito a scrivere qualcosa del genere?- E mi risponderei di no. La mia produzione è sempre stata frammentaria, sconnessa, a tratti ambigua. Per la prima volta ho scritto qualcosa con una propria coerenza, con un’architettura precisa e meditata, con una formula specifica. Poi che il poema sia comunque pervaso da un senso di inconsistenza della realtà e da un continuo ribaltamento di prospettive sul mondo, questo è un altro discorso. Diciamo che è omogeneo e sensato nella sua eterogeneità e vacuità ontologica.

  1. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

In realtà non ho in cantiere nulla. Sono completamente assorbito dalla promozione del poema e dalla sua continua limatura. Non riesco a lasciarlo andare. In A Regular Poem ho versato tutte le mie capacità, tutte le mie esperienze, tutta la mia poetica e tutta la mia ispirazione. Ho bisogno di qualche tempo, non so quanto, per recuperare le energie perdute. Eccetto le cose che sto scrivendo per lavoro (articoli, racconti, spettacoli, ecc.) e qualche poesiucola di quando in quando, non sto lavorando a nulla di nuovo. Ho travasato in un solo libro vent’anni di percorso artistico, personale e spirituale, dopo un anno di scrittura e riscrittura dell’opera. Ora non ho le forze per fare nient’altro. Meglio così, ho più tempo per leggere e studiare. Non escludo che A Regular Poem possa un giorno far parte di un trittico di poemi. Vedremo.

Alessandro Porto

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Intervista a Martino Panico: Un minuto in più

07 sabato Dic 2019

Posted by Loredana Semantica in Interviste, LETTERATURA E POESIA

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Martino Panico, Un minuto in più

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.

La redazione ringrazia Martino Panico, per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: Un minuto in più, edito da Ciesse Padova

1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

Sono fortunato: ho sempre scritto e quasi sempre è stato un piacere. Dai momenti del liceo, fino alla professione e, poi, come uomo pubblico. Anche se, confesso, solo ora scrivo in totale libertà.

2. Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la vita e l’arte?

Ho fatto il classico e il nostro professore, prete allora e ancor oggi, attraverso la Divina Commedia e I Promessi Sposi ci spiegava la società, i rapporti di classe, la violenza del potere assoluto e le angherie subite dai deboli. Quindi ci siamo innamorati dei classici e con quei parametri ho affrontato il mare aperto della letteratura internazionale. Che dico, mare ?!? Oceano vastissimo che ancor oggi per me ha uno scoglio che emerge sopra gli altri: Ernest Hemingway.

3. Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai con i luoghi dove sei nato o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

Tutto si mischia, perché è giusto così. Noi siamo, insieme a ciò che pensiamo, il prodotto della nostra esperienza di vita, che prevede l’esistenza di luoghi, persone, affetti. Quanto entrano nell’opera ? Tanto. Oserei dire che essi stessi sono l’opera.

4. Ci parli della tua pubblicazione?

Volentieri. Il libro si chiama: Un minuto in più e si compone di 66 racconti e hanno alcune peculiari caratteristiche. La prima che i racconti stanno in piedi da soli, nel senso che hanno un inizio ed una fine compiuta. Questo aiuta molto nella lettura, consentendo di fermarsi per qualche momento, oppure continuare. Il secondo elemento è che, naturalmente, i racconti sono tutti legati. C’è un filo che li unisce dall’inizio alla fine. E questo anche in presenza di uno spazio temporale molto vasto: dal 1925 al 1974. Terza questione: tutti i racconti, tranne l’ultimo, fanno riferimento a vicende realmente accadute. Ci sono ovviamente indispensabili sintesi narrative, ma nessuna storia è inventata. Molti racconti sono legati a fatti bellici ed alle sofferenze della prigionia ed alla vita nei campi di concentramento nazisti, da parte dei militari italiani deportati dopo l’otto settembre 1943.

5. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Intanto questa organizzazione in racconti è molto accattivante e richiama l’attenzione dei più giovani, poi il dramma dei militari italiani deportati nei campi di concentramento nazisti è storia poco conosciuta ancora oggi. Parliamo di un pezzo di popolo, di poco inferiore alle 700.000 persone.

6. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

È stato un modo per metabolizzare un personale cambio di vita. Lo scrivere è terapeutico.

7. Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale” scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi oppure a poco a poco? E poi con sistematicità, ad orari prestabiliti oppure quando potevi o durante la notte, sacra per l’ispirazione?

Ahahah !!! Ognuno ha il suo modus ispirandi: scrivo in qualsiasi momento del giorno o della notte. Scrivo con l’uso di una applicazione dello smartphone e poi ci torno sopra, dopo qualche ora o dopo qualche giorno e alla fine il lavoro è migliore.

8. La copertina. Chi, come, quando e perché?

La copertina è opera di un ragazzo di 25 anni, che stimo molto e che ha fatto un piccolo capolavoro. È la sintesi di un racconto centrale nel libro, dedicato alla genialità italiana.

9. Come hai trovato un editore?

Attraverso una amica straordinaria, una delle più grandi esperte nel campo del sistema nazista della deportazione e dello sterminio. Poi certamente Carlo Santi, l’editore ha colto le potenzialità dell’opera.

10. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

A tutti. Soprattutto agli adolescenti.

11. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

Ho fatto numerose presentazioni in Italia e una perfino a Bruxelles, chez Filigranes la più grande libreria fisica d’Europa. Poi c’è il tam tam dei social.

12. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legato e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa)

Questo ! Siamo nel gennaio 1951 e in famiglia c’era molta animazione: “In verità non era per niente convinto neanche lui, aveva altri programmi in testa, il primo quello di fare il direttore didattico, abilitazione che aveva preso anch’essa con il massimo dei voti. Poi c’era mamma. Eh si mamma. Un moderno rapporto alla pari. “Che dici?! Pensane n’altra. Peppe, non voio discute. Sono contraria e basta. Ma Pe’, c’hai na famiglia, Egeo è piccolo, i tuoi s’invecchiano. E po è na bega. È na bega e basta. Na bega che n’finisce più. L’so come sei fatto, te conosco mascherina. Uh, come te conosco. Te fa quello che voi, ma io so contraria forte. Guarda m’hai fatto veni la tremarella”. “Natà, calmate. E mica m’hanno detto che so n deficiente, me propongono da Sindaco! Intanto è un apprezzamento”. “I apprezzamenti se li tenessero per loro, che io n’so che farce. Te sei mi marito e me devi da retta. Po basta! N’ne parlamo più”. Mamma l’aveva presa proprio male. Immaginava, avendo qualche ragione, che babbo con il suo carattere, avrebbe dedicato molto tempo al Comune e molto meno alla famiglia. E questa consapevolezza la faceva soffrire. “Ma come, t’ho aspettato sei anni, capito sei anni! Evo quindici anni quando ce semo innamorati e ce semo sposati sei anni dopo e adesso m’arvoi fuggì via n’altra volta? E no, e nooo!!! N’so dacordo. Per niente!”.

13. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

Può ancora ‘correre’, anche se per un esordiente il numero di copie vendute fino ad oggi mi dicono essere già un gran risultato.

14. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

Si. Immaginavi di conoscere un mondo nuovo, quello dell’editoria ? La risposta è: credevo di sapere qualcosa e invece ero completamente ignorante.

15. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Si. Sarà un romanzo e presumo ci vorrà tempo.

Martino Panico è nato a Cantiano dove risiede, il 30 novembre 1953. Ha frequentato il liceo classico a Gubbio e si è laureato, a Urbino, in scienze politiche, con un lavoro ispirato da don Italo Mancini, docente di filosofia del diritto: una tesi sul nuovo contratto sociale, visto da Galvano della Volpe. È stato dirigente della pubblica amministrazione in vari enti, senza il timore di mettersi costantemente in gioco. Insieme, ha ricoperto numerosi incarichi politici: consigliere provinciale, presidente della comunità montana di Cagli, poi ancora presidente del consiglio provinciale, per ultimo, quello di Sindaco della sua piccola città monumentale: Cantiano. Confermato due volte nel 2004 e 2009. Oggi a 66 anni, è in pensione e ha cominciato a scrivere. Il primo libro “Nella casa dei Paoli” è stato autoprodotto. Poi “Un minuto in più” edito da Ciesse di Padova, Carlo Santi editore puro.

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Intervista a Mauro Germani: La parola e l’abbandono

02 lunedì Dic 2019

Posted by Deborah Mega in Interviste, LETTERATURA E POESIA

≈ Commenti disabilitati su Intervista a Mauro Germani: La parola e l’abbandono

Tag

aforismi, La parola e l'abbandono, Mauro Germani

Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni. La Redazione ringrazia Mauro Germani per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: La parola e l’abbandono (L’arcolaio, 2019).

  1. Ci parli della tua pubblicazione?

La parola e l’abbandono è un libro di aforismi, ricordi, trascrizioni di sogni e appunti letterari che ho scritto nell’arco di quasi un trentennio e che hanno accompagnato, sullo sfondo, la mia attività relativa alla poesia, alla narrativa e alla critica. Da questo libro emergono pertanto i temi presenti nella mia opera, che sono – come riportato nella quarta di copertina – “il senso di uno smarrimento originario, la precarietà dell’essere, la coscienza di una sconfitta esistenziale, l’enigma dell’amore e del corpo, il dramma non risolto della religione”. Ne scaturisce un ritratto di me stesso, con tutte le ossessioni che mi riguardano, una sorta di “follia privata”, che però investe anche il nostro essere-nel-mondo, il nostro destino e la nostra società. Parlo di me, ma è anche un pretesto per riflettere sulla condizione umana. Credo che in questo senso siano stati indubbiamente maestri autori come Cioran, Ceronetti e Quinzio.

  1. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Scrivere questi aforismi nel tempo è stato innanzitutto necessario per me, per comprendere meglio le ragioni della mia scrittura e ragionare sulla parola e sul suo rapporto con l’esistenza. Io penso che scrivere non sia un gioco, né un semplice esercizio di stile, come spesso purtroppo avviene oggi. Per me scrivere in modo autentico significa sempre scendere in un abisso, quello dell’esistenza stessa. Come ha scritto Kafka, “un libro deve essere un’ascia per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi”.

La mia pubblicazione, all’interno del panorama letterario attuale, risulta anomala, in quanto inclassificabile e lontana sicuramente dalla logica dominante. Vuole inquietare e far pensare, ed il pensiero mi sembra ai giorni nostri sempre più povero, se non addirittura assente. Vorrei aggiungere, poi, che oggi siamo di fronte ad un problema piuttosto serio e preoccupante: si pubblica troppo e si legge poco e male. Questo comporta che libri di qualità, che meriterebbero attenzione, nascono già morti, soffocati dalle innumerevoli pubblicazioni volute dal mercato.

  1. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a impegnarti in questa opera? In altri termini qual è la sua genesi?

Credo che il titolo del libro indichi abbastanza chiaramente ciò che mi ha spinto a raccogliere i miei pensieri: il doppio, drammatico legame tra ciò che la parola intende esprimere e la condizione di solitudine di ognuno di noi. Così come esiste la solitudine dell’uomo, esiste anche quella della parola. Affermo infatti che “la parola è sempre sola davanti al dolore e alla morte”. La parola poetica non salva nessuno – è bene ribadirlo, abbandona ed è abbandonata. Chi scrive davvero tenta sempre di dire la vita in una tensione estrema, ed è proprio in questo sforzo immane che risiede la scrittura, la quale si colloca tra il dicibile e l’indicibile.

  1. La copertina. Chi, come, quando e perché?

La foto presente in copertina  è opera di un mio carissimo amico, Marco Turolla. È stata scattata sull’Etna e raffigura alcuni alberi crollati e bruciati, che nelle posizioni assunte assomigliano a delle croci. Credo che questa immagine rappresenti un senso di rovina e di mistero, che ben si adatta allo spirito del mio libro.

  1. Come hai trovato un editore?

Mi sono rivolto alla casa editrice L’arcolaio di Gian Franco Fabbri, presso la quale ho avuto modo di pubblicare altri miei libri in passato. Gian Franco è un amico ed il suo è un catalogo di qualità, molto ben curato.

  1. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

Per le ragioni che ho esposto in precedenza, non credo che il mio sia un libro facile. Penso possa interessare soprattutto chi si occupa di scrittura e di problematiche filosofiche, tuttavia mi auguro che possa coinvolgere anche altre persone. All’interno del volume vi sono citazioni e riferimenti ad una cinquantina di autori, poeti, scrittori, filosofi, ma in modo piuttosto chiaro e diretto. Certo, la lettura è impegnativa, ma è giusto che sia così…

  1. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

Da un po’ di tempo evito le presentazioni pubbliche. L’ultimo libro che ho presentato è stato Giorgio Gaber. Il teatro del pensiero, uno studio tematico sul teatro canzone e sul teatro di evocazione di Gaber e Luporini. Dopo mi sono ritirato. Oggi – a differenza di un tempo – sono innumerevoli le iniziative letterarie, le letture pubbliche e le presentazioni. Ne ho fatte parecchie anch’io ed ora non le sopporto più; lo dico anche nel libro. Spesso rivelano soltanto il narcisismo degli autori, il loro esibizionismo. Io non sono nemmeno su facebook, non mi interessa, e a volte addirittura mi ripugna. Gestisco solo il mio blog da diversi anni, sul quale pubblico le mie note critiche riguardanti autori classici e contemporanei. Per quanto concerne il mio libro, io e l’editore, di comune accordo, ci siamo limitati, per il momento, ad inviarlo a qualche critico e a qualche sito che si occupa di letteratura.

  1. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legato e perché?

Naturalmente non posso citare un brano perché il mio è un libro di aforismi, quindi ne riporto soltanto alcuni, che trattano argomenti diversi, ma in qualche modo legati tra loro. Eccoli:

“L’infanzia non ritorna, eppure qualcosa di essa ci segna per tutta la vita, resta dentro di noi come un’ombra nell’ombra.”

“Viviamo tutti in una zona di confine, un luogo provvisorio ed incerto, dove nulla è ben definito e i nostri corpi, i nostri volti si cercano nella penombra.”

“Quale bellezza è scomparsa? Di quale bellezza abbiamo nostalgia? Noi corriamo da una parte all’altra del mondo senza trovare mai ciò che veramente sarebbe per noi appagante. Siamo abbagliati da falsi splendori.”

“Le parole che abbiamo scritto scompaiono, ritornano, spariscono di nuovo. Sono lontane. Sono sole. Sono senza di noi.”

“Oggi non vogliamo vedere lo scandalo della povertà, non vogliamo sapere la sua storia perché ne abbiamo paura.”

“Il silenzio e la lontananza di Dio, nelle ultime parole di Cristo sulla croce: ‘Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?’. Per un momento Cristo è davvero solo. È l’Ultimo, l’Abbandonato, e la sua croce è avvolta dalle tenebre e dal silenzio.”

“Al punto in cui siamo, non sappiamo nemmeno chi o che cosa abbiamo abbandonato, o da chi o che cosa abbiamo abbandonato.”

“Un’opera d’arte non dovrebbe essere mai innocua.”

“La nostalgia di un sogno, ecco che cosa resta, un segreto impronunciabile, come un debole lume che trema nella notte.”

“Chi raccoglierà le parole abbandonate della poesia, questi strani doni tra la vita e la morte, questi singhiozzi solitari? Le parole aspettano nell’ombra, escono dalle loro tombe di carta, vogliono risorgere per un po’, sconfinare, prima di sparire per sempre nell’oblio.”

  1. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

Spero che la mia opera venga letta con attenzione e adeguatamente recensita.

  1. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti?

La domanda che mi porrei sarebbe: che cosa provi a rileggere questi tuoi aforismi scritti in un periodo di tempo così lungo? La risposta: la stessa sensazione che potrebbe provare un fantasma nel rivisitare i luoghi in cui è vissuto. Ogni scrittore, in fondo, è sempre postumo a sé stesso.

  1. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Al momento non ho progetti precisi. Finora ho pubblicato una decina di libri e a volte mi sembra di avere esaurito le mie risorse. Forse proprio per questo adesso mi è venuta l’idea di un libro diverso dai precedenti, dedicato al cinema western, verso cui nutro una passione fin da quando ero ragazzo.

Mauro Germani

Mauro Germani

Mauro Germani è nato a Milano nel 1954. Nel 1988 ha fondato la rivista “Margo”, che ha diretto fino al 1992. Ha pubblicato saggi, poesie e recensioni su numerose riviste, tra le quali “Anterem”, “La clessidra”, “Atelier”, “Poesia”, “QuiLibri”. È autore di alcuni libri di narrativa e di diverse raccolte poetiche: l’ultima in ordine di tempo è Voce interrotta (Italic Pequod, 2016), preceduta da Terra estrema (L’arcolaio, 2011), Livorno (L’arcolaio 2008; ristampa 2013) e Luce del volto (Campanotto, 2002). In ambito critico ha curato il volume L’attesa e l’ignoto. L’opera multiforme di Dino Buzzati (L’arcolaio, 2012). Nel 2013 ha pubblicato Giorgio Gaber. Il teatro del pensiero (Zona) e nel 2014 Margini della parola. Note di lettura su autori classici e contemporanei (La Vita Felice). La sua ultima pubblicazione è il libro di aforismi La parola e l’abbandono (L’arcolaio, 2019).

 

 

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