Questo scritto appartiene alla raccolta “Cronache sospese”, a questo link l’introduzione .
DETRITO 4.2.2020
Mi sfugge sempre qualcuno col parco femmine. Poi si fa avanti come un amo al pesce. E abbocca. Allora tace lo spirito anzi si raddoppia. Ed è così che uccido il drago. Con la serena consapevolezza che il cielo distribuisce ossessioni. Ciascuno col fardello proprio o croce. Impastato nella carne che brama sesso o cibo o altro riempitivo. Nessuno che rechi un filo col palloncino rosso. Nessuno che apra le mani con una rosa tra i palmi. Anche la farfalla gialla è letteratura. L’oratoria ha una parte immancabile di suggestione. La nonna non meno d’altri. Per questo ogni voce vibra o manca d’incanto. Rifulge di lacrime la verità. Tutto ciò che circonda è buio e stortura. Soprindente tuttavia la forza della vita. La sopravvivenza sorprende. Col dubbio che sia soltanto una casualità di corpi e luoghi. La stella scritta nel firmamento.
Riprendi ciò ch’è tuo. Arresta i passerottini che scendono lungo le spalle e rapidi staccandosi dalle caviglie fuggono lasciandoti leggerezza. Regalando un senso di svuotamento materico che ti fa fantoccio. Le vesti su un corpo. Riprenditi l’estate. L’affermazione. Il gesto assertivo col quale architettavi convincimento. Rivestiti delle scaglie dorate di serpente. Sinuoso elastico muscoloso rettile che ingoia un bue all’occorrenza. Più spesso rane che gracidano ondeggiando sui loro tacchi il fango quotidiano. Ecco sei muta sfinge sabbia deserto piramide di molte facce. Ecco l’archetipo agguerrito furente. Mezzanotte negli occhi più accesi. L’imperativo è ricostruire. Contrastare l’abbandono ruderi e demolizioni. La frana che in calce sfarina. E certificare non basta ché manca il respiro. È il poco che innesta l’intermittenza del ruolo. L’immobilismo che offende anche il corpo. La sua viziata postura. Siamo piegati dagli angoli. Intenti allo schermo. Nell’avvilente nullità del frastuono. Avremmo dovuto il brillio del nero. La ghigliottina della colonia penale. Lo scarafaggio di Kafka. La stanza di Virginia l’ape dickinsoniana e la poesia nei secoli da Eumelo fino ai giorni nostri. Avremmo dovuto a fiumi altissima altera altrettanto e basta.