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LIMINA MUNDI

~ Per l'alto mare aperto

LIMINA MUNDI

Archivi della categoria: Recensioni

“Atlante delle inquietudini” di Francesco Enia

26 giovedì Gen 2023

Posted by Antonella Pizzo in Consigli e percorsi di lettura, LETTERATURA E POESIA, NarЯrativa, Recensioni

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enia

Pubblicato nel 2022 per le edizioni Ares, “Atlante delle inquietudini” è opera di Francesco Enia, cardiologo palermitano con la passione per la fotografia e la scrittura.
Fotografia e scrittura sono arti sorelle,  entrambe raccontano storie, intendono rappresentare la realtà, la vita, la morte, la sofferenza, la gioia, a volte mostrando ciò che non si vede e nascondendo ciò che si vede, facendosi luce e oscurità, essendo esse negativo e positivo contemporaneamente. Il fotografo Tony Gentile, che ha curato la prefazione del romanzo, cita Luigi Ghirri:

“…nella fotografia c’è il negativo e il positivo. È il rapporto tra luce buio. È un giusto equilibrio tra quello che c’è vedere e quello che non deve essere visto.”
Gentile è famoso per lo scatto cult che rappresenta, vicini, complici e sorridenti, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino fotografati appena un paio di mesi prima della strage di Capaci. Continua a leggere →

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Emilio Capaccio legge “Formulario per la presenza” di Francesca Innocenzi

25 mercoledì Gen 2023

Posted by emiliocapaccio in LETTERATURA E POESIA, Recensioni

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Emilio Capaccio, Francesca Innocenzi

Ci troviamo a un certo punto della scaletta a dover presentare un medley dei nostri quarant’anni: non un revival di nostalgiche serate di qualche esistenza fa: la poesia che abbiamo asperso nel passato non è mai solo il ballo di un madrigale in un lontano “rinascimento”, ma è sempre pure un’inesauribile e ininterrotta danza del momento. Può essere assoggettata a una corrente, non alle sferraglianti meccaniche dell’età.

Ecco allora qualche volta declamarsi un medley di noi stessi: una scelta antologica di versi, il sunto artistico di una donna in costruzione, un’autrice, un’intellettuale, una sempiterna dottoranda delle alchimie poetiche. 

Formulario per la presenza, Edizioni Progetto Cultura, 2022, presentato nella collana “Gemme”, diretta da Cinzia Marulli Ramadori, è un editto con il quale la Innocenzi proclama il suo ideale, uno stato di avanzamento dei lavori con cui dichiara di essere qui, intrisa nell’esistenza, in transito, ma presente, odierna, in trasfigurazione. La metrica è precisa nella costruzione del verso, lo stile, nudo, essenziale, senza fronzoli linguistici, ma oltremodo musicale, esito di continua ricerca e di un’attenta analisi lessicale, come ha imparato da papà Luciano, poeta anch’egli, storico e insegnante, il quale, come dice la Innocenzi, ogni volta, non vede l’ora di farle leggere un nuovo verso; puro amore di padre!

Ed ecco la sequenza, la progressione, la parata, con cui si presenta al lettore, la Innocenzi. 

Penna, un po’gioco d’ombra un po’ colorata, sorriso impercettibilmente malinconico, parola educata ma non edulcorata, vestitino leggero di logli di campi marchigiani. 

Guardandola così, come attraverso una foto, come all’apice di una premonizione, viene da bisbigliarle: 

“Il fiore è dentro di te, Francesca, noi cogliamo i tuoi frutti”.

Emilio Capaccio

il tempo anelato istante eterno

il tempo anelato istante eterno

è caduto come miele sul selciato

il tempo, profumo di pruneto

rifugio e scampo al tuo corpo voluto

la ferrea leggerezza che in te ho accarezzato

stasera serbo

               scherzo di brezza su salice muto

dispersione

ovunque e in ogni tempo il taciuto

imperversa.

scosti lo sguardo dal vacuo della stanza

e chiosi che ogni esistente ha fine.

è sgombro di parole il corridoio

                                     altrove traslate.

giugno senza attese le disperde

come oracolo di foglie indecifrato.

delucidazione

ma io ti dissi solo di voler dormire

quando il tuo silenzio pesava come piombo.

nell’aria si infittiva un tanfo di sciagura

un nuvolo di mosche in me tornava.

ho preso il diazepam, ti scrissi allora.

da sinistra ogni uccello infido

                                  sfrecciava.

un tuono di menzogna mi sfece come pazza

nei gorghi da complotto della sera.

Francesca Innocenzi è nata a Jesi (Ancona). È laureata in lettere classiche e dottore di ricerca in poesia e cultura greca e latina di età tardoantica. Ha pubblicato la raccolta di prose liriche Il viaggio dello scorpione (Il Filo 2005); la raccolta di racconti Un applauso per l’attore (Manni 2007); le sillogi poetiche Giocosamente il nulla (Edizioni Progetto Cultura 2007), Cerimonia del commiato (Edizioni Progetto Cultura 2012), Non chiedere parola (Edizioni Progetto Cultura 2019), Canto del vuoto cavo (Transeuropa 2021); il saggio Il daimon in Giamblico e la demonologia greco-romana (Eum 2011); il romanzo Sole di stagione (Prospettiva 2018). Per Edizioni Progetto Cultura ha diretto collane di poesia e curato alcune pubblicazioni antologiche, tra cui Versi dal silenzio. La poesia dei Rom (2007); L’identità sommersa. Antologia di poeti Rom (2010); Il rifugio dell’aria. Poeti delle Marche (2010). È redattrice del trimestrale di poesia «Il Mangiaparole» e collabora con vari siti letterari. Ha ideato e dirige il Premio letterario Paesaggio interiore.

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“Nei giorni” di Enza Sanna. Recensione di Enzo Concardi.

20 venerdì Gen 2023

Posted by Deborah Mega in LETTERATURA E POESIA, Recensioni

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Enza Sanna, Enzo Concardi, Nei giorni

 

Dopo aver letto le pagine della raccolta Nei giorni, della poetessa genovese Enza Sanna, si scopre che la citazione in esergo di Sandra Reberschak – autrice nativa di Venezia – è paradigmatica anche per taluni percorsi esistenziali, psicologici e spirituali che emergono nel libro che stiamo recensendo. Eccola: «Tanti anni sono passati / e io non ho smesso mai / veramente di provare / il vuoto incolmabile / che mi dilaniava bambina, / ma ho dovuto imparare / a cercare altri rifugi, / come quello della gratificante / certezza delle parole». Forse per la nostra poetessa quel “vuoto” non è così radicale, ma esso esiste nonostante che la memoria degli affetti familiari perduri nel suo animo senza fine: «Stempera il tempo il dolore della perdita /…/ ma la famiglia d’origine è per sempre / non ti lascia mai nel tuo cammino / è parte di te, rivive nei gesti e nei pensieri / è assenza fisica mutata in spirituale presenza / fortissima, ma non ti assolve / dall’incolmabile vuoto che abita il tuo cuore» (La perdita e l’assenza). E così la figura materna suscita in lei sentimenti dolcissimi di gratitudine per il dono della vita e per esserci sempre nei giorni solitari della sua parabola terrestre, nel senso di amarezza che copre anche esperienze e ricchezze esistenziali (Dodici maggio), mentre il ricordo del Natale in famiglia la riporta nel cuore autentico dei legami di sangue. Del resto, in altre liriche, Enza Sanna si fa trasportare nella dimensione memoriale, ricostruendo attimi e momenti del passato nella sua terra d’infanzia con quella forte oniricità e, allo stesso tempo con senso di concretezza, che si rivelano tra le cifre più importanti della sua poetica: e vede la quotidianità nei casolari collinari, il danzare agreste nelle aie contadine, assapora il profumo del pane croccante appena sfornato, ascolta il fruscio del vento fra mandorli, mirti e ginestre e il maestrale che turba la risacca marina.  I “rifugi” della Reberschak potrebbero essere quei quieti angoli di mondo, quelle zone tranquille dello spirito, quel ripiegarsi in sé tipici del crepuscolarismo gozzaniano, così come si possono anche, talvolta, riscontrare nella Sanna che, d’altro canto, possiede inoltre interessanti introspezioni in cui, se il referente di partenza è individuale, indi diviene metamorfosi e sublimazione nell’universale e nel metafisico. Ne è testimonianza – tra le altre – la lirica Certezza di cose vere, dove l’aurora, la luce, la speranza, l’eternità appaiono essenziali per la vita, come necessari sono quei bipolarismi filosofici e comportamentali anch’essi parte importante della sua visione del mondo: qui si tratta dell’incontro fra «mente e cuore», «passione e cautela», «trascendenza e ragione» … e l’immaginazione colma «un vuoto d’amore». Ed anche Sopraggiunge il crepuscolo, dove gli oggetti di casa si trasformano in attaccamento verghiano alla ‘roba’. Il motivo della luce, in tutte le sue valenze e dimensioni, mi sembra tuttavia prevalente e signoreggiante su ogni altro. E non potrebbe esserci testo più esplicito de L’allegria della scrittura per significare la funzione della poesia secondo la poetessa. Di fronte all’inesorabile ‘panta rei’ eracliteo e all’incertezza della condizione umana, i versi finali non lasciano dubbi sul valore catartico della letteratura: «…Soccorre il canto / la parola che può esser pietra o farfalla / ma l’allegria della scrittura è atto di speranza / per l’anima che anela l’infinto / ha fame del mito, voglia d’oceano / a nutrire impalpabili emozioni / come bianche meduse in cresta all’onda».  Lo stile predilige un andamento pieno e corposo, ricco d’immagini sia paesaggistiche (albe, tramonti, terra ligure, atmosfere suggestive) che figurazioni di categorie filosofiche, con presenze di metafore, ossimori, sinestesie ed altre figure retoriche. Il linguaggio è al servizio di quel senso del mistero («l’occulto regista») che aleggia spesso nelle sue dimensioni pneumatiche. I toni sono sempre elevati, sostenuti, essenziali senza cadute di sorta. Diverse liriche sono riedizioni dell’idillio leopardiano tramite contemplazioni della natura associate a riflessioni che sono uno sguardo sul mondo e sulla vita, e un alternarsi di amarezze e speranze, illusioni e delusioni, vanità del tutto e fiducia nel futuro. Ma l’ancora di salvezza ai silenzi, alle solitudini, all’inadeguatezza esistenziale, al vuoto e al nulla del consumismo e della tecnologia… è sempre Dio (Tu che accendi le mie vie) poiché l’uomo non basta a se stesso.

Enzo Concardi

Enza Sanna, Nei giorni, pref. di Maria Rizzi, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 100, isbn 978-88-31497-89-3, mianoposta@gmail.com.

 

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La sensibilità decadente di “Ballate nere”. Nota di lettura di Deborah Mega

16 lunedì Gen 2023

Posted by Deborah Mega in LETTERATURA E POESIA, Recensioni

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Ballate nere, Deborah Mega, Diego Riccobene

Diego Riccobene

Ballate nere

Italic, 2021

Prefazione di Carlo Ragliani

Postfazione di Mario Famularo

 

Ballate nere è il libro di esordio di Diego Riccobene, una preziosa silloge di poesie edita da Italic nel 2021. Il titolo, che accosta qualcosa di positivo e rasserenante come possono essere delle ballate, è associato al nero, ricorrente più e più volte nel corso dell’intera opera anche nelle diverse accezioni di sera, tenebra, ombra quando l’autore scrive Io credo nell’iniqua malasorte, / nel taccuino nero; Laonde appresi il morto magistero / dello sprezzo paziente contro il fermo / giudizio senza appello, il guado nero, / quando menziona il libro del nero Arimane oppure Un solo punto nero / nel lungo imperio sfibrante d’agosto; Prosciolti da ogni vincolo, li vedo / quegli incubi pennati nero notte e ancora L’esilio deve consumarsi adesso, / nel dolio vaporante d’acque nere. Procedendo nella lettura, in esergo compare una citazione tratta dal Faust di Goethe, Nulla c’è che nasca e non meriti di finire disfatto, che sancisce una condizione esistenziale di assoluto disincanto, mentre si vorrebbe a tutti costi raggiungere un infinito che ci è precluso dall’imperfezione della nostra natura umana. Continua a leggere →

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“Cronache dalla terra di nessuno” di Maria Giovanna Massironi. Una lettura di Rita Bompadre.

13 venerdì Gen 2023

Posted by Deborah Mega in LETTERATURA E POESIA, Recensioni

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Cronache dalla terra di nessuno, Maria Giovanna Massironi, Rita Bompadre

 

“Cronache dalla terra di nessuno” di Maria Giovanna Massironi (Albaccara – Casa editrice, 2020 pp. 112 € 12.00) è una raccolta poetica intensa che assorbe dalla consapevolezza del dolore la linfa vitale e compassionevole della memoria. La poesia di Maria Giovanna Massironi accoglie testi arrendevoli al disagio emotivo e resistenti  al vincolo della speranza. L’autrice genera, attraverso una persistente confessione quotidiana, l’apprensione del proprio stato d’animo, la sofferenza dei giorni e delle notti, scandita dall’irrequietezza dei pensieri, in balìa del segnale della frattura esistenziale. Coglie la lesione dell’anima, una ferita accompagnata dalla malinconica amarezza di ogni sospensione della vertigine e dal profondo tormento per gli incubi e i fantasmi che si aggirano, crudeli e magnetici, nella sua mente. Maria Giovanna Massironi abita la terra di nessuno, il territorio conteso dai timori e dalle incertezze del vivere, il non-luogo della fluidità sensibile, il confine interpretativo della propria identità. Il libro confessa la rapida e spontanea evidenza dello smarrimento emozionale, sintonizza il fruscio segreto dell’umore, il silenzio nascosto dell’inadeguatezza. I testi, solo apparentemente frammentari, elaborati con la lealtà dell’impulso, donano il senso compiuto e graduale di una scrittura senza impedimenti, la libertà sincera di una funzione liberatoria, la capacità creativa di orientare le energie soffocate dall’affanno della perdizione. “Cronache dalla terra di nessuno” esprime una forma di premonizione istintiva, avvinta alla soglia del mondo interiore e all’esperienza delle sensazioni, collega l’ipotesi indefinita e disorientante delle difficoltà al riscatto di un orizzonte vagheggiato, varca la soglia della malinconia osteggiando l’inquietudine. Maria Giovanna Massironi resta “in limine”, sulla soglia dell’espressione, dona al lettore il suggerimento sentimentale per affidare alla vita sempre una straordinaria opportunità di rivendicare il proprio tempo. L’occasione letteraria di sollevare le proprie riflessioni evidenzia il privilegio di tradurre l’oggettività delle pagine dense di significato, di comprendere l’avvicendarsi degli eventi patiti, di condividere l’importanza del vissuto, la commovente e indecifrabile percezione della grazia. La poesia gratifica ogni ispirazione individuale, estende la consistenza del respiro universale, sfiorando la complicità della resistenza. La provvisorietà di una bruciante esistenza collega l’influenza dei versi, disgiunge la frattura dell’anima, il duro scontro inevitabile con la realtà, coglie la complessità delle vicissitudini, l’enigma delle illusioni. La poetessa, con uno stile originale, convincente e attuale, segue sempre l’eco di una psicologica attenzione al monito della coscienza, nell’individuare la riparazione del torto, nel consolidamento temporale dello spirito.

Rita Bompadre – Centro di Lettura “Arturo Piatti” https://www.facebook.com/centroletturaarturopiatti/

 

Notte dieci. Giorno undici.

 

La notte appartiene agli ubriachi

e l’alba conserva

il suo splendore di albicocca.

La rivoluzione resterà un sogno

perduto nelle chiacchiere del mattino.

Voce d’argano e ruggine

viene dal mare e vi si perde.

Non il velluto, ma la ruggine

ha invaso ogni cosa.

Ci ha preso cuore e cervello.

Nervi e sangue.

Al richiamo di quella voce

abbiamo inseguito chimere

e mille volte siamo morte.

 

Nel giorno undici

non c’è posto per noi.

Stiamo come in porto

a tagliare pomodori,

a prua della nostra

piccola casa rosa.

 Solo le zanzare sono tornate.

 

 

 

Notte trentuno. Giorno trentadue

 

Nella notte abbiamo perso un calzino.

Il destro per l’esattezza.

Pensando di fare bene

ci siamo tolti anche il sinistro

e abbiamo sbagliato.

Alle ore 5,28 siamo completamente

svegli con tutta la nostra disperazione

e i piedi gelati.

Sotto le finestre, niente storie

di lupi e di pirati.

 

Il cielo è azzurro e le strade sono deserte.

Niente ci consola.

Il giorno trentadue inizia

pieno di ansie e preoccupazioni.

Spegniamo la radio.

Ci sono cose che

                                non si possono più ascoltare.

 

 

Notte quarantatré. Giorno quarantaquattro

 

Il buio non finisce mai.

Attraversiamo la città,

camminando sotto la pioggia.

I tetti sono lucidi

e noi siamo bagnati fino alle ossa

come le nostre carte

e i libri che portiamo a tracolla.

Sono bagnati i quaderni con le copertine

di cartoncino leggero che si slabbrano

e si abbandonano ad un’onda molle e pendula.

Siamo svegli dalle cinque.

Piove e non fa freddo.

Le nostre scarpe non tengono più la pioggia

e l’acqua arriva fino alle caviglie,

gonfia le calze che resteranno umide per ore.

L’ombrello ci avvolge floscio

e ci rende difficile vedere

dove mettiamo i piedi.

La tracolla ci taglia il respiro.

Tosse e fuoco nel petto.

Torniamo a casa

cercando una fuga

tra i buchi del selciato

che sono piccole voragini

di terra e sassi.

 

Nel giorno quarantaquattro

qualcuno si è preso la sua piccola vendetta.

 

I nani hanno lasciato il giardino

                              e con le scarpe infangate

                              sono entrati in casa

                              sporcando dappertutto.

 

Notte cinquantotto. Giorno cinquantanove.

 

Che parole usare nel giorno più buio?

Tronche? Piane? Sdrucciole? Bisdrucciole?

Piane, con cadenza di adagio.

Rassicuranti e confortevoli parole piane.

Casa. Libro.

No certo caffè oggi.

E neppure gioventù

e meno che meno libertà.

Le parleremo tutte piane.

Sommesse, quasi silenziose.

Piano. Piano. Forte.

Il presente è all’improvviso tronco.

Ricorderò.

Ricorderemo estati perdute.

Le città sul mare. I caffè turchi. I sogni.

I tuoi occhi bellissimi.

Le domeniche a san siro.

Le luci in galleria.

La sabbia umida. Le partire a pallone.

La salita ai bottini. Gli ulivi. I gatti.

Suonare insieme alle vocali.

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ALCYONE 2000.Quaderni di poesia e di studi letterari, vol. 15, 2022. Recensione di Raffaele Piazza

23 venerdì Dic 2022

Posted by Deborah Mega in Eventi e segnalazioni, LETTERATURA E POESIA, Recensioni

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Alcyone 2000, Raffaele Piazza

 

ALCYONE 2000

Quaderni di poesia e di studi letterari, vol. 15, 2022

 Recensione di Raffaele Piazza

 

La composita pubblicazione che prendiamo in considerazione in questa sede, costituisce un volume che per sua natura (anche per la presenza di contributi pittorici e scultorei riprodotti a colori) potrebbe essere considerato un ipertesto, per la commistione e l’interazione che si vengono a realizzare tra i suddetti contributi e i saggi di critica letteraria, le recensioni e le sillogi poetiche che racchiude. La collana di quaderni di poesia e studi letterari “Alcyone 2000”, pubblicata da Guido Miano Editore, i cui volumi sono impaginati come una rivista, emerge nel panorama letterario italiano odierno per l’aspetto culturale come una delle più prestigiose pubblicazioni per l’importanza dei nomi dei critici letterari, dei poeti, nonché dei pittori e degli scultori che hanno firmato le parti letterarie e figurative, tutte connotate dal comune denominatore dell’incontrovertibile alta qualità, della bellezza e dell’intelligenza. Nel tempo della pandemia che tutti stiamo vivendo, fenomeno tragico che ha provocato tra l’altro un aumento numerico dei poeti a causa delle chiusure e del dolore, una simile opera nel mare magnum di una società postmoderna, globalizzata e consumistica che vede la caduta dei valori e il prevalere della mentalità dell’avere su quella dell’essere, come già stigmatizzato dal filosofo e psicologo Erich Fromm negli anni ottanta del secolo scorso, ben vengano questi quaderni quasi come espressione del pensiero divergente anche perché cartacei non destinati solo a un limitato numero di cultori.

* * *

A livello esemplificativo, analizzando il volume 15 di “Alcyone 2000”, ci si sofferma su tre dei saggi che ritroviamo nella sezione dei “Contributi letterari”: quello di Ivo Lovetti intitolato Jean Guitton l’ “eternità” in un istante, quello di Marco Zelioli, La “incontemporaneità” di Eugenio Corti scrittore cattolico più noto all’estero e quello di Ferdinando Banchini, Lugi Fallacara e il Francescanesimo.

Come scrive Lovetti, riguardo a Jean Guitton, il primo dei suddetti scritti L’infinito in fondo al cuore. Dialoghi su Dio e sulla fede, 1999, costruito come un libro intervista da Francesca Pini, giornalista del “Corriere della sera”, si può considerare il sorprendente, esauriente, per certi versi inatteso testamento spirituale del grande pensatore cristiano che ha attraversato quasi nella sua interezza il nostro secolo fino a diventarne un autorevole testimone e interprete. L’immagine che ne scaturisce è quella di un nomo eternamente giovane, sognatore che affermava che la vita gli sembrava fatta di sogni, alcuni dei quali sono notturni altri diurni, dotato di una grande libertà e originalità di pensiero, ma nello stesso tempo rispettoso dell’ortodossia cattolica, innamorato della vita nel dichiarare che va bene aspettare la felicità dopo la morte ma è ancora meglio godere adesso della felicità senza preoccuparsi di tutto quello che accadrà dopo la morte. Quando afferma il concetto di “eternità” in un istante Guitton pare rievocare l’assunto di Heidegger sull’attimo come feritoia atemporale dove il tempo si ferma e non è né passato né futuro ed è forse per sempre. In ogni caso attimo, istante e momento come categorie temporali non sono strettamente sinonimi e tra i tre termini esistono sottili differenze la cui spiegazione esauriente dal punto di vista filosofico sarebbe stato felice di darcela lo stesso Guitton se la sua interlocutrice nell’intervista gliela avesse chiesta. Guitton ha scritto anche il saggio Dio e la scienza nel quale come prova dell’esistenza di Dio il Nostro sostiene che la materia che costituisce le galassie, i pianeti e ogni cosa presente nell’universo è aggregata in maniera così precisa e perfetta e che solo una mente ordinatrice teleologicamente poteva costituirla in questo modo con quella che viene chiamata Creazione.

Nel saggio La “incontemporaneità” di Eugenio Corti scrittore cattolico più noto all’estero che in patria di Marco Zelioli il critico scrive che tra i “casi letterari” del XX secolo senza dubbio uno dei più eclatanti è quello dello scrittore e saggista Eugenio Corti, di cui il 2021 è stato il centenario della nascita. Per quanto incredibile possa risultare a chiunque ne scorra il curriculum culturale, Eugenio Corti più che in Italia è noto all’estero, soprattutto in Francia (le sue opere sono state tradotte in Francese, Inglese, Lituano, Polacco, Portoghese, Romeno, Russo, Spagnolo ed anche Giapponese). Esordì con I più non ritornano, 1947 insieme romanzo e cronaca della rovinosa ritirata dei soldati italiani dalla Russia nel 1942-1943. Il capolavoro di Eugenio Corti è senza dubbio Il cavallo rosso, 1983. Prodotto in oltre trenta edizioni e venduto in quasi quattrocentomila copie, è un romanzo di così ampio respiro da ricordare quelli dei Grandi della letteratura russa tra Ottocento e Novecento da Tolstoj a Dostoevskij a Solzeniciyn. Non per nulla, e soprattutto grazie a quest’opera, dopo aver ricevuto nel 2000 il “Premio internazionale al merito della cultura cattolica”, lo scrittore fu preposto per il Premio Nobel 2011 da un comitato spontaneo, sostenuto dalla Provincia di Monza e Brianza e dalla Regione Lombardia; una figura che il critico ha fatto bene a riattualizzare dopo la sua parziale rimozione dopo la sua morte e anche prima.

Nel saggio dedicato a Luigi Fallacara Ferdinando Banchini riporta le parole dello stesso Fallacara che affermava che il suo incontro con S. Francesco fu anche la scoperta del senso metafisico di ogni vera poesia, nella apertura dell’amore per tutte le creature. L’incontro tra il Nostro e il santo avvenne ad Assisi dove visse tra il 1920 e il 1925. Ivi nel 1921 entrò nel terz’ordine e tradusse le confessioni di Angela da Foligno, mistica francescana del Duecento e soprattutto portò a compimento quella “storia di una crisi religiosa” che è il suo primo importante, duraturo libro di poesia Illuminazioni drammaticamente esemplato sul graduale iter mistico della grande seguace di San Francesco. Il libro successivo I firmamenti terrestri del 1929 presenta, in cinque lunghe poesie in ottave, episodi della vita di Francesco, commossa esaltazione di chi sentì contro il suo cuore, il cuore di Cristo che ricolma il mondo, di chi si fece «carne d’amore, carne di dolore / flutto approdato ai piedi del Signore». Nel ‘55 curò un’edizione delle Laude di Jacopone da Todi, altro grande francescano, diversissimo da Angela ma di lei non meno ardente.

* * *

Passiamo ora ad un’altra sezione del vol.15 di “Alcyone 2000”; il brano intitolato Itinerari di letteratura comparata: cieli ed epoche diversi uniti dalla poesia fa da introduzione ad una serie di saggi appunto di Letteratura Comparata, campo poco praticato nel panorama letterario nazionale contemporaneo. I raffronti, i confronti, i paragoni, le comparazioni tra autori di epoche e lingue diverse, non sono solo utili per allargare il nostro sguardo oltre quel provincialismo che spesso limita in modo angusto il nostro orizzonte culturale, ma addirittura bisogna che siano inevitabili e necessari se si vogliono comprendere gli influssi reciproci tra le varie correnti letterarie e capire a fondo quel sentire comune, quella comune sensibilità poetica e ideale che attraversa in modo osmotico gli autori europei, nell’esprimere un patrimonio di valori sul quale si fonda la vera civiltà umana: legandoli insieme sentiremo una voce unica a difesa e per i principi fondamentali sul quale si basano il nostro sistema di vita e la nostra cultura occidentale. Le comparazioni come linee di codice in un sistema di insiemi sottesi a un principio comune che vede nella parola scritta il suo fondamento comune a prescindere dai luoghi, dalle civiltà, dai costumi e dalle religioni di ogni singolo poeta, romanziere o saggista.

* * *

“Alcyone 2000” comprende anche una sezione dedicata a sillogi di poeti contemporanei; si analizzano a titolo esemplificativo due raccolte: quella di Guido Miano e quella di Renata Cagliari. In I colori dell’isola di Guido Miano predomina la linearità dell’incanto, lo stupore e la capacità della meraviglia per la bellezza inserita nel cronotopo sotto i cerchi limpidi del cielo. Come scrive Enzo Concardi queste liriche sono una dichiarazione d’amore per la natia terra siciliana: le radici, l’identità, la cultura, l’infanzia, il sogno e il successivo abbandono, il dolore, la lontananza, la memoria, la disillusione. Poetica tout-court neolirica e del sogno ad occhi aperti dalla quale trasuda uno sconfinato amore per la natura incarnato negli idilliaci paesaggi della natale isola percepita in una policromia di sensazioni che dai sensi raggiungono l’anima e il cuore del poeta. Una notevole ricerca e raffinatezza del lessico connota il poiein di Miano. La magia della parola diviene il precipitato di una cosciente sospensione che si lega a visionarietà e la natura stessa si fa a tratti numinosa e neoromantica più che neoclassica. In alcuni componimenti il poeta si fa interprete della metafora vegetale e l’infanzia pare collimare con il verde tenero delle piante stesso. Da notare che il poeta nomina con il nome preciso le specie vegetali (l’ulivo saraceno e il gelsomino bianco d’Arabia) come Seamus Heaney, premio Nobel irlandese. L’esattezza di una parola sapientemente dosata è esaltata nei componimenti sempre ben controllati e magistralmente risolti. È affrontato il tema del dolore in un componimento struggente in cui una cerva ferità è alla ricerca del suo piccolo e stabilmente si raggiunge una musicalità nei versi nei quali è presente un ritmo sincopato. Anche un’aurea di favola è presente quando il poeta mette in scena la sirenetta con la coda di delfino, creatura mitica e forse simbolo di bellezza, sirenetta che nuota nel mare che circonda la sua amatissima Sicilia. Si emerge con piacere dalla lettura di questi testi originali e carichi spesso di un arcano fascino.

Nella silloge Attimi di luce di Renata Cagliari nei versi colloquiali e affabulanti ritroviamo il senso e il tema dell’epica del quotidiano e della fiducia nell’amicizia nei passaggi in una poesia in cui l’io-poetante oppresso dal peso della vita va a casa dell’amica Flavia dove la vita stessa ritrova colore, forza e sorriso. Addirittura la casa diviene Paradiso come un rifugio incantato e in essa anche gli oggetti sembrano stagliarsi benevoli e quasi apotropaici, e si fanno correlativi della gioia e della sicurezza. La poetica espressa è neolirica e come scrive Michele Miano si tratta di una poesia intimista, dove la parola si carica d’immagini salvifiche. La luce entra nelle cose e nell’anima come dal titolo della silloge nel permearla e negli attimi il tempo pare fermarsi in un sicuro ottimismo che si manifesta in una vena ludica e giocosa così rara perché si percepisce che la felicità può esistere sia nel giorno che nella notte e che anche se è un fiore raro esiste anche l’amicizia della quale anche il Cristo ha parlato nei vangeli. Una vena sorgiva quella della poetessa di matrice neolirica che provoca emozione e stupore nel lettore e pare anche di intravedere in essa una connotazione vagamente minimalistica. Il senso del bene che viene detto con urgenza è presente, il bene che sconfigge il male e non è buonismo.         C’è anche un aspetto religioso in questa poetica e una poesia è dedicata al Natale e alle sue magiche atmosfere e un’altra a Marco del quale è detto che nella sua vita si è risollevato tante volte dalle tribolazioni e che ora con il suo serafico sorriso aiuta il prossimo a trovare pace e armonia ed è detto qui Dio che pare emanarsi dal sorriso dello stesso protagonista.

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Ci sarebbe da dire molto sulla collana di quaderni “Alcyone 2000” di Guido Miano Editore che richiederebbe un saggio per un’analisi di tutte le sue parti e non lo spazio di una recensione; la presente collana di studi letterari si configura come espressione di una raffinata cultura all’insegna della bellezza come esercizio di conoscenza.

Raffaele Piazza

Alcyone 2000 – Quaderni di Poesia e di Studi Letterari, n°15; Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 108, isbn 978-88-31497-83-1, mianoposta@gmail.com.

 

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“Se dentro ti guardi” di Ottorino Pendenza, Miano Editore, 2019. Recensione di Raffaele Piazza.

16 venerdì Dic 2022

Posted by Deborah Mega in LETTERATURA E POESIA, Recensioni

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Ottorino Pendenza, Raffaele Piazza, Se dentro ti guardi

 

Recensione di Raffaele Piazza

 

Se dentro ti guardi, la raccolta di poesie di Ottorino Pendenza che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una premessa di Guido Miano esauriente e ricca di acribia, uno scritto di Nazario Pardini intitolato Si naviga con la fede verso il porto del ristoro nella poetica di Ottorino Pendenza e una prefazione di Enzo Concardi dal nome Il tema della solitudine umana nelle poesie di Ottorino Pendenza e Ivan Krasko. Alle poesie seguono le note biobibliografiche dei prefatori e un’Antologia essenziale della critica. La poetica espressa dall’autore si può definire “tout-court” religiosa e mistica e i versi stessi in questo senso si fanno preghiera nel rivolgersi l’io-poetante di volta in volta alla Madonna, a Dio, a Gesù e anche a Papa Francesco. In un panorama come quello della poesia italiana contemporanea nel quale dominano gli sperimentalismi e i neo orfismi, coglie nel segno della differenza la scrittura di Pendenza limpida e sorgiva nella sua semplicità che non è elementarità ma precipitato di una vena consapevole dei suoi intenti nell’esaltazione di Dio stesso e del creato. D’altra parte l’opera può essere letta come un poemetto per la sua compattezza plasmato da spirito cristiano in una dimensione di creaturalità quando l’essere poi diviene persona. Anche la natura viene ad essere detta con urgenza dal poeta spesso nella sua bellezza e non si deve dimenticare che l’uomo stesso è natura. Centrale per comprendere le intenzioni del poeta la poesia eponima: «Se dentro ti guardi / e il cuore ascolti silente, / la remora tu troverai, che argina e frena / pur le tue scelte assennate. / Percepire anche potrai / la desolante apatia, / che mentre ti offusca la mente, / anche il sorriso ti spegne / e non ti consente / di vivere ore serene / e giorni fecondi di bene. / Se dentro ti guardi / e rimuovi in te la paura / e quel velo opaco / che anche la strada ti oscura / in te scoprirai l’ardore / che renderà la tua vita / felice, serena e sicura…». Programmatici i suddetti versi nel loro ottimismo e da essi s’intende l’assunto del poeta consistente nel credere che proprio da un ripiegarsi su se stessi può scaturire la forza di varcare la soglia della speranza per divenire sereni se non felici nonostante le infinite contraddizioni della vita ed è implicito che la redenzione possa arrivare solo tramite la preghiera e la poesia stessa si fa preghiera, atto catartico per raggiungere la gioia presumibilmente gettando su Dio stesso le angosce e la paura. La felicità stessa può fare paura ma il poeta saggiamente sa dominarla superando lo “streben”, il senso dell’infinito e anche la malinconia dello spleen. E la stessa sicurezza il poeta la ritrova nel confidare direttamente nel Signore al quale il poeta rivolgendoglisi dice che sa che l’ascolta e che Lui accoglie amoroso ogni suo singulto. Nella poesia nella quale Pendenza si rivolge alla Vergine il poeta afferma che senza il suo materno aiuto egli è perduto nel mare magnum della vita e che con lei come alleata supererà le difficoltà non solo proiettandosi in un incerto futuro ma nella vita di ogni giorno. La silloge può essere letta come un inno di lode a Dio nel quale ogni cristiano lettore può identificarsi.

 

Raffaele Piazza

Ottorino Pendenza, Se dentro ti guardi, Prefazioni di Enzo Concardi e Nazario Pardini, Guido Miano Editore, Milano 2019, mianoposta@gmail.com.

   

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Dirottare l’esistenza: “Eliodoro” di Mario Fresa

12 lunedì Dic 2022

Posted by Deborah Mega in Eventi e segnalazioni, LETTERATURA E POESIA, Recensioni

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Eliodoro, Mario Fresa, Rosa Pierno

 

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Nel romanzo di Mario Fresa Eliodoro (Fallone editore, 2022) la letterarietà è certamente il soggetto-principe, mentre realtà e sogno si palesano come materiali indistinguibili: “certe mosche dalle cinque ali, violente come nei sogni”. È un testo metaletterario in cui il teatro inscena le proprie tecniche rappresentative, i personaggi stanno per gli autori o viceversa, con il coro che interviene, attante fra gli altri; insomma è una letteratura di secondo grado, come dichiarava Genette (in Palinsesti), vale a dire che mette in relazione, segreta o manifesta, un testo con altri testi. Ma è anche un romanzo acustico-visivo, in cui la parola dispiega il proprio desiderio di ingaggiare, con le arti visive e musicali, una gara. Viene in mente il paradosso di Zenone, quello della corsa tra Apollo e la tartaruga, dove il più veloce non raggiunge mai il più lento. Ce lo conferma Mario Fresa stesso, quando scrive “è un susseguirsi di immagini non più sovrapponibili, ciascuna delle quali non è mai identica a ciò che la precede”. Nel testo sui testi tutto si trasforma, non è più simile, ha subito trasformazioni irreversibili, una delle quali è la non ricomponibilità, la misurabilità smarrita. Certamente la coscienza, che dovrebbe reggere le briglie dell’unità, sembra frantumarsi e frammentarsi all’infinito. Quando la coscienza non compie più il suo dovere, le immagini, difatti, si moltiplicano, non vengono scelte in base alla necessità, soprattutto quelle relative a una logica della sussistenza biologica, ma si moltiplicano, quasi ad offrire un florilegio delle possibilità.

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Ritornando alla parola, essa mostra un’invidia nei confronti delle arti plastiche e musicali. Nel senso che la parola, dall’alto della sua astrazione, le tenta tutte per superare, non la mimesi, giacché di mimesi mai vi è traccia nelle arti, ma appunto ciò che deriva dai sensi. Sarebbe mai la parola, già solo per questo, capace di tenere fermo il toro per le corna, di tenere a freno la sua stessa corsa? Intanto, la sintassi mostra un respiro corto; risente della velocità delle associazioni che vengono alla mente. Deve roteare, mitragliare in tutte le direzioni. Il lessico è accuratissimo, penso alle coppie di participi presenti (“guardanti respiranti”), agli aggettivi joyciani e longhiani profusi nel testo, ma soprattutto al linguaggio pirotecnico, capace non solo di tessere, fra le pagliuzze d’oro, alcune escrescenze dialettali, ma di tenere l’acceleratore premuto senza mai consentire che la tensione cada o si allenti! Se non che, per seguire, quanto più metamorficamente, le arti visive, accade che anch’essa si spacchetti in incongruenze: certi aggettivi sorprendenti rispetto al sostantivo che accompagnano denunciano la rincorsa delle parole ai riflessi, anziché alle sorgenti luminose; si disperde in rivoli fluenti di disgressioni locali. Esattamente come il progetto dell’opera pretende. Con la sua forza propulsiva e deragliante, che gli abbiamo visto sfoggiare nelle sue raccolte poetiche, Fresa fa risuonare la grancassa e rilucere il firmamento.  Il lettore non può lasciare nemmeno per un istante la guida al solo sguardo, staccare il cervello e scivolare sui declivi del consueto. La macchina di Fresa lo costringe a seguire con ansia il prossimo svincolo, il luogo ove si produce uno sviamento continuo: “è tempo di rinunciare a capire”. È tempo cioè di abbandonare la logica, di utilizzare gli strumenti della complessità, di abituarci a un nuovo paesaggio, a nuove figure (gli altri, “se li prendi a uno a uno sono gelati misti, mostruosi dorsi pieni di cecità, di fragore indescrivibile”).

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La psicanalisi viene equiparata a un’indagine poliziesca che il paziente vuole depistare (e il pensiero corre subito ai testi di Dürrenmatt, dove sono l’ingiustizia e il sopruso a pretendere che sia impossibile annichilire l’indagine). Eliodoro, dallo psicoterapeuta, costruisce l’inconscio che gli aggrada. Ma ancora altri percorsi riflessivi si dipartono dalla frase “ogni malato ha un talento che non mostrerà mai a nessuno” poiché ci sovviene il ricordo della mostra La ricerca dell’identità di Gianfranco Bruno sulle capacità artistiche di soggetti etichettati come mentalmente disagiati o il lavoro ostinato di Nannetti sul muro dell’Ospedale psichiatrico di Volterra. Ciò esige che si estirpino certi paletti divisori all’interno della cultura, i quali sono utilizzati come paratie difensive poste dai benpensanti. Inoltre, l’indagine poliziesca è un genere letterario e i pensieri liberi della madre di Eliodoro ci riportano al discorso interiore della Molly di Joyce. Per quanto giriamo nel labirinto letterario, ci ritroviamo allo stesso punto. E dal linguaggio che non si esce: la realtà così come il sogno noi li restituiamo con la parola. Realtà e sogno sono allora cose già altre, già perdute: “o si parla o si ama” o anche “la vita non mentiva, ma era sempre una cosa dipinta”.

*

Frequentissimi anche i riferimenti non solo ai quadri della storia dell’arte, ma anche alla musica: il gatto che ha “il passo mahleriano”, l’”operistica spruzzatura”, “in un giro di Suite”, “e poi si mette ritto ritto come l’Eroica”, “andatura diavolesca tartiniana”. Certo, se il desiderio di descrivere la musica è ancora più difficile da raggiungere rispetto a quello di far parlare l’arte, nel testo di Fresa si assapora, non di meno, un rutilante, festosissimo ritmo. Sonorissimo. È un romanzo corale; si direbbe che ci siano tutti, da Clara e Schumann a von Eyck, e gli autori non citati esplicitamente vedono comunque i loro personaggi partecipare all’affresco tratteggiato da Mario Fresa, il quale avvisa che “cercheranno di nuovo di far tacere tutte le voci”. Ecco ciò contro cui si deve combattere. Disseppellirle, renderle attuali con la conoscenza, con lo studio, vuol dire fare largo a un pensiero critico, non omologato: “Lottiamo per trasformarci in un verbo finito” e, invece, dovremmo, per l’autore, restituire alla mente la sua potenza, non spaventarci delle sue risorse. Il sogno ridiventa il luogo del possibile, del rovesciamento. Si dovrà però anche comprendere che la storia è sempre la stessa. Che si è affetti dagli stessi vizi, che si hanno pensieri miseri sempre, che tutti compiono bastardate. Che invece, una posizione bisogna assumerla. La storia, presente nella mente dell’autore, diventa, nella sua totalità, attuale: Napoleone o Lenin sono contemporanei. Sono divenuti materiale esistenziale: Robespierre “schiva le pallonate della storia”: la sala della Pallacorda è produttore di metafore attinenti alla sovrapposizione di passato e presente. L’autore si assume la responsabilità di un resoconto da cui non ha alcun senso espungere qualcosa, ma che è da rivisitare e valutare! L’ironia di Fresa è attingibile ad ogni passo e vale come cartellino abbassato o alzato. Ci viene in mente La Divina Commedia per quella perlustrazione che vale come summa, costruzione di valori, mentre si esecrano gli ingiusti!

 

*

Oltre al mito, che funge da materiale costruttivo al pari delle percezioni e degli oggetti, dei personaggi romanzeschi (Malebolge, Ananke) o biblici (Ester), che sono materiali letterari, i quali appartengono alla nostra esistenza al modo dei materiali esistenziali, sono presenti anche materiali televisivi (previsioni meteorologiche, telegiornale), e poi il cinema, la poesia, le ballate, le canzonette. A ogni nome, da Cacciatore al Rinoceronte, sembra di assistere a un continuo scambio di identità. Ci sono ricordi, nella confessione che Eliodoro fornisce al suo psicoterapeuta, che sono parodie (si pensi alle pagine di Klossowski o di de Sade, di cui vengono restituiti protagonisti e vicende). Diversamente che nel gioco del Domino, i pezzi non cadono in maniera prevedibile, ma si aprono a raggiera, captando nuovi sviluppi testuali. E, d’altronde, non sono forse ascrivibile a ogni personaggio molteplici interpretazioni? Dunque, tutto è aperto. Che sarà mai il romanzo, se non lo sviluppo continuo e imprevedibile di casi, quelli sì, sempre prevedibili e finiti, della violenza sessuale, del predominio, del tradimento, dell’innocenza raggirata, delle speranze disilluse, così come naturalmente dei piaceri della carne e del gusto, della felicità, dell’allegria e dell’ingenuità infantile! Ma forse prevale la denuncia che ci fa riassaporare le pagine di Dickens, contro le sopraffazioni, gli appetiti sessuali, le aberrazioni comportamentali. Eliodoro è un testo che ingloba la morale come condizione necessaria per distinguere il bene dal male: ecco ciò su cui non si nutre mai un dubbio nel leggere il romanzo di Mario Fresa.

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Tutti i materiali collaborano in egual grado alla tessitura dell’arazzo: il filo non si perde. L’associazione è sempre proficua, anzi, la fervida inventiva, la capacità associativa di Mario è strabiliante, oltre che sorprendente, e apre di fatto a nuovi percorsi di senso, di cui uno, particolarmente rorido, è il filone erotico. Nessun materiale letterario è fatto salvo dalla famelica ingordigia citazionista di Fresa. I capolavori che Eliodoro “rivede in mente ovunque” in ogni luogo divengono il nostro inconscio: risalgono, dirottando l’esistenza, il nostro presente. La logica è sopraffatta da codesta immissione continua di materiali testuali ed esistenziali, che passando al vaglio della scrittura, divengono effusiva lava. Non siamo, d’altra parte, lontani dalla Sicilia con Eliodoro, il mago di Catania, invero metamorfico, protagonista del romanzo, ma anche alter ego autoriale. Colpisce, nel romanzo di Mario Fresa, la resa stilistica omogenea capace di tenere testa alle enciclopedie musiliane, la composizione che vale non solo per il presente, ma che si trascina tutto il retaggio culturale messo a segno in tutti i campi dello scibile umano, scienza non esclusa! In questo senso, il romanzo ridiviene strumento efficacissimo che, al di là dell’annuncio sul suo stato di salute, rilancia la questione degli infiniti romanzi che mancano all’appello. Ma vale anche come verifica di ciò che sappiamo e di ciò che non abbiamo ancora imparato. Come se la storia, la narrazione cronologica degli eventi umani, non avanzasse, e per sempre si ritornasse alla favola dei bambini e dell’orco e fosse necessario un pensiero diverso per valutarne possibili origini e probabili esiti.

“La ragione cos’è? “A questa età si crede a tutto…”. “Giganti e fantasmi insieme”.

In un’età in cui sempre più prossima appare la dipartita, non è la ragione, quella ragione che separa e divide, che importa, quanto un accettare qualsiasi cosa, senza preclusione. L’esistenza di tutto e tutto insieme. Soprattutto in riferimento alla seguente questione da non deporre mai come fosse irrilevante: “Perché volere bene se può diventare qualcosa come niente, un breve incidente da cancellare dalla memoria dei più curiosi?”. Non sarà nemmeno una sperata faccenda di metempsicosi: in fondo tutti vivono nella mente degli altri. Certo, negli orti culturali, l’innesto è immediato e inevitabile. Si tratta di qualcosa che invita a non sterminare sensazioni e sentimenti in nome di una logica censurante, spesso scientifica. Se logica non può mancare, a maggior ragione debbono sedere a tavola sensazioni ed emozioni. Leggere Eliodoro è un atto terapeutico, come lo è ogni classico. Sgombra la mente, fa accedere all’intero, accoglie tutte le voci, non più sottoposte ad oblio, soprattutto quando sono una marca del male, consentendo di prendere posizione su una scacchiera finalmente sgombra da rimossi e cancellazioni, macerie di nessuna utilità per la storia.

                                                                                                Rosa Pierno

 

Mario Fresa, Eliodoro, Fallone editore, ‘Gli Specchi Mercuriali’, 2022, pp. 160, euro 22.

 

Mario Fresa

 

Mario Fresa (10 luglio 1973) ha collaborato e collabora a riviste italiane, francesi e internazionali come «Paragone», «il verri», «Nuovi Argomenti», «Caffè Michelangiolo», «Recours au Poème», «Nazione Indiana», «Smerilliana», «La Revue des Archers» e «Poesia». È presente in varie antologie pubblicate sia in Italia sia all’estero, tra le quali Nuovissima poesia italiana (Mondadori, 2004), Almanacco dello Specchio n. 8 (Mondadori, 2008), Veintidós poetas para un nuevo milenio (in «Zibaldone. Estudios italianos»; Università di Valencia, 2017). Ha pubblicato vari libri. In poesia e in prosa: Liaison (Plectica, 2002, Premio Giusti Opera Prima); Alluminio (2008; tradotto in Francia da Viviane Ciampi); Uno stupore quieto (Stampa2009, 2012; menzione speciale al Premio Internazionale di Letteratura Città di Como); Teoria della seduzione (Accademia di Belle Arti di Urbino, 2015); Svenimenti a distanza (Il Melangolo, 2018); Bestia divina (La scuola di Pitagora, 2020). Nel campo saggistico, ha tra l’altro curato l’edizione critica del poema Il Tempo, ovvero Dio e l’Uomo di Gabriele Rossetti (nella collana «I Classici» di Rocco Carabba, 2010) e la traduzione e il commento dell’Epistola De cura rei familiaris attribuita a Bernardo di Chiaravalle (Società Editrice Dante Alighieri, 2012). Ha curato, inoltre, il Dizionario critico della poesia italiana (Società Editrice Fiorentina, 2021). Fa parte del Comitato di redazione del semestrale «La clessidra» e della rivista internazionale «Gradiva» (Università di Stony Brook, New York). Una nuova raccolta poetica, Il mantello di Goya, uscirà nel 2023 a cura di Maurizio Cucchi.

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Floriano Romboli, “Il fascino e la forza della letteratura”, Guido Miano Editore, 2021. Recensione di Raffaele Piazza.

05 lunedì Dic 2022

Posted by Deborah Mega in LETTERATURA E POESIA, Recensioni

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Floriano Romboli, Il fascino e la forza della letteratura, Raffaele Piazza

Floriano Romboli

 

IL FASCINO E LA FORZA DELLA LETTERATURA

VOL.1

Saggi su Dante, Tasso, Graf, Zola, Fogazzaro, Pardini

Recensione di Raffaele Piazza

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“Tutto è respiro” di Alfredo Alessio Conti, Guido Miano Editore, 2022.Una lettura di Rita Bompadre.

02 venerdì Dic 2022

Posted by Deborah Mega in LETTERATURA E POESIA, Recensioni

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Alfredo Alessio Conti, Rita Bompadre, Tutto è respiro

“Tutto è respiro” di Alfredo Alessio Conti (Guido Miano Editore, Milano 2022 pp. 64 € 15.00) racchiude la volontà stilistica dell’autore a distendere lungo l’arco di un nuovo canto poetico, la rinascita quotidiana della meraviglia. Il poeta abbraccia l’universalità di tutti gli elementi umani, riunisce nel ritmo dell’esistenza il rinnovamento emotivo, orienta la relazione interna del tempo, la percezione della realtà, l’essenza del soffio vitale, il principio filosofico di tutte le cose, esteso nello spazio e nel suo legame con la scrittura. Alfredo Alessio Conti percorre il cammino comune verso la partecipazione sensibile all’esperienza biografica, rinnova la sperimentazione espressiva della qualità persuasiva del linguaggio, ricerca una nuova capacità della parola, aderisce alla purezza del verso, mette in evidenza il senso ritrovato delle inquietudini, il lirismo protettivo dei sentimenti, l’energia dei significati impulsivi e le suggestioni morali. Il poeta comprende il complesso legame con l’universo, sottrae all’isolamento e all’angoscia dell’uomo la distinzione del miracolo della vita, indica l’intensità del mistero, intuisce la prospettiva esistenziale nel drammatico e meditativo conflitto tra la contingenza e la necessità nel divenire della materia speculativa, riconquista, attraverso l’esclusiva esperienza dell’insegnamento elegiaco, la fiducia della coscienza.

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“Delle madri” di Marina Minet

01 giovedì Dic 2022

Posted by Loredana Semantica in ARTI VISIVE, LETTERATURA E POESIA, Recensioni

≈ Commenti disabilitati su “Delle madri” di Marina Minet

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Delle madri, Maria Pina Ciancio, Marina Minet


Leggendo d’un fiato la raccolta “Delle madri” di Marina Minet, si ha come l’impressione di riprodurre sulle labbra le formule di un rito. Un rito che non è soltanto quello dell’accezione classica, ovvero un insieme di gesti codificati e finiti, bensì una nuova iniziazione, un atto “fondativo”. I canali performativi attivati si articolano, grosso modo, in tre nuclei poetici: la nascita (a cui rimandano le immagini del “grembo” e della “culla”, l’appartenenza (descritta talvolta come eredità materna, talvolta come passione corale del Poeta e del mondo), infine l’introspezione, cui tendono, risolvendosi, i due nuclei precedenti. Siete venute nel mio grembo / in questo seno di rovi e di bontà / dove le parole chiedevano di voi (p.23) scrive la Minet, come a tracciare la parabola di un tempo foriero di ri-nascite.
Contribuiscono ad arricchire la raccolta, la riflessione sulla terra d’origine e l’esercizio del ricordo. Versi come questi si ripetono da un capo all’altro della silloge creando un leitmotiv: è il bagliore di quel mare che mi manca / la battigia come abbraccio della sera / e l’odore dei ricordi (p.54).
È nell’esatta congiunzione tra la memoria e i “luoghi” che si espleta la catarsi del poeta, ed è in questo vento informe che occorre ricercare la ricchezza della poesia di Marina Minet.

Pierino Gallo

Alle tue mani

Io ti ricordo, madre
come una fortezza di parole
da espugnare

Non so se sia dei luoghi
la causa del destino
o se sia il sangue, la fonte dei lamenti
che ci portiamo dentro senza nome
come sfortune incolte
Oppure se dovunque sia del sé
la scelta d’ogni singolo paesaggio
che attraversiamo nudi
fino a sfinirci gli anni

Eppure, il grano sotto il sole
dorato e vacillante
somiglia alle tue mani
e mi riporta indietro, vedendolo oscillare
a quando rientravo dalla strada
spaesata come un cuore senza fianchi

*

Eri tu

[L’asfalto coincideva
con i passi svelti del rimpatrio]

Eri tu a sorridere al dolore
col silenzio accanto al pane
e un rigagnolo di fede intorno al cuore
C’erano i santi a piangere le piaghe
mentre bendavi con cura il destino
brindando alla vita

La fierezza uguale ai gigli
è l’esempio che mi hai dato
sorvegliando il mio respiro e l’orizzonte
mentre il mare ti scalfiva le ferite
canzonando la speranza ch’era il cielo

Ti chiedo perdono, madre
per l’attesa che ha composto il mio silenzio
questo osare a malapena le parole come i gesti
quando il tempo ci pioveva nelle mani
concimando le stagioni insieme ai lutti

*

Il nervo che ci scalda

I ricordi
questi baccelli eterni
legati alla coscienza
altro non sono che il passo che ci sposta
e il nervo che ci scalda

Cos’è il domani
se i viali si saziano di foglie
dubitando dell’inverno
Perché il domani è altrove e tutte queste attese
ci stanno sempre accanto

E incoraggiamo gli anni, adesso
cercando in ogni giorno una risposta
o un pianto che sia santo
quanto gli occhi di una madre

*

Madri

Bisogna sentirle le madri per capirle
Vederle all’inverso
-rapaci
quando la sera le infrange prigione
e il mento alle sbarre s’innalza zittito

C’è che il senso del grembo è un cuore imbalsamato
quando al buio la paura non ha nome
e il seno, è un ruvido binario
Un viaggio caldo che fredda all’esperienza
se la meta è la fame da scordare

Bisogna provarle le madri piagate
Contarle le ciocche al perdono
una alla volta, indifese
e capirle autunnali
oltre l’ombra del polso placato

Sono così alterni i momenti segnati
certi al palmo
eppure, s’infiltrano memoria all’ossessione
…
la culla dondolando e un volto
giurando, lo ricordo
ed era cielo e difesa lo sguardo
sospeso all’imbrunire infame

Il tempo è un rovo da curare
stringendolo appuntito
come se del sangue
non conoscesse l’espressione
e d’ogni inizio sapesse la morte.

dalla silloge ‘Delle madri’, con disegni interni e di copertina di Roberto Matarazzo, contributi interni di Maria Pina Ciancio, Mario Fresa, Pierino Gallo, Edizioni L’Arca Felice, 2015

Marina Minet, il cui vero nome è Teresa Anna Biccai, nasce a Sorso in Sardegna. La sua scrittura rivolge un’attenzione particolare ai tormenti dell’esistenza e alle naturali inquietudini che segnano e contemporaneamente arricchiscono l’anima. Ha pubblicato le seguenti monografie poetiche: “Le frontiere dell’anima” (Liberodiscrivere® edizioni, 2006), “Il pasto di legno” (Poetilandia, 2009) disponibile su Lulu, l’ e- book “So di mio padre, me” (Clepsydra Edizioni, 2010) scaricabile on line, “Onorano il castigo” (Associazione Culturale LucaniArt, 2012), il racconto breve “Lo stile di Van Van Gogh” (Associazione Culturale LucaniArt, 2014), le sillogi poetiche “Delle madri” (Edizioni L’Arca Felice 2015) e “Scritti d’inverno” (a cura del premio Città di Taranto, 2017).
Fra le altre pubblicazioni ricordiamo i romanzi collettivi al femminile “ESTemporanea” (Liberodiscrivere® edizioni, 2005) e “Malta Femmina” (Ed. Zona, 2009), il poemetto in prosa-poetica “Perdono in supplica d’impronta esangue in monologo d’augurio al pasto” (da Amantidi – Vittime, Magnum Edizioni, 2006).
Una sua fiaba per bambini è stata pubblicata nella raccolta antologica “A mezz’aria” (Liberodiscrivere® edizioni, 2006).
Il racconto-poema “Metamorfosi nascoste” è apparso nell’antologia “Unanimemente” a cura di Gabriella Gianfelici e Loretta Sebastianelli (Ed. Zona 2011). Recentemente compare nell’Antologia di Poesia Femminile “Voci dell’aria”  (Exosphere PoesiArtEventi Associazione Culturale, 2014), in “Teorema del corpo – Donne scrivono l’eros”  curata da Dona Amati con la prefazione di Beppe Costa (Ed. FusibiliaLibri, 2014) e nella plaquette collettiva “Le trincee del grembo”
(Associazione Culturale LucaniArt, 2014). Da anni si occupa, inoltre, di divulgare la sua passione per la poesia, attraverso l’ideazione e la realizzazione di interessanti “video poetry” che è possibile visionare sul canale http://www.youtube.com/user/movenza

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Marisa Cossu, “Sintomi poetici”, Guido Miano Editore, Milano 2022. Recensione di Giuseppe Ruggeri.

14 lunedì Nov 2022

Posted by Deborah Mega in LETTERATURA E POESIA, Recensioni

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Giuseppe Ruggeri, Marisa Cossu

 

Marisa Cossu

SINTOMI POETICI

Recensione di Giuseppe Ruggeri

 

Quali sono i “sintomi” della poesia? Sembra su questo interrogarsi Marisa Cossu alla quale la pratica psicopedagogica ha insegnato la ricerca dei segni arcani della vita in mezzo ai detriti del tempo. Sintomi poetici è, di fatto, un florilegio di versi articolati in soluzioni metriche differenti, tutte puntualmente riportate in calce ai singoli brani. Così scorrono sotto gli occhi di chi ormai, per forza di cose, ne ha smarrito la sana abitudine sonetti, distici elegiaci, asclepiadei e financo acrostici che raccontano la visione poetica della nostra. Una visione ispirata da una Natura onnipresente che assurge la pietra – “corpo ruvido/ cuore inaridito, sempre immobile” a potenziale destinataria “di una speranza, forse, che lo illumini”. Mentre gli uomini, viceversa, quando sono ormai “corpi spogliati/ naufraghi nell’iperbole dell’io” seguono il destino delle nuvole che “salgono chiare in cielo/ iridi senza volto/ accumulate in albe evanescenti”. Uomini entrati ormai “nella notte/ dove giace memoria/ delle cose perdute, spinte nel buio, in angoli di strada,/ da un vortice stellato dove vola/ quel che resta del giorno”. Tra cui, per fortuna, anche la poesia.

 

Giuseppe Ruggeri

 

 

Marisa Cossu, Sintomi poetici, prefazione di Nazario Pardini, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 92, isbn 978-88-31497-84-8, mianoposta@gmail.com

 

 

 

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Maurizio Cinquegrani, I dialoghi dell’arancia, Guido Miano Editore, 2022.Recensione di Raffaele Piazza.

11 venerdì Nov 2022

Posted by Deborah Mega in LETTERATURA E POESIA, Recensioni

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I Dialoghi dell’Arancia, Maurizio Cinquegrani

Maurizio Cinquegrani

 I DIALOGHI DELL’ARANCIA

Appunti di viaggio

 

Recensione di Raffaele Piazza

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Marco Terenzio Varrone, “De lingua Latina”. Traduzione e note di Maria Rosaria De Lucia. Recensione di Raffaele Piazza.

04 venerdì Nov 2022

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De lingua Latina, Maria Rosaria De Lucia, Raffaele Piazza

Marco Terenzio Varrone

DE LINGUA LATINA

Traduzione e note di Maria Rosaria De Lucia

 

Recensione di Raffaele Piazza

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Giovanni Tavčar, “Tra speranza e angoscia”, Guido Miano Editore, Milano, 2022. Recensione di Maria Elena Mignosi Picone.

21 venerdì Ott 2022

Posted by Deborah Mega in LETTERATURA E POESIA, Recensioni

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Giovanni Tavčar, Maria Elena Mignosi Picone, Tra speranza e angoscia

Nella silloge di poesie Tra speranza e angoscia di Giovanni Tavčar, troviamo le seguenti parole che ci dovrebbero fare riflettere e dalle quali vogliamo prendere l’avvio nell’esaminare questa opera: «Dovremmo essere più spesso / come i bambini /…/ che vivono / dell’attimo fuggente, / della temporanea contentezza, / dell’inconscia felicità» (Come i bambini). Ecco, i bambini non si angustiano del passato né stanno in tensione verso il futuro. Vivono il momento presente, il qui e ora. Non conoscono né angoscia, né speranza.

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Giuseppe Arrigucci, “Liriche scelte”, Guido Miano Editore, 2022. Recensione di Raffaele Piazza

14 venerdì Ott 2022

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Giuseppe Arrigucci, Liriche scelte

Recensione di Raffaele Piazza

Liriche scelte, la raccolta di poesie di Giuseppe Arrigucci che prendiamo in considerazione in questa sede, è scandita in tre capitoli che sono provvisti tutti e tre di titoli e di prefazioni e sono preceduti da una premessa a cura di Guido Miano.

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Adriana Deminicis, “Da un poemetto alla luna I fiori di Gelsomino”, Guido Miano Editore, 2022. Recensione di Raffaele Piazza

07 venerdì Ott 2022

Posted by Deborah Mega in LETTERATURA E POESIA, Recensioni

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Adriana Deminicis, Da un Poemetto alla Luna I fiori di Gelsomino, Raffaele Piazza

 Recensione di Raffaele Piazza

La raccolta di poesie di Adriana Deminicis, insegnante di Monte Vidon Corrado, in provincia di Fermo, che prendiamo in considerazione in questa sede, presenta una prefazione di Maria Rizzi esauriente e ricca di acribia. Come scrive la prefatrice l’Autrice crea una sorta di romanzo in versi che tocca vette altissime di lirismo e trascina nel suo universo, in apparenza surreale, in realtà quanto mai vicino alla concretezza. Il riferimento Alla luna, l’idillio leopardiano dell’opera I Canti, è inevitabile, tanto più che il poeta di Recanati aveva come tema di fondo il ricordare, ovvero il rimettere nel cuore, per riferirci al significato etimologico del termine.

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“Feriti dall’acqua” di Pietro Romano (peQuod Editrice, 2022). Nota di lettura di Maria Allo

30 venerdì Set 2022

Posted by maria allo in LETTERATURA E POESIA, Recensioni

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Feriti dall'acqua, Maria Allo, Pietro Romano, Recensioni

“Uno stormo di rondini che migra
non è ancora. Laggiù il presente
si arena, senza doni
” (p.39)

Dopo il precedente Case sepolte, Pietro Romano, con questo suo nuovo libro, prosegue con un viaggio a ritroso sul confine tra memoria e desiderio e con decisa volontà di dare corpo, voce e sostanza alla condizione dell’uomo nell’universo insidiato costantemente dalla distanza fra l’io e il mondo. La poesia di Feriti dall’acqua sembra nascere da riferimenti alla vicenda biografica dell’autore, che divengono occasioni per dare corpo a tematiche di più ampio respiro in un mondo sempre più multirazziale:” Un turbinio, rumori umani, viali. / Quel che è successo infuria in un tempo/ cristallizzato: l’aria è il passo/ verso la costa, gli occhi che guardano/ sono le case, il corteo, le panche. / Mantenere la vita, sollevarla/ alla bocca, senza occhi a sponda della fine” (p. 7). Il tema, intrecciandosi anche con la sua personale esperienza “Io da bambino, voce di confine, / smembrato nella vita di ogni giorno “(p.17), ritornerà in più di una lirica, ora con il motivo memoriale “Madre, oggi ti colgo nella luce dei vetri/ che istoria gli occhi d’evento e catarsi” o “È nelle sere autunnali la via/ in cui ricordo chi sono. La mente/ oscilla lungo un rivo di fango, / si sporge quanto basta per sentire”(p. 39), ora con il costante anelito all’ innocenza primigenia, intesa come la capacità di sapersi aprire all’ignoto riconoscendolo come parte di sé, giacché l’innocenza unisce gli uomini e fa ritrovare loro quel caldo senso di appartenenza alla condizione umana che costituisce un vincolo più profondo del legame di appartenenza nazionale :“Non esiste innocenza nel giorno: le nostre ombre/ perse tra gli uccelli crollano sulle nuche”(p.61). Domina dunque, come nucleo tematico dell’opera, la tensione della ricerca di un’identità sofferta e complessa e la solitudine spirituale in un mondo che troppe volte ognuno di noi sente estraneo a sé, lontano, irraggiungibile quando ci si accorge di esserci allontanati dalla legge dei nostri desideri. Di essere andati in un’altra direzione: “Così si vive: lentamente il passo/ nell’aria, la scrittura tra nuvole colme di lontananza” (p.65). E tuttavia la poesia deve cercare di ridare significato alle cose (del passato come del presente) e cioè una stabile identità all’individuo, tentativo perso in partenza, eppure mai ricusato. Lo stesso Romano così commenta i suoi versi: “È una distanza irredimibile quella che separa ognuno di noi da un’origine. L’acqua è un remoto che non sappiamo pronunciare” giacché le radici dell’essere, aggiungo, affondano sotto la superficie dove le acque si fanno così turbolente che incutono paura e come certe immagini aspre possono ferire e imbarazzare. La raffinata architettura dell’opera divisa in quattro sezioni (I Acque di confine, II Dentro la foschia, III Cancelli, IV Sono qui ad attendere riparo), il legame profondo che intercorre tra testi e titoli e il sapiente lavoro di cesello interessa tutti i livelli dei testi, fonico- ritmico, lessicale e sintattico nella costante tensione a una parola che sappia sondare un Io profondamente diviso e che sfiori l’indicibile. L’opera di Pietro Romano canta la separatezza ma si augura di trovare un varco attraverso cui approdare perché nel caos si annida anche il germe della visione che resiste fra un passato di dolore e un presente ancora capace di mantenere uno sguardo oltre la soglia dell’Io: “Luce di dentro, soglia inesausta del passo. / Mi vedo oltre il sentore che a ogni varco o stanza, / come guardi, io per voi ancora non sia” (p.8).

p.20

La notte è a un passo dall’alba,

l’aria una fluorescenza azzurra.
Io mi disseto ancora

p.78

Come vero e sofferto il lido, il sogno
o il volto che trema, fra le acque
la parola si svuota,
ogni casa ritorna.

p.87

È accaduto e si è perso. Traluce
senza più il suo dire, rimemora
gli asfalti bagnati della coscienza.

p.89

Voci quietate nel sonno dei passi,
tra le fredde luci delle parole
è il vostro mattino. Quelle sono
le stanze vuote a cui ritornate

quando nel buio l’assenza sancisce
il suo luogo e sfiora la vita.
È ora di nominarvi:
in voi c’è tutto, la fame e la sete,
gli occhi e le labbra che ancora non siamo.

p.92

Quest’ombra si interra
per dissetare l’impronta a un passo
dalla pietra a cui dicevi viva
la parola. Era forse il seme raggelato
sotto il sole di dicembre, la voce
che si stemperava dentro il dolore
dirsi soli e incompiuti


Maria Allo

Pietro Romano (Palermo, 1994) si è laureato in Italianistica presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna con una tesi su Nino De Vita. Ha pubblicato alcune raccolte poetiche, tra le quali Fra mani rifiutate (I Quaderni
del Bardo, 2018) e Case sepolte (I Quaderni del Bardo, 2020- pref. di Gian Ruggero Manzoni, postfazione di Franca Alaimo), quest’ultimo classificatosi tra i libri finalisti del Premio Mauro Prestigiacomo. I suoi versi sono stati tradotti in russo («Мой дом — до молчанья», “La mia casa è prima del silenzio”, Free Poetry, 2019, con pref. e traduz. di Olga Logoch, collana di poesia italiana a cura di Paolo Galvagni, traduzione di Fra mani rifiutate), greco, catalano e spagnolo, e inseriti nell’antologia Le parole a quest’ora (Free Poetry, 2019, a cura di Paolo Galvagni). “Feriti dall’acqua” (peQuod, 2022, coll. Portosepolto diretta da Luca Pizzolitto), è il suo ultimo lavoro.

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Raffaele Piazza, “Nel delta della vita”, Guido Miano Editore, 2022. Recensione di Marco Zelioli

26 lunedì Set 2022

Posted by Deborah Mega in LETTERATURA E POESIA, Recensioni

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Marco Zelioli, Nel delta della vita, Raffaele Piazza

Recensione di Marco Zelioli 

 

Lo scrittore e critico letterario napoletano Raffaele Piazza ci offre, per i tipi di Guido Miano Editore, queste cinquanta liriche intitolate Nel delta della vita: una sola ha un titolo, la prima, ed è Prologo; le altre sono semplicemente numerate da 1 a 49; ma l’Editore (che come sempre propone, in appendice, un’utilissima bio-bibliografia dell’autore) ha pensato bene di mettere nell’indice non il solo numero, ma il verso iniziale di ogni lirica, a mo’ di titolo, per non spaesare il lettore.

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Pasquale Ciboddo, “Andar via”, Guido Miano Editore, 2021. Recensione di Fabio Dainotti.

19 lunedì Set 2022

Posted by Deborah Mega in LETTERATURA E POESIA, Recensioni

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Andar via, Fabio Dainotti, Pasquale Ciboddo

Recensione di Fabio Dainotti

È certamente la terra, e segnatamente quella della Sardegna, culla della civiltà pastorale, il fondamento esistenziale per Pasquale Ciboddo, che nel suo libro di poesia, Andar via (impreziosito da un dipinto di Franca Maschio in copertina e corredato dei giudizi critici di Antonio Piromalli, Franco Fresi, Giuseppe Fiamma, Elio Andriuoli, Eugenio Maria Gallo, Enzo Concardi), rievoca, in toni a tratti anche queruli ed elegiaci (E cosa rimane), ricordi da conservare «nel museo del cuore» (Come dimenticare).

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