
Gabriele Galloni, talentuoso poeta romano scomparso prematuramente nel 2020, è più vivo e presente che mai. Lo è nei ricordi di chi l’ha amato, nei suoi versi, nei racconti, nelle bozze di romanzi, nelle dichiarazioni di poetica presenti nel web, nelle riviste telematiche e cartacee, nei vari blog e siti letterari di poesia e scrittura. Lo è ancor di più in questi giorni in cui ha visto la luce la sua opera omnia, edita da Crocetti, dal titolo Sulla riva dei corpi e delle anime, con la prefazione di Alessandro Moscè, testimonianza di un fervore creativo che si è manifestato precocemente ma che ha rivelato una ricerca lessicale e stilistica inconsueta per un giovane autore eppure assolutamente matura e convincente. Pubblichiamo una selezione delle poesie più belle di Gabriele, tratte dai libri editi mentre era in vita e postumi insieme ai nostri auguri, ovunque lui sia…
*
È giù negli interstizi di
tempo tra i minimi
e i massimi che accade
l’irreparabile.
*
I
Più che in ore o minuti
dovremmo sezionarlo questo corso
nostro di cose in luoghi
e cenni esposti a febbri sempre nuove.
II
Il sangue come luogo innanzitutto
e dopo fluido come l’acqua è all’acqua
ché al sangue si ritorna
dopo il resto. Ti sei svegliato all’alba
coperto di vernice.
III
Non parlare del tempo. Ora ne abbiamo
finché ci va. Non fare troppo caso
a quante volte ci sono e ci sei:
ricordati più tardi la Parola.
*
È stato giugno, tra le altre cose,
alcune foto in bianco e nero, i primi
abbozzi di poesia, quei tentativi
di tenere il tuo passo al suo tempo
nel diradarsi delle confessioni.
Un verso, ammetto, che mi colpì molto.
*
Guardammo a lungo in mezzo al crepitare
del falò i tuoi quaderni che bruciavano,
la carta farsi fumo, farsi aria
irrespirabile: più della storia
tra quelle pagine. Sentimmo urlare
il tuo nome, poi il mio. Ci richiamavano
al silenzio da un oltretomba a caso.
*
I ragazzi alla spiaggia di Focene
insieme incontro all’onda sonnolenta
che ritornando bagna loro il fianco
adolescente. È questa vita, lenta,
la sua illusione qui della durata
eterna. Quando ciò che resta è il bianco
della parete a fine di giornata,
il mese placido, tempo che viene,
i ragazzi alla spiaggia di Focene.
- Gabriele Galloni, “Slittamenti”, Viterbo, Augh! Edizioni, 2017.
I morti tentano di consolarci
ma il loro tentativo è incomprensibile:
sono i lapsus, gli inciampi, l’indicibile
della conversazione. Sanno amarci
con una mano – e l’altra all’Invisibile.
*
I morti – loro, l’ultima
didascalia del mondo
conosciuto – in colloquio
fitto tra un buio di falò e la resina
delle pinete a mare.
*
Lecito chiedersi come resuscitino
i morti e quale voce verrà data loro
in dono. E quale lingua e che corpo.
I morti hanno la febbre. Non è tempo.
*
Ci basterebbe credere a una riva;
a una luce che vada scomparendo
dietro gli scogli; o che un morto riviva,
che si perda tornando.
*
I morti continuano a porsi
le stesse domande dei vivi:
rimangono i corsi e i ricorsi
del vivere identici sulle
due rive. In che luce cadranno
tornati alle cellule.
- Gabriele Galloni, “In che luce cadranno”, San Giorgio del Sannio (Bn), RP Libri, 2018
Fabula
Volle provare la dissoluzione
della carne. Provarla con coscienza.
Rendersi terra fertile, ma senza
morire; vivo senza soluzione.
*
Su questa terra secca che si sbriciola
a ogni minima impronta di passaggio
vivente; a dirci che un nuovo passaggio
(sia pure lontanissimo) è possibile.
*
E saremo l’Immagine dell’uomo.
Non la creatura breve, ma la traccia.
*
Sognò intera la Rosa dei Beati.
Era l’insieme di tutti gli oggetti
(lampade, guanti, lame, scendiletti)
che ci portiamo dietro da una vita
e che dimentichiamo puntualmente
lungo la strada; in discesa o in salita.
*
Padre Alessandro trucca i morti. Li
veste, li espone a notte sopra
il palco del teatro parrocchiale.
Quando è il giorno del loro funerale
li accompagna lui stesso in chiesa, mano
nella mano, nel caldo equatoriale
dell’incenso.
- Gabriele Galloni, “Creatura breve”, Roma, Edizioni Ensemble, 2018.
Quante altre cose adesso si allontanano?
È tua la mano che coglie le rose
mentre dormo? Ricordati che i morti
soffiano su ogni filo d’erba; giocano
a fare il vento per chi non lo sa.
*
È in questa vita un’altra vita nuova
e in questo corpo un altro corpo ancora.
Mi segui fino al bagnasciuga e indietro; affiora
a pelo d’acqua una bottiglia vuota.
È notte, ma la spiaggia è affollatissima;
così che mi è difficile ascoltarti.
Raggiungiamo le dune. C’è un sentiero
dietro il canneto; porta
alla vecchia fabbrica di sapone.
La luce dei falò qui non arriva-
e nemmeno una voce.
Ho tredici anni. E della voce adesso
saprò tutto quello che c’è da sapere; da fare.
Ché in questa vita è un’altra vita nuova
e in ogni corpo un altro corpo ancora.
*
Ti chiamerò a distanza di molti anni
e avrò da tempo smesso di sapere.
Dunque non parlerò; e non parlerai
nemmeno tu. Ma tornerà per tutti
e due la prima sabbia; illuderemo
l’età giovane che dorme nei nostri letti.
Condividiamo una identica estate;
diremo un corpo che non è stato mai.
*
Le case bianche a perdita
d’occhio; le cancellate
arrugginite. A sfondo
di cartone, sfrondate
chiome di nubi simulano
l’estate del mondo.
*
Eccoci finalmente all’ultimissima
riva del mondo; vi arriviamo nudi
via terra. Aspetteremo qui la fine
ora che niente abbiamo più alle spalle;
sarà la nostra vita come l’occhio
di un dio cieco – la vita come questo
mare che non sprofonda mai in abisso.
Soltanto c’è da definire i nomi
che nuovi diamo alle cose e ai viventi.
Perché di questo molto ci appartiene;
ci apparterrà per sempre. Dammi un nome –
fai sì che duri in questo e in altri eoni.
Un nome; io farò con te lo stesso.
Non costruiremo mai nessuna casa;
dormiremo tra impronta e impronta sulla
sabbia, lasciando che la pelle faccia
di sé insanabile ferita giorno
dopo giorno. E così via fino all’ultimo
ramo del tempo; fino al giorno in cui
concessa ci sarà un’assoluzione
definitiva da ogni corpo a corpo.
- Gabriele Galloni, “L’estate del mondo”, Milano, Marco Saya Edizioni, 2019.
Il cane
Un cane con due zampe è sempre un cane.
Purché sempre ricerchi con la coda
la fissità delle cose lontane.
Il gatto
«Non avrai altro Dio all’infuori di me»,
miagola il gatto. È rosso a chiazze bianche –
trema fortissimo senza perché.
Il pollo
Ha molta dignità e fierezza, il pollo.
Si cede solamente per dovere;
una vita, diciamo, obtorto collo.
Il leone
Ama le stanze vuote, il re leone.
Così può fare il sovrano tra i mobili,
senza disturbo e senza soluzione.
Il pellicano
Sarà l’Apocalisse un pellicano
grandioso; bruceremo tutti nella
sua bocca spaventosa, piano piano.
- Gabriele Galloni, “Bestiario dei giorni di festa”, Roma, Edizioni Ensemble, 2020.
NOTA BIOBIBLIOGRAFICA
Gabriele Galloni (Roma, 09/06/1995 – Roma, 06/09/2020) fin da piccolo manifesta una precoce attitudine all’osservazione e alla scrittura, nel 2019 si diploma presso l’Istituto Cinematografico “Roberto Rossellini” e si iscrive presso La Sapienza alla facoltà di Lettere moderne. Con Mattia Tarantino codirige la rivista “Inverso-Giornale di Poesia”. Le sue poesie sono apparse in riviste italiane e tradotte in Spagna, Romania, Russia, Grecia, India e Sudamerica. Ha pubblicato le raccolte Slittamenti (Augh!, 2017), In che luce cadranno (RPlibri, 2018), Creatura breve (Ensemble, 2018), L’estate del mondo (Marco Saya, 2019), la silloge di racconti brevi Sonno giapponese (Italic, 2019). Sono uscite postume le raccolte Bestiario dei giorni di festa (Ensemble, 2020) e La luna sulle case popolari (ChiPiuNeArt, 2021). Sul web è presente il blog dedicato a Gabriele: www.gabrielegalloni.it