• ABOUT
  • CHI SIAMO
  • AUTORI
    • MARIA ALLO
    • ANNA MARIA BONFIGLIO
    • EMILIO CAPACCIO
    • MARIA GRAZIA GALATA’
    • DEBORAH MEGA
    • FRANCESCO PALMIERI
    • ANTONELLA PIZZO
    • LOREDANA SEMANTICA
    • FRANCESCO TONTOLI
  • HANNO COLLABORATO
    • ALESSANDRA FANTI
    • ADRIANA GLORIA MARIGO
    • MARIA RITA ORLANDO
    • FRANCESCO SEVERINI
    • RAFFAELLA TERRIBILE
  • AUTORI CONTEMPORANEI (letteratura e poesia)
  • AUTORI DEL PASSATO (letteratura e poesia)
  • ARTISTI CONTEMPORANEI (arte e fotografia)
  • ARTISTI DEL PASSATO (arte e fotografia)
  • MUSICISTI
  • CONTATTI
  • RESPONSABILITÀ
  • PRIVACY POLICY

LIMINA MUNDI

~ Per l'alto mare aperto

LIMINA MUNDI

Archivi della categoria: Mito

Il rapimento del dio «terribile e oscuramente maestoso» di Sabatina Napolitano

02 martedì Mag 2023

Posted by Loredana Semantica in Mito

≈ Commenti disabilitati su Il rapimento del dio «terribile e oscuramente maestoso» di Sabatina Napolitano

Il prof Braccini ci aveva già abituato a parlare del regno dei morti in diversi suoi volumi, uno scritto insieme a Silvia Romani dal titolo “Una passeggiata nell’aldilà”(Einaudi, 2017) e l’altro più recente “La nave di Caronte” (Einaudi, 2022) scritto insieme a Luigi Silvano. In “Ade e Persefone” (edito Pelago, 2021, scritto da Braccini in collaborazione a Datati con una introduzione di Giulio Guidorizzi) troviamo il racconto del mito del curatore pistoiese, le variazioni sul mito di Dadati e una antologia commentata di testi che parlano di Persefone e Ade tratta da l’Inno a Demetra attribuito ad Omero, dal poema epico il Ratto di Proserpina del poeta Claudiano e dalle Metamorfosi di Ovidio. Guidorizzi nella sua introduzione sottolinea come Frazer avesse già iscritto il mito tra quelli legati al ciclo della vegetazione in un ritmo che scandisce il ciclo vita-morte-rinascita; si ripete anche il fatto che tutta la simbologia del mito è sacra e non è solo oggetto dell’antropologia ma anche della psicologia: il legame madre-figlia, le nozze violente, il melograno. Seppure macabro quello di Ade e Persefone fu amore. Persefone, figlia di Zeus e Demetra, fu rapita da Ade, dio degli inferi e dei morti, dando poi vita al ciclo delle stagioni ma in origine ci fu lo scontro tra Crono e i Titani, da una parte, e Zeus e i suoi fratelli dall’altra, da qui i secondi ebbero la meglio e cominciarono a spartirsi l’universo. Ad Ade (l’invisibile veniva detto dagli antichi, grazie anche all’elmo che indossava che rendeva invisibili, la kynee) toccò il regno dell’oltretomba. Il dio degli inferi pare vivesse in una dimora putrida e orribile e che fosse uscito solo per regolare con Zeus la questione delle anime, della conoscenza del momento della morte, e per affrontare Eracle (da questa lotta Ade ne uscì sconfitto con una spalla trafitta da una freccia). In greco Ade era noto come Plouton, Plutone, da “ploutos” che significa “ricchezza”, in effetti il dio, non solo era ricco, perché sottoterra si celavano tesori e miniere, ma godeva anche di un certo fascino somigliando al fratello Zeus. Il poeta Claudiano lo definisce «terribile e oscuramente maestoso». Stanco di vivere da solo nell’Ade, il dio dei morti chiese aiuto al fratello Zeus per cercarsi una sposa. Il re dell’Olimpo, chiese a sua volta, aiuto ad Afrodite che insieme ad Atena e Artemide (ignare dell’accordo tra Afrodite e Zeus) convinse Persefone ad uscire dal palazzo per raccogliere dei fiori. Da qui le versioni del mito sono diverse, nel brano tratto dall’Inno a Demetra tradotto da Braccini, si narra il rapimento: “Lontano da Demetra dalla spada d’oro, dai bei frutti,/ ella giocava con le figlie di Oceano dai pepli drappeggiati;/ raccoglieva fiori, rose e crochi e belle violette/ nel soffice prato, iris e giacinti/ e il narciso, che al fine di ingannare la rosea fanciulla aveva fatto sbocciare/ la Terra, per volontà di Zeus e per compiacere Colui che accoglie molti”. Omero descrive Persefone in modo distaccato, nel rispetto della religiosità eleusina, si limita a raccontare la violenza perpetuata ai danni della figlia di Demetra: “La ghermì e contro la sua volontà sull’aureo carro, la portò via tra i suoi lamenti: e infatti gridò a gran voce, invocando il padre Cronide, altissimo ed eccelso”. Diversamente il poeta Claudiano, agli inizi del V secolo d.C, tratteggia un ritratto di Persefone in rivolta, che protesta e si lamenta così nella traduzione di Braccini: “Perché contro di noi le saette fabbricate dalle mani dei Ciclopi/ non hai scagliato padre? Così volesti consegnarmi/ alle crudeli ombre, così esiliarmi dall’intero mondo? Non ti piega nessuna pietà, in te non c’è nulla di sentimento paterno? Per quale colpa ci siamo meritate tanta ira? […] Per il tentativo di quale sacrilegio, per la complicità di quale colpa/ sono cacciata nei baratri immani dell’Erebo?/ Fortunatamente chiunque fu rapita/ da altri! Almeno può godere del sole comune./ A me invece al contempo viene negata la verginità e il cielo,/ insieme alla luce è tolto il pudore, e abbandonata la terra sono trascinata a fare da schiava al tiranno stigio! […] aiutami nella disgrazia! Trattieni il rapitore furioso!”. Parole intense, toccanti, attuali che cercano di penetrare la psicologia della vittima con femminile sensibilità. Ma ecco che una sensibilità nuova interessa Claudiano nel punto di svolta della maturazione della protagonista “Da tali parole e dal bel pianto quello spietato/ è vinto e percepisce gli aneliti del primo amore”. Da questo punto si disvela la promessa concessa dal regno degli Inferi, il potere sulle anime: “Ai tuoi piedi giungeranno i re vestiti di porpora,/ privati di ogni sfarzo, frammisti alla folla dei poveri/ (la morte tutto pareggia!), tu condannerai i colpevoli/ tu concederai il riposo ai pii; di fronte al giudizio i rei/ saranno costretti a confessare i crimini compiuti durante la vita”. Meno sublime e struggente è Ovidio nelle Metamorfosi, nel brano scelto e tradotto da Braccini si svela anche il ruolo di Ascafalo, che avrebbe rivelato che Persefone ha mangiato dei chicchi della melagrana, seppure per caso: “Il fato però non lo permette, perché la vergine il digiuno/ aveva interrotto e, mentre ingenua vagava nei rigogliosi giardini,/ aveva colto una melagrana da un albero onusto/ ed estratti sette chicchi dal pallido involucro,/ con la bocca li aveva spremuti; solo tra tutti/ l’aveva visto Ascafalo […] vide tutto e, facendo crudelmente la spia, le impedì di tornare”. Già nel libro “Indagine sull’orco. Miti e storie del divoratore di bambini” (Il mulino, 2013), Braccini aveva avuto modo di parlare degli Inferi, infatti pare che la parola “Orcus” facesse riferimento sia agli Inferi che al signore degli Inferi. Non avendo tracce delle caratteristiche specifiche di questo dio nella religione romana, siamo disposti al pensare che si sovrapponesse a Ade e Plutone. In effetti gli Inferi erano collegati anche al “Mundus”, una struttura romana che probabilmente si trovava presso il Comizio, non lontano dall’ara Saturni, con una parte sotterranea coperta da un tholos e con una apertura circolare detta oculus. Il Mundus era consacrato a Dite e Proserpina e funzionava da accesso negli Inferi. Nell’Alcesti di Euripide, Thanatos era la personificazione della morte, ben diversa da Ade, che veniva associata all’Orcus come in Macrobio. Thanatos, la Morte, o “sacerdote dei morti” come Euripide fa dire per bocca di Apollo, è crudele e malvagia, uccidendo e per giunta, preferendo le anime dei giovani a quelli dei vecchi per dimostrare la sua potenza. In vari glossari antichi medievali così come in Isidoro di Siviglia, Plutone, Orco e Caronte sono la stessa cosa e anche negli anni fino al folklore moderno le figure si trovano spesso sovrapposte, così come in un manoscritto del 1320-1325 il nome di Thanatos nell’Alcesti viene sostituito con quello di Caronte. 

Condividi:

  • Facebook
  • Twitter
  • WhatsApp

Mi piace:

Mi piace Caricamento...

“Orfeo dall’aurea lira”, il ricordo che non ricorda in Rilke

21 giovedì Apr 2022

Posted by maria allo in Appunti letterari, LETTERATURA E POESIA, Mito

≈ 1 Commento

Tag

Maria Allo, Orfeo, Rainer Maria Rilke

Orfeo olio su legno, Gustave Moreau,1865

Nel corso dei secoli, i miti hanno raccolto e tramandato la memoria collettiva di una cultura, di una civiltà e continuano a parlarci ancora, a distanza di tanti secoli, mantenendo intatta la loro forza. La consacrazione di Orfeo nell’immagine archetipica dell’artista risponde alla risonanza profonda che il suo mito suscitò nell’immaginario di tutte le epoche. Omero e Esiodo lo ignorano e occorre attendere il VI secolo a.C., perché un lapidario quanto fortuito riferimento a noi pervenuto sulla figura mitica di Orfeo (riportato da un tardo grammatico), nel frammento 17 del lirico greco, Ibico (gr. ῎Ιβυκος, lat. Iby̆cus), poeta greco di Reggio vissuto nel VI sec., di famiglia aristocratica, vissuto alla corte di Policrate a Samo, ci restituisca il mitico precursore dell’arte poetica, il dio che canta questo nostro mondo: il mutare delle cose e degli uomini che abitano presso di esse. Il mito dunque è l’elemento preesistente, comune e universale, ma insieme oscuro e misterioso; compito della poesia è quello di portarlo a chiarezza, di dargli una forma e un ordine. Alcune tradizioni vogliono Orfeo nato da Calliope e Apollo, che gli fu vicino durante l’infanzia, insieme alle muse alle quali aveva ordinato di prendersene cura.
Non molto tempo dopo Ibico, un altro frammento lirico evoca la prodigiosa malia del canto di Orfeo: è Simonide a immaginare il quadro fantastico che anticipa il senso di una sintonia fra l’uomo divino e la natura, un tratto tipico della sensibilità francescana che accoglie positivamente tutti i vari aspetti della creazione in quanto espressione e manifestazione della grandezza e benevolenza divine. Nell’Agamennone di Eschilo, un verso radioso esprime l’estasi con cui l’universo tutto si abbandona all’incantesimo del canto primigenio: “Ogni cosa egli conduceva con la sua voce, in felicità”. Ma Onomàkluton Orphén, “Orfeo dal nome famoso “la quintessenza della civiltà greca, la figura più leggendaria dei tempi eroici è tra le più complicate tanto che esiste un’altra tradizione sul lato oscuro della storia di Orfeo, ispirata alla consapevolezza tragica della fragilità umana di fronte al decreto inesorabile del fato o della realtà che lo stesso Eschilo accoglie nella perduta tragedia Bassaridi. La sua morte non era divina come il suo canto: lo avevano dilaniato le seguaci di Dioniso per istigazione del loro dio, furente perché, dopo aver visto l’oltretomba, Orfeo rifiutava di onorarlo. A questa tradizione si riallaccia il poeta ellenistico Fanocle, nei suoi Ἒρωτες. Del resto l’esistenza di varie correnti alle quali vanno assegnati i vari cantori sacri dice da sola che il mito, per il fatto di essere orale, poteva venire modificato con grande libertà, a seconda delle circostanze. Come la sua origine, così è ignota la sua patria. Orfeo, che già gli stessi antichi Greci consideravano l’incarnazione dell’antica cultura teogonica e teologica, contemporaneo di Giasone e di Eracle che accompagnò nel favoloso regno dei Colchi alla conquista del vello d’oro, nonché il creatore di quei riti orfici che egli solo, come figlio di Eagro o di Apollo e di Calliope, poteva conoscere, è comunemente riferito alla corrente tracia. Gli fu anche attribuita l’istituzione di cerimonie religiose a cui potevano prendere parte solo gli iniziati e che da lui presero il nome di misteri orfici. Molte sono le opere che recano il suo nome ma forse solo perché riferite alla sua ispirazione e al suo insegnamento. Comunque la rappresentazione che di Orfeo fa Apollonio Rodio nelle sue Argonautiche come di un poeta dolcissimo al cui canto ubbidivano gli animali e le piante, e si commuovevano gli stessi dei, è rimasta nei secoli, incarnazione fra il mitico e l’umano di un’arte religiosa che sfiora i confini della magia e del miracolo.
La favola di Orfeo viene da Virgilio inserita, secondo la tecnica alessandrino-neoterica, in quella di Aristeo nel IV libro delle Georgiche, il libro dedicato alle api. Il pastore Aristeo si dispera per la morte delle sue api causata da una pestilenza. La madre, la ninfa Cirene, sente il suo pianto e il suo accorato appello e lo invita a recarsi da Proteo, un indovino perché gli riveli la causa della sua sventura. Questi lo informa che i suoi sciami sono stati distrutti da Orfeo adirato con lui per aver provocato la morte della moglie Euridice, “Non te nullius exercent numinis irae”. Questi versi collegano il mito di Orfeo con quello di Aristeo. Già erano presenti nella tradizione i motivi che caratterizzano la favola di Orfeo: la discesa di Orfeo negli Inferi per recuperare la moglie, il potere incantatore del suo canto, a cui si uniscono, brevemente, quello della sua morte, dovuto allo scempio vendicatore che ne fanno le donne dei Traci, e della sorte della sua testa. Virgilio li fonde, escludendo altri elementi della tradizione, in una visione di Orfeo che appare non come il fondatore dei misteri orfici, ma il simbolo della poesia stessa: grazie alla sua musa incantatrice ottiene di scendere nel tetro regno dell’Ade per riavere l’amata sposa, ma a causa di un suo errore, la perde nuovamente senza alcuna possibilità di recuperarla: rimane solo il canto a consolarlo. La sorte dei due protagonisti è opposta, in quanto opposto è il loro comportamento: Aristeo, grazie alla sua docilità agli insegnamenti ricevuti (deve eseguire il rituale della bugonia), riesce ad ottenere la rinascita delle sue api; ad Orfeo, indocile al divieto, è negata la “resurrezione” di Euridice. Risulta evidente che Ovidio nel X libro delle Metamorfosi e Poliziano nelle Sylvae sono entrambi debitori a Virgilio.
Anche Cesare Pavese ha ripreso il mito nei suoi Dialoghi con Leucò, un’opera che rilegge il mito antico stravolgendolo: egli ha scelto di voltarsi indietro e perdere per sempre la sua sposa. Euridice è una stagione della vita, un passato che Orfeo cerca, ed Orfeo ha una sua dimensione, non in cerca di Euridice, ma di se stesso. È questa una dimensione esistenziale che sola può essere dell’uomo del ‘900. “Il sesso, l’ebbrezza e il sangue richiamarono/ sempre il mondo sotterraneo e promisero a più/ d’uno beatitudini ctonie. Ma il tracio Orfeo, / cantore, viandante nell’Ade e vittima/lacerata come lo stesso Dioniso, valse di più”.

Fra le tante rivisitazioni che il mito di Orfeo ha avuto nella letteratura contemporanea anche quella di Rainer Maria Rilke, scrittore e drammaturgo austriaco di origine boema che, pare abbia preso spunto dalla copia romana di un bassorilievo attico (conservato a Napoli), in cui il dio Hermes tiene per mano (quasi trattenendola) Euridice, nei versi di Rilke invece Orfeo ed Euridice appaiono meno uniti che nella scultura e tra i due si avverte inevitabile un incolmabile abisso. Nei Sonetti a Orfeo dedicati a Wera Knoop, (Rilke ricevette dalla madre di Wera una lunga relazione sulla malattia e la morte della figlia all’inizio del 1922, poche settimane prima che cominciasse i Sonetti) morta a diciannove anni di leucemia alla fine del 1919, fa riferimento al mito di Orfeo e con la sua straordinaria capacità di poesia, la storia di Orfeo è una delle più significative creazioni del mito del XX secolo. Wera era figura elettivamente orfica. Portava con sé l’infanzia, la danza e la musica, e la morte già dentro la vita, che rinvia ad un altro frammento orfico scoperto da Colli in Euripide.

Il male era prossimo. Già domato dalle ombre
Urgeva il sangue intenebrato, ma come per fugace
Presagio rifioriva nella sua naturale primavera.
Di nuovo ancora, interrotto di buio e di cadute,
terrestre rifulgeva. Finché dopo un terribile bussare
varcò irredimibile la porta spalancata.

(I,25, Sonetti a Orfeo, vv.9-14 trad.di Franco Rella)

Nel terzo sonetto della parte prima, il poeta riflette sul potere del canto.

Ein Gott vermags. Wie aber, sag mir, soll
ein Mann ihm folgen durch die schmale Leier?
Sein Sinn ist Zwiespalt. An der Kreuzung zweier
Herzwege steht kein Tempel für Apoll.
Gesang, wie du ihn lehrst, ist nicht Begehr,
nicht Werbung um ein endlich noch Erreichtes;
Gesang ist Dasein. Für den Gott ein Leichtes.
Wann aber sind wir? Und wann wendet er
an unser Sein die Erde und die Sterne?
Dies ists nicht, Jüngling, Daß du liebst, wenn auch
die Stimme dann den Mund dir aufstößt, – lerne
vergessen, daß du aufsangst. Das verrinnt.
In Wahrheit singen, ist ein andrer Hauch.
Ein Hauch um nichts. Ein Wehn im Gott. Ein Wind.

Rilke stesso disse che la traduzione è un’arte affine a quella degli attori, «è alchimia, conversione in oro di elementi altrui». Di fronte alla lingua dei Sonetti dalla visionarietà rapace, resa con una certa crudezza, come dice Pintor, autentico miracolo di perfezione, renderne quanto più possibile la musicalità non è impresa facile. Propongo qualche variante di traduzioni di questo “inaudito centro” di Rilke, grazie al generoso contributo di Anna Maria Curci, esperta traduttrice di lingua tedesca.

Un dio lo può. Ma potrà mai adeguarsi
su snella lira un uomo, dì, al suo esempio?
L’uomo è discorde. Apollo non ha un tempio
dove in cuore due vie vanno a incrociarsi.
Non è brama, quel canto che tu insegni,
non cosa ambita e finalmente presa.
Canto è esistenza. Al dio facile impresa.
Ma quando siamo, noi? Nei suoi disegni
quando egli terra e stelle a noi prepara?
Non quando ardi d’amore, o giovinetto,
pur se t’urge la voce in bocca. Impara,
scorda ciò che cantasti. Fu un momento.
Il canto vero è un altro, soffio schietto,
che va in nulla. Soffio divino. Vento.
(Traduzione di G. Baroni)
Un dio può. Ma come, dimmi, come può
Un uomo seguirlo con la sua lira inadeguata?
Il suo senso è la scissione. All’incrocio
di due vie del cuore non c’è tempio per Apollo.
Il canto che tu insegni non è brama
O appello per avere potere infine;
canto è esistenza. Facile per un dio.
Ma quando noi siamo? E quando egli volge
al nostro essere la terra, e la terra, e le stelle?
Che tu ami, o giovane, questo non è, anche
Se la voce t’urta nella bocca, -impara
A dimenticare che hai cantato. Trascorre.
Cantare in verità è certo altro respiro.
Spirare a nulla. Un soffio nel dio. Un vento.

(Traduzione in rima di Claudio Angiolini)

È un tema tipico della poesia simbolista la riflessione sull’idea della poesia come libera creazione di una nuova realtà. Rilke riflettendo sulla propria opera ne riconosce i limiti e lo stesso mito qui si pone come forma della sapienza poetica che riscatta la caducità degli esseri e delle cose: la loro fragilità si rivela infatti un valore in quanto li rende abitatori del doppio regno della vita e della morte. Poetare è agevole per un dio immortale, ma difficile per l’uomo, scisso tra la vita e la morte.
La poesia deve dare voce alla materia informe del mito che s’intreccia all’io lirico individuale e l’universalizza in solidarietà di pena con tutti gli uomini per giungere alla creazione poetica. Rilke riconosce la limitatezza dell’uomo, ecco perché, contrapponendo il poeta Orfeo al dio Apollo, si riconosce in Orfeo di cui sottolinea non tanto la abilità poetica ma la sconfitta finale (vv.3-4) e l’intima lacerazione, espressa con soluzioni formali e scelte estreme e che preannunciano aspetti dell’ermetismo italiano. Iosif Brodskij, il poeta russo, ritiene la poesia di Rilke un sogno inquietante nel quale si conquista qualcosa di molto prezioso solo per perderlo dopo un momento “il ricordo che non ricorda” come lo definirono Dino Campana e poi Luzi.
È l’amore la prima realtà. Per questo nel magnifico Orfeo del sommo Rilke, sulla soglia del silenzio laddove tutto si fa ascolto è un soffio in nulla. Un calmo alito. Un vento.

Un dio lo può. Ma un uomo, dimmi, come
potrà seguirlo sulla lira impari?
Discorde è il senso. Apollo non ha altari
all’incrociarsi di due vie del cuore.
Il canto che tu insegni non è brama,
non è speranza che conduci a segno.
Cantare è per te esistere. Un impegno
facile al dio. Ma noi, noi quando siamo?
Quando astri e terra il nostro essere tocca?
O giovane, non basta, se la bocca
anche ti trema di parole, ardire
nell’impeto d’amore. Ecco, si è spento.
In verità cantare è un altro respiro.
È un soffio in nulla. Un calmo alito. Un vento.

(Da Sonetti a Orfeo, traduzione di Guaime Pintor)

NOTE BIBLIOGRAFICHE
Albin Lesky ,storia della letteratura greca vol. I, il saggiatore, Milano 1962 p.177
Rainer Maria Rilke, i sonetti a Orfeo, Feltrinelli, Milano 2008, traduzione e cura di Franco Rella, pp.23
Rainer Maria Rilke, Poesie, Einaudi, Torino, 1955, traduzione di Giaime Pintor p. 51.
https://www.larecherche.it/testo_poesia_settimanale.asp?id=138&tabella=poesia_settimanale
https://nugae11.wordpress.com/recensioni/i-sonetti-a-orfeo-di-rainer-maria-rilke/
https://youtube/0buam0er-dw

 

 

Condividi:

  • Facebook
  • Twitter
  • WhatsApp

Mi piace:

Mi piace Caricamento...

Articoli recenti

  • Poesia sabbatica: -12- 27 Maggio 2023
  • “Misteri insolubili” di Francesco Tontoli 26 Maggio 2023
  • I fratelli Ashkenazi di Israel Joshua Singer 24 Maggio 2023
  • Intervista a Emilio Capaccio. Cuentos Olvidados 23 Maggio 2023
  • Versi trasversali: Manuela Cecchetti 22 Maggio 2023
  • Poesia sabbatica: -6- 20 Maggio 2023
  • “Rapid Writing Movements” di Francesco Tontoli 19 Maggio 2023
  • “L’amore e tutto il resto” di Andrea Temporelli. Una lettura di Loredana Semantica 17 Maggio 2023
  • Cuore destro, cuore sinistro. Un racconto di Patrizia Destro 16 Maggio 2023
  • “Metallo pesante” di Alessandro Angelelli. Una lettura di Rita Bompadre. 15 Maggio 2023

LETTERATURA E POESIA

  • ARTI VISIVE
    • Appunti d'arte
    • Fotografia
    • Il colore e le forme
    • Mostre e segnalazioni
    • Prisma lirico
    • Punti di vista
  • CULTURA E SOCIETA'
    • Cronache della vita
    • Essere donna
    • Grandi Donne
    • I meandri della psiche
    • IbridaMenti
    • La società
    • Mito
    • Pensiero
    • Uomini eccellenti
  • LETTERATURA E POESIA
    • CRITICA LETTERARIA
      • Appunti letterari
      • Consigli e percorsi di lettura
      • Filologia
      • Forma alchemica
      • Incipit
      • NarЯrativa
      • Note critiche e note di lettura
      • Parole di donna
      • Racconti
      • Recensioni
    • INTERAZIONI
      • Comunicati stampa
      • Il tema del silenzio
      • Interviste
      • Ispirazioni e divagazioni
      • Segnalazioni ed eventi
      • Una vita in scrittura
      • Una vita nell'arte
      • Vetrina
    • POESIA
      • Canto presente
      • La poesia prende voce
      • Più voci per un poeta
      • Podcast
      • Poesia sabbatica
      • Poesie
      • Rose di poesia e prosa
      • uNa PoESia A cAsO
      • Versi trasversali
      • ~A viva voce~
    • PROSA
      • #cronacheincoronate; #andràtuttobene
      • Cronache sospese
      • Epistole d'Autore
      • Fiabe
      • I nostri racconti
      • Novelle trasversali
    • TRADUZIONI
      • Capo Horn – Tijuana. Cuentos Olvidados
      • Idiomatiche
  • MISCELÁNEAS
  • MUSICA
    • Appunti musicali
    • Eventi e segnalazioni
    • Proposte musicali
    • RandoMusic
  • RICORRENZE
  • SINE LIMINE
  • SPETTACOLO
    • Cinema
    • Teatro
    • TV
    • Video

ARCHIVI

BLOGROLL

  • Antonella Pizzo
  • alefanti
  • Poegator
  • Deborah Mega
  • Di sussurri e ombre
  • Di poche foglie di Loredana Semantica
  • larosainpiu
  • perìgeion
  • Solchi di Maria Allo

Inserisci il tuo indirizzo email per seguire questo blog e ricevere notifiche di nuovi messaggi via e-mail.

INFORMATIVA SULLA PRIVACY

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella privacy policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la PRIVACY POLICY.

Statistiche del blog

  • 310.982 visite
Il blog LIMINA MUNDI è stato fondato da Loredana Semantica e Deborah Mega il 21 marzo 2016. Limina mundi svolge un’opera di promozione e diffusione culturale, letteraria e artistica con spirito di liberalità. Con spirito altrettanto liberale è possibile contribuire alle spese di gestione con donazioni:
Una tantum
Mensile
Annuale

Donazione una tantum

Donazione mensile

Donazione annuale

Scegli un importo

€2,00
€10,00
€20,00
€5,00
€15,00
€100,00
€5,00
€15,00
€100,00

O inserisci un importo personalizzato

€

Apprezziamo il tuo contributo.

Apprezziamo il tuo contributo.

Apprezziamo il tuo contributo.

Fai una donazioneDona mensilmenteDona annualmente

REDATTORI

  • adrianagloriamarigo
  • alefanti
  • Deborah Mega
  • emiliocapaccio
  • Francesco Palmieri
  • francescoseverini
  • frantoli
  • LiminaMundi
  • Loredana Semantica
  • Maria Grazia Galatà
  • marian2643
  • maria allo
  • Antonella Pizzo
  • raffaellaterribile

COMMUNITY

BLOGROLL

  • Antonella Pizzo
  • alefanti
  • Poegator
  • Deborah Mega
  • Disussurried'ombre
  • Di poche foglie di Loredana Semantica
  • larosainpiu
  • perìgeion
  • Solchi di Maria Allo

Blog su WordPress.com.

  • Segui Siti che segui
    • LIMINA MUNDI
    • Segui assieme ad altri 251 follower
    • Hai già un account WordPress.com? Accedi ora.
    • LIMINA MUNDI
    • Personalizza
    • Segui Siti che segui
    • Registrati
    • Accedi
    • Segnala questo contenuto
    • Visualizza il sito nel Reader
    • Gestisci gli abbonamenti
    • Riduci la barra
 

Caricamento commenti...
 

Devi effettuare l'accesso per postare un commento.

    Informativa.
    Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la
    COOKIE POLICY.
    %d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: