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LIMINA MUNDI

~ Per l'alto mare aperto

LIMINA MUNDI

Archivi della categoria: Teatro

TOTO’, IL PRINCIPE DELLA RISATA

21 venerdì Lug 2017

Posted by Deborah Mega in Cinema, COSTUME E SOCIETA', Eventi e segnalazioni, La società, SPETTACOLO, Teatro, TV

≈ 1 Commento

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cinquantenario dalla scomparsa, Deborah Mega, Totò

Cinquant’anni fa, esattamente il 15 aprile 1967, si spegneva a Roma Antonio De Curtis, in arte Totò, uno dei più grandi attori comici italiani. E’ stato la risposta italiana a Charlot e a Buster Keaton, un attore istrionico, un artista irresistibile e poliedrico, dotato di grande acume e di straordinaria umanità. La morte per lui significò l’inizio di una nuova fase, quella del riconoscimento incondizionato, della scoperta da parte delle nuove generazioni, del pentimento da parte di chi lo aveva criticato definendo totoate i suoi film e lui un clown, un attore improvvisato, scurrile, da quattro soldi, ecc. Pare che Totò abbia sempre sofferto molto per queste critiche infelici, dopo una prima consultava tutte le principali testate alla ricerca di una frase di elogio e di riconoscimento. Spesso la ricerca si rivelava vana, la lettura gli lasciava l’amaro in bocca tanto che era solito dire che “in Italia bisogna morire per essere apprezzati”. E aveva ragione. Il pubblico, per fortuna, incurante dello sprezzante giudizio dei critici, è sempre accorso ad assistere ai suoi spettacoli e ai suoi film. Da anni Totò è addirittura divenuto oggetto di culto, venerato come San Gennaro e pure la cappella gentilizia che fece erigere nel cimitero di Santa Maria del Pianto, nei pressi dell’aeroporto di Capodichino, è divenuta un vero e proprio santuario. La morte lo colpì all’età di 69 anni nella casa romana di via Monti Parioli 4 per un attacco alle coronarie, per lui fu celebrato un triplice funerale: a Roma presso la Chiesa Sant’Eugenio, a Napoli in presenza di 250.000 persone presso la chiesa di Sant’Eligio, ancora a Napoli nel Rione Sanità il 22 maggio. Continua a leggere →

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Sette contro Tebe di Sofocle

07 venerdì Lug 2017

Posted by Loredana Semantica in SPETTACOLO, Teatro

≈ Commenti disabilitati su Sette contro Tebe di Sofocle

Sette contro Tebe di Sofocle è l’altra tragedia, oltre a Le Fenicie di Euripide (della quale ho già detto qui) ad essere stata messa in scena quest’anno al teatro greco di Siracusa nell’ambito del 53° ciclo di rappresentazioni classiche.

Con la regia di Marco Baliani hanno calcato il palcoscenico del teatro aretuseo:

Eteocle | Marco Foschi
Antigone | Anna Della Rosa
Aedo | Gianni Salvo
Araldo | Aldo Ottobrino
Messaggero | Aldo Ottobrino
Danzatori | Massimiliano Frascà, Liber Dorizzi

Coro di giovani Tebane | Accademia d’Arte del Dramma Antico – sezione Scuola di Teatro “Giusto Monaco”

Questa tragedia si caratterizza per l’esiguità dei personaggi di spicco. Sostanzialmente solo due: Eteocle e Antigone. Due dei figli di Edipo e Giocasta, gli altri figli di questa coppia sventurata sono Polinice e Ismene che non compaiono in questa tragedia, la seconda in verità è una figura tramandata come silenziosa e docile, Polinice c’è, ma non si vede, o meglio lo si vede solo dopo morto, corpo inerte sul quale Antigone piange.

L’antefatto è analogo a quello delle Fenicie, Eteocle e Polinice, figli di Edipo, all’atto che Edipo lascia il trono di Tebe, si sono accordati per alternarsi un anno ciascuno al governo della città, ma Eteocle, scaduto il suo anno di regno, non vuole lasciare al fratello lo scettro e marcia da Argo verso Tebe con un grande esercito per reclamare il suo diritto. Pende sul capo dei fratelli la maledizione del padre che entrambi si sarebbero uccisi reciprocamente col ferro delle armi.

I due protagonisti Eteocle e Antigone si alternano sulla scena ricoperta completamente da granelli color rame, al centro della scena troneggia un frondoso ulivo secolare sostenuto da poderose radici. Scenografia essenziale ma efficace. Il coro rappresenta il popolo di Tebe.

Dopo l’introduzione dell’aedo (interpretato da Gianni Salvo, (anima del Piccolo Teatro di Catania), Antigone in scena porge offerte, prega gli dei con le donne/ancelle del popolo tebano prostrata sotto l’ulivo secolare. Eteocle interviene recitando nella sua prima apparizione a sorpresa dall’alto della casa dei mugnai, una casetta antica e piccola, a base pressappoco quadrata che si slancia in un piano sopraelevato. Essa domina dall’alto l’intero teatro. Eteocle, come un condottiero al suo esercito, infonde coraggio al suo popolo e proclama gli intenti bellicosi contro chi osa attaccare la città.

In un secondo momento Eteocle si presenta sulla scena e rimprovera alla sorella di assumere un comportamento pavido di fronte al popolo di Tebe con la sua paura e le sue preghiere non rappresenta un modello di coraggio e li rende deboli, tanto più che gli dei hanno abbandonato gli uomini e a nulla serve pregare, frase sacrilega tipicamente imboccata nelle tragedie a coloro che vanno incontro a sorte infausta. Alla notizia che marciano verso le sette porte di Tebe altrettanti guerrieri temibili dell’esercito di Polinice, Eteocle a sua volta nomina sette eroi tebani che alle porte di Tebe fronteggeranno i nemici.

Assegnazione delle porte
Porte Guerriero di Eteocle Guerriero di Polinice
Porta di Preto Melanippo Tideo
Porta Elettra Polifonte Capaneo
Porta Nuova Megareo Eteoclo
Porta Atena Onca Iperbio Ippomedonte
Porta Nord Attore Partenopeo
Porta Omoloide Lastene Anfiarao
Settima Porta Eteocle Polinice

Le investiture sono inscenate in modo spettacolare, con l’espediente di un graticcio in bambù che magicamente sorge dalla sabbia per diventare una sorta spalliera svedese, sorretta in verticale e in orizzontale dal coro del popolo/soldati tebani, sulla quale gli eroi si esibiscono aggrappati, man mano che vengono nominati, compiendo acrobazie/danze dimostrative del loro valore e prestanza. A semicerchio di fronte agli spettatori al limite dell’orchestra sette massi e sette vessilli, rappresentano le sette porte della città, la maschera che ogni eroe porta esibendosi, viene tolta da Eteocle dal capo e posta su ogni masso, una simbolica attribuzione del ruolo di difensori della città presso ciascuna delle porte.

Tutta la rappresentazione si caratterizza per spettacolarità, sin dalla scelta di far recitare Eteocle dalla Casa dei Mugnai che sorprende lo spettatore, poi per il grande risalto dato al coro sempre in movimento ad occupare lo spazio a imprimere dinamicità alla rappresentazione. La rilevanza del coro in verità è tipica delle tragedie arcaiche delle quali questa di Sofocle ha gli elementi caratterizzanti , così come l’esiguità dei personaggi. Probabilmente nella stesura originale di Sofocle i personaggi previsti erano solo il coro, il messaggero ed Eteocle mentre l’introduzione degli altri è frutto di interpolazione. Tuttavia di queste aggiunte la tragedia se ne giova risultando più ricca e varia nell’alternanza scenica. In questa versione rappresentata a Siracusa non è presente Ismene, sorella di Antigone, che in altre versioni è tra i personaggi.

I suoni sono utilizzati sapientemente e resi ottimamente dall’impianto sonoro, a sottolineare i momenti salienti, accompagnare le danze. I tamburi soprattutto spiccano per efficacia battendo in modo suggestivo ritmi di tragedia e di guerra. A proposito del suono spendo qui due parole sul fatto che ormai è invalso l’uso di utilizzare microfoni per gli attori della tragedia, che, tradizionalmente, dovrebbero recitare senza ausili tecnologici. Ciò perché il teatro dovrebbe godere di una particolare acustica potenziata dalle casse naturali  di risonanza poste a destra e a sinistra della scena, costituite da incavi scavati nella roccia. La verità è che i rimaneggiamenti del teatro e/o l’usura del tempo non rendono questa acustica eccellente come probabilmente era in origine, d’altra parte la tecnologia ormai è tale che i microfoni praticamente non si vedono, quindi sembra che gli attori recitino senza. Io però vengo da un tempo in gioventù nel quale ho visto e sentito recitare senza microfono al teatro greco di Siracusa e posso testimoniare la chiara percezione dello sforzo vocale richiesto all’attore. Davvero non tutti possono.

Il culmine della rappresentazione Sette contro Tebe è lo scompiglio della battaglia, tra fumi, assalti e fughe, mimando l’affanno e violenza della battaglia i soldati si misurano armi in pugno, accompagnati dal rumore degli scontri, in sottofondo di musiche coinvolgenti con punte di acuti tamburi e grida. Al tramestio di questo momento segue la calma dell’avvenuta tragedia. Questo è l’apice drammatico, dove Antigone pone a tutta la vicenda il suo cameo di dolore. Antigone piange i fratelli morti e esprime pari tenerezza per l’uno e l’altro deposti inanimati ai suoi piedi.  Sopraggiunge la manifestazione del volere della città di rendere onori a Eteocle, eroe e difensore di Tebe e di lasciare insepolto Polinice, esposto fuori dalle mura all’insulto di cani randagi e uccelli predatori. Il volere della città è espresso attraverso la voce tecnologica e nasale di un megafono. Anche il megafono è un elemento spettacolare di questa tragedia, montato su un alto traliccio sorge magicamente dalla sabbia e proclama la volontà del governo tebano di non dare sepoltura a Polinice che da nemico ha aggredito la città. Antigone si ribella  a questa decisione e dichiara l’intento opposto di dare sepoltura al corpo del suo disgraziato fratello a rischio della sua stessa vita. Intento che porterà a compimento. Questa però è tutta un’altra tragedia.

Bravo Marco Foschi nei panni di Eteocle. Ancora di più mi ha convinto questa bella Antigone-Anna Della Rosa, forse perché da donna solidarizzo con una donna, portatrice di trepidazione e dolore, forse perché nel ruolo di Antigone non lancia minacce, non bestemmia contro gli dei, perché fieramente osa opporre la pietà e l’affetto fraterno alla maledizione della città contro Polinice, forse infine per il fascino della particolare voce di Anna Della Rosa, lirica e tremante che si presta singolarmente alla recitazione delle tragedie. Lei è ben consapevole d’essere la figura femminile centrale di tutta la tragedia e riveste questo ruolo con talentuosa consapevolezza, sia in abiti da “guerra” di pelle e piume indossati nella prima parte della rappresentazione, sia dopo, negli abiti più sobri del dolore, una mise in spolverino color tra cipria e mattone su veste nera. Questo outfit mi è sembrato l’unica concessione al moderno tra i costumi altrimenti validi scenograficamente, perché “animati” molto mobili, danzano sul corpo degli attori come fossero dotati di una propria vita, appaiono ispirati in parte agli uomini delle caverne e per altro verso al medioevo dei signori paludati riccamente. Mi sarei risparmiate le cavigliere a frange da african style.

E’ piaciuta questa tragedia, oltre che a me, anche agli spettatori. A fine rappresentazione, tradizionalmente, si applaude a lungo per ringraziare. Ne vale davvero la pena.

Solo un rammarico, che è un appunto, che è una lamentela, che è una voce che dà voce a tutti coloro (e sono moltissimi) che non hanno gradito affatto il divieto dell’uso di fotocamere e telecamere durante la rappresentazione. Questa riserva dell’immagine di un evento pubblico è spiacevole e controproducente per la fortuna e memoria dell’evento stesso. Migliore sarebbe stato un divieto di riprese fotografiche e video per uso professionale o comunque commerciale.

Per quanto appena detto, qui non vi sono foto della rappresentazione.

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Le Fenicie di Euripide

23 venerdì Giu 2017

Posted by Loredana Semantica in SPETTACOLO, Teatro

≈ Commenti disabilitati su Le Fenicie di Euripide

Nel teatro greco di Siracusa è il corso il 53°ciclo di rappresentazioni classiche.
Ogni anno nei mesi maggio, giugno e luglio, nello splendido scenario naturale a cielo aperto del teatro greco di Siracusa, l’INDA mette in scena 3 opere di autori classici greci o latini che attirano spettatori da tutto il mondo, l’anno scorso quasi 120.000.
L’inda, acronimo di Istituto Nazionale del Dramma Antico, è una fondazione culturale nata nel 1913 per iniziativa del nobile siracusano Mario Tommaso Gargallo, con l’intento di dare nuova vita al dramma antico nella sua sede naturale: il teatro greco di Siracusa.

Questo teatro è stato scavato nella roccia del colle Temenite circa 4 secoli prima della nascita di Cristo, è quindi un teatro antichissimo e glorioso, con la sua cavea di ben 138,60 metri si colloca tra i teatri greci più grandi del mondo. Caratterizzato da accorgimenti diretti a sfruttarne l’acustica, è costituito da più ordini di gradini disposti a semicerchio e degradanti verso il centro. Originariamente i gradini erano 67, divisi in 9 settori da scalinate che permettevano al pubblico l’accesso ai posti a sedere. Utilizzato anche in epoca romana, più volte rimaneggiato, è attualmente monumento archeologico oggetto di immancabile visita da parte dei turisti che si recano a Siracusa. Viene destinato soltanto di rado a premiazioni ed altre iniziative culturali diverse dalle rappresentazioni classiche per preservarne l’integrità. Sempre per tutelare la roccia dall’usura, durante il ciclo di rappresentazioni classiche viene protetto da impalcature sui gradini e transenne di legno lungo le scalinate per permetterne la fruibilità senza danneggiamenti.

Quest’anno in programma per il ciclo di rappresentazioni classiche ci sono:
“Le Fenicie” di Euripide, l’ultima rappresentazione domani
“Sette contro Tebe” di Eschilo
“Le Rane” di Aristofane
Le prime due sono tragedie, appartengono entrambe al ciclo tebano e trattano della stessa vicenda da angolazioni diverse, le Rane sono una commedia, capolavoro di Aristofane.

Le Fenicie di Euripide, è stata rappresentata quest’anno dopo una lunghissima pausa dal 1968, l’anno nel quale precedentemente è andata in scena, parliamo di oltre 50 anni fa. La tragedia è tale indubbiamente, c’è un gran bel numero di irrimediabili morti, un fato che incombe maledetto, guerra, odio e rivalità, una madre aggrovigliata nelle spire di infausta sorte che nulla può contro il destino e sceglie il suicidio, preferendo la morte a una vita di infelicità per il lutto dei propri figli e per la disgrazia del proprio delitto. Sono protagonisti di questa tragedia del ciclo tebano: Giocasta, Edipo, Eteocle e Polinice, Antigone, Tiresia, Creonte, Meneceo, a dare il nome alla tragedia un gruppo di donne, tra le quali una vergine, provenienti dalla Fenicia e dirette al tempio di Apollo che assistono allo svolgersi degli eventi. Le donne fenicie nella tragedia assumono le vesti del coro che tradizionalmente commenta o narra aspetti ed eventi rilevanti della tragedia.

Eteocle, Polinice e Antigone sono fratelli, figli di Giocasta ed Edipo, Edipo tuttavia sposando Giocasta ha commesso a suo tempo inconsapevolmente incesto, perché Giocasta è anche sua madre. Edipo, nella disperazione della colpa di cui si è macchiato, lascia il governo della città di Tebe, che resta ai figli maschi Eteocle e Polinice. Essi si accordano per alternarsi un anno ciascuno, ma Eteocle al termine del suo anno di governo non vuole cedere al fratello lo scettro e perciò Polinice, reclamando il suo diritto, marcia con un poderoso esercito da Argo verso Tebe. La tragedia si apre con un dialogo tra Antigone (Giordana Faggiano) e il suo precettore, (Simone Luglio), che è un pretesto narrativo per introdurre alla vicenda.

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Antigone e Pedagogo, ph. Loredana Semantica

In questa fase iniziale viene messa in risalto la scenografia. Bello l’albero sradicato, bianco nelle fronde e nelle radici, al centro della scena tra le rocce squadrate come mura e suggestivi teli di organza bianca stesi tra gli alti pali dello sfondo che ondeggiano al vento. Rosso tutto il resto. Scenografia essenziale ma efficace.

Tra i momenti salienti ed efficaci della tragedia il monologo di Giocasta, nell’ottima interpretazione di Isa Danieli. Ella preoccupata del rischio che incombe sulla città, ma soprattutto sui suoi figli tenta inutilmente di accordarli, risultando una credibile Giocasta in ricchi paludamenti neri e bionda, luminosa capigliatura. Eteocle al secolo è Guido Caprino (noto al grande pubblico per aver interpretato il Commissario Manara in TV) nella tragedia è un prestante re, cupo, determinato, assetato di potere.

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Eteocle e il coro, ph Loredana Semantica

Suo fratello Polinice è Gianmaria Martini, anche lui ha recitato in tv nella fiction I Cesaroni. Nei panni di Polinice si mostra meno imponente del fratello, con una recitazione più infantile e nevrotica, (del resto ben si accorda alla realtà della vita che i fratelli siano diversi per aspetto e temperamento) con la quale rappresenta alla madre Giocasta, quanto l’esilio di un reale sia una condizione di nullità e disagio.

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Giocasta e Polinice, ph. Loredana Semantica

Tiresia, l’indovino cieco, è interpretato con originale vena bisbetica, comica e patetica nello stesso tempo, da Alarico Salaroli. E’ Tiresia che indica come unica via per salvare Tebe dalla minaccia della guerra incombente il sacrificio di Meneceo (Matteo Francomano) figlio di Creonte. Ottimo anche Creonte, interpretato da Michele Di Mauro. Proprio Creonte è l’artefice dell’unico momento di pathos in scena, quando egli manifesta il suo inconsolabile dolore alla scoperta che suo figlio Meneceo si è suicidato, sacrificandosi per salvare la città, realizzando il vaticinio di Tiresia.

Ed in questa ultima considerazione si evidenzia il limite di questa tragedia, costruita da Euripide, senza un’autentica consapevolezza o autentica volontà di muovere lo spettatore a partecipazione. Sin dall’introduzione di un coro formato da terze parti, le donne Fenicie, che osservano e commentano, più con lucidità che con emozione.

A dire del coro in particolare, tranne la vergine in assurdi occhiali dalla montatura di celluloide scura e la pianista che ben accorda note gravi a tutto l’insieme, tutte le donne fenicie hanno il volto coperto da un mascherone di gomma. Scelta che impressiona ma non compensa il limite della staticità del coro. Essendo questo gruppo a dare il nome alla tragedia, forse un maggiore dinamismo, un’esaltazione delle battute, renderlo maggiormente spettacolare avrebbe giovato all’intera rappresentazione.  La tragedia infatti soffre per l’assenza di un protagonista che spicchi e catturi l’attenzione dell’ascoltatore, lo conquisti alla sua sofferenza ed alle sue ragioni. Giocasta avrebbe potuto raggiungere questo vertice, sol che Euripide avesse voluto mettere in scena il tragico momento in cui lei si dà la morte per non sopravvivere ai suoi figli. Euripide invece sceglie per finale la sobrietà di una condanna per Edipo, in lutto per la morte di madre e sposa al tempo stesso e dei suoi due figli, messo all’esilio da Creonte, convinto che egli sia l’origine della rovina di Tebe. La scena finale è di Edipo che, accompagnato da Antigone se ne va verso lo sfondo e sparisce.

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Edipo, ph. Loredana Semantica

Anche quest’anno, come ormai avviene da tempo, sono stati introdotti nei costumi della tragedia elementi estemporanei e stranianti: come le divise moderne dei soldati, i berretti con le visiere, gli elmetti e i bottoni dorati, gli occhiali assolutamente incoerenti della vergine tra le donne fenicie, la mise in giallo limone di Antigone  che rammenta lo stile teenager anni 50 da film Grease, ben poco in linea col coraggio, ribellione e disperazione che fanno brillare questa figlia di Edipo. L’araldo, Massimo Cagnina, ha l’ingrato compito di snocciolare la serie di morti che funestano la tragedia, riesce a farlo trasformando il momento tragico, in un inserto tragicomico, dove il refrain “Me dispiace” e l’inflessione meridionale spadroneggiano. La palma res della ieraticità, pur nella pronuncia evidentemente straniera, va a Edipo – Yamanuchi Hal, perfettamente nei panni di un re cieco, nobile e sconfitto dal fato.

In sintesi cosa potremmo dire di questa tragedia? Bravi tutti tranne Euripide.

La regia è di Valerio Binasco.

Tutte le informazioni qui. http://www.indafondazione.org/it/

Loredana Semantica

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