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LIMINA MUNDI

~ Per l'alto mare aperto

LIMINA MUNDI

Archivi autore: Loredana Semantica

Intervista a un giovane poeta. Raffaella Rossi, “Epidermide rara”, Eretica Edizioni

31 mercoledì Mag 2023

Posted by Loredana Semantica in Interviste, POESIA

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Epidermide rara, Eretica Edizioni, intervista, Raffaella Rossi

Un’intervista per conoscere un giovane autore, il contenuto dell’opera e il processo col quale essa è giunta alla pubblicazione.

La redazione ringrazia Raffaella Rossi, per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: Epidermide rara, Eretica Edizioni, 2023

  • Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai con i luoghi dove sei nato o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

Ho sempre amato scrivere, da quando ero una bambina, forse non capivo ancora cosa stessi facendo, adesso mi è più chiaro. Credo che questa mia passione sia nata proprio per essere un’osservatrice attenta della realtà circostante: per realtà intendo non solo il contesto naturale, anche quello sociale. La poesia per me è un modo di comunicare, è sicuramente un talento e se mi è stato donato, è importante condividerlo. I miei luoghi sono già poesia, adoro la nebbia in inverno che svela le colline con i piccoli germogli di uva quando anticipano la primavera, mi perdo nei paesaggi collinari della mia terra, nelle albe, gli ulivi mi parlano, i fiori mi parlano, c’è un contatto tra me e l’assoluto proprio quando entro in sintonia con i miei luoghi: io vivo in provincia di Avellino, a 480 m s.l.m., immaginate i profumi dei boschi in autunno, il grano in estate, sono contemplativa, cambierei i miei luoghi solo con la Sicilia orientale, mi piacerebbe vivere in Sicilia per tanti motivi, alle pendici dell’Etna con lo sguardo puntato verso il mare e gli odori degli agrumi nella testa. La componente autobiografica -proprio come i luoghi in cui vivo- è parte integrante della mia poesia, forse se non avessi vissuto la mia vita non sarei diventata autrice. Tra la mia vita, i miei luoghi e la poesia c’è un processo osmotico, come affermo sempre “la mia poesia sono io”, quindi ci sono dentro, tutta quanta. Scrivere è un modo per rendere infinite le cose che finiscono, per dare quel tocco di eterno alle esperienze della vita, belle o brutte che siano, a volte mi sento meglio scrivendo, quando si mette l’anima a nudo cambiano tante cose. Mi piace scrivere in modo diretto proprio per questo motivo, non amo girare intorno alle situazioni, se qualcosa fa male voglio dirlo, se qualcosa mi fa bene voglio scriverlo, non so per quale motivo, forse si nasce così, poeti, come chi nasce cantante o cuoco, insegnante, dottore o altro. Poi c’è da dire che ho studiato archeologia, le tracce sono importanti per ricostruire la storia, la poesia è fatta da tante fonti, il poeta è l’archeologo dell’anima.

  • Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la vita e l’arte?

Quando ero una ragazzina accompagnavo mia madre al mercato, girare tra i mercati mi annoiava molto sono sincera, allora passavo il tempo davanti a quelle bancarelle che vendevano i libri usati, all’epoca con mille lire potevi comprare bei libri. Anche oggi esistono ancora, con due euro riesci a trovare qualcosa di veramente interessante. Ricordo il primo poeta e scrittore al quale mi sono affezionata tanto è stato Cesare Pavese, avevo comprato da una bancarella il libro “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, lo trovai così spassionatamente vero. Non riconobbi Pavese neorealista che mi avevano insegnato alle scuole superiori, ma un poeta così solo, con l’animo messo a nudo che riusciva a comunicarmi il suo dolore attraverso le pagine di un libro. Ho letto tutti i poeti noti, devo dire che anche Giuseppe Ungaretti mi ha formata molto; sempre in quelle bancarelle comprai la sua raccolta e mi appassionai al poeta non “della guerra”,  ma alla raccolta “Dialogo”, piena di luce, di passione e di speranza. Ho apprezzato tanto Rainer Maria Rilke, ho letto tante cose che mi hanno sempre incuriosita e spinta a provare. Devo citare Alda Merini, non solo per la sua poetica alla quale sono molto legata, ma per il suo modo di parlarci, di sentirla così donna, così vera, perciò mi piace leggerla sempre. Della Cavalli, invece, mi  è piaciuta la schiettezza. Attualmente mi coinvolgono molto i poeti dei giorni nostri, ho molta stima per Beatrice Zerbini, la sento molto vicina anche dal punto di vista umano, credo che l’umiltà sia alla base della poesia, dove c’è umiltà riesco a percepire tanta vita. Non cito tutti i nomi ma adoro leggere le poesie che non conosco, mi piace migliorare, siamo in continuo divenire e la poesia ce lo insegna.

  • Ci parli della tua pubblicazione? Ricordi quando e in che modo è nata l’idea di scrivere questo libro e il soggetto? Quanto tempo hai impiegato a scriverlo?

Ho deciso di pubblicare le ultime poesie perché hanno tutte una matrice comune. La produzione era abbastanza vasta, ho scelto quelle più dirette che parlano dell’amore, come spiego nell’introduzione si parla dell’amore che io definisco vero, quello che si sente a pelle, quindi, Epidermide rara è un titolo polisemantico.  Non entro in campi che non mi competono,  ma la pelle se trova l’altra pelle vera riesce a sentirne tutte le vibrazioni. Impiego poco tempo per scrivere una poesia, dietro però c’è un lavoro molto complesso, a volte alcune poesie mi fanno piangere peggio di un parto.

  • Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Mi piacerebbe dire di sì, “certo che sì le mie poesie non cambieranno il mondo” scrisse Patrizia Cavalli. Ovviamente è un modo per dire che la poesia non risolve i problemi e i conflitti, però dona al lettore un momento di silenzio e condivisione.  A parte l’utilità, credo che ogni poeta abbia un proprio stile personale, nessuno è uguale all’altro, anche io ho un modo personale di scrivere e può essere approfondito da chi si interessa della poesia, come a me piace interessarmi agli altri poeti e all’arte in generale. Può essere necessario per chi ha voglia di capire che siamo un po’ tutti nella stessa barca, c’è chi riesce ad esprimerlo attraverso più sensibilità e chi invece resta inerte.

  • Nel processo che ti ha portato a pubblicare ti sei avvalso dell’attività professionale di un editor oppure di un’agenzia letteraria? Hai frequentato una scuola di scrittura? Più in generale quali ambiti o ambienti del mondo letterario senti che ti appartengono e/o ti sono stati d’aiuto?

No, non ho contattato nessuno, tra me e la poesia c’è un rapporto intenso e di solitudine, del resto come nella vita, mi tocca fare tutto da sola, un po’ sono abituata. In futuro lo farò (forse). Ritengo importanti le riviste di poesia e di letteratura, in Italia c’è un buon lavoro, sono tutti molto appassionati, perché accostarsi al mondo della poesia significa essere un appassionato in generale, per natura.

  • Come hai trovato un editore?

Ho scritto agli editori di poesia, mi hanno accolta bene. Ho pubblicato con Eretica di Giordano Criscuolo perché sono in sintonia con il suo modo di pensare. Lui ha sempre espresso che non si scrive per vendere ma solo per emozionare, i versi tendono all’infinito. Quando ci siamo salutati prima che il libro uscisse, ci siamo detti grazie, “grazie per le emozioni che tu ci hai regalato” mi ha risposto Giordano. Credo sia una bella cosa.

  • La copertina e il titolo. Chi, come, quando e perché?

La copertina fa parte del progetto editoriale della casa editrice Eretica, la collana “Quaderni di poesia” ha la copertina rossa. Il titolo “Epidermide rara”, come ho espresso prima è polisemico, introduce il lettore verso la rarità dell’amore che si tocca a pelle e la rarità in generale. Sulla prima di copertina c’è questa poesia “Siamo noi/quei fiori bagnati /in mezzo a un campo di belve. /Non chiudermi la porta: /il vento asciuga l’acqua /e allarga le ali. Un po’ difficile, comprendo, ma i fiori bagnati resistono di più alle “belve”, almeno credo sia così.

  •  A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

Domanda difficile: a chi vuole sognare un po’? A chi ha cuore, non lo so davvero,  lo vedo poco indicato per i giovanissimi, però in privato mi scrivono che apprezzano.

  • In che modo e in quali luoghi stai promuovendo il tuo libro?

Ho un modo di promozione tutto personale, io regalo i miei libri, se avessi la possibilità, spedirei libri in tutto il mondo. Uso molto i social, se usati bene, possono nascere scambi culturali interessanti, infatti sto conoscendo tante persone interessate. Sto partecipando ai premi di poesia edita e per l’estate spero di partire con progetti di diffusione più concreti. Ci vuole molto tempo e spesso manca. Ultimamente realizzo piccoli video quotidiani con la mia faccia, non perché provo piacere nel farmi vedere, ma il contatto visivo è molto importante.

  •  Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legato e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa)

Sono legata a più di una poesia, a una in particolare che forse è tutta l’essenza del libro, non cito il titolo perché per scelta le mie poesie sono senza titolo (non voglio vincolare e confinare le parole). Ho scritto dei versi che leggo spesso, quasi per un’esigenza vitale, c’è una poesia che parla della luce quando passa tra gli alberi proprio come fa l’amore quando apre un cuore e poi, c’è la parte finale della  poesia essenza: ” (…)Io conosco gli inferni /e conosco il paradiso /conosco gli abissi/ e conosco i cieli/ ma sono capace di amarti/ e ti amo/ qui e adesso/ nel posto /dove si contano i respiri.” Al “posto dove si contano i respiri” ho dedicato il mio libro, è il respiro che fa l’amore, che fa la vita, i miei respiri li ho contati tutti, uno per uno, quando mi sono mancati. La sincerità di una persona verso l’amore sta proprio nel fatto che puoi aver visto il paradiso, puoi aver visto l’inferno, ma quando ami conta solo l’adesso, non esiste più niente. Esiste il respiro, il momento indimenticabile. 

  •  Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

Mi piacerebbe che le persone leggessero di più, non solo le mie poesie e i miei libri, entrare nel mondo di un poeta non è difficile, c’è bisogno di empatia, questo mi aspetto, che un lettore non sfogli le pagine solo per sfogliarle o accontentarmi, ma che nella poesia riesca a trovare anche se stesso. Io leggo gli altri perché mi danno delle emozioni, mi fanno capire che tutto sommato non siamo così soli, questo vorrei anche per me.

NOTA BIOBIBLIOGRAFICA

Raffaella Rossi è nata ad Avellino nel 1983 e vive in un piccolo paese di provincia, dove svolge la professione di insegnante. Laureata in Archeologia presso l’Università degli Studi di Salerno, dal 2007 si occupa di poesia visiva, ponendo l’attenzione su forme di comunicazioni verbali, accompagnate da forme visive. Il messaggio poetico è sviluppato facendo convergere al segno grafico altri tipi di segni, mettendo l’accento proprio sulla semanticità di questi ultimi.

Ha pubblicato una silloge di poesie dal titolo “Stagioni e Riti” nel 2011. Nel 2023 ha pubblicato la raccolta poetica ”Epidermide Rara” con Eretica Edizioni. L’autrice ha ricevuto l’attenzione da parte di alcuni blog di poesie già con le sue prime poesie su un sito personale, ottenendo una prima traduzione in lingua spagnola per conto di “Laboratori Poesia”. Le sue poesie e recensioni poetiche per altri autori, sono fruibili on line e in una serie di antologie poetiche pubblicate dalle case editrice che hanno ritenuto meritevole la sua poesia ai concorsi. Per l’autrice, la poesia è la parola dell’anima, è un mezzo di comunicazione importante e salvifico, con funzioni anche demiurgiche. La poesia è un dono d’amore per se stessi e gli altri.

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“Salone del libro? Ni… grazie!” di Aldo Viano

30 martedì Mag 2023

Posted by Loredana Semantica in Cronache della vita, CULTURA E SOCIETA', Segnalazioni ed eventi

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Aldo Viano, Salone del libro di Torino

ph. Loredana Semantica

C’ero già andato l’anno scorso. Un nuovo editore aveva appena pubblicato il mio secondo romanzo e mi aveva invitato a Torino. Il mio volumetto faceva bella mostra di sé sul suo banchetto.

Nonostante non fossi più un giovincello (e oggi sono ancora più vecchio), mi feci prendere dall’entusiasmo “dell’autore presentato al Salone del libro”.

«Che cosa devo fare?» chiesi.

«Niente di speciale, ti metti qui davanti, con il tuo libro in mano, e se qualcuno si ferma tu gliene parli e cerchi di venderglielo».

È così per tutti, per tutti gli editori e per tutti gli autori, anche per i più famosi, cambia solo la “lochescion”: i più sfigati in piedi davanti agli stand a fare i piazzisti di pentole di carta, i più commerciabili in una saletta con tanto di microfono e compiacente relatore che li imbocca.Sarà che non sono mai stato portato per il marketing, ma mi sentivo uno scemo. Tra i “do solo un’occhiata” e i “grazie, ma ho già mangiato” (risposta veridica, lo giuro), mi chiedevo che cosa stessi facendo lì.

Quest’anno ci sono andato con minore entusiasmo. Non posso parlare male del mio editore, anzi, dei miei. Sono brave e oneste persone che fanno del bricolage più o meno avanzato, cioè fanno ciò che possono con quello che hanno. Entrambi mi hanno fatto un’intervista pubblicata sui social, il luogo virtuale che rende sempre meno socievoli i lettori e i frequentatori del salone (non sempre coincidono).

È un posto enorme, ben organizzato e altrettanto dispersivo. Entropico è forse l’aggettivo che meglio lo definisce. Tradotto in volgare: un casino innominabile. Coorti di ectoplasmi vagano senza meta tra i padiglioni, lo sguardo vuoto e la borsa piena di libri comprati seguendo le molteplici pubblicità stile “what else?” o grazie alla capacità di persuasione della sirena di turno, leggi l’abilità del “collaboratore” della casa editrice pagato poche centinaia di euro al mese, o con partita IVA incentivato dalla percentuale sulle vendite effettuate.

Un bailamme senza senso, un parossistico bazar dove trovi anche un catafalco del Ministero della Difesa (mi chiedo se difendano la “cultura” e soprattutto da chi), un altro della Rai da dove pontificano giornalai con il titolo di giornalisti, chioschi di rappresentanza delle Regioni, che con la scusa di un opuscolo pubblicitario promuovono attività commerciali e turismo (cioè lo spostamento di persone che starebbero meglio a casa loro in posti che sarebbero migliori senza di loro), un’esposizione di aspirapolvere Fo**etto (visto con i miei occhi) forse per spolverare i vecchi volumi, venditori di street food dagli olezzi pestilenziali e dai prezzi da oreficeria, insomma, un mercato mediorientale dove il principale movente dei “clienti” (attribuire loro l’appellativo di lettori è una scommessa) è quello di dire “io c’ero”.

Durante una pausa, all’esterno dei casermoni adibiti a esposizione faccio due parole con un omone dall’aspetto dimesso. Scopro che è un editore, o meglio uno che stampa manoscritti esenti da diritti d’autore, e che ha uno stand enorme proprio di fronte a quello del mio editore. “Nella giornata della memoria, con il Diario di Anna Frank tiro su 20-30.000 Euro”, mi dice orgoglioso.

Mi chiede in che veste partecipi al salone. Quando gli dico che sono un autore e che ho venduto più di un centinaio di copie si esalta e mi copre di complimenti. Secondo lui (prendo con le pinze le sue affermazioni) ciascuno dei circa 80.000 nuovi manoscritti pubblicati ogni anno vende più o meno 100 copie. Il resto va al macero. La maggior parte degli editori (lui non si definisce tale) sopravvive grazie alla rete di contatti di ogni autore, il quale, se vende una cinquantina di esemplari grazie alle sue presentazioni e firma-copie, gli garantisce la copertura delle spese. Poi ci sono i contributi all’editoria: statali, regionali, europei e via discorrendo. I distributori, soprattutto il più grande, sono delle associazioni a delinquere (ipse dixit).

Alla fine della conversazione, ne esco con la conferma di ciò che sospettavo: i toni trionfalistici, che ogni anno seguono la chiusura della kermesse torinese, lodando il successo di pubblico, il rinnovato interesse per la cultura, la sensibilità delle amministrazioni pubbliche, l’abnegazione degli organizzatori, l’entusiasmo degli editori e via discorrendo, lasceranno il posto non molto tempo dopo ai soliti piagnistei sul fatto che in Italia non si legge, sulla crisi dell’editoria, sull’analfabetismo di ritorno (da dove?) e sulla necessità di nuovi e più cospicui aiuti pubblici a un settore cardine della cultura nazionale.

Ritorno al banchetto del mio editore dove i miei omologhi autori si sfidano in una tenzone di selfie da postare sulle loro pagine social. Sono molto diverso da loro? Ognuno crede d’avere qualcosa d’imprescindibile da dire al mondo, un messaggio in bottiglia.Sono sommerso da un vociare incontenibile, una folla di miei simili che riversa parole in questo capannone annegato in un oceano di parole scritte. Milioni, miliardi di parole, Utili? Inutili?

La cifra essenziale di questo “Salone” è quella commerciale. Significa avere performance misurabili in termini di successo. Nudi, freddi numeri capaci di certificare che il “cliente” (lettore e/o autore) è divenuto performante, perfetto ingranaggio di una oliata macchina dove la divergenza, il senso critico sono considerati con fastidio un inceppo da aggiustare. Perché la vita è una darwiniana competizione in cui solo il più “competente” vince. E gli altri devono percepire il peso dello smacco, del fallimento, divenendo “scarti”. Conta solo vincere a qualunque costo, anche con la slealtà.

I miei libri sono una camola in un silos di milioni di metri cubi di farina.

«Allora perché ci vai al salone?»

Perché come tutti gli umani non sono esente dal demone della vanità. Perché anche a me piacerebbe vendere centinaia di migliaia di copie come i VIP che denigrano Dante, Manzoni, Dostoevskij o Verga e che, en passant, invitano i “clienti” a comprare i loro manoscritti.

Però, io non lo farei, se non altro per buona educazione, un vezzo riservato ai “boomers”.

Vado al salone perché, come diceva Dominique Angel, «Je passe mon temps à me libérer de ce que la nécessité m’oblige à mettre en place pour survivre».

Poi, secondo la legge dei grandi numeri, ti capita qualcuno davanti, uno sconosciuto che ha comprato su Ama*on il tuo libro, che l’ha letto, e te lo conferma citando questo o quel passaggio che gli è piaciuto, che gli ha lasciato qualcosa. E ti chiede la dedica, la medaglietta che lui pensa d’aver meritato attraverso la sua lettura.

E tu, non gliela fai la dedica? Sì, il Salone è proprio una fiera: delle vanità.

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Intervista a Emilio Capaccio. Cuentos Olvidados

23 martedì Mag 2023

Posted by Loredana Semantica in Capo Horn - Tijuana. Cuentos Olvidados, Interviste, LETTERATURA E POESIA, TRADUZIONI

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Capo Horn - Tijuana. Cuentos Olvidados, Emilio Capaccio, intervista, TRADUZIONI

E’ terminata il 5 maggio scorso Capo Horn – Tijuana. Cuentos Olvidados, il progetto curato da Emilio Capaccio su questo sito nella categoria TRADUZIONI. L’ articolata iniziativa, inziata il 7 aprile dell’anno scorso ha accompagnato i lettori di Limina mundi per oltre un anno, suscitando interesse, abbiamo pensato quindi di rivolgere alcune domande al Curatore in un’intervista proposta nel sottostante podcast.

la linea rossa traccia il percorso ideale compiuto con i Racconti dimenticati

Qui sotto l’audio dell’intervista. La voce dell’introduzione è di Loredana Semantica, formulano le domande Deborah Mega e Loredana Semantica, risponde Emilio Capaccio. Buon ascolto

I volti dei 21 autori dei racconti dimenticati tradotti da Emilio Capaccio

EMILIO CAPACCIO

Emilio Capaccio è nato il 16 maggio del 1976. Ha vissuto a Campagna, in provincia di Salerno. Vive a Milano. Ha pubblicato in formato e-book: “Malinconico Oscuro”, traduzioni di poeti sudamericani inediti, con prefazione di Giorgio Mancinelli. Ha collaborato con la rivista internazionale di poesia: “Iris News”. Collabora con vari blog di poesia. Sue traduzioni e poesie sono presenti in varie antologie, blog e nella rivista “Il Foglio Clandestino, Aperiodico Ad Apparizione Aleatoria”. Ha pubblicato la raccolta poetica: “Voce del Paesaggio”, edita da Kolibris Edizioni 2016, con prefazione di Massimo Sannelli, e la raccolta poetica: “Canzoniere della Biondezza”, edita da L’Arciere del Dissenso 2019, con prefazione di Emilio Paolo Taormina. Come curatore e traduttore ha pubblicato le raccolte: “Radice”, del poeta spagnolo José Luis Hidalgo, Giuliano Ladolfi Editore 2017, e “Princesse Amande”, della poetessa francese Lucie Delarue-Mardrus, LietoColle 2017. Nel 2023, ha pubblicato per Neobar eBooks Via Lattea, traduzioni in rima della raccolta di sonetti inedita del poeta brasiliano, Olavo Bilac.

A questo link tutti gli articoli pubblicati da Emilio Capaccio su Limina mundi

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“L’amore e tutto il resto” di Andrea Temporelli. Una lettura di Loredana Semantica

17 mercoledì Mag 2023

Posted by Loredana Semantica in CRITICA LETTERARIA, Recensioni

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Andrea Temporelli, L'amore e tutto il resto, Loredana Semantica

C’è analogia tra Andrea Temporelli e – a puro titolo d’ esempio – Cristina Campo, oppure Umberto Saba, Pablo Neruda, Italo Svevo, nel  senso che sono tutti autori che hanno adottato uno pseudonimo.  Gli pseudonimi separano mondi. Di qua il nome, di là gli altri. Da un lato l’essere dall’altro l’invenzione. Si opera la diversificazione, si celebra lo smarrimento,  pulsa la repulsa del limite, mescendo lo scoramento del vivere si varca il transito nell’impossibile. Si travalica la nominazione imposta che opprime e aliena, come un battesimo all’esistenza che incarta e squarta. Nello schermo il  pronunciamento, scevro da condizionamenti, si fa purezza d’inesistenza. L’impresa resta agganciare l’eterno allo scarto, partorire il trapasso, comprendersi fino alle scapole, ai polmoni in un’assurda, mai sazia, impagata ricerca di se stessi. Dentro uno pseudonimo si possono estrarre con l’uncino le ali dalle scapole e volare oltre i mondi. Edificare a parole un monumento d’amore e dolore. Non è poi così difficile per alcuni, nel senso che è simile alla vita. Eminentemente scrivere è un gesto antropico, gli animali non lo fanno, ma non è un gesto naturale, eppure per qualcuno scrivere è un atto di estrema naturalezza. Libera e conduce slancio e impulso,  come guidare una vettura nelle strade deserte senza che gli altri siano d’intralcio: passanti, veicoli, conducenti. Il dolore invece è diverso, spina o croce, è all’opposto gravoso, difficile da reggere, impregna l’essere, lo attraversa e viverlo il dolore dà alla scrittura una consistenza e una compostezza che flette le arterie, le irrora allo spasimo.

I poeti in definitiva non scrivono che d’amore, di dolore e di morte. I poeti degni di questo nome. Se un poeta non scrive di questi temi ha scritto sul ghiaccio.

La silloge di Temporelli edita da interlinea, s’intitola L’amore e tutto il resto, il titolo è sintomatico di un’ordine. Messo l’amore al primo posto cosa resta? Echeggia un anelito dickinsoniano

I argue thee
That love is life –
And life hath Immortality –

Io ti dimostro
che l’amore è vita
e la vita ha l’immortalità

Oppure come non ricordare l’ancor più famoso distico

That Love is all there is,
Is all we know of Love

Che l’amore è tutto
È tutto ciò che sappiamo dell’amore
.

Persino la morte svanisce a confronto dell’amore. Temuta, sfuggita, implacabile, irrimediabile, invocata nell’agonia per sollievo di sofferenza, la morte, nella lettura di Temporelli, è un “resto” insieme a tutto quanto d’altro c’è. L’amore domina su tutto. O meglio tutto si muove per amore, anche ciò che apparentemente non collega. Esso solo resta, ci sostiene, sopravvive. Quello ricevuto, quello donato, la sua memoria, è come un sigillo sull’anima, la forgia e la modella nella forma che essa ha nel momento in cui la eplichiamo sul foglio, tutta la memoria della nostra storia soccorre a tentare il travaso.

Alcuni dicono che si scriva dopo tante e tante letture, invece dopo tante e tante letture non scrivi, hai sulle spalle un tale peso che sprofondi, si scrive perché devi. E se devi lo fai anche prima di tante e tante letture, lo fai anche dopo, ma dopo i dubbi sono talmente tanti che dell’atto avverti tutta la responsabilità. Ti rendi conto che è un azzardo, che rischi il peccato di presunzione. Cosa puoi dire oltre ciò che è stato detto più e meglio da altri?  Questa consapevolezza, se iniziale, può darsi che paralizzi o inaridisca. Invece quando “devi” non ti fai domande e non hai risposte, continui nel flusso che trascina oltre i dubbi, in una sorta di chiamata necessaria, nostalgica, disperata. A volte filo di voce finissimo altre strido, pianto, volo bianco.

L’amore e tutto il resto è un libretto formato 10 x 15 per centotrenta pagine circa, copertina in carta goffrata color avorio. Il sommario ci informa che il libro si compone di nove sezioni indicate coi numeri romani, ognuna contiene da 5 a 10 poesie, eccetto le sezioni IV e IX, la prima costituita dal poemetto “Terramadre”, l’altra da “Postilla per l’alieno”, da ascoltare qui.

Ciò che trovo impressionante da sempre della scrittura poetica è come essa “ci” scrive, come coliamo filati parola per parola nello stampo della poesia, vi alberghiamo nudi,  per come siamo, spellati sulla pagina, buccia dopo buccia, incolliamo sul foglio le squame, le penne, le piume, ci spogliamo, lettera dopo lettera, verbo dopo verbo e in questo trapasso, evochiamo studi, memorie, attiviamo il nostro “genio”  per vestire il dire di senso, per sostanziare quel denudarsi, in tutta la nostra dolcezza, sdegno, asprezza, razionalità, nel ventaglio amplissimo degli “stati” del nostro essere qui ora e vivi.  Per trasferire al lettore uno scritto che sia denso di pensiero, corpo e non vacuità. Questo processo avviene chiaramente anche nella scrittura di Temporelli. Del resto è autore e critico di ampia esperienza, oltre che specialista della materia letteraria, cioè insegnante.

Il libro ha ricchezza di temi e compiutezza di pensiero. Vi si  legge l’uomo, la storia, le amicizie,  gli avvenimenti, patemi e patologie, la scrittura, l’infanzia, l’insegnamento, la religione, il collegio, gli amici, il calcio, lo studio, la morte e i tortuosi camminamenti riferiti con semplicità perché nodi affrontati e sciolti. Vi si leggono i molti interrogativi, perché, si tratta, lo dice l’autore, di un libro che si sviluppa in un arco temporale ampio di ben 27 anni, che ci sono tutti, si spazia da una A a una Z passando da molte porte, altrettante svolte. Un distillato di tanta vita.

Tutta la raccolta ha un suo tempo metrico percepibile sin dai primi componimenti, brilla in versi di felici illuminazioni, accostamenti originali su un apparecchiamento lessicale piano, scorrevole, appropriato. Il versificare è corredato da segni di interpunzione e talvolta da spaziature e a capo ad arte. E’ presente un sottofondo di sobrietà e vivacità, due fili conduttori dell’opera, per cui mai dire nulla più di quanto è necessario, in omaggio all’esigenza di sfrondare fino all’essenziale, e in secondo luogo non annoiare il lettore. Diversi testi hanno la solennità e l’accoratezza della preghiera. In tutto il libro non è tanto la ricercatezza dei termini che restituisce cultura, ma citazioni e riferimenti. Tra questi spicca l’incipit del commovente omaggio a Simone Cattaneo che riprende il dantesco Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io che diventa Ricky, io vorrei che tu, Davide, Massimo, Flavio, Alessandro ed io. L’amicizia è già tutta nella nominazione del consesso.

Lucenti i testi che raccontano la natura  e le memorie, gli smarrimenti, ve ne sono disseminati, belli e limpidi anche i canti d’amore,  intessuti a volte da tensioni sotterranee, sentori d’abbandoni o separazioni. Di altri testi la lettura è meno trasparente, si chiudono nell’ermetismo, talvolta l’oscurità vorrebbe un ausilio a dipanare il senso, ma forse è solo umana curiostà di intromettersi nel ventre ispiratore, aprire squarci di indiscrezione. Così nel poemetto Terramadre, dove si affronta il tema della morte con sviluppo drammatico – teatrale, racconti esperenziali, com-partecipazioni attoriali, essi concorrono al referto dell’ essenza dell’oscura signora, alla narrazione dell’impatto che l’agonia o l’evento producono e le ramificazioni interiori conseguenti alla perdita. E’ un fatto che giunti ad età avanzata abbiamo la vita costellata da mancanze dolorose, tanto più quanto più traumaticamente e precocemente è avvenuto questo invevitabile incontro e per le tante volte che avviene successivamente. Se ne parla qui con la consapevolezza che permea chi sa e può dirne senza apparire un balbettio d’esercizio letterario. Si direbbe che il poeta ha il piglio di chi fronteggia, non arretra e non cede, resiste, come in un corpo a corpo, in una sfida.

Postilla per l’alieno, che chiude il libro, ha un sentore del viaggio di Ulisse, appello rivolto a profani o a viaggiatori d’altri mondi, un messaggio d’onde radio verso porti astrali. Coniuga l’esotico e la citazione, propone destinazioni, ma non si tratta di luoghi qualunque: la Baia di Halong in Vietnam, il palazzo di Taj Mahal in India, il Cristo Redentore di Rio de Janeiro, la cascate del Diablo nell’Iguazù in Argentina, la Grande Muraglia Cinese e infine la quadriga della Basilica di San Marco a Venezia, sono tutti accomunati dall’essere di una stupefacente bellezza, tant’è che sono inseriti nell’elenco delle sette meraviglie del mondo oppure dichiarati dall’Unesco patrimonio dell’umanità. Temporelli cita poi l’affresco michelangiolesco de “La creazione di Adamo” nella Cappella Sistina, i poemi epici di Omero, gli angeli de “Il cielo sopra Berlino”, ed è nella chiusa che chiarisce come rifiutare tutta questa bellezza significa chiudersi  all’ amore, gesto che darà forse pace, ma svuota.

A cogliere la sostanza di tutta l’opera possiamo dire con Etty Hillesum  “Credo che il senso della vita sia nell’amore, nell’amore per gli altri, nell’amore per la natura, nell’amore per la bellezza, nell’amore per la verità. Credo che l’amore sia la forza più grande che ci sia, la forza che ci fa andare avanti, che ci fa sperare, che ci fa credere che la vita ha un senso.”

Preghiera

Angelo di Dio

                              nell’angolo di gelo

che sei il mio custode

                              e sai chi ci uccide

illumina e custodisci

                              nascondi e ripulisci

reggi e governa me

                              la lama dei perchè

che ti fui affidato

                             e Gesù ha affilato

dalla pietà celeste

                           nel cruore terrestre

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Cuore destro, cuore sinistro. Un racconto di Patrizia Destro

16 martedì Mag 2023

Posted by Loredana Semantica in I nostri racconti

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Cuore destro cuore sinistro, Patrizia Destro, racconto


Opera di Andrey Ramnev

Giovedì, 20 marzo


Alzati e grida al mondo / tutto il tuo dolore / quando la vita ti sta trasformando il cuore / in un’arida macchia di sangue.
Ho scritto una poesia. Non ne avevo mai scritte prima d’ora.

Questa mattina è venuta la psicologa; mi ha dato dei fogli bianchi e mi ha suggerito di scriverci quello che voglio. Stasera verrà a ritirarli. E’ stata gentile, non me l’aspettavo. Quando esco da questo ospedale voglio festeggiare. Mi comprerò una tavoletta di cioccolato, enorme. La mangeremo insieme, i mieiamici e io. Ma come ci sono finita qui dentro? Ho fatto tutto quel che dovevo fare, tutto come in quei libri: “Pensa positivo!” “Se vuoi puoi!” “Sviluppa la tua forza di volontà!”. Io penso sempre positivo, ma proprio sempre! E siccome voglio allora posso.

Mi manca la frutta, qui ne danno troppo poca. La frutta fa bene, bisogna mangiarne tanta. Anche le verdure fanno bene. Invece la carne il pesce le uova fanno male. L’ho detto alla mia amica ma lei mi ha risposto che deve mangiare un po’ di tutto altrimenti poi si sente male. Non mi convince. La frutta fa bene a tutti, è lei che ha le fissazioni e così non ottiene ciò che vuole dalla vita! Io per esempio mangio tre grosse mele una via l’altra, e arance e kiwi e uva e mi sento piena di energia! Durante la giornata ricevo molti doni, molte persone piene di luce mi si avvicinano e mi fanno tanto bene. Le medicine invece fanno male, tutte quante. Il movimento fa benissimo, lo dicono sempre, i medici. Io corro al parco prima di iniziare il lavoro, perché poi mi tocca stare seduta per molte ore al giorno e certe volte anche di notte, quando non riesco a dormire mi metto in macchina e guido, guido fino al mattino, poi quando torno a casa vado in palestra, per farmi i muscoli. Nadia mi ha massaggiato, tempo fa. Mi sono sentita come rinascere! Gliel’ho detto alla mia amica. Lei mi ha sorriso e ha detto che è contenta di avermi aiutato. La depurazione poi è molto importate. Pulizia e depurazione… tre docce al giorno.

Ho chiesto a Nadia di accompagnarmi in quel centro, ti ripuliscono tutto l’intestino. Ma lei si è rifiutata, ha detto che sono già fin troppo pulita di dentro e di fuori. Non ci credo… ho dentro questo sangue morto che mi fa impazzire di dolore. Pulire il sangue pulire il cuore da tutti i pensieri, così bisogna fare! Le ho detto “non sei una vera amica”. Lei mi ha risposto che è vero, che non è di quelle amiche che ti seguono in ogni follia. Ma questa non è follia, è benessere! Io di lei però mi fido molto, mi fido del suo giudizio. Gli altri mi danno sempre ragione, lei a volte mi dà ragione e a volte no. Un giorno Nadia mi ha detto, sorridendo: “Tu sei doppia perché il tuo segno zodiacale è doppio”. Ho ricambiato il sorriso, anche se non ho capito la battuta. Io sono del segno della Bilancia, due piatti, due lati in equilibrio, in perfetta armonia. Credo che abbia voluto dirmi una cosa carina, lei mi vuole bene…


Venerdì, 21 marzo.


“Alzati e grida al mondo / tutto il tuo disprezzo / quando la vita ti ha sputato in faccia / una volta di troppo”. Ho scritto una poesia. Non ne avevo mai scritte prima d’ora, non sono tipo da poesie, io.

Stamattina è venuta la psicologa; mi ha portato alcuni fogli bianchi e mi ha suggerito di scriverci sopra quello che voglio. Stasera verrà a ritirarli (se non deciderò di farne pezzettini, naturalmente, ma questo non gliel’ho detto. Non mi piace che qualcuno si impicci dei fatti miei). Quando esco da questo maledetto ospedale voglio festeggiare. Mi farò portare a casa un Bigbang ai quattro formaggi e una montagna di patatine fritte. E una scura media. No, è meglio di no, voglio essere pronta per tornare al lavoro al più presto. Non posso guidare se bevo alcolici. Sto in macchina tutto il giorno e certe volte anche di notte, quando non riesco a dormire. Ma come ci sono finita qui dentro? Ho fatto tutto quel che dovevo fare, tutto come in quei libri: “Pensa positivo!” “Se vuoi puoi!” “Sviluppa la tua forza di volontà!” E io sono positiva, voglio e quindi posso, ho una volontà di ferro! Solo che, da qualche tempo, mi sento stanca, stanchissima. Mi sento come se il sangue non fluisse bene. Un giorno Nadia mi ha fatto un massaggio; odio essere toccata, ma per lei ho fatto un’eccezione. Lei è mia amica, mi vuole bene. E’ stato come se questo sangue rallentato, questo sangue morto avesse ripreso vitalità, energia.

Quando mangio il mio hamburger preferito c’è sempre qualcuno che mi consiglia di mangiare frutta e verdura, perché fanno bene. Tutte balle! Io scoppio di salute, i miei esami ematologici sono perfetti! Come suona bene, e-ma-to-logici! Io sono una persona logica, mi attengo ai fatti. Sono la dimostrazione vivente che frutta e verdura sono sopravvalutate. Spesso mi dicono che ho una bella pelle, e bei capelli e unghie perfette. Non possono essere tutti bugiardi, no? Eppoi uno specchio ce l’ho anch’io, mi guardo e vedo che sono in ottima forma, anche se ultimamente ho perso alcuni chili. Un giorno Nadia mi ha detto: “Tu sei doppia perché il tuo segno zodiacale è doppio”. Me lo ha detto sorridendo, quindi suppongo che intendesse fare una battuta, una battuta che non ho capito. Per dirla tutta, mi pare un’emerita scemenza. Le ho fatto un mezzo sorriso anch’io. Sono del segno della Bilancia, due piatti, due lati speculari in equilibrio dinamico, perfettamente armonizzati…


Sabato, 22 marzo

  • Buongiorno, cara, è l’ora della pastiglia. Occristo santo! Gianni vieni qui, presto!!!
  • Saturazione 90 e… 90! Subito in rianimazione! Metti la maschera a tutte e due. Sembrano
    attaccate cuore a cuore, come se una fosse uscita dall’altra!
  • E’ in cura da noi già da due anni e non sapevamo che avesse una sorella. Gemella, poi!
    Stavano abbracciate strettissime, non le abbiamo forzate per non fargli del male. Poi, a un certo
    punto, si sono staccate da sole.
  • Come avrà fatto a introdursi qui di notte?
  • Secondo me è entrata di giorno. Si è nascosta e poi ha raggiunto Lia appena si è fatto buio.
  • E ora dov’è?
  • Non si sa. E’ sparita poco dopo il distacco, praticamente volatilizzata.

Patrizia Destro

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Foto di mia madre. Una poesia di Giorgia Stecher

14 domenica Mag 2023

Posted by Loredana Semantica in LETTERATURA E POESIA, Poesie

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Foto di mia Madre, Giorgia Steicher, POESIA

Una poesia di Giorgia Stecher

foto dal web

Foto di mia Madre

Nella foto con sulla testa
un secchio capovolto (che moda
fu mai quella dei tuoi tempi!)
hai scritto: Qui sono scappata dal serraglio.
Ma intorno non si sospettano leoni
né tracce d’altre fiere. Da un’altra
gabbia invece poi fuggisti e fu
una gara tra galline e galli
per gridare allo scandalo inaudito.
La tua incuranza fu la loro pena
perché non c’è di peggio per i polli
che di veder fuggire un prigioniero.

Giorgia Stecher, poetessa siciliana, nata a Messina il 14 luglio 1929, deceduta a Messina il 24 aprile 1996.

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Tre poesie di Nina Cassian. Illustrazioni di Loredana Semantica

10 mercoledì Mag 2023

Posted by Loredana Semantica in ARTI VISIVE, Poesie

≈ 1 Commento

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illustrazioni, Loredana Semantica, Nina Cassian, Poesie

Tre poesie di Nina Cassian . Illustrazioni di Loredana Semantica, (tecnica digitale, pennino su schermo).

Preghiera

Se esisti per davvero – fatti avanti,
sii nuvola, caprone, aviatore,
porta con te occhi, bocca, voce,
– chiedimi qualcosa, lascia che mi sacrifichi,
prendimi tra le braccia, proteggimi,
nutrimi con la settima parte di un pesce,
fammi un fischio, dissodami le dita,
ricolmami di aromi, di stupore,
– resuscitami.

La tentazione

Più vivo di così non sarai mai, te lo prometto.
Per la prima volta vedrai i pori schiudersi
come musi di pesce e potrai ascoltare
il mormorio del sangue nelle gallerie
e sentire la luce scivolarti sulle cornee
come lo strascico di un abito; per la prima volta
avvertirai la gravità pungerti
come una spina nel calcagno
e per l’imperativo delle ali avrai male alle scapole.
Ti prometto di renderti talmente vivo che
la polvere ti assorderà cadendo sopra i mobili,
che le sopracciglie diventeranno due ferite fresche
e ti parrà che i tuoi ricordi inizino
con la creazione del mondo.

Ermetica

Se ci fosse un luogo dove conficcare un altro grido
quale potrebbe essere, la roccia o il mare

o l’occhio dell’uccello della notte, fisso e tondo, duro come la pietra,
giallo come la luna?

Ah, tutto è impenetrabile.
E il grido viene fuori dalla bocca

pendulo come la lingua dell’impiccato.

Nina Cassian, poetessa, scrittrice, traduttrice rumena, nata in Romania, a Galati, il 27 novembre 1924, morta a New York il 15 aprile 2014

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Più voci per un poeta: Rocco Scotellaro. Nel centenario della nascita

03 mercoledì Mag 2023

Posted by Loredana Semantica in ARTI VISIVE, CRITICA LETTERARIA, Più voci per un poeta

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illustrazioni, Loredana Semantica, Poesie, Rocco Scotellaro

Rocco Scotellaro è nato il 19 aprile di cento anni fa, a questo link la sua storia .

Rosso di capelli e bello (ce lo dice poeticamente la stessa Amelia Rosselli Bello eri ma troppo fino e troppo caro “Cantilena”, 1953) il giovane Rocco, politico e poeta, morto dopo solo trent’anni di vita, ha lasciato tra i suoi la sensazione di un’opera incompiuta e la testimonianza una forza d’animo straordinaria. Questi elementi combinati tra loro hanno fatto di Rocco un mito per alcuni, per altri Rocco Scotellaro è un dimenticato, vittima della stessa indifferenza che affonda nel mare della disattenzione la poesia del Sud. Certamente è alquanto inevitabile sulla misura dell’apprezzamento dell’opera e dell’operato dell’autore il condizionamento della scelta di campo ideologica del lettore.

Scotellaro operò politicamente con azioni e iniziative favore della classe contadina, animato da idee democratiche volte al miglioramento economico, sociale, assistenziale e culturale della gente di Lucania. Egli tuttavia non si impegnò solo sul fronte politico, ma fu anche giovanissimo poeta, iniziò a scrivere nel 1940, poco più che adolescente. La sua prima poesia “Lucania” descrittiva della natura, riporta la ricercatezza verbale dello zirlio dei grilli, si chiude con la nota maliconica riferita al paesetto lucano che nell’ombra delle nubi sperduto, giace in frantumi. Non dimentichiamo che per proseguire gli studi Rocco dovette abbandonare il paese d’origine Tricarico per trasferirsi a Sicignano degli Aburni a studiare al Collegio dei Padri Cappuccini, questa sua prima poesia esprime la compassione per il disfacimento del paese e il senso di sradicamento dalla propria terra alla quale egli rimase legato per tutta la vita.

Gli anni del liceo classico e l’avvio degli studi in giurisprudenza furono determinanti per la formazione della sue idee e l’emersione della passione sindacale e politica. La sensibilità alle problematiche della società contadina e più in generale per le condizioni degli umili, sfruttati e oppressi, furono all’origine un portato educativo dei genitori, entrambi erano artigiani, l’uno calzolaio, l’altra sarta. La madre però sapeva scrivere e si prestava a fare da scrivano anche agli abitanti del paese. ll padre era una figura di riferimento e di saggezza che sensibilizzò Rocco sullo stato di miseria e sfruttamento in cui vivevano i braccianti del Sud. Rocco era in sostanza un figlio della cultura contadina della sua terra, nato da essa e quindi promanante dall’interno, la conosceva e ne aveva a cuore le problematiche. Una volta giunta a compimento la sua maturazione ideologica, dopo l’incontro con Carlo Levi e Manlio Rossi Doria, l’iscrizione a partito socialista e l’attivismo sindacale, egli maturò anche la consapevolezza degli strumenti che potevano essere utilizzati per affermare i bisogni popolari ed ottenerne tutela: azione e parola. La cultura è azione, ma soprattutto vita. La parola il veicolo indispensabile col quale comunicare, con le parole è possibile richiedere ciò che concretamente si desidera. Diversamente dalle idee di Rossi Doria che rimarcava l’immobilismo, il culto della memoria e il paganesimo degli abitanti del meridione, da intendersi come incapacità ad essere cittadini, cioè di riconoscere la “deità” dello Stato, Rocco percepiva le istanze di riscatto, la fierezza, le contraddizioni di un mondo che interpretava dal di dentro conoscendolo prodondamente, volendo mantenerlo, quasi cristallizzandolo, per salvarne l’intrinseca bontà, pur nel miglioramento necessario delle condizioni di vita.

L’attenzione al mondo popolare, il linguaggio volutamente diretto e semplice, nonostante Scotellaro fosse un colto intellettuale, un dettato refrattario alla retorica, incline piuttosto a testimoniare con l’evidenza della realtà i fatti e le istanze sociali, inquadrano l’opera di Rocco Scotellaro nella corrente neorealista del secondo dopoguerrra. Per gli scrittori appartenenti a questa corrente la letteratura diventa mezzo d’espressione del bisogno di riscatto e rinascita del popolo, dell’esigenza di affermazione di una cultura pacifista e democratica in contrapposizione a quella fascista.

Era inevitabile che tanto entusiasmo trovasse espressione nei testi del poeta Scotellaro. L’impegno civile incarnato nel poeta, a sua volta s’incarna nel corpo poetico. Le passione riverbera nelle poesie infuocate di lotta e rivolta, dove i deboli sono “morti ammazzati”, gli sfruttati le vittime, i padroni sono, senza mezzi termini, gli sfruttatori, gli amici sono compagni, la falce strumento d’uso dei campi e simbolo di azione politica. La cifra stilistica prevalente di Rocco è descrittiva della natura, sia come succedersi di stagioni e di albe/tramonti, notte/giorno, sia per la frequente menzione di piante e fauna della campagna. Frequente la narrazione di scene agresti e paesane, di vita dei borghi, nella contrapposizione tra duro lavoro dei campi e feste, fiere, mercati, le vesti colorate delle donne, le occasioni di incontro e gioia.

Centrale la figura femminile, forte, consolatoria, rilevanti gli affetti. Non mancano naturalmente l’amore, – sensuale e persino erotico – la morte, il senso di scoramento, la malinconia, la tristezza, l’amicizia, la fatica del vivere e dell’agire. Dopo l’ingiusta vicenda giudiziaria che colpì il poeta egli lasciò Tricarico per andare ad abitare a Portici, nelle poesie di questo periodo i toni si fanno meno accesi e più addolorati. L’affetto speciale che in questi ultimi tre anni gli fu di conforto è con la poetessa Amelia Rosselli, che egli ammirava grandemente.

Nelle poesie che Rocco scrisse a Portici la delusione per il tradimento subito dagli uomini spingono i testi verso un maggiore lirismo e talvolta si sente aleggiare il senso della fine. Ad esempio nella poesia “A Portici” riportata più sotto, ciò si percepisce sia per il ricorso al lemma resurrezione, riferibile tanto a un risveglio da un sonno pesante simile alla morte, che al presentimento di una “resurrezione” post mortem di senso cristiano, sia nel rimarcare la materialità del corpo come a dirne anche la mortalità, la corruttibilità. Sono nota “bucolica” i cavolfiori del carretto che viene da Scafati, nota bucolica che non appare più tanto come vena nostalgica o pittorica che anela alla campagna, quanto a constatare prosaicamente che le taglia la ruota del carretto. I cavolfiori sembrano un insolito omaggio orto-floreale ad una decapitazione.

Di seguito una selezione di poesie di Rocco Scotellaro. Illustrazioni di Loredana Semantica, (tecnica digitale, pennino su schermo).

Vento fila (1944)

A me questa notte
non darà pace:
sono stato scontroso con gli uomini,
sono giù di morale,
il cuore mulinato da rimorsi.
La lampada spesso si smorza.
Fiocca nei vicoli sugli stracci,
la campagna sola.
Vento fila nei baratri
delle lunghe stradette.
Giù nella Rabata*,
chiuse le stentate
porte dei sottani,
e non verranno.
Non verranno i compagni
sotto alla finestra
a suonarmi la canzone di rampogna
questa notte
violenta di Carnevale.

*il centro storico arabo di Tricarico

(1944)

È rimasto l’odore
della tua carne nel mio letto.
È calda così la malva
che ci teniamo ad essiccare
per i dolori dell’inverno.

Festa alla stazione (1944)

Voci rauche, al sommo dell’estate,
e cortei con stendardi
dei vicini borghi.
Così i prati e così
variopinte le donne.
C’è la trombetta foriera di sussulto
battono i tacchi la terra
e le anime pie son ebbre
e il treno rugge
la gran fiera borbotta
di ragli abbrividenti
le farfalle fan stormo
sull’erbe gialle,
è lungo nel fiume
il lamento del rospo.

Il sole viene dopo (1950)

Sono nate le viole nei tuoi occhi
e una luce viva che prima non era,
se non tornavo quale primavera
accendeva le gemme solitarie?
Vestiti all’alba, amore, l’aria ti accoglie,
il sole viene dopo, tu sei pronta.

A Portici (1952)

Nella resurrezione ogni mattina
portano il tuo nome e il tuo corpo
sopra un ciuffo di canti di gallo,
che le taglia la ruota del carretto,
il carretto che viene da Scafati
a portare cavolfiori ai mercati.

Il porto del Granatello (1953)

L’ondata che viene è furiosa
com’è dolorosa quella che m’abbandona.
Amore che vieni e che vai
che apri la mia bocca e la chiudi,
oggi è secco il mio cuore.
Pescatore
che ti muovi alla festa del vento
la pesca non è ricca
se povero è l’amore.

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Il rapimento del dio «terribile e oscuramente maestoso» di Sabatina Napolitano

02 martedì Mag 2023

Posted by Loredana Semantica in Mito

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Il prof Braccini ci aveva già abituato a parlare del regno dei morti in diversi suoi volumi, uno scritto insieme a Silvia Romani dal titolo “Una passeggiata nell’aldilà”(Einaudi, 2017) e l’altro più recente “La nave di Caronte” (Einaudi, 2022) scritto insieme a Luigi Silvano. In “Ade e Persefone” (edito Pelago, 2021, scritto da Braccini in collaborazione a Datati con una introduzione di Giulio Guidorizzi) troviamo il racconto del mito del curatore pistoiese, le variazioni sul mito di Dadati e una antologia commentata di testi che parlano di Persefone e Ade tratta da l’Inno a Demetra attribuito ad Omero, dal poema epico il Ratto di Proserpina del poeta Claudiano e dalle Metamorfosi di Ovidio. Guidorizzi nella sua introduzione sottolinea come Frazer avesse già iscritto il mito tra quelli legati al ciclo della vegetazione in un ritmo che scandisce il ciclo vita-morte-rinascita; si ripete anche il fatto che tutta la simbologia del mito è sacra e non è solo oggetto dell’antropologia ma anche della psicologia: il legame madre-figlia, le nozze violente, il melograno. Seppure macabro quello di Ade e Persefone fu amore. Persefone, figlia di Zeus e Demetra, fu rapita da Ade, dio degli inferi e dei morti, dando poi vita al ciclo delle stagioni ma in origine ci fu lo scontro tra Crono e i Titani, da una parte, e Zeus e i suoi fratelli dall’altra, da qui i secondi ebbero la meglio e cominciarono a spartirsi l’universo. Ad Ade (l’invisibile veniva detto dagli antichi, grazie anche all’elmo che indossava che rendeva invisibili, la kynee) toccò il regno dell’oltretomba. Il dio degli inferi pare vivesse in una dimora putrida e orribile e che fosse uscito solo per regolare con Zeus la questione delle anime, della conoscenza del momento della morte, e per affrontare Eracle (da questa lotta Ade ne uscì sconfitto con una spalla trafitta da una freccia). In greco Ade era noto come Plouton, Plutone, da “ploutos” che significa “ricchezza”, in effetti il dio, non solo era ricco, perché sottoterra si celavano tesori e miniere, ma godeva anche di un certo fascino somigliando al fratello Zeus. Il poeta Claudiano lo definisce «terribile e oscuramente maestoso». Stanco di vivere da solo nell’Ade, il dio dei morti chiese aiuto al fratello Zeus per cercarsi una sposa. Il re dell’Olimpo, chiese a sua volta, aiuto ad Afrodite che insieme ad Atena e Artemide (ignare dell’accordo tra Afrodite e Zeus) convinse Persefone ad uscire dal palazzo per raccogliere dei fiori. Da qui le versioni del mito sono diverse, nel brano tratto dall’Inno a Demetra tradotto da Braccini, si narra il rapimento: “Lontano da Demetra dalla spada d’oro, dai bei frutti,/ ella giocava con le figlie di Oceano dai pepli drappeggiati;/ raccoglieva fiori, rose e crochi e belle violette/ nel soffice prato, iris e giacinti/ e il narciso, che al fine di ingannare la rosea fanciulla aveva fatto sbocciare/ la Terra, per volontà di Zeus e per compiacere Colui che accoglie molti”. Omero descrive Persefone in modo distaccato, nel rispetto della religiosità eleusina, si limita a raccontare la violenza perpetuata ai danni della figlia di Demetra: “La ghermì e contro la sua volontà sull’aureo carro, la portò via tra i suoi lamenti: e infatti gridò a gran voce, invocando il padre Cronide, altissimo ed eccelso”. Diversamente il poeta Claudiano, agli inizi del V secolo d.C, tratteggia un ritratto di Persefone in rivolta, che protesta e si lamenta così nella traduzione di Braccini: “Perché contro di noi le saette fabbricate dalle mani dei Ciclopi/ non hai scagliato padre? Così volesti consegnarmi/ alle crudeli ombre, così esiliarmi dall’intero mondo? Non ti piega nessuna pietà, in te non c’è nulla di sentimento paterno? Per quale colpa ci siamo meritate tanta ira? […] Per il tentativo di quale sacrilegio, per la complicità di quale colpa/ sono cacciata nei baratri immani dell’Erebo?/ Fortunatamente chiunque fu rapita/ da altri! Almeno può godere del sole comune./ A me invece al contempo viene negata la verginità e il cielo,/ insieme alla luce è tolto il pudore, e abbandonata la terra sono trascinata a fare da schiava al tiranno stigio! […] aiutami nella disgrazia! Trattieni il rapitore furioso!”. Parole intense, toccanti, attuali che cercano di penetrare la psicologia della vittima con femminile sensibilità. Ma ecco che una sensibilità nuova interessa Claudiano nel punto di svolta della maturazione della protagonista “Da tali parole e dal bel pianto quello spietato/ è vinto e percepisce gli aneliti del primo amore”. Da questo punto si disvela la promessa concessa dal regno degli Inferi, il potere sulle anime: “Ai tuoi piedi giungeranno i re vestiti di porpora,/ privati di ogni sfarzo, frammisti alla folla dei poveri/ (la morte tutto pareggia!), tu condannerai i colpevoli/ tu concederai il riposo ai pii; di fronte al giudizio i rei/ saranno costretti a confessare i crimini compiuti durante la vita”. Meno sublime e struggente è Ovidio nelle Metamorfosi, nel brano scelto e tradotto da Braccini si svela anche il ruolo di Ascafalo, che avrebbe rivelato che Persefone ha mangiato dei chicchi della melagrana, seppure per caso: “Il fato però non lo permette, perché la vergine il digiuno/ aveva interrotto e, mentre ingenua vagava nei rigogliosi giardini,/ aveva colto una melagrana da un albero onusto/ ed estratti sette chicchi dal pallido involucro,/ con la bocca li aveva spremuti; solo tra tutti/ l’aveva visto Ascafalo […] vide tutto e, facendo crudelmente la spia, le impedì di tornare”. Già nel libro “Indagine sull’orco. Miti e storie del divoratore di bambini” (Il mulino, 2013), Braccini aveva avuto modo di parlare degli Inferi, infatti pare che la parola “Orcus” facesse riferimento sia agli Inferi che al signore degli Inferi. Non avendo tracce delle caratteristiche specifiche di questo dio nella religione romana, siamo disposti al pensare che si sovrapponesse a Ade e Plutone. In effetti gli Inferi erano collegati anche al “Mundus”, una struttura romana che probabilmente si trovava presso il Comizio, non lontano dall’ara Saturni, con una parte sotterranea coperta da un tholos e con una apertura circolare detta oculus. Il Mundus era consacrato a Dite e Proserpina e funzionava da accesso negli Inferi. Nell’Alcesti di Euripide, Thanatos era la personificazione della morte, ben diversa da Ade, che veniva associata all’Orcus come in Macrobio. Thanatos, la Morte, o “sacerdote dei morti” come Euripide fa dire per bocca di Apollo, è crudele e malvagia, uccidendo e per giunta, preferendo le anime dei giovani a quelli dei vecchi per dimostrare la sua potenza. In vari glossari antichi medievali così come in Isidoro di Siviglia, Plutone, Orco e Caronte sono la stessa cosa e anche negli anni fino al folklore moderno le figure si trovano spesso sovrapposte, così come in un manoscritto del 1320-1325 il nome di Thanatos nell’Alcesti viene sostituito con quello di Caronte. 

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25 aprile con Franco Fortini. Videopoesie

25 martedì Apr 2023

Posted by Loredana Semantica in LETTERATURA E POESIA, POESIA, Video

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Franco Fortini, Loredana Semantica, videopoesia

Quando

Quando dalla vergogna e dall’orgoglio
Avremo lavate queste nostre parole.

Quando ci fiorirà nella luce del sole
Quel passo che in sonno si sogna

Franco Fortini da “Foglio di via”, 1946

La poesia “Quando” è di Franco Fortini. Video e voce di Loredana Semantica

La linea del fuoco

Le trincee erano qui.
C’è ferro ancora tra i sassi.
L’ottobre lavora nuvole.
La guerra finì da tanti anni.
L’ossario è in vetta.
Siamo venuti di notte
tra i corpi degli ammazzati.
Con fretta e con pietà
abbiamo dato il cambio.
Fra poco sarà l’assalto.

Franco Fortini da “Questo muro”, 1973

La poesia “La linea del fuoco” è di Franco Fortini. Video e voce di Loredana Semantica

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Più voci per un poeta: Rocco Scotellaro. Nel centenario della nascita

19 mercoledì Apr 2023

Posted by Loredana Semantica in Più voci per un poeta

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illustrazioni, Loredana Semantica, Poesie, Rocco Scotellaro

Nel 1923, il 19 aprile di cento anni fa, a Tricarico in provincia di Matera nasceva Rocco Scotellaro. Poeta, politico e scrittore italiano. Appena trent’anni dopo Rocco sarebbe morto per un infarto, ma certo la sua non può dirsi una vita sprecata.
Nato da una famiglia di umili origini, il padre calzolaio, la madre sarta, fu indirizzato dalla famiglia agli studi, essendo versato in letteratura, s’iscrisse al Liceo Classico presso i Padri Cappuccini e per permettergli di proseguire gli studi tutta la famiglia si trasferì a Sicignano degli Aburni, in Campania.
Trento, Tivoli, Potenza, Napoli, Bari, Cava dei Tirreni sono città dove ha lo hanno portato i suoi viaggi per l’Italia per studio e lavoro. Al termine del Liceo intraprese gli studi di Giurisprudenza alla Facoltà la Sapienza di Roma, ma in lui si accese la passione politica e, senza giungere a laurearsi, decise di impegnarsi attivamente, iscrivendosi al Comitato di liberazione nazionale prima e successivamente al PSI.
La morte del padre lo induce a ritornare a Tricarico, in Basilicata, o per meglio dire in Lucania, come la Regione si è chiamata fino al 1947. Rocco aveva intuito l’esigenza che per risollevare le situazione l’Italia postbellica si doveva operare nelle realtà locali rurali con una visione chiara di progresso democratico e istituzionale. Egli era sensibile alle problematiche della sua gente così provata dalla miseria, dalla guerra e dall’inattività delle istituzioni, con particolare attenzione al mondo contadino, afflitto da sfruttamento, caporalato impietoso, carenze igienico sanitarie e povertà, mali che ben conosceva essendo stato sensibilizzato dal padre e dallo svolgimento di un’intensa attività sindacale e poi perchè sentiva di provenire da quell’ambiente, tant’è che viene spesso definito “il poeta contadino”.
Nel 1946, a soli 23 anni, diventa sindaco di Tricarico nel partito del Fronte Popolare Repubblicano, nato dalla fusione di PSI e PCI. Conobbe nello stesso anno Carlo Levi, pittore e antifascita, e Manlio Rossi Doria, politico ed economista. Levi a detta dello stesso Scotellaro fu il suo mentore e promotore. In una breve ma dinamica gestione da sindato, Rocco Scotellaro dotò Tricarico di una scuola aperta a tutti – perché i cittadini non dovessero spostarsi per studiare, come lui era stato costretto a fare – istituì le consulte locali per dare voce democratica al volere dei braccianti agricoli, s’impegnò a tutelare il loro diritto a coltivare la propria terra e impedire lo sfruttamento del loro lavoro da parte dei grandi proprietari terrieri. Si mosse anche sul fronte dell’occupazione delle terre, movimento che portò alla riforma agraria sul latifondo del 1950. Nel 1947 Rocco Scotellaro fece aprire a Tricarico, che ne era sprovvista, l’Ospedale civico.
Il suo grande spirito d’iniziativa disturbò evidentemente gli avversari, perchè dal 1948 al 1950, Scotellaro affrontò una traversia giudiziaria. Tutto ebbe inizio con una denuncia anonima e il rapporto di un funzionario di polizia giudiziaria, a seguito dei quali fu accusato di truffa, concussione e associazione a delinquere. L’accusa sembrava a Rocco talmente inverosimile che l’affrontò con una certa leggerezza. Per 45 giorni subì anche la reclusione nel carcere di Matera. Il procedimento si concluse in appello con assoluzione per non aver commesso il fatto, quindi con formula di piena, ma la vita di Rocco ne fu segnata. Abbandonò la politica nello scoramento che prende i sognatori delusi, senza mai cessare la sua dedizione alla Lucania, s’impegnò maggiormente sul fronte letterario. Appena uscito dal carcere si recò a Venezia, dove conobbe Amelia Rosselli, con la quale intrattenne un intenso rapporto di amicizia durato fino alla morte di lui, avvenuto appena tre anni anni dopo. Amelia Rosselli alla sua morte gli dedicò un’accorata “Cantilena, raccolta di poesie per Rocco Scoltellaro”. Una di queste.

Rocco vestito di perla

come il grigiore dei colli vicino al tuo paese

mostrami la via che conduce

non so dove

(Amelia Rosselli)


Rocco fu anche poeta e scrittore. Cominciò a scrivere appena adolescente, del 1940 la sua prima poesia, tra il 1948 e il 1953 pubblicò poesie e racconti sulla rivista “Botteghe oscure”. Scrisse il romanzo “L’uva puttanella”, in gran parte autobiografico, rimasto incompiuto, un’ opera teatrale e svolse un’inchiesta sui “Contadini del Sud”, per incarico di Einaudi, anch’essa rimasta incompiuta per la morte sopraggiunta.

Per sintetizzare lo spirito dei suoi ideali, della sua azione politica e sociologica bastano le sue centrate parole stralciate dalla lettera di presentazione diretta a Luciano Erba con la richiesta di pubblicare sue poesie su “Quarta generazione”. Le poesie furono pubblicate nel 1954 postume, come del resto gran parte della sua produzione.

“Politicamente ho fiducia che cessi la indegna e mortifera divisione del mondo perché l’umanità posa curarsi dei suoi mali: la povertà economica e il decadimento culturale“. (Rocco Scotellaro)

Le sue opere

“È fatto giorno” Mondadori
“Contadini del Sud”, Laterza
“L’uva puttanella” Laterza
“Uno si distrae al bivio” Basilicata
“Margherite e rosolacci” Mondadori
“Giovani soli” Basilicata
“Lettere a Tommaso Pedio” Osanna
“Scuole di Basilicata” RCE
“Tutte le poesie (1940-1953)” Mondadori
“Il prezzo della libertà. Lettere da Portici” Edizioni Giannatelli
“Poesie” RCE
“Tutte le opere” Mondadori

Di seguito una selezione di poesie di Rocco Scotellaro. Illustrazioni di Loredana Semantica, (tecnica digitale, pennino su schermo).

In autunno (1940)

Trasvolano le rondini
i mari e i deserti,
a una dimora certa
lontana tendono,
all’orizzonte forse,
dove sempre il sole
cade in sera.

Lucania (1940)

M’accompagna lo zirlio dei grilli
e il suono del campano al collo
d’un inquieta capretta.
Il vento mi fascia
di sottilissimi nastri d’argento
e là, nell’ombra delle nubi sperduto,
giace in frantumi un paesetto lucano

Traguardo (1941)


Sconfinati deserti
io mi figuro.
Cammino e cammino
ansante
sfinito.
Desolato
la voce sola mi resta.
Una sillaba sola
l’eco non ripete
del mio grido.
Avanzo m’abbatto
mi levo.
In un baleno improvviso
un traguardo ravviso.
E un tuono rimbomba al mio grido.

(1948)

È già notte qui nei valloni
è già notte per le campagne
marine.
Dai paesi corrono piccole
nuvole di fumo verso il cielo.
Continua la vita nel gelo.
L’anima è questo respiro
che ci riempie e ci vuota.
E occorre guardarsi indietro
a vedere il giorno
dove corre.
Corre di fronte
alle luci accese dei pali
dove il Vulture adesso
si vede
sullo specchio rosso
di ponente…
Perché l’ombra è già
morta sui pini.

Al sopportico delle Api il primo amore (1948)

Al sopportico delle Api
affisse ai muri le nostre iniziali
col colore della paglia bruciata.
L’amore nostro crebbe qui
nella stalla vicina.
E io vederti sorgere tenera ombra,
misuravo le parole tue calde
cercandoti le labbra con le dita.
Ombre di noi che siamo in fuga
si allungano, scompaiono
quando la lucerna del mulattiere
mette fremito alle bestie per la biada.

La mia bella Patria (1949)

Io sono un filo d’erba
un filo d’erba che trema.
E la mia Patria è dove l’erba trema.
Un alito può trapiantare
il mio seme lontano.

Campagna (1949)

Passeggiano i cieli sulla terra
e le nostre curve ombre
una nube lontano ci trascina.
Allora la morte è vicina
il vento tuona giù per le vallate
il pastore sente le annate
precipitare nel tramonto
e il belato rotondo nelle frasche.

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Festività pasquali

06 giovedì Apr 2023

Posted by Loredana Semantica in RICORRENZE, SINE LIMINE

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Le attività del sito sono sospese da oggi al giorno 11 aprile 2023 per le festività pasquali.

Non mancheranno tuttavia i nostri auguri poetici.

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Più voci per un poeta: Fernanda Romagnoli. Videopoesia

05 mercoledì Apr 2023

Posted by Loredana Semantica in ARTI VISIVE, Consigli e percorsi di lettura, CRITICA LETTERARIA, Più voci per un poeta, Video

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Fernanda Romagnoli, Loredana Semantica, videopoesia

La poesia “Io” è di Fernanda Romagnoli. Video e voce di Loredana Semantica
La poesia “Tu” è di Fernanda Romagnoli. Video e voce di Loredana Semantica
La poesia “Ci sono anime liete” è di Fernanda Romagnoli. Video e voce di Loredana Semantica

Quando ai più che non s’interessano di poesia si nomina Fernanda Romagnoli -dicevamo qui – non è sorprendente che non la conoscano, ma è singolare che spesso nemmeno i poeti, chi scrive o legge poesia, l’abbia mai sentita nominare.
Eppure Fernanda rappresenta un fulgido esempio di fare poetico, rimasto misconosciuto. La sua poesia è densa di assoluto, vibrante, tersa, metafisica e nel contempo sospesa in osservazione attenta della realtà, degli oggetti, persino degli animali a carpire loro il senso stesso dell’esistenza, quello della relazione con le umane cose, in parallelismi insoliti, spiazzanti, intelligenti, periodi complessi e magistralmente articolati, con una scorrevolezza e padronanza lessicale rara. Fernanda Romagnoli manifesta con la scrittura un anelito potente, che ingabbiato negli spazi angusti del vissuto, attraverso la poesia evade verso sfere celesti, trafigge la materialità delle cose, se ne impadronisce, le plasma, le ribalta, le aggancia al vivere e al morire, rimarcandone la caducità oppure all’opposto le proietta nell’eterno, le trasfigura. Insistenti i temi della morte, dell’eterno e dell’anima, non meno di quello dell’identità, del dolore, dell’estraniamento e della solitudine, di questi ultimi è paradigma la poesia “Il tredicesimo invitato”, che dà il titolo all’intera raccolta dov’è inserita.
Linguisticamente questa poesia vola, non può altrimenti definirsi la grazia con la quale la Romagnoli compone l’architettura dei versi, la compiutezza del significato, la proprietà di linguaggio si sposano con la leggerezza di un’espressione poetica perfettamente modulata nel suono. Non dimentichiamo che la poetessa proviene da una formazione musicale giovanile che influenza certamente il suo scrivere alla ricerca del suono che promana pensiero e sentire in simbiosi, che appare tanto naturale, quanto – probabilmente – accuratamente ricercata, mantenendo una freschezza fuori dal comune. Fernanda conduce la propria poesia con la stessa vibrante tensione che anima i versi dickinsoniani, col pathos che vediamo brillare in quelli della Plath. Figure femminili nelle quali la costrizione spirituale (potremmo forse dire “di genere”?) spreme distillati poetici soavi o intensi, ma ad ogni modo esemplari. Ammirevole la maestria con la quale la poetessa dalla superfice scende alle profondità e risale a vertiginose altezze, cercando il divino. L’effetto nel lettore è di provocare una vertigine, lo induce a sporgersi verso il vuoto a cercare l’assoluto con la stessa brama con cui lo legge nei versi.

La biografia di Fernanda è essenziale, riporta le notizie “agli atti”, e dice poco del carattere, aspirazioni, desideri, esperienze dell’autrice, paradossalmente è soprattutto nella poesia che la ritroviamo.
Possiamo ben immaginare lo scorrere della sua vita tra una giovinezza irrequieta, l’attraversamento certo incisivo della querra, un amore impossibile, l’incontro con Vittorio Raganella, l’innamoramento, il matrimonio impegni casalinghi, e, per qualche tempo, lavorativi. Il suo spazio vitale, come si conviene all’essere donna, sposa, madre. Ambito che per alcune è di piena realizzazione, per altre è recinto, senza peraltro che possano focalizzare alternative, essendo la situazione, la convenzione, le aspettative sociali a comportare un senso di delimitazione. Peraltro non era ostacolata dalla famiglia nella sua passione letteraria. D’altro canto il disagio esistenziale può essere un habitus innato, simile a una croce da portare, rispetto al quale la poesia è una forma di sopravvivenza. Fumava sigarette Fernanda, lo dice lei stessa, e beveva caffè al bar, sfaccendava, scriveva, faceva visita ai parenti o agli amici, avrà fatto qualche viaggio e qualche gita, curato la sua unica figlia. Tra pappette per neonati e cambio panni l’avrà cresciuta, una volta cresciuta, avrà tribolato per lei infinite volte. Una normalissima vita che non impedisce alla poetessa di essere tale. Trasfigurare in versi l’agonia di un bruco è un attimo poetico fissato per i posteri di potenza immaginifica brillante.

Bruco

Tagliato in due col suo frutto
il bruco si torce, precipita
nel piatto, ove un attimo orrendo
sopravvive al suo lutto.
Coperto di bucce, sepolto
fra le dolcezze e gli aromi
che amava in vita, gli accendo
sulla catasta l’incenso
della mia sigaretta.
Morte pulita – ed in fretta.
Ma che ne so della via
che il bruco ha percorso in quell’unico
istante di agonia.

La stessa “gallina rossa” dell’omonima poesia inchioda danzando verbalmente un’essenza chiocciante o appariscente che riverbera in parole e specchi la propria e altrui natura.

Rossa gallina

Rossa gallina, in te odio
– più del tuo chiocciolio di spavento,
dell’occhietto puntuto,
dello sconcio berretto – in te odio
il mezzo metro di vento
che spenni nel fracasso di uno slancio
già rantolo e frattura
allo spiccarsi. In te odio
la mia storpia fiammata,
il mio abortito amplesso con lo spazio,
l’implacata natura che m’aizza
a un volo compromesso.

E poi c’è la poesia “Tirando le somme”, dichiaratamente autobiografica, che riepiloga a volo d’uccello l’intera vita in pochi “fotogrammi” fondamentali, nella quale è menzionata la virtù femminile più accreditata della storia, frutto di sviluppo secolare, tramandata di madre in figlia, di suocera a nuora, nei bisbigli di consiglieri parentali o amicali, una specie di collante familiare del quale sono portatrici principali le donne: la pazienza.
Un’osservatrice Fernanda, malinconica e composta, probabilmente, per come le imponeva il ruolo di moglie di un militare, ma nemmeno risentita contro la sorte o gli incontri, gli insuccessi , anche perché oggettivamente nulla le sarà mancato, a parte la salute non proprio brillante. E’ nella natura sua propria, nel temperamento incline all’introiezione, che scatta la scintilla espressiva, con risultati che, probabilmente, si dovrebbero inquadrare con spirito oggettivo nel filone intimista, confessionale, pervaso di lirismo, mi sembra tuttavia che nessuna di queste definizioni calzi perfettamente, nel senso di essere riduttive, rischiano, come del resto tutte le classificazioni, di sminuire una voce, già di per sé, ingiustamente poco valorizzata.

Forse la Romagnoli ha la colpa per alcuni di non essere “sperimentale”, di muoversi nel solco della tradizione novecentesca e precedente, di indulgere all’autobiografismo più che all’intrigante all’ermetismo, ma gli “ismi” sono espressioni classificatorie che – in quanto demarcano – hanno a loro volta il limite di essere inadeguate – perché nulla possono riferire sulla bellezza espressiva, le ardite associazioni verbali, i lemmi insoliti, evocativi, ricercati, gli origami verbali, le simmetrie, la costruzione sapiente del ritmo e del suono, la musicalità, che caratterizzano la scrittura di questa poetessa. E’ un dato di fatto che la scrittura femminile trascorsa più riuscita viaggi sulle ali dell’introspezione alla ricerca di un altro-assoluto-divino dentro e fuori di sé che verticalizza, ben più in alto di quanto vediamo riesca quella maschile, come se la voce si assottigliasse in acuti da soprano e penetrasse le nubi, più centrata e fine del corrispettivo maschile. Si potrebbe dire, se fosse un fascio di luce, per proseguire in similitudine, che sia un laser che buca il cielo. Non mi sembra peculiarità da trascurare, al contrario è da esaltare, è da indagare, se possibile, in parallelismo ad altri aspetti, chiedersi quanto questa sorta di “conventualità” femminile si traduca in parossismo di intuizione mistica, quanto sostanzi una produzione poetica intrisa di raccoglimento e canto, come un pulsare di inspirazione ed espirazione che diversamente, vivendo, cioè una vita sociale più ricca, variegata, pubblica ed “esposta” sarebbe forse impossibile da raggiungere. Mi tornano in mente le castrazioni “tecniche” del canto lirico. Una vita di riserbo è cosa meno cruenta sul piano fisico, ma parimenti incisiva psicologicamente, che ha come suo forse-prodotto: la meraviglia in poesia?

Nessun assioma beninteso in queste considerazioni, né rapporto di causalità effetto, nel senso che è abbastanza intuitivo che chiudersi in una prigione non aiuterebbe l’estro dell’aspirante poeta carente o privo d’altro “bagaglio”, né si vogliono esporre suggerimenti da seguire per le nuove generazione emergenti (o magari sì, in verità, suggerire ad esempio che la ricerca parossistica di visibilità non favorisce il risultato), e men che meno vuol essere un sindacato sulla vita scelta da questa poetessa – perché sempre di scelta alla fin fine si tratta – solo interrogativi sull’origine del flusso poetico, i percorsi e risultati raggiunti.

Un appunto finale circa l’esclusione o l’autoesclusione dai circoli e circuiti letterari. Mi chiedo quanto penalizzi il poeta l’essere un isolato, quanto pesi sull’emarginazione che sceglie e infine subisce e se l’esclusione non sia una sorta di pena comminata postuma, non meno che scelta in vita, mancando i gruppi di “amici” che possano conservarne e diffonderne la voce poetica e suoi pregi, carenti i contatti utili a “elevarsi” nelle “gerarchie”, il poeta resta nel limbo, pur avendo prodotto testi il cui pregio surclassa altre e più esaltate produzioni. Avviene quindi che ogni tanto si leva qualche voce isolata mai sufficiente a ricollocarlo nel suo rango, di qualche appassionato estimatore o un familiare.

Molti leggono, tra la chiamata per vocazione, inclinazione e strumento, la Romagnoli andrebbe, ritengo, utilmente indicata come lettura, tenuta da conto per ciò che è, un tassello della scrittura poetica italiana e, come tale, anche nel poco che ha scritto – forse l’unica sua pecca – suggerita come lettura da conoscere. Piolo di una scala su cui salire per progredire in poesia.

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Più voci per un poeta: Fernanda Romagnoli. Videopoesia

22 mercoledì Mar 2023

Posted by Loredana Semantica in ARTI VISIVE, Consigli e percorsi di lettura, CRITICA LETTERARIA, Più voci per un poeta, Video

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Fernanda Romagnoli, Loredana Semantica, videopoesia

La poesia “Oggetti” è di Fernanda Romagnoli. Video e voce di Loredana Semantica
La poesia “Tirando le somme” è di Fernanda Romagnoli. Video e voce di Loredana Semantica
La poesia “Niente” è di Fernanda Romagnoli. Video e voce di Loredana Semantica

Quando ai più che non s’interessano di poesia si nomina Fernanda Romagnoli non è sorprendente che non la conoscano, ma è singolare che spesso nemmeno i poeti, chi scrive o legge poesia, l’abbia mai sentita nominare. Poche note biografiche.

Fernanda Romagnoli, nata a Roma nel 1916, ha compiuto studi musicali, diplomandosi in pianoforte dal Conservatorio di S. Cecilia a diciotto anni, da privatista, a venti anni consegue il diploma magistrale. Nel 1943, in tempo di guerra, pubblica la sua prima raccolta di poesie: Capriccio, con prefazione di Giuseppe Lipparini.

L’anno successivo si rifugia a Erba con la famiglia per poi ritornare a Roma nel 1946. Sposa l’ufficiale di cavalleria Vittorio Raganella, il matrimonio col militare la porterà dal 1948 a vivere in diverse città: Firenze, Roma, Pinerolo, e infine Caserta, dove resterà dal 1961 al 1965. Durante questo periodo lavora come maestra e, nel 1965 pubblica la sua seconda silloge: Berretto rosso.

Nonostante la qualità dei suoi scritti e la pubblicazione delle due raccolte di poesia Fernanda Romagnoli soffrì l’isolamento letterario stemperato dall’amicizia di Carlo Betocchi e Nicola Lisi e, infine, di Attilio Bertolucci, grazie al cui interessamento nel 1973, pubblicò la sua terza raccolta: Confiteor.

Ha collaborato con alcune riviste: La Fiera Letteraria, Forum Italicum, e, per la radio, a L’Approdo. Durante la guerra contrasse l’epatite che minò la sua salute tanto da dover essere sottoposta nel 1977 a intervento chirurgico al fegato. L’intervento comunque non la restituì la salute e rimase sofferente, nonostante ciò, anche per consiglio di Attilio Bertolucci e Carlo Betocchi, continuò a scrivere. Nel 1980 pubblica la raccolta considerata il suo capolavoro: Il tredicesimo invitato. Il libro le darà un minimo di notorietà. Gli anni seguenti sono segnati da una sempre maggiore difficoltà a lavorare e da ripetuti ricoveri. Successivamente i problemi di salute continuarono a tormentarla, conducendola anche a ricoveri, nel frattempo qualche poesia veniva pubblicata sul quotidiano Reporter nell’inserto Fine Secolo e sulla rivista Arsenale. Fernanda Romagnoli muore a Roma all’età di settant’anni, presso l’Ospedale Sant’Eugenio, il 9 giugno 1986

Le sue raccolte

Capriccio, Roma, 1943
Berretto rosso, Roma, 1965
Confiteor, Guanda, Parma, 1973
Il tredicesimo invitato, Garzanti, Milano, 1980
Mar Rosso, Il Labirinto, Roma, 1997
Il tredicesimo invitato e altre poesie, Libri Scheiwiller, Milano, 2003

Più di recente, Interno poesia, 2022, “La folle tentazione dell’eterno”.

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Il 19 marzo di Limina mundi con una poesia di Hans Magnus Enzersberger

19 domenica Mar 2023

Posted by Loredana Semantica in LETTERATURA E POESIA, Poesie

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Hans Magnus Enzensberger, POESIA

Opera di Christian Schloe

Non leggere odi, figlio mio, leggi gli orari.
Son piú esatti. Svolgi le carte di navigazione
prima che sia tardi. Vigila, non cantare.
Viene il giorno che torneranno a inchiodar liste
sulla porta e a chi dice di no dipinger sul petto
qualcosa di uncinato. Impara ad andare
senza esser conosciuto, impara piú di me:
a cambiar quartiere, passaporto, faccia.
Fai pratica di tradimento al minuto,
di sporca quotidiana salvezza. Le encicliche
sono utili per accendere il fuoco
e i manifesti per incartare burro e sale
a chi è senza difesa. Rabbia e pazienza ci vogliono
per soffiare nei polmoni del potere
la fine polvere mortale, macinata
da chi ha molto imparato,
da chi è esatto, da te.

Hans Magnus Enzersberger

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“Un fecondo gioco” – Marco Furia legge “Eliodoro” di Mario Fresa

22 mercoledì Feb 2023

Posted by Loredana Semantica in LETTERATURA E POESIA, Recensioni

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Eliodoro, Marco Furia, Mario Fresa

Come un gioco verbale sospeso sul suo medesimo linguaggio, “Eliodoro”, romanzo di Mario Fresa, si presenta al lettore quale specchio capace di riflettere non una singola immagine ma una precisa, grottesca, serie di frammentate sequenze.
Del resto, l’autore, nel capitoletto d’appendice “a. Che cos’è Eliodoro. Caratteristiche e posologia”, tiene a dire:

“Eliodoro è un romanzo-gioco di pannelli e di schegge mobili che possono essere letti in successione o in modo più rapsodico, per esempio aiutandosi con l’aiuto di un dado e di una seconda voce femminile o maschile […]”.

Schegge e pannelli, dunque?
A prima vista sì, tuttavia …
Tuttavia, pagina dopo pagina, ci si accorge di come una ben poco lineare trama non si limiti a far emergere personaggi e circostanze, ma, nel farsi acrobatica parola, suggerisca una sua originale visione del mondo.
Non mi riferisco a una sorta di senso della storia che lo stesso Fresa propone, per esempio, indicando i titoli dei singoli capitoli, né ai più o meno ampi funambolici tratti, penso piuttosto a un dinamico quid che sembra superare-costituire il concetto di racconto.
Si tratta, a mio avviso, di un desiderio di vicenda che non s’intende ignorare, di un originale persistere quale espressivo narrante nel suo nemmeno troppo mascherato confessarsi: il Nostro non entra nel romanzo nelle usuali maniere perché è ben cosciente di farne parte, in ogni modo.
Affermazione banale, si dirà: chiunque si esprime per via di scrittura è presente nella scrittura stessa.
Qui, però, qualcosa di diverso si aggiunge, qualcosa in grado di chiamare contemporaneamente dentro e fuori.
Togliere il nome dell’autore dalla copertina o, al contrario, renderlo incancellabile?
Ambedue le cose.
Atteggiamento dalla valenza assai creativa proposto, almeno in apparenza, con noncurante naturalezza: atteggiamento nel cui àmbito il lettore si viene a trovare come per caso, passando da un brano all’altro, da una visione all’altra.
Simile a una roulette che sembra non fermarsi mai, questa scrittura non si preoccupa né di arrestarsi né di proseguire: il suo è moto perpetuo, ma è pure continua fine
d’isolati attimi-tratti, di singole particelle di spazio-tempo-parola.
Si legge, ad esempio, a pagina 71

“E poi, sorpresa amara, soltanto per fregare il destino, Ruggeri che sta per fare, in un momento, il salto salutare vede tutto con un certo anticipo allarmato: vede vicino a quello sbarco, con l’aiuto gentile del principe alato, mosca-radente, comparso sul labbro della tazzina lasciata lì […]”

e a pagina 105

“Il maestro Denise è in bilico solenne, adesso, col suo equilibrio in pezzi, con quel suo piangere ridere, con quel suo tipico urto di potenza, insomma; come un bimbo che non dorme ma che s’incanta mentre sente la TV-giovinezza […]”.

Come si vede, lo sguardo dell’autore nel suo essere acuto, attento al particolare, partecipa d’un non consolante senso del favolistico che porta lontano pur essendo vicino, proprio lì, negli accostamenti di un probabile che evoca realtà anche quotidiane.
Davvero, ci si trova di fronte a uno specchio verbale preciso nel suo rendere evidenti vividi tratteggi di un non racconto che, tuttavia, è anche racconto: mettere in discussione certi nostri schemi significa promuovere feconde riflessioni sugli schemi medesimi e, alla fine, su noi stessi?

                                                                                               Marco Furia

Mario Fresa, “Eliodoro”, Fallone Editore, 2022, pp. 150, euro 22,00

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Più voci per un poeta: Angelo Maria Ripellino. Video e voce di Loredana Semantica

15 mercoledì Feb 2023

Posted by Loredana Semantica in ARTI VISIVE, LETTERATURA E POESIA, Più voci per un poeta, Video

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Angelo Maria Ripellino, Loredana Semantica, videopoesia

“Come illudersi nella poesia” di Angelo Maria Ripellino, video e voce di Loredana Semantica
“Il buon tempo antico” di Angelo Maria Ripellino, video e voce di Loredana Semantica
Poesia n. 13 da “Notizie dal diluvio” di Angelo Maria Ripellino, video e voce di Loredana Semantica

Angelo Maria Ripellino,

La scrittura di Ripellino è un fuoco d’artificio, scoppietta  letteralmente di vocaboli e ricercatezza, costruzioni verbali e oggetti, snocciola sequenze a raffica di nomi, sfavilla di ricchezza lessicale, ha come “controindicazione” d’essere spesso vertiginosa. Non è per tutti quindi, oppure è da maneggiare con cura. Pericolosa o forse fragile. Potrebbe persino esplodere.

Leggerla è un’esperienza fonica e immaginifica, ma anche un esercizio linguistico, il rischio è infatti d’impaperarsi nei meandri di un qualche scioglilingua, incespicare in sfidanti giochi di parole, scambiare il senso dei termini per la caduta erronea degli accenti e affrontare in ogni caso coraggiosamente spiraleggianti piane e sdrucciole, discese e salite, oscurità e folgorazioni.

Quale esuberanza si cela dentro questi arzigogoli, tra magie di pizzo e filigrane, perché nell’esprimersi l’autore restituisce il fascino dell’iperbole, dell’enfasi, dei parossismi, metonimie, paronomasie e vi danza dentro la danza del ventre al suono delle parole, come un flauto ipnotico per un serpente.

La risposta, la fornisce lo stesso poeta quando, dialogando col patologo Guido Ceronetti, confessa di essere in una “condizione di ansima e di febbrilità” che riversa nella poesia, una “compassione di se stesso” prossima al melò commista alla determinazione indistruttibile “di partecipare di tutti i colori e di tutte le gioie del mondo, di essere gioia egli stesso”. Intendeva perciò trasferire nella sua scrittura questa immensa “fame di vita”, fame di conoscenza, fame di esperienza, sempre provata e mai interamente appagata (dal sito “Le parole e le cose”).

Possiamo dire che Ripellino abbia raggiunto lo scopo che si prefiggeva non solo perché la maggior parte delle immagini che si trovano in rete lo tramandano sempre con un certo sorriso da siculo sornione e “malandrino”, ma, ancora di più con la sua poesia che manifesta un procedere baldanzosamente festante per poi cedere, non senza ammiccamenti talvolta ironici al lettore, al senso tragico della vita in chiuse malinconie pervase dal senso della fine. La sua poetica acquisisce maggiore chiarezza considerando che  Ripellino è stato implacabilmente perseguitato fin dalla gioventù dalla cattiva salute dei suoi tormentati polmoni. Fu ricoverato in un sanatorio prossimo a Praga e ne “La fortezza di Alvernia” racconta in poesia quel periodo. Egli ha vissuto profondamente e da presso l’esperienza della Primavera di Praga, raccontandola da giornalista e scrittore. Innamorato della Capitale della Cecoslovacchia – non a caso vi ha trovato l’amore – riflette la sua profonda cultura mitteleuropea anche nei suoi scritti poetici, così come vi albergano le reminiscenze d’infanzia nella sua Palermo, dichiarata vi è l’avversione per le oppressioni comunque praticate, manifesta inoltre l’attenzione per un sentire ultrasensibile di cose, fatti e persone, caratterizzante tipicamente la figura del poeta.

Egli ebbe inoltre una naturale inclinazione verso il teatro, la scena, la teatralità. Provava sicuramente avversione per la noia e la compostezza degli accademici imbalsamati, preferendo  indentificarsi in un clown percepiva il mondo come un palcoscenico nel quale rappresentare sempre una nuova commedia, evoluzione istrionica o uscita di scena.

“Sono uno zolfanello, ardo di botto,

in un prestissimo consumo il mio dappoco.

Che brillio, che impostura, che giuoco,

ma quanta fatica, mio Signore, c’è sotto.

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Zona disforme Carlotta Cicci Stefano Massari

08 mercoledì Feb 2023

Posted by Loredana Semantica in LETTERATURA E POESIA, Segnalazioni ed eventi, Video

≈ Commenti disabilitati su Zona disforme Carlotta Cicci Stefano Massari

Tag

Carlotta Cicci, Stefano Massari, videopoesia, Zona disforme

Segnaliamo ZONA DISFORME

format di videopoesia
a cura di carlotta cicci e stefano massari

Si tratta di cortometraggi, visibili sia sul sito DISFORME che su youtube ZONA DISFORME, pubblicati periodicamente dagli autori che mettono a disposizione contenuti visivi, poetici, letture che “impressionano” sinesteticamente il fruitore.

Di volta in volta i filmati sono dedicati, oppure nei filmati sono citati, riportati, letti, trascritti testi dei poeti del passato o contemporanei. Scorrono nel contempo immagini del tempo presente, caratteri, schemi, ombre, riquadri, in un’ alternanza di stasi e dinamismo. L’iniziativa è giunta al suo settimo appuntamento di prossima pubblicazione, come da locandina sottostante.

L’iniziativa si connota per raffinatezza e suggestione rivolte alla poesia, al sentire e vedere poeticamente il mondo, ma anche per il connubio delle parole – comunicazione rivolto alla contemporaneità, in audio-visioni che proiettano arte, metabolizzazioni, interazioni, spaesamenti nei quali si percepisce il bisogno infinito della ricerca, il senso e la persistenza dell’esistere, del fare poetico, della memoria.

IL TRAILER

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Più voci per un poeta: Angelo Maria Ripellino. Video e voce di Loredana Semantica

01 mercoledì Feb 2023

Posted by Loredana Semantica in ARTI VISIVE, LETTERATURA E POESIA, Più voci per un poeta, Video

≈ Commenti disabilitati su Più voci per un poeta: Angelo Maria Ripellino. Video e voce di Loredana Semantica

Tag

Angelo Maria Ripellino, Loredana Semantica, videopoesia

“Sai che significa essere bruciati” di Angelo Maria Ripellino, video e voce di Loredana Semantica
“Le trombe hanno bisogno di mani” di Angelo Maria Ripellino, video e voce di Loredana Semantica
“Un lupo nero addenta la luce” di Angelo Maria Ripellino, video e voce di Loredana Semantica

Angelo Maria Ripellino, nato a Palermo il 4/12/1923, è stato slavista, poeta, giornalista, docente universitario, traduttore, critico, saggista. Già a soli diciannove anni conosceva russo, polacco, olandese e rumeno, manifestando giovanissimo quell’interesse per l’ambiente e la cultura mitteleuropea che diverrà il filo conduttore della sua vita. Studiò all’Università di Roma e frequentò le esclusive lezione di Ettore Lo Gatto, slavista, scegliendo a sua volta questa professione. Già in quel periodo si manifestarono i primi segni della tubercolosi che condussero il poeta dapprima al sanatorio di Dobřiš, vicino Praga e, successivamente a subire un intervento di pneumectomia. Visse a Praga negli anni tra il 1946 e 1947 per specializzarsi in lingua e letteratura ceca. A Praga conobbe e frequentò artisti, poeti, intellettuali tra i quali Vladimir Holan, diventandone amico. Sempre in quegli anni a Praga conobbe la studentessa Ela Hlochová con la quale torna in Italia e che diverrà sua moglie. Angelo Maria Ripellino ha insegnato come docente all’Università di Bologna e a quella di Roma, dove nel 1961 rileva la cattedra di Ettore Lo Gatto. Ha collaborato con numerose riviste specialistiche e con la casa editrice Einaudi, sia come consulente editoriale che, successivamente, curando con passione una rubrica di critica teatrale fino alla sua morte avvenuta a Roma il 21/4/1978. Ha pubblicato le seguenti raccolte di poesie, diversi libri sono postumi “curati da una cerchia ristretta di studiosi che per anni si sono prodigati nel cercare di diffondere l’ opera di Ripellino” https://blog.maremagnum.com/la-magia-dellanima-angelo-maria-ripellino/

  • Non un giorno ma adesso, 1960
  • La fortezza d’Alvernia e altre poesie,1967
  • Notizie dal diluvio Torino, 1969
  • Sinfonietta, 1972
  • Lo splendido violino verde, 1976
  • Autunnale barocco, 1977
  • Scontraffatte chimere, 1987
  • Poesie. Dalle raccolte e dagli inediti, 1990
  • Poesie prime e ultime, 2006
  • Notizie dal diluvio. Sinfonietta. Lo splendido violino verde, 2007

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L’ultimo giorno dell’anno di Carlos Drummond De Andrade

31 sabato Dic 2022

Posted by Loredana Semantica in SINE LIMINE

≈ 1 Commento

Vasilij Kandinskij, Deepened Impulse

il sito LIMINA MUNDI augura BUON ANNO NUOVO

con la poesia “L’ultimo giorno dell’anno” di Carlos Drummond De Andrade

L’ultimo giorno dell’anno
non è l’ultimo giorno del tempo.
Altri giorni verranno
ed altre cosce e ventri ti comunicheranno
il calore della vita.
Bacerai bocche, strapperai lettere,
farai viaggi e tanti festeggiamenti
di compleanni, laurea, promozioni, gloria,
una morte dolce con sinfonie e cori,
tanto che il tempo sarà colmo
e non sentirai il clamore,
gli irreparabili ululati
del lupo, nella solitudine.

L’ultimo giorno del tempo
non è l’ultimo giorno di tutto.
Avanza sempre una frangia di vita
in cui si siedono due uomini.
Un uomo e il suo contrario,
una donna e il suo piede,
un corpo e la sua memoria,
un occhio e la sua luce,
una voce e la sua eco,
e chissà anche Dio…

Accetta con semplicità questo dono del caso.
Ti sei meritato un altro anno di vita.
Vorresti vivere per sempre e consumare la feccia dei secoli.
Tuo padre è morto, anche tuo nonno.
Anche in te molto si è estinto,
il resto sbircia la morte,
ma sei vivo.
Ancora una volta sei vivo,
e col bicchiere in mano
attendi l’alba.

La risorsa del bere.
La risorsa della danza e del grido,
la risorsa della palla colorata,
la risorsa di Kant e della poesia,
tutte insieme… e nessuna serve.
È tutto pulito, in ordine.
Il corpo esausto si rinnova nella schiuma.
Tutti i sensi all’erta funzionano.
La bocca sta masticando vita.
La bocca s’ingozza di vita.
La vita scorre dalla bocca,
imbratta le mani, la strada.
La vita è grassa, oleosa, mortale, surrettizia.

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