• ABOUT
  • CHI SIAMO
  • AUTORI
    • MARIA ALLO
    • ANNA MARIA BONFIGLIO
    • EMILIO CAPACCIO
    • MARIA GRAZIA GALATA’
    • ADRIANA GLORIA MARIGO
    • DEBORAH MEGA
    • FRANCESCO PALMIERI
    • ANTONELLA PIZZO
    • LOREDANA SEMANTICA
  • HANNO COLLABORATO
    • ALESSANDRA FANTI
    • MARIA RITA ORLANDO
    • FRANCESCO SEVERINI
    • RAFFAELLA TERRIBILE
    • FRANCESCO TONTOLI
  • AUTORI CONTEMPORANEI (letteratura e poesia)
  • AUTORI DEL PASSATO (letteratura e poesia)
  • ARTISTI CONTEMPORANEI (arte e fotografia)
  • ARTISTI DEL PASSATO (arte e fotografia)
  • MUSICISTI
  • CONTATTI
  • RESPONSABILITÀ
  • PRIVACY POLICY

LIMINA MUNDI

~ Per l'alto mare aperto

LIMINA MUNDI

Archivi della categoria: MUSICA

Dianella Bardelli, “Come sono eccitanti gli uomini che ci spezzano il cuore”, Compagnia editoriale Aliberti, 2022.

10 venerdì Giu 2022

Posted by Deborah Mega in Eventi e segnalazioni, LETTERATURA E POESIA

≈ Commenti disabilitati su Dianella Bardelli, “Come sono eccitanti gli uomini che ci spezzano il cuore”, Compagnia editoriale Aliberti, 2022.

Tag

Come sono eccitanti gli uomini che ci spezzano il cuore, Dianella Bardelli, Lenore Kandel

 

Dianella Bardelli

Come sono eccitanti gli uomini che ci spezzano il cuore

Lenore Kandel, la musa dell’amore hippy

Compagnia editoriale Aliberti, 2022

 

Lenore Kandel è una figura tutta da scoprire per il pubblico italiano. Il suo libro di poesie The Love Book provocò un terremoto nell’America degli anni Sessanta. Lenore fu tra le protagoniste della Summer of Love di San Francisco nel 1967: la stagione che avrebbe dovuto cambiare il mondo.
Bellezza carismatica, forme rotonde e sensuali, un carattere forte e sereno, Lenore si legò a Bill, un membro della banda degli “Hell’s Angels”. Proprio dal loro incontro comincia questa biografia romanzata, che trova una improvvisa, drammatica svolta nell’incidente in moto della coppia, da cui Lenore uscirà menomata e reclusa in casa per il resto della vita.
Al centro di tutto resta The Love Book, un inno all’eros fra i più espliciti e totali che siano mai stati scritti. Sono passati cinquant’anni e più: ma la sua forza esplosiva, la sua quasi divina energia sensuale scuoteranno ancora le lettrici e i lettori di oggi.

L’autrice racconta Lenore Kandel

https://liminamundi.files.wordpress.com/2022/06/lenore-kandel-di-dianella-bardelli.m4a

 

Dianella Bardelli

Ha pubblicato vari romanzi. L’ultimo, nel 2018, dal titolo 1968, è dedicato alla Bologna di quell’anno. Ha insegnato Lettere e scrittura creativa.

 

 

 

Condividi:

  • Facebook
  • Twitter
  • WhatsApp

Mi piace:

Mi piace Caricamento...

Un fiore per Franco

23 domenica Mag 2021

Posted by Loredana Semantica in MUSICA, PERSONAGGI, Uomini eccellenti

≈ Commenti disabilitati su Un fiore per Franco

Tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni ottanta sorge la stella di Franco Battiato. Nel panorama musicale di allora comparve come qualcosa d’insolito, non definibile, non etichettabile. E proseguì in ascesa la sua opera musicale negli anni a venire. Colpivano i testi di poche frasi, termini inusuali, evocativi di scenari e terre lontane, di ricerche interiori spirituali, mistiche, filosofiche. Battiato nel sentire dei giovani fruitori di musica rispondeva al desiderio di contrastare l’insulsaggine dei testi che farcivano le canzoni italiane dell’epoca e l’invasione della musica di provenienza estera e lingua inglese. Battiato era la risposta, non solo era italiano, ma aveva anche ai miei occhi l’ulteriore pregio di essere siciliano di Catania (Ionia, il paese di nascita nel 1945 è l’attuale Riposto), era cioè isolano e conterraneo. Non occorreva leggere la biografia per capirlo, il suo cognome è di origine siciliana, anzi è una parola del dialetto siciliano che in italiano si traduce “battezzato”. Quindi il canto di Franco il battezzato, che porta nel volto le sue reminiscenze arabe, e gli occhi grandi e malinconici di certi siciliani, tristi e profondi, arrivò alle (mie) orecchie come liberatore.
Prima di quell’inizio, c’era stata tra le altre la canzone La torre, mentore Giorgio Gaber, che ebbe un certo successo, un testo provocatore ma musicalmente ancora troppo influenzato dai ritmi e gusti della canzone italiana dell’epoca. Pollution e Fetus tra i primi album, furono apripista per i concerti, verso i quali Battiato provò tuttavia ben presto un’autentica repulsa, non era soddisfatto di queste esperienze, le definì schizofreniche. Attraversò allora una crisi non solo musicale, ma più profonda, esistenziale, che lo portò allo studio e alla ricerca. Nella seconda metà degli anni settanta imparò a suonare il violino, la notazione classica, l’armonia, il solfeggio l’arabo, la mistica orientale e scoprì Gurdjieff e il suo pensiero, restandone entusiasta.
Nel 1979 avviene la svolta, è l’anno nel quale emerge la sua personalissima e accattivante cifra pop, che si evolverà in spirituale e filosofica, echeggiante musiche orientali, classiche, rock, synth pop e si caratterizzerà per i cambi di registro sia testuali sia musicali e la frammentazione di un periodare breve, ricercato e misterioso, apparentemente disconnesso, inframmezzato da refrain simili a mantra, un mix che s’intreccia alla musica, intrattiene l’ascoltatore e lo conquista
L’era del cinghiale bianco il singolo inserito nell’omonimo album, rese Battiato noto al grande pubblico. Il pezzo nacque per scommessa con i giornalisti di Muzak, rivista musicale, ai quali Battiato volle dimostrare come fosse facile elaborare pezzi di successo, esso inizia infatti con un travolgente assolo di violino che avvince l’ascoltatore
I versi “Pieni gli alberghi a Tunisi” e “Un uomo di una certa età/Mi offriva spesso sigarette turche” “Studenti di Damasco/Vestiti tutti uguali” costituiscono con ogni probabilità riferimenti ai paesi che Franco Battiato ha visitato negli anni precedenti. Egli racconta infatti che talvolta prendeva una corriera per l’India, scendeva in Turchia e, con la compagnia di due vecchi suonatori e la tastiera, girava avventurosamente quel paese.
Il refrain “Spero che ritorni presto/L’era del cinghiale bianco” è inserito nel testo della canzone in modo alquanto inaspettato e spiazzante, il senso possiamo intenderlo dai chiarimenti che seguono presenti sul sito dell’autore.
“Il cinghiale bianco indicava presso i Celti il sapere spirituale, la Conoscenza. Penso che sia venuto il momento di non perdere più tempo appresso ai problemi sociali ed economici, facendoli apparire come inesorabilmente oppressivi ed unici responsabili del nostro star male. Perdere tempo intorno alla dialettica servo-padrone ha il solo scopo di allontanare dai problemi ben più seri e fondamentali quali per esempio la comprensione dell’universo e della relazione nostra con esso”.

Singolare che di recente qualcuno abbia definito insulsi i testi di Battiato. A leggerli non sembra affatto, dentro sparsi qui e lì ci sono sostantivi e aggettivi ricercati, costruzioni verbali intriganti, originali, quando non persino poetiche. Qui di seguito una serie di citazioni dai singoli più noti.

“E il mio maestro m’insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire” da Prospettiva Nevski
“Traiettorie impercettibili/ Codici di geometrie esistenziali” “Voli imprevedibili ed ascese velocissime/Traiettorie impercettibili/Codici di geometrie esistenziali” e “Giochi di aperture alari/Che nascondono segreti/Di questo sistema solare” da Gli uccelli
“Una vecchia bretone/Con un cappello e un ombrello di carta di riso e canna di bambù/Capitani coraggiosi/Furbi contrabbandieri macedoni/Gesuiti euclidei/Vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori/Della dinastia dei Ming” da Cerco un centro di gravità permanente, contenente, tra l’altro uno stralcio della poetica dell’autore “Non sopporto i cori russi/La musica finto rock la new wave italiana il free jazz punk inglese/Neanche la nera africana”.
“E per un istante ritorna la voglia di vivere/ A un’altra velocità” da I Treni di Tozeur
“Voglio vederti danzare/Come i dervishes turners che girano/Sulle spine dorsali/O al suono di cavigliere del Katakali” da Voglio vederti danzare
“In silenzio soffro i danni del tempo/le aquile non volano a stormi” da Le aquile non volano a stormi
“C’è chi si mette degli occhiali da sole/Per avere più carisma e sintomatico mistero/Uh com’è difficile restare padre quando i figli crescono e le mamme /Imbiancano/ Quante squallide figure che/attraversano il paese/Com’è misera la vita negli abusi di potere.” da Bandiera Bianca
“Per carnevale suonavo sopra i carri in maschera/Avevo già la Luna e Urano nel Leone” da Cuccurucucù.

Battiato ha raccontato che, ancora ragazzo, suonò sui carri in maschera al Carnevale di Acireale, venne pagato con 13000 lire che all’epoca erano una cifra ragguardevole, ciò però scatenò le ire del padre che voleva Franco applicato agli studi e gli vietò perciò di proseguire con la musica.
Arrivato all’università, iscritto alla facoltà di lingue, morto nel frattempo il padre, Battiato decise di partire per Milano volendo inseguire il suo desiderio di fare musica.
Gli inizi furono difficili, dovette fare il magazziniere per mantenersi, suonare la sera nei locali, ma il suo sogno non si rivelò fallimentare. Dall’era del cinghiale bianco in poi i suoi dischi furono sempre successi, un album dopo l’altro giungendo a pubblicarne ben 42. Ha composto anche opere e colonne sonore ed è stato anche regista di film. Inoltre dipingeva, ma la pittura tuttavia non era professionale, era un modo attraverso il quale esprimeva ancora l’anelito a svolgere la personale ricerca mistico spirituale. Ne è un esempio la copertina dell’album Fleur “Derviscio con rosa” , inserito al principio di questo post.

Si sa pochissimo della vita privata di Battiato. Se provate a cercare alla voce biografia sul suo sito trovate la sua dettagliata storia professionale, la produzione, le collaborazioni con Giusto Pio, Manlio Sgalambro ecc.. Su wikipedia invece alla voce “vita privata” ci sono esattamente tre righe che in parte riporto “Legatissimo alla madre Grazia, scomparsa nel 1994, Battiato non ha mai amato la vita mondana, preferendo il suo eremo siciliano di Milo alle pendici dell’Etna.”
Infatti Franco Battiato, mi pare nel 1989, tornò in Sicilia stabilendosi a Milo, dove poi è morto il 18 maggio scorso. Di quale male non è dato sapere. La famiglia, lui stesso, gli amici hanno mantenuto uno stretto riserbo su questa malattia. Qualcosa alla testa del cantautore ne ha minato la memoria e l’intelletto, il declino è avvenuto a cominciare da una caduta dal palco di un concerto tenuto a Bari. E poi Franco, a quanto pare, non voleva indagare, del resto ciò è in linea col suo pensiero della morte come un passaggio, col suo pensiero della vita come preparazione, trasformazione di se stessi in senso migliore.
Bello il modo in cui lo ricorda Travaglio su Il fatto quotidiano, con qualche aneddoto e una sequenza di aggettivi che tentano di descriverlo (leggero, soave, delicato, spiritoso, sorprendente, puro, naif), ne fa in sostanza il protagonista de “La cura”, cioè un essere speciale.
Tra gli aneddoti Travaglio racconta come Battiato gli inviò appena pronta Inneres auge, scritta nel 2009 pensando all’Italia resa più di quanto non lo sia mai stata bordello. Inneres Auge in tedesco significa terzo occhio, l’occhio col quale si vede l’aura delle persone. E’ in sostanza un’invettiva contro i politici di quell’epoca corrotti e goderecci fino al disgusto. Egli dice nel testo “La giustizia non è altro che una pubblica merce/Di cosa vivrebbero/Ciarlatani e truffatori/Se non avessero moneta sonante da gettare come ami fra la gente” Questa non è la prima volta che attraverso la canzone Battiato esprime una denuncia politico sociale di corruzione e rovina del Paese. Nell 1991 aveva già scritto “Povera patria” e molto tempo prima, ai suoi esordi nel 1967, cantava la poco conosciuta “Il mondo va così” nella quale, con un respiro più ampio, si prendeva pena per la guerra la fame e l’analfabetismo mondiali.
Tornando alla riservatezza di Battiato. Credo che la riservatezza e una certa repulsa del successo e della vita mondana appartenga alla “sicilianità” più autentica. Giuni Russo, siciliana anche lei, amica di Battiato e voce straordinaria era sulle stesse coordinate. Franco ha scritto per Giuni il pezzo Un’estate al mare, resa indimenticabile dall’interpretazione straordinaria di Giuni, con acuti finali inarrivabili a imitare i gabbiani. Battiato ha scritto brani di grande successo per Milva e Alice, rispettivamente Alexander Platz e per Elisa, queste ultime in collaborazione con Giusto Pio.

Dunque, a quanto ci dice la stringatissima biografia, Franco Battiato non si è sposato e non pare abbia avuto figli, ciò potrebbe far pensare che abbia vissuto una vita senza amore, ma ritengo che sarebbe un errore crederlo. Come ho dimostrato più sopra in alcuni nei suoi testi le frasi sparse non sono “insensate” ma a volte biografiche, a volte citazioni culturali, pensiero, convincimenti. Non manca una produzione di Franco Battiato che parla d’amore, ciò consente la relazione transitiva seguente: se A (produzione non in tema d’amore) è uguale a C (esperienza) anche B (produzione in tema d’amore) è uguale a C (esperienza)
Sono sul tema: la metafisica “E ti vengo a cercare” la filosofica “Tutto l’universo obbedisce all’amore” la spirituale “La cura”, le nostalgiche “Le nostre anime” e “Le stagioni dell’amore” e infine la poco celebrata, ma intrigante “L’animale”
E’ un’elencazione non esaustiva, ma testimonia la delicatezza e versatilità con la quale Franco Battiato sapeva esprimere il tema dell’amore. E non posso fare a meno anche qui di riportare alcuni passi.
Questa citazione che segue ad esempio, è una definizione limpida e struggente dell’amore “Questo sentimento popolare/Nasce da meccaniche divine/Un rapimento mistico e sensuale/Mi imprigiona a te” da E ti vengo a cercare

“Bisogna muoversi/Come ospiti pieni di premure/Con delicata attenzione” “Come possiamo/Tenere nascosta/La nostra intesa” Tutto l’universo obbedisce all’amore/Come puoi tenere nascosto un amore/Ed è così che ci trattiene nelle sue catene” da Tutto l’universo obbedisce all’amore
“Le nostre anime/Cercano altri corpi/In altri mondi/Dove non c’è dolore/Ma solamente/Pace” da Le nostre anime
“Ancora un altro entusiasmo ti farà pulsare il cuore” da Le stagioni dell’amore
“Vagavo per i campi del Tennessee/Come vi ero arrivato, chissà/Non hai fiori bianchi per me?/Più veloci di aquile i miei sogni/Attraversano il mare”
“Tesserò i tuoi capelli come trame di un canto/Conosco le leggi del mondo, e te ne farò dono/Supererò le correnti gravitazionali/Lo spazio e la luce per non farti invecchiare”
“E guarirai da tutte le malattie/Perché sei un essere speciale/Ed io, avrò cura di te” da La cura
“Ma l’animale che mi porto dentro/Non mi fa vivere felice mai/Si prende tutto anche il caffè/Mi rende schiavo delle mie passioni/E non si arrende mai e non sa attendere/E l’animale che mi porto dentro vuole te” da L’animale, nella quale l’ironia del verso “si prende tutto anche il caffè” scopre un aspetto più volte rimarcato da amici e intervistatori del cantautore: l’ironia di Franco Battiato. Del resto cos’è poi l’ironia se non l’arma con la quale gli intelligenti e indulgenti combattono la propria battaglia nel mondo.
Tra le eredità Franco Battiato ci lascia la raccomandazione di avere uno sguardo feroce e indulgente, è un’espressione contenuta in uno dei suoi testi più recenti e concludo così il mio omaggio al cantautore della mia giovinezza che ha accompagnato anche la mia vita.
Con un saluto a Franco Battiato, la speranza di rivederlo, l’augurio a me e a tutti di raccogliere la sua eredità.
“Lascio agli eredi l’imparzialità/La volontà di crescere e capire/Uno sguardo feroce e indulgente/Per non offendere inutilmente” da Testamento

Condividi:

  • Facebook
  • Twitter
  • WhatsApp

Mi piace:

Mi piace Caricamento...

RandoMusic 13: A Whiter Shade of Pale

29 lunedì Apr 2019

Posted by Deborah Mega in Appunti musicali, MUSICA, RandoMusic

≈ Commenti disabilitati su RandoMusic 13: A Whiter Shade of Pale

Tag

Deborah Mega, Procol Harum, Whiter Shade of Pale

L’aggettivo random usato nel linguaggio scientifico e tecnologico con il significato di casuale, privo di regolarità, senza un ordine preciso, ha fornito lo spunto per una nuova rubrica, questa volta musicale, che curerò due volte al mese di lunedì. Esistono  pezzi musicali a cui siamo particolarmente legati: alcuni sono diventati simbolo di una generazione, altri hanno generato e ispirato rivoluzioni e movimenti culturali riscrivendo regole, altri ancora sono divenuti strumenti di protesta riuscendo a smuovere coscienze. Li descriverò raccontando l’intreccio di musica e vita che li ha prodotti.

Continuiamo questo percorso con…

A Whiter Shade of Pale è un famosissimo singolo dei Procol Harum, pubblicato il 12 maggio 1967. È stato scritto da Gary Brooker, Keith Reid e Matthew Fisher e distribuito dalla Deram Records. Nel 1967 Gary Brooker propose al poeta paroliere Keith Reid di scrivere un testo su una sua melodia. Brooker e Reid contattarono poi il ventunenne Matthew Fisher, un talentuoso tastierista di Croydon, un sobborgo di Londra.

Il riff introduttivo all’organo Hammond è una libera variazione ottenuta sovrapponendo il basso del secondo movimento della Suite per Orchestra n. 3 di Johann Sebastian Bach (conosciuta anche come Aria sulla quarta corda) a una melodia tratta dalla cantata BWV 140 Wachet auf, ruft uns die Stimme (Destatevi, ci chiama la voce) di Johann Sebastian Bach. Nacque così uno dei primi esempi di fusione tra pop e musica classica. Ottenuto un contratto con una piccola casa discografica, Brooker registrò la canzone mentre per la band venne scelto il nome Procol Harum. Reid ha raccontato che quello che si sente nel disco è una registrazione dal vivo, perché non avevano la possibilità economica di ripetere più volte l’esecuzione, ma disse «per qualche strano motivo la nostra prima sessione in studio è sembrata subito davvero bella».

Il singolo riscosse notevole successo, in pochi giorni arrivò in testa alle classifiche britanniche, raggiungendo addirittura il quinto posto negli Stati Uniti e fu oggetto di numerose reinterpretazioni. In Italia, su testo di Mogol, fu incisa dai Dik Dik, col titolo Senza luce, brano che conserva la parte musicale ma si discosta dal testo originale. Il disco ebbe un successo enorme in Italia, superiore anche a quello dell’originale dei Procol Harum, che uscì solo successivamente. Originariamente, la canzone fu attribuita ai soli Gary Brooker e Keith Reid. Nel 2005 Matthew Fisher intentò una causa in cui chiese e ottenne di essere riconosciuto come coautore del brano per aver aggiunto le parti di organo alla musica originale.

Un primo video del brano fu girato in bianco e nero da Joel Gallen, con la band che suona e canta in studio, senza nessuna scenografia. Successivamente fu girato un secondo video a colori, le cui scene, girate da Peter Clifton, raffigurano la band che passeggia sullo sfondo di alcuni paesaggi inglesi e poi di Piccadilly Circus e Trafalgar Square.

Una delle più celebri cover della canzone è quella realizzata nel 2008 da Annie Lennox, arrangiata da  Stephen Lipson e contenuta nel suo secondo album da solista dal titolo Medusa come traccia n.2. Nel videoclip Annie Lennox canta su un’altalena mentre intorno a lei scorre la vita di vari personaggi di un circo.

Deborah Mega

Condividi:

  • Facebook
  • Twitter
  • WhatsApp

Mi piace:

Mi piace Caricamento...

RandoMusic 12: The Logical Song

04 lunedì Feb 2019

Posted by Deborah Mega in Appunti musicali, MUSICA, RandoMusic

≈ Commenti disabilitati su RandoMusic 12: The Logical Song

Tag

Deborah Mega, Supertramp, The Logical Song

L’aggettivo random usato nel linguaggio scientifico e tecnologico con il significato di casuale, privo di regolarità, senza un ordine preciso, ha fornito lo spunto per una nuova rubrica, questa volta musicale, che curerò due volte al mese di lunedì. Esistono  pezzi musicali a cui siamo particolarmente legati: alcuni sono diventati simbolo di una generazione, altri hanno generato e ispirato rivoluzioni e movimenti culturali riscrivendo regole, altri ancora sono divenuti strumenti di protesta riuscendo a smuovere coscienze. Li descriverò raccontando l’intreccio di musica e vita che li ha prodotti.

Continuiamo questo percorso con…

The Logical Song è un brano musicale composto da Roger Hodgson ed estratto come singolo dall’album Breakfast in America del 1979, l’album di maggior successo nella carriera del gruppo musicale britannico Supertramp, con oltre 4 milioni di copie vendute nei soli Stati Uniti. In Italia l’album si fermò in terza posizione ma stabilì il record di maggior permanenza in Hit Parade con 76 settimane. In totale l’album ha venduto più di 18 milioni di copie nel mondo.

 

Breakfast in America è il loro sesto album in studio, pubblicato il 29 marzo 1979 dalla A&M Records. Con questo disco la band abbandona il rock progressivo degli esordi e lo contamina di pop rock, disco, rock and roll ed altre raffinatezze che ricordano lo stile dei Beatles. L’album è costituito da dieci tracce tra cui ben quattro sono diventate singoli di successo: oltre a The Logical Song, Goodbye Stranger, Take the Long Way Home e Breakfast in America. Come era già avvenuto per l’album precedente,  Roger Hodgson e Rick Davies composero la maggior parte delle loro canzoni separatamente. Il tema generale si sarebbe incentrato sui conflitti di ideali tra Davies e Hodgson, e si sarebbe dovuto chiamare Hello Stranger. Si optò poi per un album di canzoni “divertenti” che avesse un titolo altrettanto divertente. Il titolo e la copertina spinse molti ad interpretare l’album come una satira nei confronti degli Stati Uniti d’America, nonostante i membri dei Supertramp più volte avessero affermato che i riferimenti alla cultura statunitense fossero puramente casuali.  Breakfast in America presenta un massiccio utilizzo del pianoforte elettrico Wurlitze, strumento presente in sei tracce su dieci. La copertina dell’album presenta un panorama di New York visto attraverso il finestrino di un aereo. L’immagine è stata ideata da Mike Doud e ritrae l’attrice Kate Murtagh, nei panni di una cameriera nella caratteristica posa della Statua della Libertà e che regge con una mano un piattino con un bicchiere di succo d’arancia e con l’altra un menù pieghevole del ristorante su cui è scritto Breakfast in America. Sullo sfondo si vede una città composta da una scatola di cornflakes, stoviglie, posate, verniciate di bianco, sulla sinistra appaiono le torri gemelle del World Trade Center. La foto di copertina posteriore raffigura i membri della band mentre fanno colazione e leggono i rispettivi giornali della propria città ed è stata scattata in un ristorante chiamato Bert’s Mad House. Qualcuno ha colto alcune analogie inquietanti tra la copertina dell’album e l’attentato alle Twin Towers; nella copertina le torri sono coperte nella parte inferiore dal bicchiere di succo d’arancia che ricorda una palla di fuoco, l’immagine è osservata dal finestrino di un aereo, l’attacco terroristico ebbe luogo alle 9 del mattino, ora di colazione in America nonché titolo dell’album. Il portale italiano Ondarock ha riportato: «Breakfast in America è un disco pop che più pop non si può. È la quintessenza del pop. È un disco che per un intero anno ha stradominato, oltre alle classifiche e le radio, l’immaginario musicale di un mondo lontano dall’anarchia punk o dalle ricerche new wave, come dalle luci della febbre del sabato sera e dal metallo nascente, ma formato da tanti singoli simple men, uomini e donne semplici, forse musicalmente ingenui, certamente comuni […] Semplice e diretto all’apparenza, ma con una complessità superiore a quella immediatamente percepibile.» E io sono d’accordo.

Deborah Mega

Condividi:

  • Facebook
  • Twitter
  • WhatsApp

Mi piace:

Mi piace Caricamento...

C’é un paio di scarpette rosse

27 domenica Gen 2019

Posted by Deborah Mega in Eventi e segnalazioni

≈ Commenti disabilitati su C’é un paio di scarpette rosse

Tag

Joyce Lussu

C’è un paio di scarpette rosse
 
numero ventiquattro
 
quasi nuove:
 
sulla suola interna si vede ancora la marca di fabbrica
 
“Schulze Monaco”.
 
C’è un paio di scarpette rosse
 
in cima a un mucchio di scarpette infantili
 
a Buchenwald
 
più in là c’è un mucchio di riccioli biondi
 
di ciocche nere e castane
 
a Buchenwald
 
 
servivano a far coperte per i soldati
 
non si sprecava nulla
 
e i bimbi li spogliavano e li radevano
 
prima di spingerli nelle camere a gas
 
c’é un paio di scarpette rosse
 
di scarpette rosse per la domenica
 
a Buchenwald
 
 
erano di un bambino di tre anni e mezzo
 
chi sa di che colore erano gli occhi
 
bruciati nei forni
 
ma il suo pianto lo possiamo immaginare
 
si sa come piangono i bambini
 
anche i suoi piedini
 
li possiamo immaginare
 
scarpa numero ventiquattro
 
per l’eternità
 
perché i piedini dei bambini morti non crescono.
 
 
C’è un paio di scarpette rosse
 
a Buchenwald
 
quasi nuove
 
perché i piedini dei bambini morti
 
non consumano le suole.
 
 
 
Joyce Lussu (1912-1998)

Condividi:

  • Facebook
  • Twitter
  • WhatsApp

Mi piace:

Mi piace Caricamento...

Freddie, l’inimitabile

03 lunedì Dic 2018

Posted by Deborah Mega in Appunti musicali, Eventi e segnalazioni, MUSICA

≈ 5 commenti

Tag

Bohemian Rapsody, Deborah Mega, Queen

 

Ci sono dei brani che non solo ti restano nel cuore ma hanno il potere di addolcire una giornata faticosa o difficile riempiendola di sentimenti positivi e di serenità. È il caso di Don’t stop me now dei Queen, composto da Freddie Mercury e registrato nel 1978 a Nizza, incluso nell’album Jazz e pubblicato come singolo nel gennaio 1979. Il brano, esempio del caratteristico stile dei Queen, infarcito di armonie vocali multitraccia, inneggia alla sfrenatezza e alla libertà sessuale. Nei mesi scorsi è stato diffuso online il trailer di Bohemian Rapsody, biopic per la regia di Bryan Singer che ripercorre le tappe significative della carriera del leggendario leader dei Queen, Freddie Mercury, dagli esordi fino alla performance indimenticabile in occasione del Live Aid. La pellicola è stata trasmessa in Italia il 29 novembre, mentre in Spagna, Francia, Svizzera, Germania, Stati Uniti, è stata diffusa a partire dalla fine di ottobre. La sceneggiatura è stata scritta da Peter Morgan, riscritta da Anthony McCarten, infine ulteriormente ritoccata. L’attore che ha prestato corpo e volto al film dedicato a Freddie Mercury, è Rami Malek, che quando Freddie morì aveva appena dieci anni e che così si è espresso in una recente intervista: “Quando ho ottenuto questo ruolo ho pensato che sarebbe potuta essere una performance in grado di definire una carriera. Due minuti dopo ho invece pensato Questa parte potrebbe distruggere una carriera”. Nonostante la pellicola stia ottenendo un’ottima accoglienza in tutto il mondo, anche se non mancheranno le critiche, dovute anche alla lunga gestazione, per il protagonista il percorso è stato impegnativo e complesso. Come si fa infatti a emulare pur nella finzione il cantante, l’acrobata, il provocatore, l’istrione, un artista così complesso e inimitabile? Il film racconta l’intera epopea di Freddie Mercury, da quando era inserviente all’aeroporto di Heathrow a quando divenne  star della musica internazionale, sacrificando talvolta la complessità del protagonista, lasciando emergere la solitudine e l’infelicità dell’uomo. Si descrivono frettolosamente, a dire il vero, le origini parsi e l’infanzia trascorsa a Zanzibar, la famiglia di religione zoroastra che dall’India si era trasferita in Gran Bretagna e inizialmente non vedeva di buon occhio le scelte di Freddie, il legame con la fidanzata, l’amore della vita Mary Austin, il rapporto turbolento con i manager e i compagni della band, la scoperta della propria bisessualità infine della sieropositività. Mercury, pseudonimo di Farrokh Bulsara, divenne infatti  simbolo della lotta al virus dell’Hiv, essendo stato uno dei primi, più famosi sieropositivi della storia. Dalla pellicola emergono alcune figure importanti nella vita personale e artistica di Freddie che lo hanno accompagnato fino alla fine: il chitarrista Brian May, il batterista Roger Taylor, il bassista John Deacon, i manager della band, John Reid, Paul Prenter e, successivamente, Jim Beach. L’utilizzo della vera voce di Mercury ha rassicurato i fan di tutto il mondo, me compresa, tutti gli attori, in particolare Gwilym Lee che interpreta Brian May, riescono a raggiungere una somiglianza fisica e gestuale impressionante. Nei venti minuti finali del film, come fuochi d’artificio lasciati per il gran finale, viene riprodotta in modo estremamente fedele l’intera esibizione del gruppo al concerto del Live Aid del 13 luglio 1985, presso il Wembley Stadium di Londra, un concerto umanitario organizzato da Bob Geldof che vide la partecipazione dei più importanti artisti internazionali, allo scopo di ricavare fondi in favore delle popolazioni dell’Etiopia. Nei 20 minuti a disposizione, i Queen suonarono Bohemian Rhapsody, Radio GaGa, Hammer to Fall, Crazy Little Thing Called Love, We Will Rock You e We Are the Champions. La stampa, gli spettatori, gli altri artisti considerarono la loro interpretazione memorabile, una delle migliori di tutti i tempi. La partecipazione trasmise nuovo entusiasmo e vitalità al gruppo che perseguì nuovi progetti. La scelta degli autori di fermarsi al 1985 e di non raccontare gli ultimi sei anni di vita del cantante e di carriera del gruppo fino all’album Innuendo, testamento spirituale di Mercury, lascia un po’ l’amaro in bocca e si gioca quella tensione drammaturgica che in alcuni punti gli autori, sotto la supervisione dei membri superstiti del gruppo, hanno dovuto sforzarsi di creare. Nonostante la volontà di ricostruzione dei fatti e il tentativo di rendere verosimile la trama, dalla descrizione degli aspetti più intimi e familiari come la passione per i gatti agli eccessi leggendari come le apparizioni con la corona e il mantello, sono presenti alcune incongruenze temporali, solo nel 1991 Mercury avrebbe informato gli altri membri della band di aver contratto l’Aids e non, come emerge dal film, poco prima del Live Aid, avvenuto nel 1985, omissioni come l’incontro con David Bowie nel 1981 e la composizione e registrazione di Under Pressure o la collaborazione di Mercury all’album Barcelona del 1988 con il soprano spagnolo Montserrat Caballé. Grazie alle indimenticabili canzoni,  all’interpretazione rigorosa e alla bravura del protagonista che tenta in tutti i modi di riprodurre il carisma di Mercury, riuscendoci abbastanza, al Live Aid, una delle performance musicali più celebrate di tutti i tempi, Bohemian Rhapsody chiude in bellezza e commuove gli spettatori. Chissà che non produca una nuova generazione di  appassionati, non a caso, vi ho condotto le mie figlie. È lecito però chiedersi quanto sia merito del film e quanto invece dei Queen e delle loro indimenticabili canzoni.

Deborah Mega

Condividi:

  • Facebook
  • Twitter
  • WhatsApp

Mi piace:

Mi piace Caricamento...

RandoMusic 11: Sweet Jane

24 lunedì Set 2018

Posted by Deborah Mega in Appunti musicali, MUSICA, RandoMusic

≈ Commenti disabilitati su RandoMusic 11: Sweet Jane

Tag

Deborah Mega, Lou Reed, Sweet Jane

L’aggettivo random usato nel linguaggio scientifico e tecnologico con il significato di casuale, privo di regolarità, senza un ordine preciso, ha fornito lo spunto per una nuova rubrica, questa volta musicale, che curerò due volte al mese di lunedì. Esistono  pezzi musicali a cui siamo particolarmente legati: alcuni sono diventati simbolo di una generazione, altri hanno generato e ispirato rivoluzioni e movimenti culturali riscrivendo regole, altri ancora sono divenuti strumenti di protesta riuscendo a smuovere coscienze. Li descriverò raccontando l’intreccio di musica e vita che li ha prodotti.

Continuiamo questo percorso con…

Sweet Jane è un brano musicale del gruppo rock statunitense The Velvet Underground. La canzone venne scritta da Lou Reed nel 1969 ed apparve per la prima volta nell’album Loaded del 1970, pubblicato dalla Cotillion, etichetta sussidiaria della Atlantic Records. È unanimemente considerato un classico del rock, soprattutto per il celebre riff di chitarra in essa contenuto. La copertina del disco ritrae un’entrata della metropolitana da cui escono strane esalazioni ed è opera del grafico Stanislaw Zagorski.

Quando Loaded venne distribuito nel 1970, la Warner Brothers rimosse un intero verso perché il brano fosse maggiormente fruibile per la messa in onda sulle radio, cosa che contrariò fortemente Reed. Esistono due distinte versioni di Sweet Jane.  Continua a leggere →

Condividi:

  • Facebook
  • Twitter
  • WhatsApp

Mi piace:

Mi piace Caricamento...

RandoMusic 10: Smells like teen spirit

04 lunedì Giu 2018

Posted by Deborah Mega in Appunti musicali, MUSICA, RandoMusic

≈ Commenti disabilitati su RandoMusic 10: Smells like teen spirit

Tag

Deborah Mega, Nirvana, Smells like teen spirit

L’aggettivo random usato nel linguaggio scientifico e tecnologico con il significato di casuale, privo di regolarità, senza un ordine preciso, ha fornito lo spunto per una nuova rubrica, questa volta musicale, che curerò due volte al mese di lunedì. Esistono  pezzi musicali a cui siamo particolarmente legati: alcuni sono diventati simbolo di una generazione, altri hanno generato e ispirato rivoluzioni e movimenti culturali riscrivendo regole, altri ancora sono divenuti strumenti di protesta riuscendo a smuovere coscienze. Li descriverò raccontando l’intreccio di musica e vita che li ha prodotti.

Continuiamo questo percorso con…

Smells like teen spirit è un singolo del gruppo musicale statunitense Nirvana, pubblicato  dalla Geffen Records nel settembre 1991 come primo estratto dell’album Nevermind. Kurt Cobain, frontman del gruppo,  aveva scritto e composto la maggior parte delle tracce dell’album, che molto spesso avevano riferimenti autobiografici alla famiglia e alla problematica relazione sentimentale del cantante con Tobi Vail, la sua ragazza dell’epoca.

Smells like teen spirit, composto da Cobain, Krist Novoselic e Dave Grohl, presenta la tipica struttura strofa-ritornello; il riff principale in tonalità di Fa minore è utilizzato durante l’introduzione e il ritornello. Fu ritenuto dai media musicali l’«inno di una generazione» e Cobain considerato «portavoce» della generazione X, sebbene l’artista non gradisse tale appellativo.  I Nirvana entrarono nelle tendenze dominanti e permisero la divulgazione di un sottogenere del rock alternativo chiamato grunge.

L’inaspettato successo che Smells like teen spirit ebbe infatti, portò Nevermind in cima alla classifiche, tanto da riuscire a spodestare Dangerous di Michael Jackson dalla vetta della classifica statunitense Billboard 200. Il brano  fu acclamato dalla critica e vinse due MTV Video Music Awards per il suo videoclip promozionale e ancora oggi è considerato uno dei pezzi più importanti della storia della musica rock. Il frontman Kurt Cobain, in un’intervista concessa a Rolling Stone il 27 gennaio 1994, ha rivelato che Smells like teen spirit fu un tentativo di scrivere una canzone nello stile dei Pixies, gruppo che ammirava molto. La prima volta che presentò il brano agli altri membri del gruppo, era costituito solo dal riff principale costituito da quattro accordi (Fa5–Si♭5–La♭5–Re♭5) e dalla melodia vocale del ritornello, che il bassista Novoselic al tempo liquidò come “ridicola”. Cobain trasse ispirazione per il titolo durante una notte dedicata all’alcool e al vandalismo, trascorsa con la sua amica Kathleen Hanna, la quale tracciò sul muro della casa di Cobain con la vernice spray la scritta “Kurt smells like teen spirit” (“Kurt profuma di Teen Spirit”),  un deodorante per adolescenti molto in voga all’epoca. Cobain, che all’epoca non conosceva il nome del deodorante, pensò che la ragazza volesse indicare il suo “spirito adolescenziale” e “rivoluzionario”.

Il bambino nella copertina dell’album Nevermind è Spencer Elden, fotografato all’età di 4 mesi, nudo, in una piscina di Pasadena, California, dal fotografo Kirk Weddle, mentre sembra rincorrere un biglietto da un dollaro appeso ad un amo da pesca.  L’idea dell’immagine era venuta a Cobain dopo aver visto un documentario sul parto in acqua.

Il videoclip promozionale per Smells like teen spirit fu diretto da Samuel Bayer, sancendo l’inizio della sua carriera come regista. Girato nell’ agosto 1991 nello Studio 6 dei GMT Studios della cittadina californiana Culver City, il video mostra i membri del gruppo esibirsi nella palestra di un liceo sotto gli occhi degli apatici studenti disposti sugli spalti e accompagnati dai balli di cheerleader sulle cui divise nere è stampato il simbolo anarchico dell’A cerchiata. Lo spettacolo degenera con la rivolta degli studenti che demoliscono il set e il frontman che sfascia la propria Fender Mustang. La distruzione del set è il risultato di un vero malcontento delle comparse, reclutate dai membri del gruppo attraverso la distribuzione di volantini a Los Angeles.  I ragazzi erano stati costretti a stare seduti per numerose riprese durante un intero pomeriggio. Cobain disapprovò la versione finale di Bayer e rimontò personalmente il video, realizzando la versione definitiva che venne diffusa. La parola “chaka” scritta sulla grancassa della batteria suonata da Dave Grohl si riferisce al nome di un graffiti artist, la parola “scream” stampata sulla maglietta si riferisce invece al gruppo  Scream di cui Grohl aveva fatto parte prima di militare nei Nirvana. Così come il brano, il videoclip di Smells like  teen spirit ricevette un’accoglienza positiva da parte dei critici. L’album produsse inoltre altri tre singoli di successo: Come as You Are, Lithium, e In Bloom.

Smells like teen spirit è al nono posto nella lista dei 500 migliori brani musicali secondo Rolling Stone ed è stata coverizzata da numerosi artisti. Una delle prime cover fu quella di Tori Amos in Crucify del 1992, una delle più recenti quella di Miley Cyrus durante il Gypsy Heart Tour del 2011. L’ utilizzo di melodie pop, affiancate da sonorità aggressive, l’utilizzo della forma strofa-ritornello, la produzione di videoclip promozionali estremamente azzeccati sono alcuni fra i fattori che contribuirono al successo planetario di questo lavoro.

 Deborah Mega

Condividi:

  • Facebook
  • Twitter
  • WhatsApp

Mi piace:

Mi piace Caricamento...

RandoMusic 9: One

14 lunedì Mag 2018

Posted by Deborah Mega in Appunti musicali, MUSICA, RandoMusic

≈ Commenti disabilitati su RandoMusic 9: One

Tag

Deborah Mega, One, U2

L’aggettivo random usato nel linguaggio scientifico e tecnologico con il significato di casuale, privo di regolarità, senza un ordine preciso, ha fornito lo spunto per una nuova rubrica, questa volta musicale, che curerò due volte al mese di lunedì. Esistono  pezzi musicali a cui siamo particolarmente legati: alcuni sono diventati simbolo di una generazione, altri hanno generato e ispirato rivoluzioni e movimenti culturali riscrivendo regole, altri ancora sono divenuti strumenti di protesta riuscendo a smuovere coscienze. Li descriverò raccontando l’intreccio di musica e vita che li ha prodotti.

Continuiamo questo percorso con…

One è un singolo del gruppo musicale irlandese U2, il terzo estratto dall’album in studio Achtung Baby e fu pubblicato il 2 marzo 1992. Gli U2 sono un gruppo rock formatosi a Dublino nel 1976. Il gruppo è composto dal cantante Paul David Hewson, in arte Bono Vox, dal chitarrista David Howell Evans in arte The Edge, dal bassista Adam Clayton e dal batterista Larry Mullen Jr.  Durante la loro carriera hanno venduto oltre 170 milioni di dischi, hanno ricevuto il maggior numero di Grammy Award  e vinto 2 Golden Globe. Fin dagli esordi, gli U2 si sono occupati della questione irlandese e del rispetto dei diritti civili, improntando su questi temi buona parte della loro produzione artistica. Sono tra i pochi gruppi internazionali ad aver mantenuto la propria formazione originale.

 

Achtung Baby è il settimo album in studio del gruppo, pubblicato il 19 novembre 1991 dall’etichetta discografica Island Records. È stato inserito dalla rivista Rolling Stone al 62º posto tra i 500 migliori album di tutti i tempi. In occasione dell’anniversario dei vent’anni dall’uscita del disco fu realizzata un’edizione speciale. Continua a leggere →

Condividi:

  • Facebook
  • Twitter
  • WhatsApp

Mi piace:

Mi piace Caricamento...

RandoMusic 8: Bela Lugosi’s Dead

26 lunedì Mar 2018

Posted by Deborah Mega in Appunti musicali, MUSICA, RandoMusic

≈ Commenti disabilitati su RandoMusic 8: Bela Lugosi’s Dead

Tag

Bauhaus, Bela Lugosi’s Dead, Deborah Mega

L’aggettivo random usato nel linguaggio scientifico e tecnologico con il significato di casuale, privo di regolarità, senza un ordine preciso, ha fornito lo spunto per una nuova rubrica, questa volta musicale, che curerò due volte al mese di lunedì. Esistono  pezzi musicali a cui siamo particolarmente legati: alcuni sono diventati simbolo di una generazione, altri hanno generato e ispirato rivoluzioni e movimenti culturali riscrivendo regole, altri ancora sono divenuti strumenti di protesta riuscendo a smuovere coscienze. Li descriverò raccontando l’intreccio di musica e vita che li ha prodotti.

Continuiamo questo percorso con…

Bela Lugosi’s Dead è il primo singolo del gruppo britannico Bauhaus, pubblicato nell’agosto del 1979 dall’etichetta Small Wonder ed è forse il primo brano in assoluto a rappresentare il genere gotico. Dura poco più di 9 minuti ed è stato registrato “live in studio”, in una sola volta presso il Beck Studios di Wellingborough; David J, il bassista dei Bauhaus si è dichiarato autore del testo.

I Bauhaus sono un gruppo musicale punk/gothic rock britannico, formatosi a Northampton nel 1978. Inizialmente si chiamarono Bauhaus 1919, nome derivato dall’omonima scuola d’arte tedesca fondata, appunto, nel 1919. Dopo aver firmato un contratto nel 1979 con la 4AD, proseguirono con un altro singolo punk nel gennaio 1980 e iniziarono un tour europeo nel corso del quale sempre più pubblico affluiva ai loro concerti, resi teatrali dal carismatico leader Murphy.

Nel settembre del 1980 iniziò il loro primo tour negli Stati Uniti e venne pubblicato il singolo Telegram Sam, successivamente il loro primo album, In the Flat Field, che raggiunse la vetta delle classifiche indipendenti anche se non venne accolto molto bene dalla critica. Sia Kick in the Eye che The Passion of Lovers, tratti dal secondo album entrarono nella Top 60 inglese nel 1981. Nell’ottobre del 1981 i Bauhaus pubblicarono Mask, loro secondo album, che sperimentava nuove soluzioni musicali, senza però allontanarsi dalla matrice dark che li aveva sinora contraddistinti. L’album fu un successo, anche il 1982 fu un anno denso di successi per i Bauhaus. In marzo pubblicarono l’EP Searching for Satori, che raggiunse la posizione 45 delle classifiche. In estate pubblicarono un altro singolo dal titolo Spirit e quindi Lagartija Nick. Prima della realizzazione del terzo album, The Sky’s Gone Out, nel 1983 Peter Murphy fu colpito da polmonite, circostanza che lo allontanò dalle sessioni di registrazione del quarto album in studio, Burning from the Inside. Di conseguenza Daniel Ash e David J diedero all’album molti più contributi che in precedenza. Al rientro di Murphy, completamente ristabilito, il gruppo andò in tour in Giappone, per tornare subito nel Regno Unito per la promozione del nuovo LP. Nel luglio dello stesso anno la band, tuttavia, si sciolse improvvisamente, senza un dichiarato motivo. Dopo la separazione del 1983, Peter Murphy formò insieme a Mick Karn dei Japan i Dali’s Car. I due pubblicarono l’album The Waking Hour nel 1984, che risultò però fallimentare, e di comune accordo decisero quasi subito lo scioglimento della band. Peter Murphy proseguì quindi una carriera solista. Nel 1998, dopo quindici anni dalla separazione, i quattro decisero di riformare i Bauhaus. Iniziò così un tour nel quale presentarono due nuovi brani, Severance e The Dog’s a Vapour, il primo dei quali era una cover dei Dead Can Dance. Il gruppo comunque non produsse nuovo materiale, anche perché Peter Murphy continuava comunque la sua carriera solista. Solo nel 2008 i Bauhaus pubblicarono un nuovo album di inediti, dal titolo Go Away White, non seguito tuttavia da alcun tour promozionale. Le influenze dei Bauhaus includono punk rock, glam rock, rock art, musica sperimentale.

Il titolo Bela Lugosi’s Dead fa riferimento all’attore ungherese Bela Lugosi (1882-1956), che interpretò Dracula in vari film. La copertina del singolo raffigura un’immagine tratta dal film L’angoscia di Satana del 1926 diretto da David Wark Griffith. Sul retro della copertina è invece riportata un’immagine tratta dal film Il gabinetto del dottor Caligari del 1920 diretto da Robert Wiene. Bela Lugosi’s Dead finì sul grande schermo, infatti il film Miriam si sveglia a mezzanotte (The Hunger) si apre con una performance dei Bauhaus, che la suonano in un locale. Il testo della canzone descrive il funerale di Bela Lugosi come fosse la morte di un vampiro, con tanto di pipistrelli, un campanile, il velluto rosso di una bara nera, le spose virginali che sfilano accanto alla sua tomba e gettano fiori “morti”. La voce di Peter Murphy, tra una strofa e l’altra, ripete “Undead, undead, undead” (non-morto), per rappresentare l’immortalità del Vampiro da lui interpretato. La canzone diventa subito un successo nelle discoteche underground. Il singolo non entrò nella Pop Chart Britannica, ma rimase in vendita per anni e fu oggetto di almeno una ventina di reinterpretazioni tra cui una del 2013 realizzata dal bassista dei Bauhaus in occasione di Halloween. Durante le esibizioni live il cantante Peter Murphy era solito recitarne il testo indossando il caratteristico mantello di Dracula.

Bela Lugosi, nome d’arte di Béla Ferenc Dezső Blaskó era nato a Lugoj in Romania, dall’aggettivo in lingua ungherese della sua città natale prese il cognome d’arte che adottò durante la sua lunga carriera di attore. Partecipò alla prima guerra mondiale come tenente di fanteria,  dopo il conflitto, fondò il sindacato degli attori e studiò all’Accademia teatrale di Budapest. Successivamente si trasferì prima in Germania e poi negli Stati Uniti. Lì incontrò il personaggio della sua vita, quello del Conte Dracula, e lo interpretò per diversi anni nei teatri di Broadway e in compagnie da giro. Nel 1931, Lugosi venne scritturato dalla Universal Pictures (specializzata nel genere horror) per interpretare il personaggio di Dracula, nell’omonimo film diretto da Tod Browning. La pellicola ebbe un enorme successo, Lugosi si distinse per l’eleganza, lo sguardo ipnotico e l’ accento mitteleuropeo. Inizialmente scritturato per interpretare il mostro in Frankenstein di James Whale (1931), Lugosi abbandonò il film prima dell’inizio delle riprese, per divergenze artistiche con la produzione, lasciando il posto a Boris Karloff con il quale per anni ci fu un’accesa rivalità. Dopo aver interpretato sul grande schermo il ruolo di Dracula, l’attore divenne immediatamente un divo dell’horror e lavorò intensamente per tutti gli anni trenta. Durante la sua carriera americana Bela Lugosi si lasciò coinvolgere in moltissimi film del terrore, alcuni di ottima fattura altri più scadenti. Dopo la metà degli anni quaranta i ruoli disponibili si diradarono, e per Lugosi, diventato morfinomane, iniziò un rapido e triste declino. Negli anni cinquanta infatti , ormai snobbato dalla critica, la sua carriera si interruppe bruscamente. Afflitto da problemi di salute e trovandosi in difficoltà finanziarie, Lugosi accettò di apparire in tre pellicole del regista Edward D. Wood Jr., morì a Hollywood il 16 agosto 1956, per un attacco cardiaco, all’età di settantatré anni. Fu sepolto all’Holy Cross Cemetery, a Culver City con indosso il mantello di Dracula, secondo le volontà della moglie e del figlio. L’ultima delle tre pellicole dirette da Ed Wood, Plan 9 from Outer Space (1959), venne girata dopo la morte di Lugosi e contiene solo poche sequenze con l’attore protagonista. Le vicende dell’ultimo periodo della vita di Lugosi e la sua collaborazione con il regista Ed Wood sono narrate (in maniera romanzata) nel film biografico di Tim Burton Ed Wood(1994), in cui Lugosi è interpretato da Martin Landau, il quale vinse – per questo ruolo – il premio Oscar al miglior attore non protagonista.

Deborah Mega

 

Condividi:

  • Facebook
  • Twitter
  • WhatsApp

Mi piace:

Mi piace Caricamento...

RandoMusic 7: The Passenger

12 lunedì Feb 2018

Posted by Deborah Mega in Appunti musicali, MUSICA, RandoMusic

≈ Commenti disabilitati su RandoMusic 7: The Passenger

Tag

Deborah Mega, Iggy Pop, The Passenger

L’aggettivo random usato nel linguaggio scientifico e tecnologico con il significato di casuale, privo di regolarità, senza un ordine preciso, ha fornito lo spunto per una nuova rubrica, questa volta musicale, che curerò due volte al mese di lunedì. Esistono  pezzi musicali a cui siamo particolarmente legati: alcuni sono diventati simbolo di una generazione, altri hanno generato e ispirato rivoluzioni e movimenti culturali riscrivendo regole, altri ancora sono divenuti strumenti di protesta riuscendo a smuovere coscienze. Li descriverò raccontando l’intreccio di musica e vita che li ha prodotti.

Continuiamo questo percorso con…

The Passenger, un brano composto da Iggy Pop che ne ha scritto anche il testo e dal chitarrista Ricky Gardiner, interpretata dallo stesso Iggy Pop e pubblicata come quarta traccia nell’album del 1977, Lust for Life, il secondo album del cantante,  pubblicato il 29 agosto 1977 per l’etichetta discografica RCA Records.

Inizia con un riff di chitarra riconoscibilissimo, mentre nel ritornello, compare come seconda voce quella di David Bowie. Il brano, mai pubblicato come singolo, ha riscosso grande popolarità, tanto da essere riproposto da molti gruppi come la band inglese Siouxsie and the Banshees nell’album Through the Looking Glass del 1987 e i R.E.M. come b-side del singolo At My Most Beautiful del 1999. E’ stato utilizzato anche come colonna sonora di videogiochi, pubblicità, film come Radiofreccia e This Must Be the Place. 

Le sessioni di registrazione di Lust for Life si svolsero all’Hansa Studio by the Wall di Berlino ovest.  Con Bowie alla tastiera e ai cori, il gruppo includeva buona parte dei futuri Tin Machine. La foto di copertina era opera di Andy Kent. La prima traccia del disco, Lust for Life, ha riacquistato successo dopo essere stata utilizzata nel film Trainspotting del 1996.

Iggy Pop, pseudonimo di James Newell Osterberg Jr. è un cantante statunitense, una delle icone del punk rock, fin dai tempi della militanza giovanile negli Stooges, sebbene nel corso della sua carriera abbia sperimentato una vasta gamma di generi, dall’elettronica all’hard rock, dal blues al pop. Fece parte degli Iguanas come batterista tra il 1963 ed 1965 (da cui il suo soprannome “Iggy” da Iguana), dei Prime Movers e come cantante degli Psychedelic Stooges, in seguito solamente The Stooges. Molti considerano i loro tre album, “The Stooges” del 1968, “Fun house” del 1970 e “Raw Power” del 1973, l’abbecedario del rock duro. Lo stile di Iggy Pop iniziò a prendere forma dopo che ebbe assistito ad un’esibizione del cantante Jim Morrison, nel 1967 all’University of Michigan. Pop fu il primo performer a praticare lo stage diving, mettendo in pratica comportamenti estremi come rotolarsi su vetri rotti, automutilarsi, vomitare sul palcoscenico.

Poco tempo dopo, il gruppo si sciolse a causa della crescente dipendenza dall’eroina di Pop, che successivamente intraprese l’attività da solista. Nel 1971 la carriera di Iggy ricevette un forte impulso a ripartire dalla relazione con Bowie, quando il Duca Bianco decise nel 1972 di produrre un nuovo album degli Stooges in Inghilterra. Dal momento che né Pop né Bowie erano rimasti soddisfatti dei musicisti inglesi che si erano proposti, decisero di richiamare i fratelli Asheton dagli Stati Uniti. Il prodotto che ne venne fuori fu Raw Power, che però non riscosse alcun successo commerciale. Intanto i problemi di tossicodipendenza di Iggy persistevano: l’ultimo concerto degli Stooges si tramutò in una rissa generale.  La band si sciolse nuovamente. Incapace di controllare il suo abuso di droga, Pop si autoricoverò in un istituto di igiene mentale, David Bowie fu uno dei pochi amici a fargli visita in ospedale e nel 1976, lo portò con sé in tour. Bowie e Pop si trasferirono insieme a Berlino per cercare ognuno di superare le proprie dipendenze. Nel 1977 Iggy firmò un contratto con la RCA e, in un solo anno, realizzò due album travolgenti, “The Idiot” e “Lust for life”, due veri capolavori, nei quali Bowie guidò l’amico riuscendo a fargli incanalare l’energia verso la creatività, furono composti così brani come “ Fun time”, “Nightclubbing”,“Lust for life”, “The passenger”, “China Girl”.
Tra gli anni ottanta e novanta Iggy Pop è passato da un genere all’altro e ha collaborato con diverse band. Dal 2003 è tornato a cantare in una nuova formazione degli Stooges. Nel 2012 è uscito il suo 16º album solista Après, contenente cover in lingua francese.

Gli anni che seguono consolidano il mito, ancora oggi che ha compiuto settant’anni, è un performer straordinario, sulla scia di Elvis e Jim Morrison, modello per centinaia di cantanti rock, simbolo di un modo di intendere la musica come gusto di sorprendere, energia vitale, esplosione ed elettricità, follia, poesia e vita al limite che solo lui  incarna e sa mettere in scena.

Deborah Mega

Condividi:

  • Facebook
  • Twitter
  • WhatsApp

Mi piace:

Mi piace Caricamento...

RandoMusic 6: The End

22 lunedì Gen 2018

Posted by Deborah Mega in Appunti musicali, MUSICA, RandoMusic

≈ Commenti disabilitati su RandoMusic 6: The End

Tag

Deborah Mega, The Doors, The End

L’aggettivo random usato nel linguaggio scientifico e tecnologico con il significato di casuale, privo di regolarità, senza un ordine preciso, ha fornito lo spunto per una nuova rubrica, questa volta musicale, che curerò due volte al mese di lunedì. Esistono  pezzi musicali a cui siamo particolarmente legati: alcuni sono diventati simbolo di una generazione, altri hanno generato e ispirato rivoluzioni e movimenti culturali riscrivendo regole, altri ancora sono divenuti strumenti di protesta riuscendo a smuovere coscienze. Li descriverò raccontando l’intreccio di musica e vita che li ha prodotti.

Continuiamo questo percorso con…

The End è un brano musicale tra i più amati e intensi del gruppo rock statunitense The Doors. Nel corso delle esibizioni dal vivo, Jim Morrison improvvisava  e modificava strofe del testo fino a quando il pezzo fu registrato ai Sunset Sound Recording Studios di Los Angeles, nell’agosto del 1966 e pubblicato come brano conclusivo dell’album di debutto della band, The Doors, il 4 gennaio del 1967. Diverse sono le influenze letterarie presenti, William Blake, Edgar Allan Poe, Nathaniel Hawthorne, perfino Sofocle. Altre influenze derivavano da Carl Gustav Jung e da Friedrich Nietzsche.

Esistono diverse versioni di The End, l’originale è quella di più lunga durata, circa 11 minuti, proposta di seguito.

Tra frasi appena sussurrate e frammenti urlati, Jim Morrison, il Re Lucertola, descrive la fine sofferta e dolorosa di un amore, che può essere inteso anche come distacco da un’età felice, l’infanzia, più che da una persona. Il testo diventa poi visionario e ricco di enigmi. Vi si parla di deserto di dolore in cui perdersi, di bambini impazziti che aspettano la pioggia estiva, si esorta a percorrere le strade che portano verso ovest, una terra migliore. Compare poi il tema della sessualità introdotto e ribadito più volte dal verbo “cavalcare” e dall’immagine del serpente dalla pelle fredda, lungo sette miglia. Successivamente il riferimento al «The Blue Bus» può essere interpretato come quello che, negli Stati Uniti, i militari usavano per recarsi alle basi di addestramento durante la guerra del Vietnam, oppure si tratta di un nostalgico riferimento all’autobus di colore blu, che percorreva il tratto stradale in direzione della spiaggia di Venice a Los Angeles. Potrebbe simboleggiare anche il viaggio tra la vita e la morte, il mezzo che permetteva di oltrepassare le porte della percezione. Si giunge poi al momento culminante dove fu introdotta una celebre parte parlata, il crescendo strumentale sembra voler confondere la drammaticità e la follia dei versi:

-Padre?-

-Sì figliolo?-

-Voglio ucciderti-.

Si parla di un assassino che uccide la sorella, passa dalla stanza del fratello, poi vorrebbe uccidere il padre, e qui esplode il complesso di Edipo in tutta la sua drammaticità, per fare l’amore con la propria madre e tornare ad esistere. In questo punto la musica cresce d’intensità e diventa sempre più frenetica e travolgente. Quando Morrison frequentava la Florida State University, aveva collaborato ad una produzione dell’Edipo Re di Sofocle e probabilmente fu molto coinvolto dalla vicenda. Ray Manzarek, il tastierista dei Doors, affermò che Jim stava dando voce al complesso di Edipo, tema molto discusso dalla psicologia freudiana. Nelle esecuzioni dunque Morrison rappresentava la drammaturgia greca. The End si conclude con la ripresa testuale e musicale dell’incipit.

Il brano è stato utilizzato da Francis Ford Coppola come colonna sonora di Apocalypse Now per la sua intensa drammaticità. Coppola aveva conosciuto personalmente Jim Morrison e apprezzava molto il pezzo in questione che inoltre conteneva diversi riferimenti alla guerra imposta dall’America. Non dimentichiamo che verso la fine degli anni Sessanta, negli Stati Uniti, l’opposizione all’intervento nella guerra in Vietnam era all’apice. I Doors divennero esponenti di quel movimento antimilitarista per la loro immagine ribelle, contestatrice e trasgressiva, nonostante Jim fosse figlio di un ammiraglio della Marina Militare statunitense. Jim romperà ogni rapporto con la propria famiglia nei primi anni ’60 arrivando a definirsi “orfano”, e dopo aver urlato la celebre “invettiva edipica”, contenuta proprio in questo brano.

Deborah Mega

Condividi:

  • Facebook
  • Twitter
  • WhatsApp

Mi piace:

Mi piace Caricamento...

RandoMusic 5: London Calling

27 lunedì Nov 2017

Posted by Deborah Mega in Appunti musicali, MUSICA, RandoMusic

≈ Commenti disabilitati su RandoMusic 5: London Calling

Tag

Deborah Mega, London Calling, The Clash

L’aggettivo random usato nel linguaggio scientifico e tecnologico con il significato di casuale, privo di regolarità, senza un ordine preciso, ha fornito lo spunto per una nuova rubrica, questa volta musicale, che curerò due volte al mese di lunedì. Esistono  pezzi musicali a cui siamo particolarmente legati: alcuni sono diventati simbolo di una generazione, altri hanno generato e ispirato rivoluzioni e movimenti culturali riscrivendo regole, altri ancora sono divenuti strumenti di protesta riuscendo a smuovere coscienze. Li descriverò raccontando l’intreccio di musica e vita che li ha prodotti.

Continuiamo questo percorso con…

London Calling è un album doppio dei The Clash, pubblicato nel dicembre 1979 e considerato da Rolling Stone come il miglior album degli anni ottanta, fu infatti l’album della consacrazione che permise ai Clash di approdare negli Stati Uniti. Il produttore fu Guy Stevens, grande talento del R&B. Il titolo di London Calling evoca la frase pronunciata dall’annunciatore radiofonico statunitense Edward R. Murrow durante la seconda guerra mondiale. La copertina, con il riferimento all’esordio di Elvis Presley, presenta la stessa grafica: si tratta di una foto in bianco e nero scattata da Pennie Smith, fotografa al seguito dei Clash, durante un’esibizione live al Palladium di New York, il 21 settembre 1979. Mentre però Elvis canta imbracciando la propria chitarra, l’altra invece, ritrae il bassista dei Clash, Paul Simonon, nell’atto di infrangere il basso al suolo con rabbia.  L’immagine volle essere un omaggio a Presley, con cui i Clash vollero compararsi per la temerarietà delle scelte musicali e per indicare il loro riavvicinamento al rock.

Il contrasto vuole evidenziare anche il rapporto di odio/amore dei Clash nei confronti degli USA e lo scontro generazionale, su cui si fondava il punk. L’album è una pietra miliare: oltre al punk presentava brani rockabilly, il reggae e il movimento ska britannico. Eppure, l’intento citazionista comporta anche il recupero del proprio passato ideale. I primi lavori per l’album iniziarono dopo il tour negli Stati Uniti al Vanilla, uno studio prove di Londra, in un’atmosfera intensa ed esaltante. Il procedimento seguito per registrare il disco fu particolarmente complesso. Prima il gruppo eseguiva una canzone come per un’esibizione live; di queste registrazioni venivano mantenute principalmente la batteria e la chitarra ritmica, poi Jones creava la parte delle chitarre e Simonon registrava il basso. In seguito venivano aggiunti percussioni, chitarre acustiche, pianoforti e fiati. Nel disco vennero registrati anche numerosi effetti sonori, come in London Calling, dove è presente il grido di un gabbiano; i musicisti strappavano il velcro dalle sedie dello studio o percuotevano le tubature del bagno per registrare il rumore prodotto. Subito dopo l’uscita dell’album si percepì il tramonto del movimento punk “storico”, quello prodotto dai gruppi inglesi come i Sex Pistols, che l’avevano alimentato e supportato, negli Usa invece cominciava ad esplodere il punk-rock.

Dei diciannove  brani che compongono l’album, nemmeno uno di essi può essere più definito “punk”, secondo l’accezione stereotipata del termine eppure London Calling è il prodotto migliore del punk britannico. Per la seconda volta, dopo aver firmato per la Cbs nel 1977, i Clash si trovarono a compiere una scelta decisiva che sarebbe stata accolta come un tradimento dai fan più nostalgici ma che sarebbe stata pienamente ricompensata dal meritato successo di pubblico e critica e giustificata dalla sua longevità e dalla sua modernità. Avrebbero esercitato la loro influenza su molti gruppi che andavano formandosi in quegli anni, come gli U2. A dispetto dell’ostilità ricevuta da parte dei punk più oltranzisti la formazione non dimenticò mai le proprie origini e non perse il contatto con il pubblico: significativa, infatti anche la scelta di vendere il doppio Lp al prezzo di un album normale. La coppia Strummer-Jones regalava alcuni tra i migliori brani della carriera dei Clash: Joe Strummer viveva un periodo di grande ispirazione poetica, mentre Mick Jones si dimostrava un compositore eccellente con una maniacale cura degli arrangiamenti, oltre ad avere una voce perfettamente intercambiabile con Strummer. I brani militanti erano quelli affidati alla voce di Joe, i momenti “privati” e intimistici, invece, a quella più cristallina di Mick. Per il gruppo fu rilevante anche la presenza del batterista jazz Topper Headon, di grande inventiva e creatività. Nell’album si ampliava anche il numero di strumenti utilizzati, fiati, pianoforte, percussioni. L’altra caratteristica vincente fu la grande varietà di timbri, ritmi, generi, influenze. Fin dagli esordi i Clash avevano dimostrato una vocazione sincera per il reggae, tanto da essere citati da Bob Marley in  Punky Reggae Party, ma anche per il punk e per il rock. A questo si affiancava il recupero del rock’n’roll e di una vasta gamma di altri generi che sembrano fondersi dimostrando di avere radici comuni.  Una simile versatilità nel rock inglese la si può ritrovare solo nei Beatles. Così si passa dal rock di London Calling o di Death Or Glory, al rock’n’roll di Brand New Cadillac, dal reggae di Revolution Rock al jazz di  Jimmy Jazz e allo ska di Wrong’Em Boyo o di Rudie Can’t Fail, dal pop di Lost In The Supermarket al latino-americano di Spanish Bombs. In relazione ai temi, quelli sociali sono presenti in tutto il disco: la ballata acustica Spanish Bombs rievoca la guerra civile spagnola; in The Guns of Brixton si descrive la situazione degli immigrati neri del quartiere popolare londinese; Clampdown ricorda i crimini nazisti e critica il sistema capitalista; Koka Kola descrive spietatamente la realtà americana; The Right Profile è dedicata alla memoria dell’attore Montgomery Clift, infine Revolution Rock è il vero manifesto politico della band. Nel brano che dà il titolo all’album si annuncia che  la guerra è decisa e inizia la battaglia ma si invitano gli ascoltatori a non aspettarsi vie di salvezza e indicazioni dai Clash e ad intraprendere la lotta senza guardare costantemente a Londra. Solo il  progressive-rock non trova posto nell’album proprio perché London Calling rivelava un rinnovato interesse per le origini e per le radici storiche del rock. Ed era questa la novità e la chiave di un successo planetario. Con oltre due milioni di copie vendute nel mondo, l’album infatti è stato disco di platino e disco d’oro negli Stati Uniti, oltre che disco d’oro e d’argento nel Regno Unito.

Deborah Mega

Condividi:

  • Facebook
  • Twitter
  • WhatsApp

Mi piace:

Mi piace Caricamento...

RandoMusic 4: Thunderstruck

06 lunedì Nov 2017

Posted by Deborah Mega in Appunti musicali, MUSICA, RandoMusic

≈ Commenti disabilitati su RandoMusic 4: Thunderstruck

Tag

2Cellos, AC/DC, Deborah Mega, Thunderstruck

L’aggettivo random usato nel linguaggio scientifico e tecnologico con il significato di casuale, privo di regolarità, senza un ordine preciso, ha fornito lo spunto per una nuova rubrica, questa volta musicale, che curerò due volte al mese di lunedì. Esistono  pezzi musicali a cui siamo particolarmente legati: alcuni sono diventati simbolo di una generazione, altri hanno generato e ispirato rivoluzioni e movimenti culturali riscrivendo regole, altri ancora sono divenuti strumenti di protesta riuscendo a smuovere coscienze. Li descriverò raccontando l’intreccio di musica e vita che li ha prodotti.

Continuiamo questo percorso con…

Thunderstruck, uno dei singoli più noti della band australiana hard rock  AC/DC, formatasi a Sydney nel 1973. La famiglia Young, di cui fanno parte i due chitarristi che fondarono la band, Angus Young e Malcolm Young, di origine scozzese, si dovette trasferire in Australia per motivi economici. Alla fine del 1973 i due fratelli Young decisero di collaborare in un gruppo e così, il 31 dicembre 1973, nacquero gli AC/DC. Il nome era stato scelto dalla sorella maggiore, che aveva letto la scritta AC/DC (Alternate Current/Direct Current) ossia corrente alternata/corrente continua su un elettrodomestico e la trovò adatta ad esprimere la potenza e il dinamismo del gruppo.

Il brano è tratto dall’album The Razors Edge, registrato a Vancouver in Canada, nel 1990, che segnò la ripresa commerciale degli AC/DC dopo alcuni lavori freddamente accolti dal pubblico, ottenendo anche il disco di platino. Il brano è stato composto da Angus Young e Malcolm Young. È stato suonato in tutti i Live degli AC/DC successivi all’uscita dell’album, spesso come introduzione. Il brano si sviluppa attorno a un riff di chitarra elettrica molto veloce, che non è suonato da Angus con una sola mano, contrariamente a quanto si dice in giro.

Nel video della canzone, caratterizzato dalle riprese in grandangolo del pubblico in delirio, la band suona dal vivo alla Brixton Academy di Londra mentre Angus, che indossa un’uniforme da scolaretto, esegue la Duck Walk, un passo di danza inventato da Chuck Berry nel 1956. Il brano raggiunse la prima posizione in Finlandia e attualmente viene usato come sottofondo musicale di diverse competizioni sportive come il Gran Premio di Formula 1 e  nella colonna sonora del film di Iron Man 2. La voce è quella di Brian Johnson, che restò nel gruppo fino al 2016, quando fu sostituito per problemi di udito. Recentemente un gruppo di ricercatori della University of South Australia ha rivelato che ascoltare musica rock a tutto volume durante i trattamenti di chemioterapia possa migliorare l’assorbimento dei farmaci. E la canzone scelta per portare avanti questa ricerca è stata proprio Thundestruck degli AC/DC.

Sebbene il gruppo sia considerato universalmente come australiano, quasi tutti i suoi membri sono nativi britannici. Gli AC/DC sono tra i gruppi di maggior successo nella storia del rock: i loro album hanno venduto oltre 200 milioni di copie nel mondo..

Oltre al video ufficiale di Thunderstruck, vi proponiamo l’ascolto e la visione dell’arrangiamento creato da I 2Cellos, un duo di violoncellisti croato/sloveno formatosi nel 2011 e composto da Luka Šulić e Stjepan Hauser.

Deborah Mega

Condividi:

  • Facebook
  • Twitter
  • WhatsApp

Mi piace:

Mi piace Caricamento...

RandoMusic 3: The House of the Rising Sun

16 lunedì Ott 2017

Posted by Deborah Mega in Appunti musicali, MUSICA, RandoMusic

≈ 1 Commento

Tag

Deborah Mega, The Animals, The House of the Rising Sun

L’aggettivo random usato nel linguaggio scientifico e tecnologico con il significato di casuale, privo di regolarità, senza un ordine preciso, ha fornito lo spunto per una nuova rubrica, questa volta musicale, che curerò due volte al mese di lunedì. Esistono  pezzi musicali a cui siamo particolarmente legati: alcuni sono diventati simbolo di una generazione, altri hanno generato e ispirato rivoluzioni e movimenti culturali riscrivendo regole, altri ancora sono divenuti strumenti di protesta riuscendo a smuovere coscienze. Li descriverò raccontando l’intreccio di musica e vita che li ha prodotti.

Continuiamo questo percorso con…

The House of the Rising Sun è una canzone folk statunitense che risale alla prima metà dell’Ottocento. Non si sa chi sia stato il compositore ma è stato un brano molto coverizzato. L’arrangiamento del gruppo inglese The Animals, nel 1964, è considerato il più famoso ed è stato il numero uno in classifica negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Svezia, Finlandia e Canada. Per la sua struggente melodia il brano divenne uno dei più amati dai soldati americani impegnati sul fronte del Vietnam.

L’etnomusicologo Alan Lomax, autore nel 1941 della raccolta di canzoni Our Singing Country, scriveva che la melodia era stata tratta da una ballata tradizionale inglese del Seicento, probabilmente Matty Groves, mentre il testo era stato scritto da Georgia Turner e Bert Martin, una coppia di abitanti del Kentucky. La prima incisione del brano probabilmente è quella del 1934 eseguita da Clarence “Tom” Ashley; di una precedente versione su 78 giri, risalente al 1928, da parte di Alger “Texas” Alexander, non sono mai state rinvenute le tracce. L’espressione “House of the Rising Sun” (Casa del sole nascente) indicava una casa chiusa realmente esistita e situata a New Orleans nel quartiere Storyville, detto anche The District, al n.1614 di Esplanade Avenue, presieduta da una maîtresse chiamata Marianne Le Soleil Levant, da cui la denominazione della casa, che fu abbattuta nel 2007. Del testo esistono due diverse versioni: quella maschile parla di un ragazzo pentito di aver trascorso la sua vita nel peccato frequentando la “Casa del sole nascente”; quella femminile invece parla di una ragazza pentita di essere entrata nel giro della prostituzione presso la stessa casa.

In Italia Riki Maiocchi, fondatore del complesso dei Camaleonti, incise anche un’altra versione del brano dal titolo Non dite a mia madre,  che venne censurata perché si riteneva che istigasse al suicidio. In realtà il testo descriveva la vicenda di un prigioniero nel braccio della morte, in attesa che venisse eseguita la condanna.

Il brano è introdotto da un arpeggio di chitarra elettrica in La minore che sembra scolpito nella roccia, tanto è granitico. La voce intensa di Eric Burdon introduce il cantato, poi Alan Price anima l’organo Vox che insieme alla chitarra di Hilton Valentine diviene sempre più travolgente fino all’assolo conclusivo. È l’arrangiamento definitivo, quello che resterà per sempre nella storia.

Deborah Mega

 

 

There is a house in New Orleans
They call the Rising Sun
And it’s been the ruin of many a poor boy
And God I know I’m one

My mother was a tailor
Sewed my new blue jeans
My father was gamblin’ man
Down in New Orleans

Now the only thing a gambler needs
Is a suitcase and a trunk
And the only time he’ll be satisfied
Is when he’s all a-drunk

Oh mother, tell your children
Not to do what I have done
Spend your lives in sin and misery
In the House of the Rising Sun

Well I’ve got one foot on the platform
The other foot on the train
I’m going back to New Orleans
To wear that ball and chain

Well there is a house in New Orleans
They call the Rising Sun
And it’s been the ruin of many a poor boy
And God I know I’m one

Condividi:

  • Facebook
  • Twitter
  • WhatsApp

Mi piace:

Mi piace Caricamento...

RandoMusic 2: Wish You Were Here

25 lunedì Set 2017

Posted by Deborah Mega in Appunti musicali, MUSICA, RandoMusic

≈ Commenti disabilitati su RandoMusic 2: Wish You Were Here

Tag

Deborah Mega, Pink Floyd, Wish You Were Here

L’aggettivo random usato nel linguaggio scientifico e tecnologico con il significato di casuale, privo di regolarità, senza un ordine preciso, ha fornito lo spunto per una nuova rubrica, questa volta musicale, che curerò due volte al mese di lunedì. Esistono  pezzi musicali a cui siamo particolarmente legati: alcuni sono diventati simbolo di una generazione, altri hanno generato e ispirato rivoluzioni e movimenti culturali riscrivendo regole, altri ancora sono divenuti strumenti di protesta riuscendo a smuovere coscienze. Li descriverò raccontando l’intreccio di musica e vita che li ha prodotti.

Continuiamo questo percorso con…

 

Wish You Were Here è tratto dall’album omonimo, nono album del gruppo progressive rock inglese Pink Floyd. Pubblicato nel 1975 dalla Harvest/EMI in Europa e dalla Columbia/Sony nel resto del mondo, fu ispirato dal materiale raccolto durante le varie esibizioni e registrato agli Abbey Road Studios di Londra. L’album fu acclamato dalla critica ed è posizionato al duecentoundicesimo posto della lista “The 500 Greatest Albums of All Time” pubblicata dalla rivista musicale Rolling Stone.   E’ il disco preferito anche dai componenti della band Richard Wright e David Gilmour. Continua a leggere →

Condividi:

  • Facebook
  • Twitter
  • WhatsApp

Mi piace:

Mi piace Caricamento...

RandoMusic 1: Heard It Through the Grapevine

04 lunedì Set 2017

Posted by Deborah Mega in Appunti musicali, MUSICA, RandoMusic

≈ Commenti disabilitati su RandoMusic 1: Heard It Through the Grapevine

Tag

Creedence Clearwater Revival, Deborah Mega, Marvin Gaye

L’aggettivo random usato nel linguaggio scientifico e tecnologico con il significato di casuale, privo di regolarità, senza un ordine preciso, ha fornito lo spunto per una nuova rubrica, questa volta musicale, che curerò due volte al mese di lunedì. Esistono pezzi musicali a cui siamo particolarmente legati: alcuni sono diventati simbolo di una generazione, altri hanno generato e ispirato rivoluzioni e movimenti culturali riscrivendo regole, altri ancora sono divenuti strumenti di protesta riuscendo a smuovere coscienze. Li descriverò raccontando l’intreccio di musica e vita che li ha prodotti.

Cominciamo questo percorso con…

Heard It Through the Grapevine (Mi è giunta voce o anche tramite voci di corridoio) è un classico della black music scritto da Norman Whitfield e Barrett Strong nel 1966, portato al successo da Marvin Gaye nel 1968.

La prima registrazione della canzone avvenne con il gruppo The Miracles nell’agosto del 1966, ma non fu pubblicata dal produttore Berry Gordy. La seconda versione invece fu registrata da Marvin Gaye nel febbraio 1967, ma non fu pubblicata. La terza registrazione avvenne sempre nel 1967 e fu realizzata dal gruppo Gladys Knight and the Pips e finalmente pubblicata. 

Marvin Gaye pubblicò la sua versione a cappella nel 1968 nell’album In the Groove. Il produttore Berry Gordy, accettò di pubblicarlo come singolo il 30 ottobre 1968; un paio di mesi dopo il brano riuscì a raggiungere la prima posizione nel Regno Unito, rimanendo in vetta alla classifica per sette settimane. Il brano costituì il singolo più venduto nella storia della Motown, con quattro milioni di copie vendute. La Motown Records era un’etichetta discografica nata nel 1959 a Detroit, nel Michigan e poi trasferita a Los Angeles nel 1972.  Negli anni sessanta il settore Rhythm and blues e Soul furono così famosi da coniare il termine di Motown Sound, uno stile di musica soul con tratti distintivi, quali l’uso del basso, particolari strutture melodiche e arrangiamenti. L’unico gruppo musicale italiano ad essere stato prodotto dalla Motown Records fu la band Libra, nata nel 1974, di cui la Motown pubblicò due album con testi in inglese. Nel 2004 la rivista Rolling Stone posizionò il brano all’80º posto nella classifica delle 500 canzoni migliori.

Nel 1970 i Creedence Clearwater Revival, vera e propria istituzione del rock americano, nell’ album Cosmo’s Factory, considerato unanimemente il loro capolavoro, registrarono una loro versione del brano della eccezionale durata di 11 minuti. In questi anni il rock diventa psichedelico ma i CCR compiono un viaggio a ritroso nel tempo.

Deborah Mega

 

Condividi:

  • Facebook
  • Twitter
  • WhatsApp

Mi piace:

Mi piace Caricamento...

Prisma lirico 6: Francesco Tontoli – Emanuele Dello Strologo

14 mercoledì Giu 2017

Posted by Loredana Semantica in ARTI VISIVE, Fotografia, Il colore e le forme, MUSICA, Prisma lirico, Proposte musicali

≈ Commenti disabilitati su Prisma lirico 6: Francesco Tontoli – Emanuele Dello Strologo

Tag

Emanuele Dello Strologo, Fotografia, Francesco Tontoli, poesia contemporanea

Nell’ambito della rubrica  Prisma lirico, oggi presentiamo “Neo nati” una poesia di Francesco Tontoli, la fotografia di Emanuele Dello Strologo. In calce link e/o una breve biografia degli autori.

19075318_1775824289099976_398130573_n
Ai Neo nati

Eoni fa non eravate che idee
e or ora creati ancora impastati
di fango e di sangue
il vostro legame col sole
si spezza coi denti
e vi soffia quel fiato

sappiate che siete stati invissuti
che foste bevuti in un sorso di luna
che eravate la piuma che non si riposa
che assomigliavate a quei punti di stelle
che si congiungono a formare creature
più come cose sognate simili a dubbi
che vengono a chi si rivolta nel sonno

eravate i mille pensieri senza essere nati
col senno di poi i punti del corpo toccati
e benedetti da un rapido segno di croce
eravate nelle gambe di chi corre incontro all’amore
sulle dita di chi chiude gli occhi ad un morto
sostavate dentro una barca prima di prendere il mare
nelle mani del vento che gonfia lenzuoli e paure

e qualcuno di voi è rimasto un’idea
e qualcuno di voi senza verbo che incarna
ha salutato da un posto imperfetto i due sposi
come in un tempo infinito non coniugato
quel gemello che guarda e che cuce
la candida tela, il pezzo di stoffa del mondo
camicia che protegge da futura paura di vita.

testo di Francesco Tontoli

fotografia di Emanuele Dello Strologo 

Emanuele Dello Strologo, nato a Genova il 30 novembre 1969, si occupa da anni di fotografia, che, scoperta quasi per caso, è diventata la passione/professione che assorbe tutto il suo tempo.  Attraverso le immagini manifesta attenzione per le persone e la loro vita, raccontando di storie umane, quotidianità e vissuto, fissando nei propri scatti volti, momenti,  scenari, situazioni che resterebbero altrimenti sconosciuti, trascorrendo nell’indifferenza del mondo.  Specializzato in reportage e ritrattistica, collabora con Agenzie fotografiche di livello nazionale e internazionale quali Corbis e Getty Images, proponendo lavori fotografici sui temi di maggior interesse sociale.

Condividi:

  • Facebook
  • Twitter
  • WhatsApp

Mi piace:

Mi piace Caricamento...

Fiori di primavera

17 lunedì Apr 2017

Posted by LiminaMundi in Eventi e segnalazioni, LETTERATURA E POESIA, SINE LIMINE

≈ Commenti disabilitati su Fiori di primavera

Il 21 marzo di quest’anno il blog Liminamundi ha compiuto un anno di attività. Per festeggiare, a partire dal 21 marzo scorso e fino a ieri, giorno di Pasqua, abbiamo invitato poeti e non poeti ad inviare una poesia sui temi della rinascita, primavera, risveglio, natura, Pasqua. Una festa di primavera e di poesia.
Hanno partecipato: Liliana Zinetti, Clara Chiariello, Pier Franco Uliana, Silvia Rosa, Marisa Guagliardito, Maria Allo, Federico Preziosi, Leopoldo Attolico, Giovanni Baldaccini, Emma Istrini, Daìta Martinez, Loredana Semantica, Deborah Mega, Francesco Tontoli, Rita Pacilio, Francesco Palmieri, che ringraziamo di cuore per essere stati con noi con questi fiori di primavera. L’immagine della rosa che funge da divisorio tra le poesie è una creazione di Maria Rita Orlando.

Di regola tutte le poesie sulla primavera vengono automaticamente cestinate. Questo tema ha cessato di esistere in poesia, Nella vita ovviamente continua a esistere. Ma si tratta di due faccende diverse. (Szymborska, Posta letteraria, Scheiwiller 2002)

Chi ha visto primavera? Era la poesia
ancora da scrivere, un suono di nuvole,
il foglio dove il vento
tra soffi di anemoni si sarebbe posato

L’hanno vista, dicono, i bambini
che sono stati bambini nei cortili,
l’hanno vista in tutti gli azzurri
e nei verdi dell’erba cantare.

Ho perso la primavera.
È andata con la luce dei prati
e le corse dei bambini.

Guardavo le case, gli alberi
stretti, in un silenzio di cose
finite molto prima di adesso:

l’acqua senza le ninfee di Monet
i fiori di bosco che il babbo
più non porterà alla mamma.

Mi fermavo davanti al bianco delle betulle
che mangiava la luce
e alla riga scura della pioggia
che fa triste la poesia e i giorni.
E mi pareva un assurdo scherzo la vita,
come chi dice ridendo vado via
e scompare per sempre.

da Nel solo ordine riconosciuto, Gianfranco Fabbri editore

Liliana Zinetti

Cambiare

Il vagito della primavera
ha portato via il mantello del gelo.
Gli animali cambiano
piumaggio,
pelle,
manto.
Gli alberi
colore,
fogliame,
frutti.
E io?
Io posso cambiare
aria alla casa,
coperte al letto,
abbigliamento,
colore e taglio dei capelli
e poi …
Il mondo
si chiude sempre a ombrello.
Il rumore
di ieri è sempre vita di un giorno.
Un giro di anime
segna sempre un vissuto.
Il tempo
nasce età
e muore sempre in eterno.
I ricordi
riposti sempre in stanze chiuse
con muri senza finestre.
I rancori
s’imprigionano in scrigni
in fondo al mare
ma emergono sempre
dal fango melmoso.
Sempre!
Sempre!
Sempre!
Ho capito.
Devo cambiare
sole,
pelle,
viso.
Essere amore.
Un amore
che ti fa odorare
la pelle del tuo uomo.
Il suo profumo di maschio.
Ti togli la maschera.
Ti presenti nuda nell’anima.
Vestita con le tue fragilità.
Un segreto …
Non murarti dentro
con l’ultimo respiro
devi  …  cambiare!

Clara Chiariello

Vèrta in Canséi*

A pas lidier la va la cerva piena
incontra a l’orìvo ndove i saléz
i met i primi but, la bat al trói
de la nef de la vèrta, ognequaltrato
la trà, squasi a assar indrìo la mòrt
che la ghe mòrz le cadìce, al so vèrs
l’é ’n reciamo che ’l sgorla in cao al bosch
al costà dei faghèr, na ora la val
n’altra stajon intiera, na nassesta
che la fà del futur tut al presente,
la se met prèssa, al so òcio l’é ’n mondo
che ’l sogna na ciarèla che la sìe
cesura de erba, co ’n ùltemo sfòrz
la salta ’l fil spinà, vers un tenp novo.

Primavera in Cansiglio

A passo leggero la cerva gravida va / incontro al limitare (del bosco) dove i salici / mettono i primi germogli, batte il sentiero / della neve primaverile, ogni tanto / scalcia, quasi a lasciare indietro la morte / che le morde le caviglie, il suo bramito / è un richiamo che scuote in fondo al bosco / il costato dei faggi, un’ora vale / un’altra stagione intera, una nascita / che fa del futuro tutto il presente, / si mette fretta, il suo occhio è un mondo / che sogna una radura che sia / recinto d’erba, con un ultimo sforzo / salta il filo spinato, verso un tempo nuovo.

* Dialetto veneto della Foresta del Cansiglio

Pier Franco Uliana 

Primavera altra

Il giovane corpo d’albero robusto, folto
i capelli abitati da corvi dentro a un nido
di ricci: quanto tempo è passato? mi chiedo,
da quando eri un cucciolo magro, petulante,
con parole gracili invece che mani irrequiete,
quelle che adesso tieni sui fianchi della tua sposa,
giovinezza accecante che invidio – un bocciolo –,
per la prima volta vedo il segno delle stagioni
sul volto degli altri, mi accorgo di essere oltre
gli anni di polpa rossa da mordere, sono il frutto
per terra, ora, e osservo i fiori crescere altrove,
la mia primavera è una pallida offerta a un sole
indifferente, sono io adesso la donna che
non vale la pena. Meno male, mi dico,
da questa altezza non ho più le vertigini,
lascio a te e alla tua bella il vertice da cui
all’improvviso, inevitabile, arriva la resa,
la china dei giorni. Dopo è solo questione
di ombre da imparare a memoria,
da non avere paura di niente.

Silvia Rosa

maiuscole di vita

dove sporgono le rapide del sogno
come visioni su rasoi di luce
dove guardano i bambini che scoprono
in un gambo di prato
maiuscole di vita
nel piccolo largo delle loro mani

in fondo al bianco delle scale sole
le voci
i bambini che pedalano l’aria
e il pasto del cielo che vola
è musica il suono di piccole mani
il giallo a stento delle loro ali
è un passo largo tra gli spigoli delle ombre
l’odore è buono
una stanza di pane e di domenica
l’azzurro del bucato

Marisa Guagliardito 

Stamane, all’improvviso …

C’è un silenzio antico nelle cose
sui crinali dei colli nei limoneti
in fondo alle valli intrecciate di ortiche
grovigli di rami disseminati
erbe aromatiche finocchi selvatici
menta e rucola.
C’è un silenzio antico nelle cose
aspetta da sempre,  sorregge radici di ulivi
nidifica nel forno sconnesso…
Tendo l’orecchio a inseguire voci
che invadono segni  consonanze
di parole lievi librate nelle crepe
dei muri sconnessi tra ciottoli e spini
dietro ogni siepe.
C’è un silenzio antico nelle cose
estenuato da parole di sempre
in ogni angolo della vecchia casa
nella speranza che tende la mano.
Inseguo tenacemente l’azzurro
con occhi spalancati
ma respirare cieli è un’altra cosa
E c’è un silenzio dentro le parole
che rimbalza distrattamente
mai al tempo giusto muto nel dolore
un silenzio non ancora sfiorato
da venti lievi come le mie ciglia,
c’è un silenzio che nessuna parola
può penetrare senza fiatare
con mille nodi i suoni
ne infittiscono gli echi
segnati da erba calpestata
e rami che annaspano
al fruscio dei pioppi ansimanti.
Ma poi senti l’acqua del torrente
borbottare prima piano
poi sempre più incessante
parole e parole
c’è silenzio nel nido
di quei passerotti implumi
c’è silenzio nel buio che trasmigra certezze
nel rumore incessante dei dubbi
nelle pagine bianche nei luoghi di frontiera
in questo tempo che se ne va
c’è  silenzio anche nel fuoco
che divampa e zampilla
empiti di poesia arde seguendo tracce
di odori suoni e colori…
Ma non ti ho detto che  la pietà
ha grosse ali di viva carne e linfa nuova
a foglia di mandorlo
come segreto albero radicato nell’aria
impastato di lava e  comprensione  radiosa
nelle braccia gigantesche di perdono.
Cresce stamane all’improvviso  l’universo
tra solchi e semi come ininterrotti fiori
nel vorticare di memorie salde a questa terra.
Lentamente  torna  più calda
la fragranza  di essenze mutevoli
ma immortali lungo questo fiume.
Persefone s’imperla come il suono
di ogni voce in un ciliegio.

Maria Allo

Prima Vera

La bella stagione zufola Zefiro
pollini ed erba, tutto sospeso
lo scoppio del canto
la coltre del chiaro discanto
dischiuso il sereno passeggia
con la pace benigna
in un ciondolo al seno
falene di notti ancora insonni
affanno di brame contuse
al cuscino d’incudine e cotone sogno
e rapace possesso
notturno cinereo infetto
domani il sole nuovo
scaccerà altre nubi
evaporando inutili scuse
sul prato in cui rinasco
ingoiando foglie secche
per poi ritornare verde

Federico Preziosi

 

 Primavera a Piazza di Spagna

Passioncella canuta, mio fiore nero (ti sei tinta?)
chi (cosa) ti alimenta
ti accudisce e ti accredita
oltre la circostanza di un sorriso?

Maggio è tornato.
Alla mattina dipinta dai suoi colori forti
sottentra una controra di smog che non lo onora…

Tu rovesci in questo cielo
la tua vecchia cartolina in bianco e nero
e dribblando il nepente del benzene
mi fai subito planare
in un terso mattinale annicinquanta.

Da “Siamo alle solite”, Fermenti Editrice, 2001

Leopoldo Attolico

 

  

I giorni dell’acqua e delle rose

I giorni dell’acqua e delle rose
quando la prima pioggia sa di vino
e il tuo stelo è un istante
se ti amo.

 Giovanni Baldaccini

 

  

(Primavera)

fa carezza, dove Amore ha scordato la viola nei silenzi
le nascono fiori fragranze distribuite ai vari sensi
quando la Vita sospende nei fuori corso
c’era una volta e c’è
la scultrice del sogno che non perde la musa
di bellezza senza dannazione
nell’anima in lirica..
non osa morire, non osa il dolore
non ama dice…
e s’ inganna nel continuo

©Emmaistrini

l’attesa leggera  il tonfo
dondolìo  d’un immenso
istante dal vento scende

sai d’acqua a maggio  le
ciglia  di bianco silenzio
la mano quasi un odore

il girotondo accucciato i
tuoi gesti  nel soave dire
fammi di niente  domani

la casa  la margherita di
un bambino e il sole giù
dal tetto al mio petto un

saremo nudità anteriore
andando e stando inizio
nel cavo come arreso di

una mora addormentata
e d’innocenza accesa la
vertigine così all’infinito

s’è fiorita al nido la ferita
dall’alba bagna doralisa                                                                            

( daìta martinez, 2017 )

Non si pente l’incedere
di sempre si ripete
uguale nei secoli
mantiene la promessa
atavica alla vita
tornerò nella cadenza della terra
tornerò eterna nel tempo
più d’ogni virgulto
d’ogni vagito avrò le vene
mosse dall’impulso
che segue il germoglio
il piacere del gemizio
che spreme linfa agli atomi
alle cellule ai versi di tutti
gli animali allo sbocciare
d’inni e magnificat
al vortice di pollini
di odori a tutta questa
grazia pompata nei polmoni
d’api di chimica d’ormoni
s’inchina implacabile e commossa
alla bellezza indicibile dei fiori.

Loredana Semantica

E’ un canto senza voce
un grido represso inespresso
il turbinio di emozioni
vigili ma contenute
fili di seta che si aggrovigliano
annodati ma vitali
vibrazioni gravi che si fanno strada
in questa primavera
un’altra delle tante
ma non trovano il varco
il passaggio naturale ed obbligato
la soluzione che dal corpo cassarmonica
risuoni e si innalzi
libera.

Deborah Mega

 

Se ci pensi potrebbe anche essere primavera
ma le cose sembra siano andate tutte storte.
Potrebbe per esempio, esser fiorito aprile
col caldo e sudati, staremmo a fare le salite
dei sentieri che conoscevamo da ragazzi
oppure ad ascoltare le rane nelle pozze
gracidare, e noi imitarle e tirar sassi.
Suonare tutti i campanelli dei palazzi
fare le squadre con nessuno in porta
e le ragazze tiferebbero per noi
e proprio a quello timido che segna
andrebbe forse un bacio o un cenno d’occhi.
Se ci pensi si sta qui a sperar di maggio
e per molti versi credimi, inutilmente.
E il tepore che ora proviene dal riverbero
d’asfalto, oppure dagli schermi azzurri
delle case tutte divise dal tessuto connettivo
che ci rende eremiti societari, non ci scalda
e non ci asciuga. Come la mano delle mamme
quando tornavamo dentro tutti sporchi
a prendere la dose santa degli schiaffi.

Francesco Tontoli

 

In fondo l’aveva sempre saputo
che sarebbe accaduto il cambio
anatomico del saluto a mascelle
tese per evitare l’affanno dell’addio
durato quattro anni e mezzo
la ripetizione sovrabbondante
della chiusura. In fondo già
conosceva la sbattuta del portone
le parole che sarebbero tornate
quel tono negativo di cui preoccuparsi.
Vecchia storia suggerita dalla forza
gravitazionale nell’aria immobile
in cui tutto il mondo va alla deriva.

Rita Pacilio

Dis/lirica

il pesco era rosa
nella stagione dell’amore,
poi venne il vento
di rasoi e lame
(ma chi l’aveva chiamato?
da dov’era venuto?)

freddo era il fiato
sulle corolle aperte
(oh fiori innocenti
oh petali ardenti)

e si vive l’aprile
come il mese più vile.

Francesco Palmieri 

 

Condividi:

  • Facebook
  • Twitter
  • WhatsApp

Mi piace:

Mi piace Caricamento...

DAVID BOWIE, UN ANNO DOPO

10 martedì Gen 2017

Posted by Deborah Mega in Appunti musicali, Eventi e segnalazioni, MUSICA

≈ 3 commenti

Tag

David Bowie, Deborah Mega

david-bowie-trucco-uomo_470x305

Il 10 gennaio del 2016 quando appresi la notizia della scomparsa di David Bowie ero troppo sconvolta per scrivere qualcosa che anche lontanamente lo riguardasse. Lo faccio ora con la consapevolezza che non è possibile raccontare una personalità così istrionica e carismatica e avere anche la pretesa di risultare completi ed esaustivi. Bowie si spense a New York dopo il suo sessantanovesimo compleanno e  dopo aver pubblicato Blackstar, il suo ultimo album in studio.

Continua a leggere →

Condividi:

  • Facebook
  • Twitter
  • WhatsApp

Mi piace:

Mi piace Caricamento...
← Vecchi Post

Articoli recenti

  • Zona disforme Carlotta Cicci Stefano Massari 8 febbraio 2023
  • LA POESIA PRENDE VOCE: MARIA GRAZIA CALANDRONE, CRISTINA BOVE, SILVIA ROSA 7 febbraio 2023
  • Il Vate e la Divina 6 febbraio 2023
  • ~A viva voce: Un ateo imperfetto~ 4 febbraio 2023
  • Alessandro Barbato, Inediti 3 febbraio 2023
  • Capo Horn – Tijuana. Cuentos Olvidados. “Per giustizia il tempo” di Manuel González Zeledón 2 febbraio 2023
  • Più voci per un poeta: Angelo Maria Ripellino. Video e voce di Loredana Semantica 1 febbraio 2023
  • LA POESIA PRENDE VOCE: DANIELA PERICONE, EMILIA BARBATO, ANNAMARIA FERRAMOSCA 31 gennaio 2023
  • “Il ritratto ovale” di Edgar Allan Poe 30 gennaio 2023
  • ~A viva voce: 3~ 28 gennaio 2023

Categorie

  • ARTI VISIVE
    • Appunti d'arte
    • Fotografia
    • Il colore e le forme
    • Mostre e segnalazioni
    • Punti di vista
  • COMUNICATI STAMPA
  • COSTUME E SOCIETA'
    • Cronache della vita
    • Essere donna
    • I meandri della psiche
    • La società
    • Pensiero
  • Epistole d'Autore
  • IbridaMenti
  • LETTERATURA E POESIA
    • #cronacheincoronate; #andràtuttobene
    • Appunti letterari
    • Canto presente
    • Consigli e percorsi di lettura
    • Cronache sospese
    • Eventi e segnalazioni
    • Fiabe
    • Filologia
    • Forma alchemica
    • I nostri racconti
    • Idiomatiche
      • Capo Horn – Tijuana. Cuentos Olvidados
    • Il tema del silenzio
    • Incipit
    • Interviste
    • Ispirazioni e divagazioni
    • La poesia prende voce
    • NarЯrativa
    • Novelle trasversali
    • Parole di donna
    • Più voci per un poeta
    • Podcast
    • Poesia sabbatica
    • Poesie
    • Racconti
    • Recensioni
    • Rose di poesia e prosa
    • uNa PoESia A cAsO
    • Una vita in scrittura
    • Versi trasversali
    • Vetrina
    • ~A viva voce~
  • MISCELÁNEAS
  • Mito
  • MUSICA
    • Appunti musicali
    • Eventi e segnalazioni
    • Proposte musicali
    • RandoMusic
  • PERSONAGGI
    • Grandi Donne
    • Uomini eccellenti
  • Post-it
  • SCIENZA E CULTURA
  • SINE LIMINE
    • Prisma lirico
    • Una vita nell'arte
  • SPETTACOLO
    • Cinema
    • Teatro
    • TV
    • Video

ARCHIVI

BLOGROLL

  • alefanti
  • https://www.argonline.it/poegator/
  • Deborah Mega
  • https://deborahmega.wixsite.com/disussurriedombre
  • Di poche foglie
  • larosainpiu
  • perìgeion
  • SOLCHI

Inserisci il tuo indirizzo email per seguire questo blog e ricevere notifiche di nuovi messaggi via e-mail.

INFORMATIVA SULLA PRIVACY

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella privacy policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la PRIVACY POLICY.

Statistiche del blog

  • 292.028 visite
Il blog LIMINA MUNDI è stato fondato da Loredana Semantica e Deborah Mega il 21 marzo 2016. Limina mundi svolge un’opera di promozione e diffusione culturale, letteraria e artistica con spirito di liberalità. Con spirito altrettanto liberale è possibile contribuire alle spese di gestione con donazioni:
Una tantum
Mensile
Annuale

Donazione una tantum

Donazione mensile

Donazione annuale

Scegli un importo

€2,00
€10,00
€20,00
€5,00
€15,00
€100,00
€5,00
€15,00
€100,00

O inserisci un importo personalizzato

€

Apprezziamo il tuo contributo.

Apprezziamo il tuo contributo.

Apprezziamo il tuo contributo.

Fai una donazioneDona mensilmenteDona annualmente

REDATTORI

  • adrianagloriamarigo
  • alefanti
  • Deborah Mega
  • emiliocapaccio
  • Francesco Palmieri
  • francescoseverini
  • frantoli
  • LiminaMundi
  • Loredana Semantica
  • Maria Grazia Galatà
  • marian2643
  • maria allo
  • Antonella Pizzo
  • raffaellaterribile

COMMUNITY

BLOGROLL

  • alefanti
  • https://www.argonline.it/poegator/
  • Deborah Mega
  • https://deborahmega.wixsite.com/disussurriedombre
  • Di poche foglie
  • larosainpiu
  • perìgeion
  • SOLCHI

Blog su WordPress.com.

  • Segui Siti che segui
    • LIMINA MUNDI
    • Segui assieme ad altri 236 follower
    • Hai già un account WordPress.com? Accedi ora.
    • LIMINA MUNDI
    • Personalizza
    • Segui Siti che segui
    • Registrati
    • Accedi
    • Segnala questo contenuto
    • Visualizza il sito nel Reader
    • Gestisci gli abbonamenti
    • Riduci la barra
 

Caricamento commenti...
 

Devi effettuare l'accesso per postare un commento.

    Informativa.
    Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la
    COOKIE POLICY.
    %d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: