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LIMINA MUNDI

~ Per l'alto mare aperto

LIMINA MUNDI

Archivi autore: maria allo

LA POESIA PRENDE VOCE: MARINA PIZZI, LUCA PIZZOLITTO, GIANCARLO STOCCORO

28 martedì Mar 2023

Posted by maria allo in La poesia prende voce, Podcast

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Giancarlo Stoccoro, Luca Pizzolitto, Maria Allo, Marina Pizzi

La poesia prende voce

POETI DI OGGI

Marina Pizzi (ph. Dino Ignani)

Poesia di Marina Pizzi “L’estate di chi guarda” da “Il giornale dell’esule” Crocetti Editore 1986, legge Maria Allo

Luca Pizzolitto

Poesia di Luca Pizzolitto, dalla raccolta “Crocevia dei cammini”, peQuod, 2022, (http://www.italicpequod.it/2020/books/1702-2/)

Legge lo stesso autore

Giancarlo Stoccoro

Poesia di Giancarlo Stoccoro tratta da “Esercizi di sparizione”, Tozzuolo Editore 2022, p.64, (https://www.francescotozzuoloeditore.it/giancarlo-stoccoro/131-esercizi-di-sparizione-9791280114372.html)

Legge lo stesso autore

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LA POESIA PRENDE VOCE: LUCETTA FRISA, ANDREA TEMPORELLI, ABELE LONGO, GIUSEPPE MARTELLA

21 martedì Mar 2023

Posted by maria allo in La poesia prende voce, Podcast

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Abele Longo, Andrea Temporelli, Giuseppe Martella, Lucetta Frisa, Maria Allo

La poesia prende voce

POETI DI OGGI

Lucetta Frisa

Poesia di Lucetta Frisa da “Ho tante albe da nascere”, con prefazione di Luigi Cannillo, Puntoacapo editore, 2022 legge la stessa autrice

Andrea Temporelli

Poesia di Andrea Temporelli, da “ L’Amore e tutto il resto” Interlinea Edizioni,2023, legge lo stesso autore

Copertina del libro di Abele Longo

Poesia di Abele Longo, da “Scrittura con vista”, Terra d’ulivi edizioni, 2023, collana I Granati, prefazione di Doris Emilia Bragagnini, legge lo stesso autore

Giuseppe Martella

Poesia di Giuseppe Martella, tratta da Porto Franco, con Postfazione di Rosa Pierno, Arcipelago Itaca Edizioni, 2022 legge lo stesso autore

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LA POESIA PRENDE VOCE: LUCIANNA ARGENTINO, PIETRO RUSSO, SERGIO DANIELE DONATI, FRANCESCO OTTONELLO

14 martedì Mar 2023

Posted by maria allo in La poesia prende voce, Podcast

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Francesco Ottonello, Lucianna Argentino, Maria Allo, Pietro Russo, Sergio Daniele Donati

La poesia prende voce

La partecipazione alla rubrica “La poesia prende voce” è aperta. Occorre inviare all’indirizzo liminamundi@gmail.com una foto, una lettura audio in formato mp3 o wav e i riferimenti editoriali del libro edito da cui è tratta la poesia.

POETI DI OGGI

Lucianna Argentino (ph. Mel Carrara)

Poesia di Lucianna Argentino da “In canto a te” (Samuele editore, 2019), legge la stessa autrice

https://www.samueleeditore.it/in-canto-a-te-lucianna-argentino/

Pietro Russo

Poesia di Pietro Russo da  “Eppuru i stiddi fanu scrusciu” (Le farfalle , Valverde 2022), legge lo stesso autore

Sergio Daniele Donati

Poesia di Sergio Daniele Donati, da “Il Canto della Moabita “(Ensemble ed. – settembre 2021), legge lo stesso autore

Francesco Ottonello

Poesia di Francesco Ottonello da” Isola aperta” (Interno POESIA 2020-Premio GOZZANO Premio città di Como Opera Prima), legge lo stesso autore

https://internopoesialibri.com/libro/isola-aperta/

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LA POESIA PRENDE VOCE: MARIA PIA QUINTAVALLA, ANNA MARIA BONFIGLIO, PATRIZIA SARDISCO, GIOVANNA ROSADINI, ALBA GNAZI

08 mercoledì Mar 2023

Posted by maria allo in La poesia prende voce, Podcast

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Alba Gnazi, Anna Maria Bonfiglio, Giovanna Rosadini, Maria Allo, Maria Pia Quintavalla

La poesia prende voce

DONNE IN POESIA

Maria Pia Quintavalla

Maria Pia Quintavalla, autrice del testo ” I tuoi foulard” tratto dal video del regista Giorgio Longo

fotografo Michele Corleone

Anna Maria Bonfiglio

poesia “Canto Minimo” di Anna Maria Bonfiglio, da “Di tanto vivere”, Caosfera, 2018, legge la stessa autrice

Patrizia Sardisco

poesia di Patrizia Sardisco, da “Sìmina ri mmernu”, Cofine 2021 ( pag.21), legge la stessa autrice

Giovanna Rosadini (ph. di Dino Ignani)

poesia “Ritorna la mia luna” di Giovanna Rosadini, da “Unità di risveglio” , Einaudi, 2010, legge la stessa autrice

Alba Gnazi

poesia di Alba Gnazi da “In quel minimo che cade”, Il convivio Editore (2021), legge la stessa autrice

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LA POESIA PRENDE VOCE: ISABELLA BIGNOZZI, MARIA GRAZIA GALATA’, ELIA BELCUFINÈ, ANNALISA RODEGHIERO,

28 martedì Feb 2023

Posted by maria allo in La poesia prende voce, Podcast

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Annalisa Rodeghiero, Elia Belcufinè, Isabella Bignozzi, Maria Allo, Maria Grazia Galatà

La poesia prende voce

POETI DI OGGI

Isabella Bignozzi (ph. Francesca Serragnoli)

poesia di Isabella Bignozzi, Supernova, è tratta da Le stelle sopra Rabbah, per Transeuropa nel 2021, ed è accompagnata dal sottofondo Musicale Gnossienne No.1 di Erik Satie, legge la stessa autrice

Maria Grazia Galatà con Mario Luzi

poesia di Maria Grazia Galatà Da” Quintessenza “, Marco Saya Edizioni 2018, legge la stessa autrice

Elia Belcufinè

poesia di Elia Belcufinè da “La rosa rosa”, RPlibri 2020, legge lo stesso autore

Annalisa Rodeghiero

poesia di Annalisa Rodeghiero, da “A oriente di qualsiasi origine”, Arcipelago Itaca edizioni 2021, legge la stessa autrice

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LA POESIA PRENDE VOCE: ORNELLA MALLO, PAOLA DEPLANO, PIETRO ROMANO, MARIANGELA RUGGIU

21 martedì Feb 2023

Posted by maria allo in La poesia prende voce, Podcast

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Maria Allo, Mariangela Ruggiu, Ornella Mallo, Paola Deplano, Pietro Romano

La poesia prende voce

POETI DI OGGI

Ornella Mallo

di Ornella Mallo “Mani”, tratta da Scriverti, Kemonia Edizione, febbraio 2022, legge la stessa autrice

Paola Deplano

poesia di Paola Deplano, da “L’ultima Cenerentola”, Edizioni Progetto Cultura, 2018.

Pietro Romano

poesia di Pietro Romano, da “Feriti dall’acqua”, peQuod, 2022, collana Portosepolto diretta da Luca Pizzolitto. legge lo stesso autore

Mariangela Ruggiu

poesia di Mariangela Ruggiu da “Ti portavo a volte l’acqua”, Terra d’ulivi edizioni 2022, legge la stessa autrice

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LA POESIA PRENDE VOCE: MATTIA TARANTINO, FEDERICO PREZIOSI, DORIS EMILIA BRAGAGNINI, ANGELA CACCIA

14 martedì Feb 2023

Posted by maria allo in La poesia prende voce, Podcast

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Angela Caccia, Doris Emilia Bragagnini, Maria Allo, Mattia Tarantino

La poesia prende voce

POETI DI OGGI

Doris Emilia Bragagnini

di Doris Emilia Bragagnini “Sol_a Gratia” dalla raccolta “Claustrofonia”, Giuliano Ladolfi Editore 2018, legge la stessa autrice

Mattia Tarantino (foto di Antonio Verde)

poesia di Mattia Tarantino, da “L’ età dell’uva” (Perrone, 2021), legge lo stesso autore

copertina di “Variazione madre” di Federico Preziosi

poesia di Federico Preziosi, da “Variazione Madre”, Lepisma floema, Controluna 2019, legge lo stesso autore

Angela Caccia

poesia di Angela Caccia da “L’Alveare assopito”, Fara edizioni, anno 2022, legge la stessa autrice

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LA POESIA PRENDE VOCE: MARIA GRAZIA CALANDRONE, CRISTINA BOVE, SILVIA ROSA

07 martedì Feb 2023

Posted by maria allo in La poesia prende voce, Podcast

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Cristina Bove, Maria Allo, Maria Grazia Calandrone, Silvia Rosa

La poesia prende voce

DONNE IN POESIA

Maria Grazia Calandrone (foto di Barbara Ledda)

poesia di Maria Grazia Calandrone, da “Giardino della gioia”, Mondadori, 2019 , legge la stessa autrice

Cristina Bove

poesia di Cristina Bove da “La simmetria del vuoto”, Arcipelago Itaca Edizioni, 2018 legge la stessa autrice

Silvia Rosa

poesia di Silvia Rosa da “Tutta la terra che ci resta”, Vyidia Editore, 2022, collana Nereidi, prefazione di Elio Grasso, legge la stessa autrice,

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LA POESIA PRENDE VOCE: DANIELA PERICONE, EMILIA BARBATO, ANNAMARIA FERRAMOSCA

31 martedì Gen 2023

Posted by maria allo in La poesia prende voce, Podcast

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Annamaria Ferramosca, Daniela Pericone, Emilia Barbato, Maria Allo

La poesia prende voce

DONNE IN POESIA

Daniela Pericone

di Daniela Pericone, “Hanno detto” dalla raccolta “La dimora insonne”, Moretti&Vitali, 2020, legge la stessa autrice

Emilia Barbato

di Emilia Barbato da “Primo piano increspato”, Ed. Stampa, 2009, legge la stessa autrice

Annamaria Ferramosca

di Annamaria Ferramosca “Parla un continente intorno a noi” dalla raccolta “Per segni accesi”, Giuliano Ladolfi Editore, 2021, legge la stessa autrice,

Per segni accesi

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LA POESIA PRENDE VOCE: ELISA RUOTOLO, RITA PACILIO, MICHELA ZANARELLA

24 martedì Gen 2023

Posted by maria allo in La poesia prende voce, Podcast

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Elisa Ruotolo, Maria Allo, Michela Zanarella, Rita Pacilio

La poesia prende voce

DONNE IN POESIA

Elisa Ruotolo

di Elisa Ruotolo, da “Corpo di pane”, Edizioni Nottettempo, 2019, legge la stessa autrice

Rita Pacilio

di Rita Pacilio “Ricorderà il suo peso affaticarsi” da “Quel grido raggrumato”, La vita felice, 2014, legge la stessa autrice

Michela Zanarella

di Michela Zanarella “Esiste una lingua segreta” da “Recupero dell’essenziale”, 2022, Interno Libri, legge la stessa autrice

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LA POESIA PRENDE VOCE: LUCIA TRIOLO, GABRIELLA GRASSO, ANNA MARIA CURCI

17 martedì Gen 2023

Posted by maria allo in La poesia prende voce, Podcast

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Anna Maria Curci, Gabriella Grasso, Lucia Triolo, Maria Allo

La poesia prende voce

DONNE IN POESIA

Lucia Triolo

“Via Valderice Nella mia Natura” tratta da “Dedica” edizioni Drawup, 2019, legge la stessa autrice

Gabriella Grasso

“Capomulini notte” da “Il Generale Inverno”, Il Convivio, 2021, legge la stessa autrice

Anna Maria Curci

“Premuroso il nemico alle spalle” è a pagina 27 del volume “Insorte”, Il Convivio Editore 2022 , legge la stessa autrice

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LA POESIA PRENDE VOCE: FRANCESCA DEL MORO, MIRIAM BRUNI, GRAZIA PROCINO

10 martedì Gen 2023

Posted by maria allo in La poesia prende voce, Podcast

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Francesca Del Moro, Grazia Procino, Maria Allo, Miriam Bruni

La poesia prende voce

DONNE IN POESIA

Francesca Del Moro

 di Francesca Del Moro, “San Salvatore” da Ex Madre, Arcipelago Itaca 2022, legge la stessa autrice

Miriam Bruni

“Quale altra magia” da “Coniugata con la vita. Al torchio e in visione” Terra d’Ulivi 2014, legge la stessa autrice

Grazia Procino

di Grazia Procino “Ruina” da “E sia”, Giuliano Ladolfi editore, 2019, legge la stessa autrice

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LA POESIA PRENDE VOCE: THOMAS STEARNS ELIOT – ELIO PAGLIARANI

20 martedì Dic 2022

Posted by maria allo in La poesia prende voce, Podcast

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Elio Pagliarani, Francesco Palmieri, Maria Allo, Podcast, Thomas Stearns Eliot

La poesia prende voce

Fra Modernismo e Sperimentazione.

Thomas Stearns Eliot

da La Terra desolata di Thomas Stearns Eliot

Legge Francesco Palmieri

Elio Pagliarani

“Ho sognato un naufragio” da “La ballata di Rudi” di Elio Pagliarani

Legge Francesco Palmieri

Fra Avanguardia e Sperimentalismo.

Poesia didascalica e narrativa La Ballata di Rudi di Elio Pagliarani e la Terra desolata di Eliot hanno dato l’occasione ai critici per interrogarsi sul ruolo dell’epica nella poesia contemporanea (1).

La Ballata di Rudi, è un testo complesso che attesta, come l’autore stesso asserisce in un’intervista a Romano Luperini, tutti gli aspetti della sua ricerca, delineata nel saggio del 1957. Mira a rappresentare, coi suoi peculiari strumenti linguistici (struttura che alterna e sovrappone i ritmi della poesia e quelli della narrazione), la complessità della vita stessa e la disillusione per un’Italia in rovina, una vera e propria storia dell’Italia dal Secondo Dopoguerra in poi. Ma il messaggio finale della ventisettesima sezione contiene un refrain, elemento unificante di tutta l’opera, evidenziata da una sorta di ottimismo che implica la resistenza di una volontà comunicativa: “Ma dobbiamo continuare come se non avesse senso pensare che s’appassisca il mare”.

Ricorre quest’anno il centenario del poema La terra desolata (The Waste Land) di Thomas Stearns Eliot (1888-1965), composto nel 1921. Poema complesso, rivisto da Pound su esplicita richiesta dell’autore, con un linguaggio ispirato esplicitamente a Dante (famosa è la descrizione di Londra che echeggia il clima dei gironi e delle bolge) scritto dopo i disastri della Prima guerra mondiale, una delle opere più alte della letteratura del Novecento. Descrive la desolazione dell’uomo, della natura, del mondo abbandonati da Dio “Riuscirò alla fine a mettere in sesto le mie terre? …Con questi frammenti io ho puntellato le mie rovine” e con questi versi sospesi tra pessimismo e speranza si chiude definitivamente il poema. Lo sperimentalismo di Pagliarani ha avuto come punti di riferimento la linea lombarda e le tradizioni europee, soprattutto quella anglosassone ma tutta la sua opera (3), come sostiene il comparatista Dionýz Ďurišin andrebbe inserita nella letteratura mondiale. Infatti si evidenziano affinità e legami stilistici e ideologici con artisti appartenenti a un’aerea geopoetica storicamente e letterariamente affine come Thomas Stearns Eliot.

L’accostamento fra la Ballata di Rudi di Elio Pagliarani e la Terra desolata di Eliot offre a Giuseppe Carrara l’occasione per interrogarsi sul ruolo dell’epica nella poesia contemporanea (2). Uno dei leitmotiv della Waste Land di T.S. Eliot è quello dell’acqua, connesso a una galassia semantica e tematica di degradazione, aridità e morte, atmosfera crepuscolare, a tratti funebre, caratterizzata dalla capacità di contaminare la tradizione letteraria con l’uso della lingua parlata e dei dialetti, in un gioco combinatorio di eccezionale livello. Anche Pagliarani contamina termini tecnici stranieri, espressioni del parlato con prestiti letterari e soluzioni auliche con una singolare capacità di riproduzione e di imitazione o mimesi di alcuni livelli della comunicazione linguistica odierna e riporta a nuova vita il concetto di letteratura, che diventa così arma di opposizione al sistema e
strumento di coscienza critica. “Ho già detto altre volte di credere ad una funzione sociale della letteratura, funzione che non esaurisce, beninteso la letteratura, ma che è verificabile oggettivamente a prescindere da ogni intenzionalità. (Da un intervento di Pagliarani al convegno di Palermo del 1965 organizzato dal Gruppo 63).

Note

1) https://www.academia.edu/44750325/Unepica_del_mare_fra_Eliot_e_Pagliarani

2) La monografia “Il mare appassito: La Ballata di Rudi di Elio Pagliarani “di Christian Eccher
https://docslib.org/doc/12061406/il-mare-appassito-la-ballata-di-rudi-di-elio-pagliarani

3) https://liminamundi.com/2016/05/05/sono-momenti-belli-ce-silenzio-elio-pagliarani/

HO SOGNATO UN NAUFRAGIO

Ho sognato un naufragio c’era un uomo con me che mi chiamava
nel mare senza barca. Senza barca? In motoscafo? No, con i piedi nell’acqua
come dice il Vangelo, chiamava per salvarmi, io naufragavo
naufragavo nell’erba, erano alghe flora marina che non riconosco? Nella faccia
sembrava mio marito ma le spalle aveva delle spalle che, Luigi, io naufragavo
non ricordo perché ma naufragavo in mare calmo in burrasca sì in tempesta e calmo
e cambiava onda ogni volta che sentivo battermi i polsi e mi sentivo il ventre
pesantissimo di pietra e andavo sotto e non avevo voce, solo dentro
di me sentivo l’urlo che facevo e l’uomo che chiamava. Io non credo nei sogni, tu ci credi?

DA LA TERRA DESOLATA DI T.S. ELIOT

Se vi fosse acqua
E niente roccia

Se vi fosse roccia
E anche acqua
E acqua
Una sorgente
Una pozza fra la roccia
Se soltanto vi fosse suono d’acqua
Non la cicala
E l’erba secca che canta
Ma suono d’acqua sopra una roccia
Dove il tordo eremita canta in mezzo ai pini
Drip drop drip drop drop drop drop
Ma non c’è acqua

Chi è il terzo che sempre ti cammina accanto?
Se conto, siamo soltanto tu ed io insieme
Ma quando guardo innanzi a me lungo la strada bianca
C’è sempre un altro che ti cammina accanto
Che scivola ravvolto in un ammanto bruno, incappucciato
Io non so se sia un uomo o una donna

Ma chi è che ti sta sull’altro fianco?

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LA POESIA PRENDE VOCE: RAFFAELA FAZIO, DAITA MARTINEZ, FRANCA ALAIMO

13 martedì Dic 2022

Posted by maria allo in La poesia prende voce, Podcast

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Daita Martinez, Franca Alaimo, Maria Allo, Raffaella Fazio

La poesia prende voce

DONNE IN POESIA

Raffaela Fazio

“Nel giardino”, da “A grandezza naturale”, Arcipelago Itaca, 2020, di Raffaela Fazio, legge la stessa autrice

Daita Martinez

da “Liturgia dell’Acqua” di Daita Martinez, Anterem, 2021, legge la stessa autrice

Franca Alaimo

“Ora ventunesima” da “Oltre il bordo”, Macabor, 2020, di Franca Alaimo, legge la stessa autrice

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LA POESIA PRENDE VOCE: VIVIAN LAMARQUE

06 martedì Dic 2022

Posted by maria allo in La poesia prende voce, Podcast

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Deborah Mega, Loredana Semantica, Maria Allo, Podcast, Vivian Lamarque

La poesia prende voce

Vivian Lamarque

Legge Loredana Semantica

Poesia malata

Poesia illegittima

Legge Deborah Mega

Legge Maria Allo

Cambiare il mondo

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LA POESIA PRENDE VOCE: PATRIZIA CAVALLI

29 martedì Nov 2022

Posted by maria allo in La poesia prende voce

≈ 1 Commento

Tag

Maria Allo, Patrizia Cavalli, Podcast

La poesia prende voce

Patrizia Cavalli (foto di Dino Ignani)

Legge Maria Allo

Se ora tu bussassi

Ma io non voglio andarmene così

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“Feriti dall’acqua” di Pietro Romano (peQuod Editrice, 2022). Nota di lettura di Maria Allo

30 venerdì Set 2022

Posted by maria allo in LETTERATURA E POESIA, Recensioni

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Feriti dall'acqua, Maria Allo, Pietro Romano, Recensioni

“Uno stormo di rondini che migra
non è ancora. Laggiù il presente
si arena, senza doni
” (p.39)

Dopo il precedente Case sepolte, Pietro Romano, con questo suo nuovo libro, prosegue con un viaggio a ritroso sul confine tra memoria e desiderio e con decisa volontà di dare corpo, voce e sostanza alla condizione dell’uomo nell’universo insidiato costantemente dalla distanza fra l’io e il mondo. La poesia di Feriti dall’acqua sembra nascere da riferimenti alla vicenda biografica dell’autore, che divengono occasioni per dare corpo a tematiche di più ampio respiro in un mondo sempre più multirazziale:” Un turbinio, rumori umani, viali. / Quel che è successo infuria in un tempo/ cristallizzato: l’aria è il passo/ verso la costa, gli occhi che guardano/ sono le case, il corteo, le panche. / Mantenere la vita, sollevarla/ alla bocca, senza occhi a sponda della fine” (p. 7). Il tema, intrecciandosi anche con la sua personale esperienza “Io da bambino, voce di confine, / smembrato nella vita di ogni giorno “(p.17), ritornerà in più di una lirica, ora con il motivo memoriale “Madre, oggi ti colgo nella luce dei vetri/ che istoria gli occhi d’evento e catarsi” o “È nelle sere autunnali la via/ in cui ricordo chi sono. La mente/ oscilla lungo un rivo di fango, / si sporge quanto basta per sentire”(p. 39), ora con il costante anelito all’ innocenza primigenia, intesa come la capacità di sapersi aprire all’ignoto riconoscendolo come parte di sé, giacché l’innocenza unisce gli uomini e fa ritrovare loro quel caldo senso di appartenenza alla condizione umana che costituisce un vincolo più profondo del legame di appartenenza nazionale :“Non esiste innocenza nel giorno: le nostre ombre/ perse tra gli uccelli crollano sulle nuche”(p.61). Domina dunque, come nucleo tematico dell’opera, la tensione della ricerca di un’identità sofferta e complessa e la solitudine spirituale in un mondo che troppe volte ognuno di noi sente estraneo a sé, lontano, irraggiungibile quando ci si accorge di esserci allontanati dalla legge dei nostri desideri. Di essere andati in un’altra direzione: “Così si vive: lentamente il passo/ nell’aria, la scrittura tra nuvole colme di lontananza” (p.65). E tuttavia la poesia deve cercare di ridare significato alle cose (del passato come del presente) e cioè una stabile identità all’individuo, tentativo perso in partenza, eppure mai ricusato. Lo stesso Romano così commenta i suoi versi: “È una distanza irredimibile quella che separa ognuno di noi da un’origine. L’acqua è un remoto che non sappiamo pronunciare” giacché le radici dell’essere, aggiungo, affondano sotto la superficie dove le acque si fanno così turbolente che incutono paura e come certe immagini aspre possono ferire e imbarazzare. La raffinata architettura dell’opera divisa in quattro sezioni (I Acque di confine, II Dentro la foschia, III Cancelli, IV Sono qui ad attendere riparo), il legame profondo che intercorre tra testi e titoli e il sapiente lavoro di cesello interessa tutti i livelli dei testi, fonico- ritmico, lessicale e sintattico nella costante tensione a una parola che sappia sondare un Io profondamente diviso e che sfiori l’indicibile. L’opera di Pietro Romano canta la separatezza ma si augura di trovare un varco attraverso cui approdare perché nel caos si annida anche il germe della visione che resiste fra un passato di dolore e un presente ancora capace di mantenere uno sguardo oltre la soglia dell’Io: “Luce di dentro, soglia inesausta del passo. / Mi vedo oltre il sentore che a ogni varco o stanza, / come guardi, io per voi ancora non sia” (p.8).

p.20

La notte è a un passo dall’alba,

l’aria una fluorescenza azzurra.
Io mi disseto ancora

p.78

Come vero e sofferto il lido, il sogno
o il volto che trema, fra le acque
la parola si svuota,
ogni casa ritorna.

p.87

È accaduto e si è perso. Traluce
senza più il suo dire, rimemora
gli asfalti bagnati della coscienza.

p.89

Voci quietate nel sonno dei passi,
tra le fredde luci delle parole
è il vostro mattino. Quelle sono
le stanze vuote a cui ritornate

quando nel buio l’assenza sancisce
il suo luogo e sfiora la vita.
È ora di nominarvi:
in voi c’è tutto, la fame e la sete,
gli occhi e le labbra che ancora non siamo.

p.92

Quest’ombra si interra
per dissetare l’impronta a un passo
dalla pietra a cui dicevi viva
la parola. Era forse il seme raggelato
sotto il sole di dicembre, la voce
che si stemperava dentro il dolore
dirsi soli e incompiuti


Maria Allo

Pietro Romano (Palermo, 1994) si è laureato in Italianistica presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna con una tesi su Nino De Vita. Ha pubblicato alcune raccolte poetiche, tra le quali Fra mani rifiutate (I Quaderni
del Bardo, 2018) e Case sepolte (I Quaderni del Bardo, 2020- pref. di Gian Ruggero Manzoni, postfazione di Franca Alaimo), quest’ultimo classificatosi tra i libri finalisti del Premio Mauro Prestigiacomo. I suoi versi sono stati tradotti in russo («Мой дом — до молчанья», “La mia casa è prima del silenzio”, Free Poetry, 2019, con pref. e traduz. di Olga Logoch, collana di poesia italiana a cura di Paolo Galvagni, traduzione di Fra mani rifiutate), greco, catalano e spagnolo, e inseriti nell’antologia Le parole a quest’ora (Free Poetry, 2019, a cura di Paolo Galvagni). “Feriti dall’acqua” (peQuod, 2022, coll. Portosepolto diretta da Luca Pizzolitto), è il suo ultimo lavoro.

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Grazia Procino “E sia” nota di Maria Allo, Ladolfi Editore 2019

13 martedì Set 2022

Posted by maria allo in LETTERATURA E POESIA, Recensioni

≈ 1 Commento

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E sia, Grazia Procino, Landolfi Editore, Maria Allo, recensione

“Passiamo una vita intera a cercare il senso”, risponde sdegnata “Io non perdo il mio tempo / d’eternità in ricerche impossibili”, e poi sprezzante aggiunge “Solo gli uomini si ribellano / all’appartenere alla stirpe / di coloro che non sanno”

La poesia non cerca significazioni, ma senso, il senso che c’è a vivere dice Bonnefoy. E sia è il libro a cui Grazia Procino ha affidato il senso della ricerca e della conoscenza. Come Ulisse del nostos, uno dei miti più attuali tra tutti quelli ereditati dalla cultura antica, simbolo dell’umanissimo desiderio di ritorno alla casa e di quiete, l’autrice esprime la ricerca intellettuale che spinge l’uomo a procedere sul cammino della storia o su quello più strettamente individuale dell’esistenza personale come esperienza di sé e come scoperta di nuovi orizzonti umani. Un progetto artistico preciso e coerente che si propone e si sviluppa in tutta la sua complessità sulla spinta di una straordinaria capacità immaginativa e di un personale impulso visionario al senso dell’esplorazione che può e deve vivere dentro di noi, orientato sulla concretezza del presente e sulle dinamiche che inglobano anche valori e i sentimenti privati di tutti. “Siamo uomini in preda all’abisso / dell’angoscia, nuovi Odisseo, che / rinunciamo all’immortalità”(p.17). È incontestabile non solo la singolare capacità dell’autrice di esplorare il mondo antico facendoci penetrare in quel luogo dello spirito dove l’autrice evoca Itaca e personaggi mitici (Penelope, Sirene, Ciclopi, Circe, Nausicaa, Odisseo) tutti rimasti nella memoria della Procino, restituendoci l’andamento musicale anche della lingua di Kavafis in un gioco di interscambio tra passato e presente sul filo comune che salda la vita nel suo insieme. Ma spesso vivere è anche doloroso per le insidie, emblematicamente rappresentate dalle sirene e il viaggio è solitudine dell’individuo in una società alienata dove a molti non è garantita sicurezza e stabilità ma incomunicabilità e immobilismo assoluti rimarcati dal netto contrasto che si stabilisce in chi cura l’interiorità oltre la superficie dei gesti e delle parole. «Non mi ha mai sfiorata/ il desiderio di essere come tutti/ io papavero ai bordi/ di un asfalto al catrame» (v. 11). Non passa sotto silenzio l’amore, una realtà dell’esperienza qui collegata al mito di Orfeo indocile al divieto, che fallirà nella sua prova per la scelta di voltarsi e perdere per sempre Euridice che considera solo “uno squarcio di passato “così la Procino: “La carne sente brividi / di freddo”. / “Non ho più mani. Le ho perdute / stendendo carezze e non sono ritornate” (p. 65), un chiaro intento dell’autrice di affrontare la visione e la cultura dell’amore che ieri come oggi, nonostante le profonde trasformazioni del costume, fa dell’amore l’espressione più autentica dell’individualità. È un lavoro faticoso questo, spesso la parola manca, “è assenza”, ma la parola è restituzione e così deve essere. Una chiave interpretativa che permette una maggiore comprensione della raccolta è quella della ricerca, che l’autrice compie infaticabilmente della struttura rigorosa del libro e questo modo di procedere è ben presente secondo i canoni della tragedia greca. Comprende infatti un prologo, la partitura in “stasimi”, la distonia del Coro (il livello dell’accadere e del riflettere) che dilata la più svariata gamma possibile di tonalità e di accenti corrispondenti alle più diverse connotazioni emotive e infine l’epilogo.

Nessuna catarsi dunque per noi oggi, della tragedia classica. L’ autrice coglie lo smarrimento di un’umanità sempre più povera di certezze e incapace di trovare risposte adeguate ai problemi che più le stanno a cuore, tuttavia “si domanda se sia possibile rinascere. La sua risposta è affermativa, scoprendo la potenza delle divinità ctonie, “Le viscere del Sud”: “Accolgono riti di nascita che non vogliono sparire / – la grazia della resurrezione – / come serpi danzanti / al calar della notte”(p.42). Il che fa del suo libro E sia un’opera estremamente attuale e degna di essere continuamente riscoperta “Lo so. Ci si aggrappa a tutto/pur di non sprofondare/anche alla notte (p-41).

Radici (p.14)
Fortunato chi ha radici.
Un’Itaca e una Penelope dove ritornare.
Le Sirene a impedire il viaggio,
i Ciclopi a mostrare che un altro mondo esiste,
Circe a cospargere di lussuria il corpo
già madido di sudore,
Nausicaa a ricordare il tempo che fu,
i Proci pronti a portar via
quello che è tuo di diritto,
ma tu sei Odisseo, un padre e un marito,
un uomo che sa piangere

Orizzonti (p.66)

Io non so dell’amore che le onde alte
e Odisseo che ritorna
a un’Itaca piena di sassi
sterposa e brulla
il profumo del mare lieve che
intona nostalgie e robusti desideri.

Insegnamenti da Kavafis (p. 24)


Ho vissuto troppo dolore
per non intuirlo negli altri.
Ho dovuto accogliere troppe rinunce e
le ho trangugiate, amare, insieme agli strascichi
di denso fastidio. Ho capito che la tua felicità
può procurare nell’altro dolore,
non puoi farci niente.
Tu puoi solo decidere di viverla o di rinunciarvi.
Se la vivi, guarderai all’altro che è in pena,
se vi riunì, nessuno
avrà cura del tuo nobile gesto.

Amore e mito (p.38)

Ci sono anche quando
sono assente. Mi inchino
mansueta alle tue parole
che sanno addomesticare
la mia anima zingara.
Mi volto come Orfeo
in attesa di squarci nitidi dal passato.
Come Euridice mi inoltro
nel futuro e mi smarrisco
in isole senza pace. Sono qui,
in spazi di compassione
con il vestito a fiori
leggero di vento.
Mi rifugio in libri pesanti di vita
per tessere come Penelope
la trama del giorno che viene.
Perdo l’amore,
lo riconquisto come guerriera ostinata
nell’universo sbandato
trovo anche io confini entro cui lavarmi
dalla polvere che fatica ad andar via.
È tutto uno scendere e un salire
pietre su pietre
nel commercio con la gente.
Amo il mondo anche quando mi viene contro.
Lo devo a te.

Le stagioni dell’amore (p.36)

Di te
ho amato ciò che si vede – lo amano in tanti.
Di te di più
ho amato ciò che non si vede, residui
di irrisolti tormenti e inconfessate ferite.
Le stagioni che passano
con la fretta di chi al mondo sta poco tempo
lasciano sapori di
dolce e amaro miele e fiele.
Hanno concesso lo stupore
di un amore che non sta fermo.

Epilogo (p.78)

Finiremo, finiremo

di stancarci per questi giorni magri,

smunti, per queste ore

che indeboliscono gli ardori,

per questi individui – spettri, che mai

risorgono alla sveglia dell’impegno,

pigri – ahi, ma quanto pigri! – e

guardano sempre dove Circe

sedusse i loro stupidi compagni e

si indignano senza conoscere il perché.

Ameremo senza stancarci

in stanze grandi a contenere cieli

neri come la pece

per confondere il mio dal tuo

ed essere nostro.

Torneremo a godere di vita.”

©Maria Allo

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Le case dai tetti rossi di Alessandro Moscè Fandango Libri, aprile 2022. Una nota di lettura di Maria Allo

28 martedì Giu 2022

Posted by maria allo in LETTERATURA E POESIA, Recensioni

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Alessandro Moscè, Le case dai tetti rossi, Maria Allo, recensione

“Non ho mai dimenticato i racconti sventurati, le volte che mi sono avvicinato a quel luogo malfamato con il figlio del giardiniere, il mio amico Luca, il timore di superare il cancello, i rimproveri di mia madre quando fissavo i degenti appoggiati al cancello, le strattonate, le raccomandazioni di girare al largo se fossi uscito da solo per comprare i fumetti incellofanati, a poco prezzo.”
In questo libro scrupolosamente documentato Alessandro Moscè traccia un percorso avvincente, tra memoria e ricerca come un vero e proprio viaggio a ritroso sul filo conduttore del disagio mentale e nell’avventura della soglia si incrocia con le vite dei degenti, ormai scomparsi, dell’ospedale neuropsichiatrico di Ancona ( La Legge 180 del 1978 portò nel 1981, alla chiusura e conseguente trasformazione della struttura in un centro residenziale di assistenza sociosanitaria e, successivamente, in un centro riabilitativo e sanitario). “Me lo ricordo bene il manicomio a pochi passi dalla casa della famiglia di mia madre, ero un bambino che trascorreva l’estate da nonna Altera”. Nel prologo della storia, come un moderno Ulisse, l’autore prova un vero e proprio desiderio di esplorare gli abissi per raccontare e testimoniare la verità della sua esperienza. Ed è così che “Si apre un teatro dove gli attori si spostano con scioltezza guardando dritti o a testa bassa: luci, movimenti, entrate e uscite seguite con un occhio di bue che li avvolge. Prendo confidenza con lo spazio scenico e da un alone giallastro emerge sempre più nitidamente un mondo inabissato”. La singolare tecnica compositiva dell’opera affine a quella del puzzle, di cui l’autore stesso specifica in anticipo obiettivi e nuclei tematici, presenta punti in comune con quella di Georges Perec e si configura come un assemblaggio di microstorie diverse, tenute insieme soltanto da un’immagine unitaria e significativa di un luogo, la struttura manicomiale di Ancona: “Il manicomio di Ancona era una piccola città con centinaia di ospiti. I tetti rossi, del colore del sangue, accoglievano i barboni, i malnutriti, gli ubriaconi, chi era tornato dalla guerra frastornato, con una pallottola conficcata da qualche parte, chi non riusciva ad alzarsi dal letto, chi era nato straccu, stanco […] (p. 13). L’espediente tecnico di una sorta di racconto nel racconto, costruito attraverso le memorie dei degenti, evidenzia l’abilità dell’autore di costruire trame complesse, riducendole però a pagine dense ed elaborate con precisione analitica delle descrizioni: dettagli visivi che vengono inquadrati e ordinati in una prosa senza compiacimenti stilistici ma con un lessico preciso, a volte addirittura specifico, quello dei medici, innestato di dialettismi anconetani. ”Negli anni Sessanta ai piani di sopra del manicomio risiedevano i violenti, gli incontrollabili, gli psicotici. Ancona aveva paura dei suoi matti e chi transitava da quelle parti allungava il passo, non si girava, faceva gli scongiuri, chiudeva gli occhi. Ai bambini si proibiva di guardare i padiglioni e i pazienti che sbirciavano da una sbarra all’altra tra le fessure del cancello d’entrata” così racconta Arduino, il giardiniere che ha svolto un ruolo di ascolto, di accoglienza e di accettazione(come il basagliano professor Lazzari, il primario e Suor Germana) nei confronti dei pazienti internati, corpi che invocano amore per trovare i loro confini, la loro storia. Il viaggio è lungo, pieno di intoppi e di insidie, ma è un viaggio verso l’amore “il tempo dell’apprendere è sempre un tempo lungo, di clausura, e così amare è, per lungo spazio, ampio fin nel cuore della vita, solitudine, più intensa e appassionata, solitamente, per colui che ama, come dice R. M. Rilke e come sembra voler suggerire Alessandro Moscè. Ed è così che lo sguardo dell’autore, oltre il limen, diviene il testimone interiore che vede e con cuore visionario fa risuonare quella corda autentica che occorre all’anima per incontrare gli altri e mettere in moto il motore della storia che coinvolge ed emoziona. Storie di persone sofferenti, (curate con la devastante terapia dell’elettrochoc), spesso finite in manicomio per la loro diversità tanto da non avere più patria o perché abbandonati da bambini come il caso di Adele. “…la follia può essere tutto o niente. È una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente come lo è la ragione. Quando qualcuno è folle ed entra in un manicomio, smette di essere folle per trasformarsi in malato”. (Da Lei se ne va, storie del disagio mentale, a cura di Gloria Gaetano e Manlio Talamo con prefazione di Don Luigi Ciotti). Fortunatamente l’opera riformatrice che si attua nella legge 180 rende possibile la chiusura dei manicomi e la nascita di una nuova teoria che riconosce la follia come parte della propria realtà, legata a chiare definizioni di scienza, di società civili, di persona. “Le persone non sono la loro malattia, ma con tutta la malattia esse sono il mondo dove stanno. E di questo mondo hanno bisogno per curarsi ed essere curate. È il mondo, la cura.” Alessandro Moscè ha spinto lo sguardo così oltre il limen nelle storie esplorate da far emergere, in un mondo segnato da una mutazione antropologica quale mai si era verificata in passato, nuove aperture verso le marginalità dell’esistenza a partire dall’accettazione e dall’accoglimento.

© Maria Allo

Alessandro Moscè è nato ad Ancona nel 1969 e vive a Fabriano. Si occupa di letteratura italiana. Ha pubblicato le raccolte poetiche L’odore dei vicoli (I Quaderni del Battello Ebbro, 2004), Stanze all’aperto (Moretti & Vitali 2008), Hotel della notte (Aragno 2013, Premio San Tommaso D’Aquino) e La vestaglia del padre (Aragno, 2019). I suoi libri di poesia sono tradotti in Francia, Spagna, Romania, Venezuela, Stati Uniti, Argentina e Messico. Ha pubblicato il saggio narrato Il viaggiatore residente (Cattedrale, 2009) e i romanzi Il talento della malattia (Avagliano, 2012), L’età bianca (Avagliano, 2016), Gli ultimi giorni di Anita Ekberg (Melville 2018, finalista al Premio Flaiano) e Le case dai tetti rossi (Fandango, 2022). Si occupa di critica letteraria su vari giornali. Ha ideato il periodico di arte e letteratura “Prospettiva” e dirige il Premio Nazionale di Narrativa e Poesia “Città di Fabriano”. Il suo sito personale è http://www.alessandromosce.com.

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Umberto Piersanti, I luoghi persi e altre poesie inedite, Crocetti Editore 2022 – Nota di Maria Allo

31 martedì Mag 2022

Posted by maria allo in LETTERATURA E POESIA, Recensioni

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Crocetti Editore, I luoghi persi e altre poesie inedite, Maria Allo, Recensioni, Umberto Piersanti

«la nostra storia è l’ultima vicenda / prima che torni l’autunno, venga l’inverno / era quel giorno l’ultimo che resta / di un’età favolosa quando vagavo / sempre tra i colli con nuove compagne / trasale il sangue nomade che teme / la tiepida dimora che l’attende / che resterà negli anni fissa e immota / e non la muta il tempo e le vicende».
(Dentro le alte nebbie, pp. 21-22)

Umberto Piersanti

Nel libro I Luoghi persi, riedito quest’anno da Crocetti editore, si leva alta la voce autorevole dello scrittore e poeta urbinate Umberto Piersanti, che disegna una linea di ricerca esistenziale ed etica con densità e concentrazione del linguaggio lirico, fondate sulla volontà di restituire all’espressione poetica la sua forza originaria. I luoghi persi diventano dunque l’ambito in cui il poeta vive la sua vita interiore, un tratto di realtà tangibile con immagini e suoni delle sue Cesane, una zona dove può dispiegarsi tutto quello che non trova posto nell’aridità della vita quotidiana, uno spazio per un’esistenza superiore. “Oggi m’inquieta il tempo che m’attende/ le sue opere e i giorni che non vissi/ che non conosco e trovo per la strada/ di questa età di mezzo già sgomenta/ che senza consultarmi mutò il corso/ questa vicenda lunga come la vita/ forse cambia chi viene e non conosco/ io nell’attesa sono come sempre/ in giro sui miei colli nella cerchia/ e poi vado lontano e qui ritorno (p.26). Per Piersanti,” il più importante poeta di natura in circolazione” come scrive con molta cognizione Alessandro Moscè”, pellegrino nell’immensità dell’immaginazione, la parola costituisce l’unica certezza, grazie alla quale è possibile procedere nel percorso di conciliazione con l’universo e dà la misura inequivocabile della perizia dell’avventura poetica che ora si fa emblema di una sofferta realtà interiore, ora parola onesta che nomina le cose e i sentimenti senza timore e vibra di passione, in particolare di quella del poeta per la sua terra, dove ci sono i colli, gli olivi, dove il cielo è azzurro. Così la poesia canta non tanto perché è la forma originaria in cui si esprime il poeta quanto perché nell’armonia della parola lirica consiste il polo medianico dove si concentra e afferma un potere che s’identifica con il ritmo della natura universale. Scrive nella sua accurata e illuminante introduzione Roberto Galaverni: “È attraverso un processo di disincantamento, di messa in prospettiva dell’età favolosa che i luoghi perduti di questo poeta acquistano la loro piena umanità e così il vero incanto”. E infatti nell’accostarci a I luoghi persi non può sfuggire l’intreccio complesso di forme e motivi dissimulato dietro l’accessibilità e la semplicità: il vero significato della poesia di Luoghi persi è altro. Il rapporto privilegiato del poeta con Le Cesane riassume in sé la combinazione di stimoli familiari, punti fissi di riferimento che non sono ovviamente solo geografici ma soprattutto esistenziali e culturali. Non si tratta solo di un tòpos letterario, ma finisce con il rappresentare lo scenario, lo schermo su cui il poeta proietta le proprie angosce, le inquietudini, i fantasmi, i ricordi. Così dalle profondità della memoria riemergono nel poeta sensazioni legate alla sua infanzia con la consapevolezza dell’ impossibilità di ritornare alla condizione originaria e a nonna Fenisa, colta nella sua fierezza, “potente e archetipica figura campeggiante sull’opera come sulla adiacente prova narrativa del nostro, L’uomo delle Cesane (1994) come chiarisce Manuel Cohen : “ tirava il vento gelido che spesso/ attraversasti nonna a primavera/ lunga fu l’orazione con le soste/ come quand’eri in vita che scandiva/ la tua giornata estrema ai Cappuccini/ restano ancora querce alle Cesane/ e crescono le rape di questi giorni/ solo la casa nostra in fondo al fosso/ ho visto ancora più rotta e desolata/ sopra la macchia cresce come sempre/ lì nell’infanzia spesso mi guidavi/ mi resta una tua foto dove sei/ con Jacopo che a un anno era stupito/ per i volti diversi e così i luoghi/ cresce in un altro spazio dove il mare/ si gonfia velenoso di schiuma e olio…”( p.33). Il ritorno alle origini come recupero del tempo passato sotto forma di elemento visivo assume il valore di epifania, in cui si alterna e si fonde la multiforme e sfaccettata poliedricità dell’esperienza umana e l’allargamento di questa tematica a una dimensione universale. Le Cesane preservano il tempo contro l’oblio, attraversano la vita guardando alla terra del poeta e “in terra straniera” come memoria, luogo del genere umano che ristora dal bruciore della esperienza terrena, da incontrare seppure nella grande solitudine, dove luce e cielo sono di conforto e hanno il fulgore della materia in cui sono iscritte: “io non avevo mai capito/ da dove l’anima viene tra gli spini/ ma l’anima è piccola, fatta d’aria, /passa tra gli spini e non si graffia” (p.59).

© Maria Allo

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