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LIMINA MUNDI

~ Per l'alto mare aperto

LIMINA MUNDI

Archivi autore: Maria Grazia Galatà

” Le favole della notte” di Melina Scalise. Dipinti di Francesca Magro

15 mercoledì Mar 2023

Posted by Maria Grazia Galatà in Note critiche e note di lettura

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Francesca Magro, Le favole della notte, Maria Grazia Galatà, Melina Scalise

Come non ricordare gli orchi , le streghe , gli gnomi , le fate che ci accompagnavano nelle fiabe di noi bambini ? La sera a letto quando la mamma o papà ci raccontavano e noi fantasticavamo o anche no.
Per Melina Scalise non va così: ci si trova di fronte ad una fantasia “adulta” anche se le fiabe restano fiabe ad ogni età e leggere l’inizio di ogni suo racconto con ”C’era una volta “è una sensazione che ti porta all’interno di mille immagini immergendoti di volta in volta ponendoti domande.
Guai ad allontanarsi dalla fantasia/sogno, aggiungo. Senza pregiudizio alcuno si susseguono immagini e riflessioni coraggiosamente profonde, che mettono il lettore di fronte a temi importanti alla ricerca del senso.
“Triangolo fece tesoro di prudenza e impulsività e da qual dì nacque trilogia, che ogni logica può portarsi via, si passa dal dramma alla risata e, con filosofia, la messa in scena è sempre assicurata” da “Non c’è due senza tre” (pag. 83)
Si ammirano, in questo libro, i bellissimi dipinti di Francesca Magro.
Mentre noi attendiamo altre fiabe per i nostri sogni, per allontanarci seppure per un po’ dalla bruttura di questo tempo

Maria Grazia Galatà

(Töpffer Edizioni, 2022 pp. 106 € 28.00)

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Una vita nell’arte: Elvezia Allari

14 mercoledì Dic 2022

Posted by Maria Grazia Galatà in ARTI VISIVE, Una vita nell'arte

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Elvezia Allari, Maria Grazia Galatà, Una vita nell'arte

  • sono primavera
  • passeggiate effimere
  • abiti da seminare

Opere di Elvezia Allari

Maria Grazia Galatà ha rivolto l’invito di “Una vita nell’arte” a Elvezia Allari, che ha risposto come segue. Grazie Elvezia.

Sono Elvezia Allari, nata a Schio, in provincia di Vicenza, cinquantasette anni fa.
Ricordo benissimo la mia chiamata all’arte. Avevo dieci anni e nel giardino del condominio dove abitavo, ritrovavo le mie coetanee che abitavano nello stesso edificio per giocare con loro. Eravamo un gruppo di quattro amiche. Oltre a me c’erano Carla, Ilaria, e Stefania. Un giorno venne fuori la classica domanda alla quale ognuna di noi doveva dare la sua risposta: che cosa vuoi fare da grande? Chi rispondeva la segretaria, chi la parrucchiera, chi la ballerina e avanti così. Quando viene il mio turno rispondo che voglio sposarmi con un pittore matto. Carla esclama che non è un lavoro. Cioè? le ribatto, visto che tu vuoi diventare una suora, con chi ti sposerai? Con Dio, rispose. Va bene, replicai, allora un giorno me lo farai conoscere.
La sua risposta divenne il mio tarlo. Mi spinse a pensare che diventare sposa aveva un significato tutt’altro che comune. Come fa una a sposarsi con qualcuno che manco vede? Forse è per quello che ho sposato l’arte, perché all’inizio non la vedevo, ma, ad un certo punto, sono riuscita a vederla e a crearla.
Ho iniziato con studi per ceramista allorché di ceramica non mi interessava nulla a parte gli effetti, gli errori nel plasmare l’argilla. Venne l’urgenza di andare a vivere da sola, e a vent’anni, contro il parere dei miei genitori decisi di uscire di casa. Naturalmente, senza una lira. Così, ho iniziato a posare come modella d’arte in un liceo artistico. Pensavo di fare quel lavoro per un anno o due. Sarebbe stata abbastanza per mantenermi mentre studiavo in una scuola di restauro pietra ed affresco. Però non era così semplice. Per pagare l’affitto e tutto ciò che ne consegue dovevo avere un’entrata fissa, perciò quello che speravo di fare per soltanto un anno o due si è trasformato in ventiquattro anni di posa.
La scuola di restauro mi è stata molto utile per capire le possibilità di manipolazione offerte dai vari materiali, trovare soluzioni agli errori, soddisfare la mia fame di storia dell’arte.
Le pose a scuola, però, hanno avuto una funzione catartica. Stare ferma, nuda davanti a ad una ventina di allievi, mi ha dato la possibilità di osservare le loro posizioni, i loro gesti, i segni che tracciavano sulla tela, i loro sguardi. Terminato il lavoro, tornavo nel mio laboratorio e sperimentavo a partire dalle tecniche che avevo viste adoperate e dalle sensazioni accumulate durante le ore di posa.
Ho iniziato con gli abiti per corpi impensabili, abiti di silicone, orpelli, monili, borse per passeggiate effimere. Incominciai a collaborare con compagnie teatrali per le quali realizzavo allestimenti e scenografie. Dal silicone sono passata alla carta, sempre creando abiti sia tridimensionali sia piatti. Abiti da seminare, ovvero abiti di carta colmi di semi inseriti nella carta stessa che sono segni quando guardati mentre l’opera è appesa alla parete ma che diventano fiori quando l’opera viene seminata in giardino. Successivamente, dalla carta la mia attenzione si è rivolta al filo di ferro cotto che tuttora rimane un materiale che sento molto.
Dall’inizio del mio percorso, tutto ruota attorno al corpo che secondo me è l’unica casa che davvero abitiamo, una casa a volte da ristrutturare per fragilità in corso ma che esprime anche solidità e certezza e che ci parla. Ci dice “fai così”, “continua in questo modo”, “non potresti fare altro che questo”, “sei un tramite per qualcuno che arriverà”.
D’altronde, non sono stata chiamata anch’io da qualcuno?

LINK ALLE OPERE DI ELVEZIA ALLARI

OPERE DI CARTA

OPERE IN FILO DI FERRO COTTO

ABITI SCULTURA IN SILICONE

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Una vita in scrittura: Toni Piccini

30 mercoledì Nov 2022

Posted by Maria Grazia Galatà in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

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Maria Grazia Galatà, Toni Piccini, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

 Una vita in scrittura

Maria Grazia Galatà ha rivolto l’invito a Toni Piccini che l’ha interpretato come segue.

Grazie infinite a Toni.

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Una vita in scrittura: Alberto Mori

23 mercoledì Nov 2022

Posted by Maria Grazia Galatà in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

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Alberto Mori, Maria Grazia Galatà, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

 Una vita in scrittura

Maria Grazia Galatà ha rivolto l’invito a Alberto Mori che l’ha interpretato come segue.

Grazie infinite ad Alberto

Alberto Mori

Nel ricondurre la mia esperienza nella poesia, mi attengo a due momenti di profonda consapevolezza verso me stesso che hanno inciso nella ricerca tuttora perdurante della parola.

Continua a leggere →

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Una vita in scrittura: Fernando Lena

26 mercoledì Ott 2022

Posted by Maria Grazia Galatà in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

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Fernando Lena, Maria Grazia Galatà, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

 Una vita in scrittura

Maria Grazia Galatà ha rivolto l’invito a Fernando Lena che l’ha interpretato come segue.

Grazie infinite a Fernando

Breve manifesto di una vocazione

Continua a leggere →

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Una vita nell’arte: Linda De Luca

25 martedì Ott 2022

Posted by Maria Grazia Galatà in ARTI VISIVE, Il colore e le forme, Una vita nell'arte

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Maria Grazia Galatà, Una vita nell'arte

Ph. Linda De Luca

Maria Grazia Galatà ha rivolto l’invito di “Una vita nell’arte” a Linda De Luca, che ha risposto come segue. Grazie Linda.

Quanto sia difficile per me scrivere del mio intimo, della mia essenza terrena, legata a tutto quello che si muove intorno, e mi fa smuovere sempre con difficoltà, è una prova che mi costa davvero molta fatica, perché solo in modo sincero posso scrivere di me e di quello che mi lega alla fotografia.
Nasce spontaneamente il mio avvicinarmi alla fotografia, con la curiosità, tramite l’uso dei tempi lunghi, di invadere quel tempo e spazio dove tutto è possibile, una polvere sottile, avvolge ogni cosa, al di là di ogni forma oggettiva, i corpi cercano una vita” eterna” sospesa .
Per chi come me conosce da vicino la malattia da quasi 40 anni e la paura di finire come tutto, ecco che lì, in quelle foto vedo e sento la mia dichiarazione di vita, senza però una narrazione di me e dei miei “guai”.
Non cerco la commiserazione, ma la mia libera interpretazione di ciò che sento più vicino alle mie paure, fragilità, speranze.
Quello che ne esce sono io, sempre in modo sincero, cerco il mio consenso, e la mia storia.
Ho avuto più occasioni di partecipare a mostre e mi hanno dato la possibilità di fare conoscere ciò che faccio, ma in questo momento sono concentrata sul cambiamento, che lo sento forte e vivo, e come non mai ho la voglia di fare un progetto sotto forma di fanzine, un piccolo-grande sogno da portare a termine nel tempo.

Linda De Luca

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Una vita in scrittura: Laura Pierdicchi

19 mercoledì Ott 2022

Posted by Maria Grazia Galatà in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

≈ Commenti disabilitati su Una vita in scrittura: Laura Pierdicchi

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Laura Pierdicchi, Maria Grazia Galatà, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

 Una vita in scrittura

Maria Grazia Galatà ha rivolto l’invito a Laura Pierdicchi che l’ha interpretato come segue.

Grazie infinite a Laura

IL MIO RAPPORTO CON LA POESIA

In tanti anni non ho mai scritto la storia della mia vita riguardante l’amore per la poesia. La mia è stata una folgorazione. A sette anni, al compleanno di un’amichetta, la sorella maggiore lesse una lirica scritta per l’occasione. Ne rimasi talmente colpita che da quel momento sentii di voler diventare una poetessa. A scuola seguivo sempre con amore e imparavo a memoria i versi dei grandi poeti; intanto, iniziavo ad avere pensieri e svariate emozioni. A nove anni (con la prima filastrocca) e fino ai sedici, ho compilato numerose liriche e le ho raccolte in un volumetto che non ho mai mostrato a nessuno (lo ritengo il mio diario segreto).
Dopo uno stacco di due anni (per motivi di salute) ho ripreso a scrivere e continuo tuttora. Non avrei mai pensato che le mie poesie potessero interessare ad altri ed ero all’oscuro di tutto quello che si aggirava attorno alla poesia. Anche gli studi erano distanti da quelli classici (ho scelto ragioneria e ho sempre svolto mansioni aziendali). Fu un critico amico a darmi il bando di un concorso, al quale partecipai senza aspettarmi nessun riscontro. Il premio che ricevetti mi procurò una gioia mai provata; per un giorno intero vissi di adrenalina. Cominciai allora ad informarmi e a prendere contatti con il mondo culturale; soprattutto, mi interessavano i concorsi per capire se veramente i miei testi potessero valere. Ricevendo molti riconoscimenti, mi decisi a presentare le bozze di un primo libro per una possibile pubblicazione. Venne subito accettato dell’Editrice Lalli e, tra gli altri, ottenne il giudizio positivo di Andrea Zanzotto e Giorgio Barbèri Squarotti. Da allora ho iniziato seriamente il mio percorso poetico. Il secondo libro è stato curato da Bino Rebellato e mi ha portato grandi soddisfazioni. Al mio attivo ho quattordici libri di poesia ed uno di narrativa, che mi hanno gratificato sia per i Premi ottenuti sia per il riscontro critico.
La poesia ha dato un senso alla mia vita e non ho mai scritto per passare il tempo ma solo tramite una forte spinta interiore. Tra un volume a l’altro ho lasciato sempre uno spazio di silenzio per dare allo spirito la possibilità di rinnovarsi e generare nuove emozioni. Inoltre, la poesia è stata ed è una lettura quotidiana, dovendo curare recensioni per altri autori e collaborare con varie Riviste letterarie. Avendo approfondito la conoscenza dei grandi Poeti, ho sempre cercato di non farmi influenzare e ho seguito il mio ritmo interno nella speranza di creare una voce che mi appartenesse. Non mi addentro nella mia poetica perché lascio questo compito ai critici e a chi mi legge. Ho scritto testi di breve/medio respiro ma anche due libri a più voci adatti alla recitazione e che ho fatto rappresentare in vari teatri. Con il tempo ho perseguito sempre di più la sintesi per dire tutto in pochi versi. Per esempio, chiudo con una lirica dal mio ultimo “Il Portale” (2021), inserito nella collana curata da Paolo Ruffilli per la “Biblioteca del Leoni”:

Ciò che non è più
ciò che non ha luogo
vaga nell’assurdità
di un pensiero che torna
dove il concreto
riempiva lo spazio
ed era in assoluto
l’unico riferimento.

Laura Pierdicchi

NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA

Laura Pierdicchi è nata a Venezia e vive a Mestre. Ha pubblicato quattordici volumi di poesia e un libro di racconti. Cura recensioni e articoli per riviste e quotidiani con argomenti di letteratura e di cultura varia. E’ inserita nell’antologia tradotta in lingua romena Echi d’acqua, curata da Ştefan Damian e in quella tradotta in lingua spagnola Venezianamente a cura di Nadia Consolani Quiñones. Ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti ed è presente in più repertori e antologie di poesia contemporanea. Alcune riviste straniere, come le spagnole Caleta, Por Ejempio, Puente chico, Revistatlάntica e la rumena Steaua, hanno dedicato servizi sulla sua poetica, con pubblicazione di diverse liriche. Anche nella rivista Vernice appare un ampio servizio sulla sua attività. E’ componente di giuria in concorsi letterari e svolge intensa attività pubblica di partecipazione a manifestazioni culturali. Sue poesie sono state tradotte in tedesco e presentate da Helmut Meter al Musil Archiv di Klagenfurt, in occasione del cinquantenario dalla morte di Alfred Musil, e pubblicate in I nascosti colori della vita. Di lei si sono interessati molti critici e scrittori. Tra i più noti: Cajani, Cara, Civitareale, Della Corte, Ferri, Giudici, Grasso, Magrelli, Majellaro, Pazzi, Pent, Piccari, Rebellato, Risi, Ruffilli, Scrignoli, Squarotti, Troisio, Zanzotto, ecc. E’ presente nei siti Italian-poetry.org e genesi.org. Nel sito Literary.it è inserita la sua completa attività poetica.

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Una vita nell’arte: Loredana Raciti

18 martedì Ott 2022

Posted by Maria Grazia Galatà in ARTI VISIVE, Il colore e le forme, Una vita nell'arte

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Loredana Raciti, Maria Grazia Galatà, Una vita nell'arte

Ballo al Tramonto (fotofusione)
Donna Margherita (pigmenti, Collezione Amabili resti)
Abito rosso (Collezione Amabili resti)
Ragazza Sogni (fotofusione)
Ragazza Mela (collage)
LoreAvatar (Collezione Avatar)
Opere di Loredana Raciti

Maria Grazia Galatà ha rivolto l’invito di “Una vita nell’arte” a Loredana Raciti, che ha risposto come segue. Grazie Loredana.

L‘ arte mi ha presa da quando ero bambina non ancora consapevole che era la mia via di fuga da una famiglia troppo rigida e borghese, non incline allo stato spirituale dell’essere. Mi sono rifugiata lì in quell’arte quasi autistica di una bambina di tre anni. Ogni scarabocchio o collage con la carta che maniacalmente tagliavo era viva, mi sembrava di stare dentro ad un mondo vitale, dove non esisteva il dolore. L’approccio nacque così e durò per sempre senza rendermene conto, seguivo il filo nel labirinto della vita, e, come Arianna, sono sopravvissuta al Minotauro dei disagi che creano le esperienze di un essere umano, mi sono salvata da sola, io principe di me stessa, nessun Teseo a supportarmi o abbandonarmi su un isola da sola.

Proprio nella mia natura malinconica ed ironica, ho trovato la mia vocazione, provare tante tecniche, dal disegno alla pittura, dai collage, alla video arte o alla FotoFusione. Si dice in questi casi poliedrica, un parolone, oppure si definisce monotematico chi usa sempre la stessa tecnica, un altro parolone. Solo gli umani possono incasellare l’arte, dare nomi a tutte le cose per controllarle, questo mi disturba, la vita è fatta di sfumature e tratti, certi e incerti.

L’ arte, se ne cogli il vero significato è umile, si arrotola le maniche e cerca l’oro del fare e del creare, il nero pece dell’anima sempre travagliata, ci si confronta, non gongola di sé, credo che entrare davvero nel pianeta arte, sia un viaggio interiore, per abbandonare totalmente l’ego, non è immediato e neanche semplice, ma la ricerca è quella, spogliarsi di ogni sovrastruttura e complessi sia di superiorità che al contrario di inferiorità. L’arte ha molto a che fare con la meditazione, mollare, lasciar andare la mente che è un limite, ogni creatore (dire artista è un po’ generico) ritengo abbia il suo percorso personale, ma se è onesto con se stesso si vota all’arte senza aspettarsi niente, è quasi un percorso ascetico, se si vuole la vetta è interiore, ottenere il successo è come vincere alla lotteria.

Non è mai una questione di talento, se bastasse solo quello sarebbe facilissimo, sono tante linee che si intersecano: la conoscenza, il potere, i consensi, le quotazioni, i supporti di mecenati ed estimatori, è tutta una connessione quasi impossibile, e non è mai sicuro che chi arriva sia il migliore. L’arte va vissuta, come San Francesco, con l’umiltà di vedere il tutto ed anche l’oltre, se poi accade, è quasi un miracolo.
Il mondo dell‘arte è un’arena feroce, e il creatore, come il gladiatore, si deve procurare il lasciapassare per la libertà. Ci sono infine i creatori tuonanti che la loro libertà la conquistano in solitaria con lacrime di sangue e pezzetti di anima.

Loredana Raciti

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Una vita nell’arte: Rodolfo Bisatti

11 martedì Ott 2022

Posted by Maria Grazia Galatà in ARTI VISIVE, Cinema, SPETTACOLO, Una vita nell'arte

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Rodolfo Bisatti, Una vita nell'arte

Fotografie dal prossimo progetto cinematografico di Rodolfo Bisatti

Il successo della rubrica “Una vita in scrittura”, l’iniziativa partecipativa dedicata alla scrittura avviata nel mese di marzo scorso, ci ha fatto riflettere che la scrittura è una delle arti nelle quali si esprime il bisogno artistico, culturale, creativo umano, ma non l’unico. Non minore dedizione richiedono: fotografia, pittura, cinema, teatro, scultura, musica… altrettanti fulcri d’esistenza, e compagni di vita. Abbiamo pensato quindi di rivolgere l’iniziativa ad artisti che si dedicano da tempo all’arte e possano essere testimoni di fedeltà ed esperienza nella creazione artistica. Un invito, ma, nel contempo, un omaggio. L’invito è a raccontare, non con le parole asettiche e sintetiche usualmente richieste in una bibliografia, ma in libertà, l’ingresso nell’esperienza d’arte nella propria vita, la chiamata o vocazione, la sua permanenza, l’evoluzione, l’intreccio con le proprie vicende personali, spirituali, una storia quindi fatta di inizi, trame incontri, episodi, traumi, delusioni, soddisfazioni, concorsi, premi, scoperte, emozioni ma anche, se si vuole, raccontare tutto ciò che rende tale l’artista, che costituisce il suo mondo, nella forma che egli ritenga più congeniale: un racconto, poesie autobiografiche o “metartistiche”, fotografie, dipinti, un’intervista a se stessi nella quale porsi le domande che si sarebbe desiderato sentirsi rivolgere e fornire poi le risposte, un video, un file audio sono tutti modi possibili con cui cor-rispondere alla domanda:

Ci racconti la tua vita nell’arte?

Su invito di Maria Grazia Galatà risponde il regista Rodolfo Bisatti

L’Arte? Una forma minima ma necessaria di esistenza

Io non credo esista una vocazione particolare per diventare artisti, la vocazione, semmai, sta nel non esserlo e accettare di condurre una vita in funzione di un lavoro che non ami o ami troppo poco. Non ho alcuna visione romantica dell’arte proprio perché la considero la routine necessaria alla sopravvivenza e non qualcosa di superfluo, di inessenziale; un supplemento facoltativo. Ripeto, quello che pomposamente viene chiamato artista è semplicemente una persona normale che sta vivendo la sua prassi biologica. Nella scala di valori dell’esistenza al primo posto viene il gioco, poi il cibo. Cibarsi senza gioia significa coltivare con rigore la propria malattia.

Trovo insensato il lavoro fine a sé stesso con unico scopo utilitaristico quello di racimolare la paga che ti consenta di sopravvivere per ritornare al lavoro. Aver portato la società a questa condizione ricattatoria è una prerogativa del Potere che è inetto, frustrato, castrato e odia l’arte, per questo cerca affannosamente di riempire tutti i buchi con pattume culturale servile. Ma tornando alle cose essenziali, ci sono moltissime forme di attività creativa, anche il collezionista è ossessionato dalle sue preziose raccolte, il maestro di Yoga, lo sportivo, chi ha l’assillo dell’estetica, chi sa fare bene il proprio mestiere artigianale. Ho conosciuto un fisico che lavora nella robotica, il su discorrere è simile a quello di un mistico piuttosto che a quello di uno scienziato. In sostanza per vivere è necessario avere una passione imprescindibile che può manifestarsi in tante forme. Stringendo il campo a pochi concetti posso dire che l’Arte è lo scopo biologico dell’Uomo. Questa è una frase che ho mutuato da un poeta russo: Joseph Brodsky e che cito sempre molto volentieri. Il mistero non sta in chi crea ma in chi non lo fa e s’accontenta della sua condizione sottomessa. In questa prospettiva credo che la competizione e l’utilizzo dell’arte per primeggiare su altri sia una forma puerile di gratificazione, anche perché è incompatibile con il senso dell’Arte che è quello di creare un ponte con la trascendenza, di attivare un dialogo con Dio e non una competizione per assicurarsi il podio. Per chi obietta che la mia è una visione elitaria e aristocratica, o misticheggiante, dico che tutti i popoli primigeni mettono al primo posto la sacralità dell’arte, con pratiche come lo yoga dell’India, le tecniche del respiro cinesi o la ginnastica viscerale degli antichi Maori, per non parlare del ruolo della danza in tutta l’Africa centro meridionale. E che dire poi del Tibet, dello sciamanesimo nelle regioni siberiane e centro asiatiche. L’arte e la spiritualità sono sinonimi. E qui arriva il punto dolente della questione che è la decadenza dell’occidente che s’è votato anima e corpo, anzi solo corpo, alla materia negando l’anima, sostituendo l’Essere con l’Avere. In questa dimensione materialistica sono stati cacciati gli dei per sostituirli con le cose. La farmacologia del divertimento occidentale è una forma puerile di azione artistica manchevole del suo lato spirituale e per questo foriera di profondo disagio e di perdita di credibilità. È così che s’è creata la spaccatura, la scissione tra artisti e spettatori, divisione impensabile altrove. Distruggendo la tradizione giudaico cristiana ci siamo ritrovati nel nonsense avvenente, in una vita priva di contenuti, disorientati di fronte al ragazzo pakistano che prega, ad ore stabilite, genuflesso in direzione della Mecca. Da noi quando si entra in chiesa per pregare bisogna prima guardarsi attorno per assicurarsi che qualcuno non ti veda, perché è vergognoso invocare, chiedere aiuto, implorare, piangere. E qui il lavoro del cosiddetto artista occidentale si complica perché da un lato deve esprimersi ma anche portare con sé la necessità di ripristinare il primato dello spirito sulla materia. Per tutto il novecento c’hanno provato gli artisti, dal primo all’ultimo, ne citiamo solo una manciata casuale: Kandinsky, Madame Blavatzky, Hilma af Klint , Giorgio de Chirico,  Joseph Beuys , Yoko Ono, Giuseppe Penone, Gina Pane, Hermann Nitsch, Enzo Cucchi, Francesco Clemente, Mimmo Paladino, persino Cattellan, ma l’elenco è molto più vasto ovviamente. Non sono mai riuscito ad intercettare una sola opera d’arte che non fosse una porta spalancata sulla trascendenza. Ricordo lo smarrimento e l’accelerazione della respirazione e del battito cardiaco quando mi sono trovato di fronte a Pesci Rossi di Matisse… Ma pensiamo alle nature morte di Morandi, ai pesci sacri di De Pisis, alle sculture arcaiche di Picasso. Certo le forme e le intensità cambiano, tra le tradizioni millenarie e le iniziative individuali ci sono differenze sostanziali, c’è un grosso dibattito attorno a questa faccenda, cioè sulla data da segnare come inizio della decadenza, c’è chi la fa partire con il Rinascimento, quando l’artista si riappropria del proprio ego. La potenza assoluta di Michelangelo determina una cesura precisa e la Pietà di Milano, la Rondanini, è nel contempo la fine dell’antico e l’inizio e la fine del moderno. Comunque, tagliando corto, nella sostanza, la direzione dell’Arte è la medesima: non c’è arte senza fede e non c’è fede senza arte. La fede per l’artista non è l’apologia della religione, ma il suo opposto, ed ecco il grande blasfemo, il teorico della crudeltà, l’eretico, il bestemmiatore. Artaud rappresenta e incarna lo spirito più profondo, assieme a Nietszche, della spiritualità dell’arte del novecento (retroattivo di un secolo e post attivo di un altro)

Chiunque abbia affrontato un percorso creativo s’è reso conto della limitatezza del pensiero materialista, scientista, di basso cabotaggio, inservibile per chi fa il nostro mestiere. Gli artisti vivono di miracoli e spesso sono costretti alla precarietà, diciamolo pure alla fame o alla follia, ma sono i veri sacerdoti dello spirito, questa verità può irritare e infastidire i burocrati dell’anima, o gli economisti della cultura, ma è piuttosto difficile smontarla. Ma se qualcuno ha i numeri per farlo, ci provi.

Rodolfo Bisatti

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Una vita in scrittura: Antonio Nazzaro

28 mercoledì Set 2022

Posted by Maria Grazia Galatà in LETTERATURA E POESIA, Una vita in scrittura

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Antonio Nazzaro, Una vita in scrittura

omaggio a un poeta, Giorgione, 1505

Col titolo “Una vita in scrittura” Limina mundi avvia un’iniziativa partecipativa che, come dice lo stesso titolo, vuole mettere in luce quanta dedizione richiede la scrittura e quanto lega a sé diventando fulcro di un’esistenza, compagna di vita

L’iniziativa è rivolta ad autori che scrivono da tempo, che hanno quindi un’ampia esperienza in scrittura, una carriera letteraria alle spalle, possono testimoniare l’atto di fedeltà alla parola. E’ quindi  un invito, ma nel contempo un omaggio.

L’invito è a raccontare, non con le parole asettiche e sintetiche usualmente richieste in una biobibliografia, ma in libertà, l’ingresso della scrittura dentro la propria vita, la chiamata o vocazione, la sua permanenza, l’evoluzione, l’intreccio con le proprie vicende personali, spirituali, una storia quindi fatta di inizi, trame incontri, episodi, traumi, delusioni, soddisfazioni, concorsi, premi, scoperte, emozioni ma anche, se si vuole, raccontare tutto ciò di cui lo scrittore è “fatto”, il suo saper fare anche oltre l’atto della scrittura in qualunque ambito sente appartenergli: professionale, creativo, artigianale, degli affetti… senza limiti, in linea con lo spirito del sito.

Libertà anche nella forma: un racconto autobiografico romanzato, un “automatismo ritratto”, cioè un proprio ritratto in scrittura automatica, un flash su un episodio o persona importanti o significativi del proprio percorso,  un’intervista nella quale le domande sono formulate e le risposte sono date sempre dallo stesso autore, persino una singola poesia o raccolta di poesie che l’autore riconosce come “autobiografiche” sono modi possibili con cui cor-rispondere oppure rispondendo semplicemente alla domanda: Ci racconti la tua vita in scrittura?

L’invito è stato rivolto da Maria Grazia Galatà ad Antonio Nazzaro che l’ha interpretato come segue.

Grazie infinite, Antonio e grazie altrettante a Maria Grazia

Intenti di scrittura

Della poesia ho i calzini rotti / le unghie sporche / e la barba mal tagliata / un posacenere pieno / una pancia appoggiata / graffi del grattarsi / e una finestra / aperta

Lui è seduto davanti al computer, il posacenere colmo, e cenere sulla tastiera, colpita come si faceva con le macchine da scrivere. Il ventilatore aggrappato al soffitto taglia un’aria fumosa.
Si accende un’altra sigaretta, scrive: ……………………………………………………………

Batte con due dita, la sigaretta tra i denti. Lo vedo con la faccia di chi scrive appunti che non rilegge. Lo vedo cercare immagini nello schermo, si allontana e si avvicina: non per vedere meglio, per sostenere un dolore. Lo vedo non alzare lo sguardo dai tasti come a fuggire il suo volto riflesso nello schermo.

*Inconscientemente yo levanté los ojos a la torre bárbara que dominaba el vial larguísimo de los
plátanos. Encima del silencio hecho o vuelto intenso ella revivía su mito lejano y salvaje: mientras por visiones lejanas, por sensaciones oscuras y violentas otro mito, también este místico y salvaje me recorría por momentos a la mente. (…)
(“La noche” de Dino Campana Suramericano-Cantos Órficos, Abisinia Editorial, 2022. Traduzione di Antonio Nazzaro)

Caracas per ogni stella ha una donna. L’Avila si pavoneggia alla luna. Caracas è una femmina danzante. L’Avila suona un triste ballo. Caracas è assenza di clacson nel ritmo di un ballo inchiodato sulle spalle di donne costanti, che portano la città in borse troppo grandi. Sono mani nervosamente magre quelle che tolgono la cenere dallo schermo. Le punte delle dita tradiscono passi di danza sulla tastiera. Caracas è canto di pioggia, suoni di tamburi e vita che strabocca dai tombini. L’Avila muove maliziosa i capelli all’aria.

Lo vedo fumare appoggiato al gomito cercando mappe di città come foto ricordo.

Di dove sei?

Tram leggeri scorrono sull’asfalto che si fa ponte per correre tutto d’un fiato la scalinata di un qualche sagrato. Di dove sei? Ogni volta che gli fanno questa domanda resta a pensare.
La casa che aspetta si disegna tra strade che attraversano oceani e le onde s’infrangono su marciapiedi forse tutti uguali. Non si lascia una terra per cercarne un’altra, si cerca una terra solo quando non ne hai una.
Torino offre un cielo da cartolina e sedili di legno sui tram. Gli occhi prendono i colori e li dipingono in un vivido bianco e nero. Muoversi per Città del Messico è come muoversi in universi più o meno ordinati sono 40 milioni le persone che la percorrono. Lo vedo con la faccia di un emigrante che non ha storia. L’ aria canta: ” México Lindo y Querido Si muero lejos de ti Que digan que estoy dormido Y que me traigan aquí”. Entra por la ventana/esta noche suramaericana/escrita en italiano…

Torino è la distanza tra la terra e la punta della Mole che misura il cielo.
Città del Messico ritmi sconosciuti / attraversano le strade / fanno danzare la metro / violini, mormorio incessante / fisarmoniche a auto…
Cozumel abbiamo perso i sogni qui / su questa barca di pietra e selva / a nuovi porti andando (…)
onde che approdano / al lungomare stancamente appoggiato all’orizzonte…
Caracas el paso infinito de la belleza suspendida / y caderas de ritmos de la tierra. / En el pecho cimas que alcanzan las estrellas / las uñas como casas que se agarran una encima de otra / de la pobreza que roza / los brazos avenidos hacia el infinito

vivo in un paese che si spara / come si mangiano le caramelle / e le mani che stringono il calcio
/ non hanno pallone / ma vanno ancora / in pantaloni corti / con occhi spenti / che non hanno /mai visto il mare / a disegnare /i sorrisi / delle onde

Al funerale di un delinquente le ragazze a cavalcioni sulla bara a muovere i fianchi e il culo: un ultimo meneo all’amato. Perché o sei madre o sei donna del malo, uniche identità possibili nei barrios: con la dittatura, la democrazia e il socialismo. Qui aprire le gambe o premere un grilletto non fa differenza e la notte scende sui buoni e sui cattivi. Il problema è chi vedrà l’alba. (Caracas, 2017)

ma ancora mi tuffo in un oscuro caffè d’America / e brucio tabacco d’India / sul veleggiare di questa finestra.

amori dalle lingue diverse / seduti su questo viaggio/ riconosciuti da un solo bacio / come una promessa aperta.

Antonio, omonimo venezuelano d’Abruzzo, mi riceve con l’immancabile itañolo:

«Hola como stai?», e prima che possa rispondere «ho visto tua madre, parece che

sta bien e tuo padre mejora».

Per Daniela Nazzaro (sorella)

A te che non leggerai
ma come ti racconto
sulla tua sedia dalle ruote che non girano
sulla tua testa che non, che non sta su
e gli occhi ad indicare il nord e il sud
il sud di quest’amore
che non ha parole
ma raccoglie con la mano
la tua bava che cade
che cade su un bavaglino
dai cinquant’anni.

Dai cinquanta anni di silenzi.

*

A mio padre

Ho una poesia
solo per te:

click

tu che fotografi me
che scrivo te.

*

Malattia. Tredicesimo giorno. Pioggia.

Scendo a vedere il tuo sonno. La pioggia scivola lenta lenta sui vetri. Non entro. Dalla porta con paura guardo se il tuo petto si muove nel gesto del respirare. Alla memoria si accalcano i ricordi ma con un gesto della mano li allontano. Hai bisogno del mio presente e io di sostenere il tuo. Ma inciampo in quel tuo prendermi in giro per il mio andare dal barbiere anche se sono davvero pochi i capelli. Solo voglia di sorridere nonostante tutto e tutti. Nascondo il pianto sul lavandino del bagno e dal lucernaio la pioggia dà il ritmo. Vorrei chiederti scusa per tutto il male che ti ho fatto quando la furia correva per le vene a macchiare le camicie di sangue. Ma non serve. Ogni scalino sembra un paramo andino. Sono qui madre con un bacio pronto per il tuo risveglio. Il sugo di pomodoro e gli spaghetti sono quasi pronti. Un bacio tuo o mio poco importa. Siamo noi: Zambonina e il disgraziato. Bacio ma’.
(16 settembre 2021)

Sono odori a scoprire il sesso e qualcosa chiamato amore e un tram che ruba la

mattina.

Di te so poco:
la lunghezza delle tue braccia
il tempo dei tuoi baci
quelli umidi dell’amore vorace
e quelli lenti dell’amore quotidiano.

Il taglio degli occhi
e l’incedere scalza.

Il movimento dei seni
a cui accordo il respiro
quel gesto tuo
di spostare i capelli
quello che so
è che quando arrivi
e ti siedi in un sorriso
sogno.

*

(…) Si dovrebbe affrontare il giorno
ma la testa si gira
sotto il cuscino del tempo
ad allungare la notte
che abbraccia
l’odore di te.

*

sono carezze a delineare gli occhi come carovane dai carichi esotici

carezze patagoniche
lunghe da poter toccare il freddo polo e scatenare le passioni infinite di Capo Horn

carezze platensi orientali
capaci di mantenere il limite dell’onda del piacere tra un’acqua dolce e una salata

carezze andine
salgono e scendono senza posa e corrono sotto il mare sotto la pelle

carezze caraibiche
muovono i fianchi e con i talloni rubano il danzare della terra

carezze di selva
tessono i corpi a dare un’ombra umida dove scivolare

carezze nostre
ancora tutte da inventare

*

e sono di nuovo qui su questo farsi della notte
appoggiato tra luna e Ande a spiarti le gambe
a farle pontili di navi da passare in rivista
meticolosità lenta di chi non vede terra

ma la aspetta dietro il gesto consueto
quell’andare della mano tra viso e capelli
carezze non date mille volte sfiorate
distanza è una parola perduta nell’oceano

avvicino le tue labbra il tuo respiro sospesi
tra le Ande e la luna ti disegno amore mio
solo questo volevo dirti

L’emigrante lo riconosci / perché anche sotto il sole del mezzogiorno / disegna / due ombre.

Sono un emigrante
figlio di emigranti.

Non ho razza né terra
ma solo un cielo di stelle.

La mia lingua è una nuvola
che insegue il vento.

Muoio e rinasco al toccare terra.

*

il silenzio
di tante lingue

lo sguardo
di tanti orizzonti

la solitudine
di ogni terra

masticare terra ed acqua

l’essere emigrante
non ha fine

*

L’albero

Io
ho un albero
piccolo molto piccolo
senza terra e senza radici.

Mi accompagna da sempre
i suoi rami non hanno foglie né frutti
ma sta nella mia valigia
di emigrante.

E forse un giorno
riusciremo a piantarci.

(…) Quello stesso anno, avevo quindici anni, insieme a mio cugino Dario comprammo il primo biglietto ferroviario Interrail decisi a raggiungere il sole di mezzanotte. Fu l’inizio di un viaggiare che non si è ancora fermato. Quando a Narvik, in Norvegia, ci trovammo di fronte a questo tramonto che non tramonta con i compagni di viaggio, mentre alcuni cantavano Because the Night di Patti Smith, io leggevo quella frase: “Quiere Usted Mate? uno spagnolo professe a bassa voce, quasi a non turbare il profondo silenzio della Pampa (…)”. Mi separai dal gruppo immaginando che là, al di là dell’orizzonte ci fosse La Pampa. Molti anni dopo partivo per un viaggio in America Latina che doveva durare quindici giorni e sono diventati più di vent’anni. (…)

.¿Quiere usted Mate? Recibí el vaso y chupé la caliente bebida.
…..Tirado en la hierba virgen, de cara a las extrañas constelaciones yo me iba abandonando entero a los misteriosos juegos de sus arabescos, acunado deliciosamente por los ruidos atenuados del vivac. Mis pensamientos fluctuaban: se subseguían mis recuerdos: que deliciosamente parecían sumergirse para reaparecer a ratos lúcidamente trashumantes en la distancia, como por un eco profundo y misterioso, dentro de la infinita majestad de la naturaleza. (…)
(Pampa, de Dino Campana Suramericano-Cantos Órficos, Abisinia Editorial, 2022. Traduzione di Antonio Nazzaro)

Antonio Nazzaro

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