NOTTURNO I
io, di notte
conto sempre i quarti d’ora
e in molti ovili il contatore mi salta a tal numero
e tastando le pecore nel sonno sento che hanno
quel pelo che immagini sotto ci sia chissà cosa e
allora io, di notte
oltre alle cose che mi passano accanto
mi tengo lontano dal sonno dei lupi
in una veglia interiore che molte volte
attende un albeggiare pallido
come fossi immerso con le mani nel nulla
a dipanare i fili che
invece io, di notte
sto lì a tendere
e ogni filo, di notte, diventa il mio tessuto
che si fa e si disfa in una trama sempre nuova
come se raccontasse quella storia o quell’altra
e a volte con la navetta e il pettine
di un telaio musicale
purtroppo io, di notte
a furia di cantare curvo sulle corde tese
mi consumo come se consumassi la notte stessa
e quando anche ne aspettassi un’altra
la notte
le altre volte tesse sé stessa senza che
insomma io, di notte
possa cantarne i suoi oscuri motivi notturni
sicché la notte
mi vince con la forza della sua musica
e i suoi disegni pare si cancellano non appena
per caso io, di notte
cesso di far fluire le mezzore nelle clessidre
e dimentico di svuotare nel cielo della notte
la sabbia delle stelle
il tempo consumato nelle veglie
NOTTURNO II
Tu, stanotte
hai di che dormire
stringo la tua mano
tengo nella mia mano il tuo sonno
veglio i fremiti della tua elettricità
che ti attraversano i palmi su binari che si biforcano
e la pulsazione delle tue vene
mi fa pensare che di notte vivi di altro ulteriore
e mi aiuti con il sonno a stare in questa notte
tu, stanotte
col treno fai arrivare alle stazioni
gli esseri alati che volano nel tuo sogno
delle cui storie mi racconterai domani
e lì accadono cose che ti fanno muovere labbra
e aggrottare sopracciglia, distendere gli arti
accennare a un dolore e fare di conto
e attraverso sottrazioni dell’essere
arrivi a sospirarmi qualcosa che non capisco
nella lingua che precede la poesia
NOTTURNO III
la notte per loro è una tana
si nascondono chiusi dentro quel bozzolo
e l’odio che secernono a ogni sogno
li fortifica convincendoli che sono nel sogno giusto
e che il mondo è conforme a quello
che c’è da aspettarsi da un mondo
il loro sonno ronza progettato giustamente
come è progettato il piano inclinato sul quale rotolare
al risveglio la notte li avrà ricaricati
avranno molte tacche ai loro archi
molte sfide di finanza li attendono
come assalire e predare, uccidere variando i tassi finanziari
considerano la speranza una sconfitta
la notte non li trascura, e stando lì a oliare gli indici
metteranno in ginocchio le loro madri prima che faccia giorno
NOTTURNO IV
Buttato in un aeroporto
la notte non mi fa paura
saporiti dormiamo tra le valigie
sogniamo fusi orari come quelli
dei quadri di Dalì in terre desolate.
Si è fermato alle tre di questa notte
il tempo ha bivaccato cantando
la canzone di chi chiede asilo.
Ognuno al cellulare fotografa la scena
dove i bambini restano di stucco
ridendo sui cartoni illuminati.
Chi dorme sogna i suoi vent’anni
li avrà chi non li ha mai avuti da vivo
la notte stanotte non mi ha divorato.
NOTTURNO V
tenta la notte ancora di annottare
scende, tratta col vento la sua tregua
ma i patti erano patti e dilaga
lungo questo asse non ancora invernale
attendiamo uno strano Godot dall’Artico
si avvicendano i nuovi giorni al calendario
senza che si veda nulla all’orizzonte
dalla nostra fortezza il tenente ispeziona l’oscurità
nel deserto di cose che abbiamo davanti
c’ è l’idea di un nuovo crollo del fronte
spediremo lettere a casa con “amore mio”
come solo ed eterno richiamo che filtri calore
e il ricordo di un pianto dentro un foglio inzuppato.
NOTTURNO VI
Notte di una notte senza fine
notte il cui confine non arrivo a percepire
notte che passo dentro ad altre notti
in bilico a sedere su una sponda di letto
di un orizzonte opaco e imperfetto
Notte che il giorno me lo racconto e me lo canto
me lo tengo stretto accanto sul cuscino
lo vivo come sogno di luce, di cammino
E immagino un rumore di passi che percorrono la notte
con l’aria che si ingoia di notte ad un aprir di finestra
e in quell’affaccio ti vedo attraversare il filo delle ore
che contate e ricontate non sono più notte
su ore non ancora calde che non fanno il giorno
Notte che annotti sulla città
afferrando e scuotendo lampioni
con un vento che vorrebbe parlarmi
senza aver proprio nulla da dire.
Sarebbe molto meglio dormire
quasi (almeno) come un piccolo morire.
Francesco Tontoli
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