Il 25 aprile 1945 il CLNAI ordina l’insurrezione generale, durante la quale i partigiani affluiscono nelle città , si uniscono ai combattenti locali e liberano il Nord Italia (tratto da qui)
Il manifesto dell’ANPI per il 25 aprile 2021, realizzato da Lucamaleonte
La chiusa angoscia delle notti, il pianto delle mamme annerite sulla neve accanto ai figli uccisi, l’ululato nel vento, nelle tenebre, dei lupi assediati con la propria strage, la speranza che dentro ci svegliava oltre l’orrore le parole udite dalla bocca fermissima dei morti “liberate l’Italia, Curiel vuole essere avvolto nella sua bandiera”: tutto quel giorno ruppe nella vita con la piena del sangue, nell’azzurro il rosso palpitò come una gola. E fummo vivi, insorti con il taglio ridente della bocca, pieni gli occhi piena la mano nel suo pugno: il cuore d’improvviso ci apparve in mezzo al petto.
Quest’anno il blog Limina mundi celebra l’otto marzo riportando alcuni significativi accadimenti che riguardano o hanno riguardato le donne e facendo infine riferimento ad alcune figure femminili rappresentative.
(Le scritte in colore bordeaux contengono link da cui sono tratti i frammenti riportati in grassetto o virgolettati)
Una combattente ha dichiarato: “Dobbiamo controllare l’area da soli senza bisogno di dipendere [dal governo]… Non possono proteggerci dall’ISIS, dobbiamo proteggerci da soli [e] difendere tutti… senza tenere conto della loro razza e della loro religione
Addio ad Antonietta Patrone, infermiera in prima linea al Cardarelli di Napoli, uccisa dal virus, ennesima vittima di una lista che si allunga inesorabilmente
Clara Ceccarelliuccisa il 19 febbraio del 2021 dal suo ex compagno con 110 coltellate, si era già pagata il funerale pochi giorni prima. E’ la nona vittima di femminicidio dall’inizio dell’anno 2021.
Somalia: la lapidazione viene effettuata nei territori controllati dalle forze delle corti islamiche. Nell’ottobre 2008 una ragazza tredicenne viene lapidata nello stadio di Chisimaio di fronte a 1000 persone, dopo aver suppostamente confessato e richiesto la pena ad una corte islamica. Pare che la ragazza fosse invece stata arrestata dopo aver denunciato uno stupro, e quindi consegnata alla corte.
Le ragazze del radio (in inglese: Radium Girls) furono un gruppo di operaie che subirono un grave avvelenamento da radiazioni di radio, contenuto nella vernice radioluminescente utilizzata come pittura per quadranti nella fabbrica di orologi della United States Radium Corporation nella cittadina di Orange, nel New Jersey (Stati Uniti), intorno al 1917…
Era il 25 marzo del 1911 e cinquecento ragazze e donne giovani (tra i 15 e i 25 anni), più un centinaio di uomini, stavano lavorando in un palazzone di Washington Place a New York. La fabbrica di camicie si chiamava “Triangle Waist Company” e occupava gli ultimi tre piani dell’edificio.
«La folla da sotto urlava: “Non saltare!”», scrisse il New York Times. «Ma le alternative erano solo due: saltare o morire bruciati. E hanno cominciato a cadere i corpi». Tanti che «i pompieri non potevano avvicinarsi con i mezzi perché nella strada c’erano mucchi di cadaveri». «Qualcuno pensò di tendere delle reti per raccogliere i corpi che cadevano dall’alto», scrisse il Daily, «ma queste furono subito strappate dalla violenza di questa macabra grandinata. In pochi istanti sul pavimento caddero in piramide orrenda, cadaveri di trenta o quaranta impiegate alla confezione delle bleuses». «A una finestra del nono piano vedemmo apparire un uomo e una donna. Ella baciò l’uomo che poi la lanciò nel vuoto e la seguì immediatamente». «Due bambine, due sorelle, precipitarono prese per la mano; vennero separate durante il volo ma raggiunsero il pavimento nello stesso istante, entrambe morte».
Danneggiano in modo permanente i corpi delle ragazze, infliggendo dolore lancinante, traumi emotivi, complicazioni potenzialmente mortali durante la gravidanza, il lavoro e il parto. Sono le Mutilazioni Genitali Femminili.
La violenza sessuale è un delitto commesso da chi usa in modo illecito la propria forza, la propria autorità o un mezzo di sopraffazione costringendo con atti, prevaricazione o minaccia (esplicita o implicita) a compiere o a subire atti sessuali contro la propria volontà.
Negli Stati più tradizionalisti e in quelli che mirano alla reintroduzione a pieno titolo della sharīa, dove le norme del Corano sono interpretate e applicate in maniera più rigida e rigorosa, le donne non vivono una situazione egualitaria in termini di libertà, e sono considerate a un livello inferiore rispetto all’uomo.
In tutti i paesi del mondo e nella maggior parte dei settori lavorativi, le donne sono ancora pagate meno degli uomini. Questo divario retributivo continua a rappresentare una delle ingiustizie sociali più diffuse a livello globale.
A finire in manicomio infatti erano quelle donne che non si adeguavano alla morale del tempo, spesso vittime di un trauma o di un abuso sessuale. Loquace, euforica, lasciva, smorfiosa, impertinente, piacente… questi erano gli aggettivi atti a descrivere la sintomatologia delle donne che venivano rinchiuse nei manicomi.
Il diritto di voto alle donne fu introdotto nella legislazione internazionale nel 1948 quando le Nazioni Unite adottarono la Dichiarazione universale dei diritti umani.
Fu figura-simbolo del movimento per i diritti civili, divenuta famosa per aver rifiutato nel 1955 di cedere il posto su un autobus a un bianco, dando così origine al boicottaggio dei bus a Montgomery. Nove mesi prima anche Claudette Colvin fu protagonista di un episodio analogo, che non ebbe uguale risonanza mediatica.
E’ la prima donna italiana a rifiutare il matrimonio riparatore. Diviene simbolo della crescita civile dell’Italia nel secondo dopoguerra e dell’emancipazione delle donne italiane.
Mi chiedo io cos’abbia da spartire con una villa del settecento. e per il momento con la chemio o altra terapia. che per il momento l’oncologia è un ramo ignoto. navigando le cellule primordiali verso altri mali comunque pessimi. e mali e declino e vecchiaia. (signori annotate il futuro. prima che io mi dimetta e rivolti. o vi ceda scassando le occhiaie). oppure mi chiedo io cos’abbia da spartire con questi mari tropicali e la frenesia del vivere smodato. che nemmeno un bicchiere di vino o di fumo. talmente scevro e impotente. che potrei pure un monaco in convento.
Cos’abbia mi chiedo io da spartire con un foglio che solo per il nomi. i soliti noti e gli ignoti. clandestini e badanti. premurosamente amici. interrogante è la distanza che ci commuove. nella stirpe deviata del divaricatore. papaveri nei campi e papere. a misurare l’ombra dell’altezza. o ancora da spartire con una rivista poliglotta un luogo d’aneddoti e avventura. spessa d’occhiali sui giganti. un luogo del presente interessante. dove io sono senza essere. dove vibro di stoppie. nella ricerca insistente di un bel niente. un pressapoco di parole sconnesse. qualche invenzione ogni tanto brillante. talento spigoloso obliquo bislacco pulsante rivoltoso brigante. non preghiera né richiesta di perdono.
Eppure li tocco con gli occhi. sono conformi e di parte. distanti e vicini. familiari ed estranei. m’interrogo e nel chiuso ritorno all’interno. spopolo anfratti ed innesti. li sopprimo uno dopo l’altro. rinviando l’elmo all’angolo prossimo. la svolta a venire sarà un appuntamento mancato. un tentativo obsoleto striato e stranito. vedremo occhi d’alieni e solito gelo. capannelli di giacche e cravatte. signore scendere scale da un’ipotetica altezza. dove s’ammira la pelle perfetta senza bellezza. l’ennesimo lago di sguardi e apparenza. una pretesa viziata dall’incostanza. dai nei sulla faccia alle unghie appassite. i mea culpa giganti. da tutti i passi mancati obbligati. eventi applausi platee. per fortuna non bevo.
Vengo da una sponda diversa di mediocrità incancrenita. vera presunta costretta oppure ingabbiata per scelta dalle sue stesse mani. nonostante le piume e i coltelli. vengo da un certo covo di brina. dove la neve deposta dal tempo ha lo spessore del vuoto. e nelle croste di sale nelle ultime spiagge. in ogni cespo e cespuglio. tra le foglie e le stelle leggo l’autentica essenza. emerge virulenta dal grembo l’appartenenza.
Forse per questo se tendo la mano siamo oltre lo specchio. io e pure l’altro. oltre il divano e la siepe. mi spoglio di questa carcassa mi libero verso la fuga. e sono dentro quei rami. sogno nel loro fragile grasso. nelle rughe e corteccia. e sono pietra albero fune. mi sorpasso.
Ora mi siedo osservando il pullulare d’insetti.
Potrei sbattere in faccia la nudità. l’assurda bellezza. l ‘assenza astuta di corazza. e prima ancora l’orgoglio del ventre. del venire dal nulla. del mio convinto blasone. che sorge dall’onta severa del non essere. posso sbattere questa pelata sotto il naso cariatide. le guance cadenti. la pallida pelle. il cognome ai tuoi occhi imponente. al muro viceversa del tutto insignificante. e fregarmene di te e del tuo tanto titolo inesistente. indifferente vecchiaia patetica. gangli di subordinazione ormeggiata. sei sotto scacco del mio piede. e davvero non muoverò un muscolo per la soluzione del tuo tedio.
Ora lo ammetto non per opera di carità né per vezzo. c’è in qualche moto interiore distratto. nella deriva dell’io che scavalca. un’impennata indecente. esso nella piena invade la valle. non perché piova oppure si spari. è un fenomeno carsico con lacrime di infiorescenza. si presenta nel retro pensiero. quando implode di rabbia la giacca. quando la cravatta soffoca il nodo. e per memorie di gola. per la risacca e il martello. per l’incudine e il petto. per la storia di anni di registri e di nastri. per l’orma dell’ inciso emotivo. qualcosa si rompe e deflagra. c’è come un reclamo del pugno. pur nel controllo degli occhi. un’invocazione imponente implorante giustizia.
È una mia debolezza volere un potere grande. grande al punto da poter annientare un oggetto o respiro. definitivamente stringendolo nella morsa impietosa di una mano gigante. stringendolo sempre più forte. e nel gesto vibrante assistere alla stupefacente metamorfosi. il mostro nel pugno si trasforma in cataclisma. massa di terra compatta. che per effetto della stretta ad un certo punto si disintegra in sabbia. esplode galvanizzato nel circostante. di polvere e sostanza. vorrei questo potere grande di distruzione feroce. non solo fisica ma metaforica pure. vorrei sostanzialmente il potere di annientare fisicamente e psicologicamente l’ente. fino a farne frammenti fotonici. briciole per i passeri. masso colpito dal maglio di un gigante robotico. un accidente una disgrazia. una catastrofe mirata. stritolarlo nelle spire di serpente. devastarne carne ossa pelle. ogni duro neurone e molecola. perché diventi incredibilmente fragile. e nell’impatto sarebbero schegge disperse a migliaia bieche violente e superbe.
lo vorrei questo potere grande di cristallizzare l’aria. ma non l’userei. ad esempio con te. anche se mi stai sullo stomaco come una pietra indigesta. non l’userei.
Io sono interrotto e interrotti sono i miei pensieri. frammenti che abitano la testa. a volte si scuotono con rumore di vetri rotti. qualche pezzo è colorato. bei rossi blu e gialli. altri frammenti sono neri o grigi. alcuni luccicanti molti altri spenti. sono cupi e dolenti non brillano per nulla. come se non conoscessero la luce né il conforto o la speranza. io li maneggio di frequente gli uni e gli altri. affastellatamente. ci sono attaccato in modo speciale. non riesco a farne senza. sono aggrappato alla mia borsa di pietruzze gonfia e sonante. infilo la mano le rimescolo ne prendo una manciata. estraggo il pugno apro la mano e osservo. poi sollevo il palmo verso l’alto e inclinandolo appena verso il basso. le lascio cadere ad una ad una. oppure le dispongo su un piano in sequenza e vi saltello in mezzo. tra uno spazio e l’altro. disordinatamente. Continua a leggere →
Arriva come straniero o alieno. fulmine a ciel sereno. entra da una porta chiusa. dentro una stanza vuota. nell’aria piena d’occhi. muove inaspettato e sta. si direbbe curvo se non fosse per l’inclinazione falsa della testa calva. a mento in alto e in fuori. spiovendo scapole sul cuore. Continua a leggere →
Certo qualcosa sarò tra pioggia e vento. il tempo e il domani. l’alluce il mento. riverso imprendibile impotente. vivo per questo e scrivo la nullità. Continua a leggere →
Eppure l’Ade ha le sue sponde. appena intraviste ieri nel crollo del ponte. sarà questione di un attimo precipitare nel vuoto. giusto tra i massi. e proprio noi. una famiglia. non ci sono fiori che bastino a ricoprire le tombe. Continua a leggere →
Non cerca lettori questo percorso. solo chiodi. siamo soli. e non per metafora di brillantezza. ma per dire la pena quotidiana. chiodi per appendere sul muro i quadri del vivere e morire. simili e diversi da porta a porta l’affinità. Continua a leggere →
Qui si sta bene. il fianco asciutto. la tenda scivola tra i vetri della finestra. danza di bianco e trasparenze. a un passo dagli ulivi e dall’azzurro. il ventilatore soffia tra le orecchie vento netto. sono beato. un fico morbido e fragrante. un sorso fresco di cioccolata. il rosso fragola delle lenzuola emana il suo odore nuovo. un quadro d’oro appeso mi ricorda i santi e lui ch’è luce del mondo. poco più a destra un rettangolo di metafisica. tra due lune una geometria di bronzo. Continua a leggere →
E’ un argine il vuoto. un limite alla voragine. dentro il vuoto si riversa liquefatto tutto il malessere sospeso. esso non prendendo forma si scioglie nell’ indefinito inconoscibile. il vuoto è uno spazio di rarefazione potenzialmente infinito. non è veramente vuoto ma è un’area non precisata capace di ricevere riverberare introitare metabolizzare e disperdere. al vuoto convergono una marea di flussi provenienti dalle coscienze nei secoli dei secoli esistenti. fiumi verso un mare sconfinato. al vuoto si consegnano tutti i singhiozzi silenti. uno sgomento indicibile che echeggia e rimbomba. che si quieta dunque nel vuoto. è il vuoto rimedio all’ esistere perdente. se è vero come è vero che vivere significa lottare ogni giorno. il vuoto raccoglie e ammortizza le infinite inevitabili sconfitte. remissioni dell’io desideri fughe e abbandoni. perdite ben più frequenti delle riuscite-vittorie. Continua a leggere →
Di che parliamo quando parliamo di scrittura. un uccello in volo che emette il suo verso e dichiara perciò di stare al mondo. esserci è l’idea condivisa in questa babele mediatica a colpi di like. per sintesi trasversale dell’armamentario empirico. esserci per riconoscersi nel parossismo delle immagini. leggere del caffè alle cinque del mattino dopo una notte insonne. raccontare il latte il suo essere senza sapore. un’entità che scivola in gola consegnando la mucca che l’ha prodotto, l’erba che l’ha nutrito, la raccolta del liquido, il suo inscatolamento e distribuzione – per essere così soliti e sicuri – alla nullità del sapore inesistente. sostare nell’indifferenza dell’abbondanza. appaiando alla certezza del cibo che scolora nella notte l’incertezza delle domande irrisolte. Continua a leggere →
Per i prossimi mesi curerò qui sul blog Limina mundi una nuova iniziativa. Non si tratta di una rubrica, ma una raccolta di brevi scritti nei quali lascerò spazio al fluire del pensiero, vagando nelle anticamere della forma poetica. Gli scritti, in relazione al contenuto, si chiameranno: “Delirio” se scritti in apnea, “Deriva” se proiezioni estroflesse, “Detriti” se contengono tracce di respiro e luminosità. I nomi non escludono innesti dell’una “tipologia” nell’altra, né sconfinamenti nella dimensione onirica o narrativa. L’autore naturalmente è lui, e lui, naturalmente, è un altro. Continua a leggere →
Video virale è l’espressione con la quale si definisce un video che, immesso nel web, in poco tempo viene visualizzato da un numero elevato di persone.
Di recente questa sorte è toccata a un video “motivazionale” girato da dipendenti della Banca Intesa San Paolo, capitanati dalla direttrice di una filiale in provincia di Mantova: Katia Ghirardi. A comprova qualche altro video che gira in rete che interpreta diversamente la “motivazionalità”
Il video si avvia con una breve presentazione della protagonista del video, della “squadra” di lavoro e del lavoro svolto nella filiale, prevede anche un breve intervento di ogni impiegato che pronuncia una o due parole e si chiude con una canzoncina cantata dalla stessa Ghirardi a mo’ di slogan “ io ci metto la faccia, ci metto la testa, ci metto il cuore” e l’inquadratura di una torta a forma di cuore, preparata per l’occasione.
Come ho detto sopra, pare si tratti di un video di partecipazione a un contest interno della banca tra video promozionali girati dagli stessi dipendenti, insomma una “festa in famiglia” che avrebbe dovuto restare privata, oppure, se anche resa pubblica, sostanzialmente ignorata, e, invece ha avuto uno sviluppo sorprendente. Si potrebbe persino ipotizzare una strategia pubblicitaria geniale, studiata a tavolino, se non fosse che il video ha troppo il sapore di spontaneità, per quanto non di improvvisazione, anzi, si comprende che c’è una sorta di “sceneggiatura” ed anche di “regia”, da video delle feste di compleanno tuttavia, nulla di professionale. E’ piuttosto simpatica la Ghilardi, sicuramente motivata e decisa, un po’ meno i collaboratori che sembrano vagamente imbarazzati.
Questo video mi ha fatto tornare in mente la vicenda di quello girato a Siracusa nel 2014, in occasione della visita dell’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi, dove alunni delle scuole cantavano una canzoncina di benvenuto e omaggio al Presidente, diretti dagli insegnanti. Anche lì tante critiche a livello provinciale e oltre, passate, giustamente, nel dimenticatoio.
Cosa c’è di “sbagliato” in questi video? Perché diventano virali? Oggetto di battute ironiche, critiche anche feroci da parte del cyberbulli. La risposta è che sono ingenui. Questo è il loro grande difetto: l’eccesso di ingenuità. L’ingenuità non è un sentimento ammissibile in questi tempi smagati. Affidarsi, credere profondamente in qualcosa, entusiasmarsi con dedizione può anche accadere, ma ciò che non bisogna mai fare è dichiararlo pubblicamente con sentimento. Occorre calarsi piuttosto nei clichè per i quali: il datore di lavoro si deve odiare, il Presidente del Consiglio denigrare, la prof. è stronza, i genitori rompono e via discorrendo e soprattutto non manifestare pubblicamente fiducia grata nel “superiore” , come se fosse un eroe, un salvatore, il proprio benefattore. Al più ciò si può fare per l’attore o il cantante famoso. Per loro anche gridolini acuti di emozione ed urla di entusiasmo, svenevolezze varie. Questo non è tempo di canzoncine da “viva viva il direttore” che marcatamente inscenano un atto di omaggio all’autorità, al potere. Questi sono tempi in cui il potere si lusinga diversamente in modo sotteraneo non appariscente, strisciando singolarmente, per ottenerne la benevolenza; ancora meglio, se si ha “merce” di contraccambio, scambiandosi favori. Oserei dire che non è cosa solo di questi tempi. E’ veramente ingenuo credere di potere conquistare qualcosa del potere mettendo in scena senza veli la propria dedizione. Fiducia, dedizione, autenticità sono da mostrare con moderazione, niente picchi di asservimento a rischio di scadere nel patetico. La grande colpa di questo video è mostrare un entusiasmo eccessivo, senza misura, tanto da giungere a far pensare che contenga un fondo di ironia e autoironia. Che poi converrete, già metterci la faccia è tanto, ma anche la testa (soprattutto la testa è molto grave) è esagerare. Nel video si esagera ancora di più, giungendo al sentimentale e mettendoci pure il cuore. Amare il proprio lavoro. Davvero un’enorme colpa. Una colpa grave.
I video che commentano, fanno la parodia o analizzano la vicenda fanno pena ben più del video che vorrebbero commentare. Ne ho visti solo un paio, non ne riporto nessuno e non perdete tempo a guardarli, cercano soltanto di sfruttare la vicenda per ottenere visualizzazioni, inscenando cose di nessun interesse, stile imitazione de “le iene” che già “ienizzano” abbastanza il mondo, senza che occorrano ulteriori scadenti amplificazioni.
L’intervento dei bulli del web è l’aspetto meno gradevole della vicenda. I commenti che accompagnano il video vanno da quelli bonari, spiritosi, ironici dietro ai quali ci sono semplici spettatori curiosi o persone che cavalcano l’onda per un briciolo di visibilità, ai commenti peggiori, aggressivi, offensivi. Analizzare il fenomeno, anche per questi aspetti richiede di far ricorso a sentimenti umani negativi, come invidia, emulazione, odio. Un video che diventa virale si potrebbe definire un video di successo, quanti preparano video per conquistare visualizzazioni, alle quali in certi ambiti sono anche legate forme di compenso che gratificano i migliori. Il video virale balza all’attenzione di moltissimi, riscuotendo proprio quel “successo” che alcuni agognano,. Questo già è sufficiente a scatenare invidia. C’è inoltre che nel web la faccia è nascosta e ciò favorisce l’emersione delle deviazioni: si pensa di poter aggredire verbalmente una persona restando sostanzialmente impuniti. C’è che esiste come piaga il frustrato vendicativo, il portatore di odio. Esistono gruppi di portatori di odio che operano con meccanismi da “branco”, portando in giro per la rete il loro carico di bassezza. Avere un obiettivo su cui scaricarla è una ghiotta occasione, a cui si correla un fenomeno di imitazione e contagio, virale anche quello, nel senso più proprio del termine perché maggiormente si avvicina alla malattia, all’infezione: menti infette che brulicano cattiveria. Questo possibile aspetto negativo della vicenda è stato recentemente messo in luce da Selvaggia Lucarelli. Una donna che balza improvvisamente all’attenzione di tanti, in un successo sgradevole, fastidioso, a volte insostenibile per le persone non avvezze e che diventano inoltre oggetto di aggressione mediatica.
Per concludere, io, al posto di Intesa San Paolo, un pensierino a cavalcare l’onda lo farei, tipo girare uno spot da diffondere sulle reti nazionali, magari proprio lo stesso, proprio con la Ghirardi e gli altri, ma coi controfiocchi, cioè massimamente professionalizzato e galvanizzante. A lei una remunerazione che compensa (in fondo il contest l’ha vinto lei), ai cyberbulli lo scorno, alla Banca l’anima della pubblicità.
“Anche la lotta verso la cima basta a riempire il cuore di un uomo. Bisogna immaginare Sisifo felice”. (Albert Camus, Il mito di Sisifo in Opere. Milano, Bompiani, 2003)
Il termine resilienza deriva dal latino “resalio” (risalgo) e lo si può ritrovare applicato a diversi campi specialistici, quello della metallurgia, in cui indica la capacità di un corpo di resistere alle forze d’urto, alla biologia, all’informatica, all’economia, alla psicologia.
In ambito psicologico per resilienza si intende la capacità tipica dell’uomo di resistere alle avversità della vita e a eventi traumatici, riuscendo perfino a riorganizzare positivamente la propria vita e a ricostruirsi, restando comunque fiduciosi e disponibili a cogliere le opportunità positive che la vita offre. Non va confusa con la forza di volontà che ci permette di perseguire gli obiettivi prefissati con costanza e determinazione. E’ piuttosto quella stessa forza di volontà che ci spinge a perseguire una mèta nonostante le sconfitte perché si è consapevoli che i fallimenti sono tappe necessarie e inevitabili per raggiungere un traguardo. Fin dalle epoche più remote, l’uomo, animale razionale, si è distinto per l’incredibile capacità di sopravvivenza di cui è dotato, è riuscito così a resistere a guerre, malattie, carestie.
Nell’amore o ricerca o desiderio di un amore assoluto e indicibile si consuma tutta un’esistenza. E l’amore avrà vita in questa ricerca alle radici del sé e dell’esistenza per purissimo sopralzo com-passionevole verso l’ente o il fare (farsi parola ad esempio).
Rispondere alla domanda che cos’è la poesia non è semplice. Non lo è se con la domanda s’intende semplicemente distinguere tra il genere letterario poesia ed altri generi d’espressione verbale, ma il livello di difficoltà s’accresce enormemente quando, chiedendosi cos’è la poesia, si voglia trovare un criterio di valore, di pregio, di selezione, si voglia tracciare uno spartiacque tra ciò che merita il titolo di poesia e ciò che invece ne resta fuori. Se ci si ferma all’intento di distinguere la poesia da altri generi letterari di comunicazione è illuminante ascoltare l’intervista del poeta Franco Fortini
proseguo la riflessione sul tema del silenzio iniziata su questo blog lo scorso mercoledì, 27 aprile 2016, qui
Dicevo alla fine dell’articolo precedente che tacere è il miracolo del silenzio, ma la meraviglia del silenzio non si ferma, prosegue nei mille risvolti di quest’atto, che pur essendo di omissione: non parlare, non far rumore, pur essendo espressione di una negazione, produce in positivo risultati.
Nel silenzio possiamo ascoltare, la pioggia che batte leggera, il picchiettio più intenso nel temporale, la grandine, il fruscio della neve, lo scorrere del fiume, la risacca delle onde, il cinguettio degli uccelli, il soffio del vento, solo nel silenzio questi suoni possono essere nella loro profonda e consolante musicalità, sono suoni semplici, originari, legati alla terra dall’eternità, ci sarebbero senza la presenza umana, permangono anche con la sua presenza, proseguono senza lasciarsi condizionare dall’ invadenza dell’uomo, dall’arroganza dei rumori che egli produce per riempire la solitudine o inseguire un progresso a cui si lega l’ uso diffuso di generare suoni, musica, fracassi, discorsi e discussioni. Questo tipo alternativo di silenzio, questo parziale silenzio dove si esaltano i suoni degli elementi naturali è un beneficio dell’anima, riconduce l’uomo alla sua appartenenza al mondo naturale, lo mette in contatto col fermento della vita oltre le sovra strutture, apparecchiature e meccanismi dall’uomo stesso costruiti. Continua a leggere →
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