Quando dalla vergogna e dall’orgoglio Avremo lavate queste nostre parole.
Quando ci fiorirà nella luce del sole Quel passo che in sonno si sogna
Franco Fortini da “Foglio di via”, 1946
La poesia “Quando” è di Franco Fortini. Video e voce di Loredana Semantica
La linea del fuoco
Le trincee erano qui. C’è ferro ancora tra i sassi. L’ottobre lavora nuvole. La guerra finì da tanti anni. L’ossario è in vetta. Siamo venuti di notte tra i corpi degli ammazzati. Con fretta e con pietà abbiamo dato il cambio. Fra poco sarà l’assalto.
Franco Fortini da “Questo muro”, 1973
La poesia “La linea del fuoco” è di Franco Fortini. Video e voce di Loredana Semantica
La poesia “Io” è di Fernanda Romagnoli. Video e voce di Loredana Semantica
La poesia “Tu” è di Fernanda Romagnoli. Video e voce di Loredana Semantica
La poesia “Ci sono anime liete” è di Fernanda Romagnoli. Video e voce di Loredana Semantica
Quando ai più che non s’interessano di poesia si nomina Fernanda Romagnoli -dicevamo qui – non è sorprendente che non la conoscano, ma è singolare che spesso nemmeno i poeti, chi scrive o legge poesia, l’abbia mai sentita nominare. Eppure Fernanda rappresenta un fulgido esempio di fare poetico, rimasto misconosciuto. La sua poesia è densa di assoluto, vibrante, tersa, metafisica e nel contempo sospesa in osservazione attenta della realtà, degli oggetti, persino degli animali a carpire loro il senso stesso dell’esistenza, quello della relazione con le umane cose, in parallelismi insoliti, spiazzanti, intelligenti, periodi complessi e magistralmente articolati, con una scorrevolezza e padronanza lessicale rara. Fernanda Romagnoli manifesta con la scrittura un anelito potente, che ingabbiato negli spazi angusti del vissuto, attraverso la poesia evade verso sfere celesti, trafigge la materialità delle cose, se ne impadronisce, le plasma, le ribalta, le aggancia al vivere e al morire, rimarcandone la caducità oppure all’opposto le proietta nell’eterno, le trasfigura. Insistenti i temi della morte, dell’eterno e dell’anima, non meno di quello dell’identità, del dolore, dell’estraniamento e della solitudine, di questi ultimi è paradigma la poesia “Il tredicesimo invitato”, che dà il titolo all’intera raccolta dov’è inserita. Linguisticamente questa poesia vola, non può altrimenti definirsi la grazia con la quale la Romagnoli compone l’architettura dei versi, la compiutezza del significato, la proprietà di linguaggio si sposano con la leggerezza di un’espressione poetica perfettamente modulata nel suono. Non dimentichiamo che la poetessa proviene da una formazione musicale giovanile che influenza certamente il suo scrivere alla ricerca del suono che promana pensiero e sentire in simbiosi, che appare tanto naturale, quanto – probabilmente – accuratamente ricercata, mantenendo una freschezza fuori dal comune. Fernanda conduce la propria poesia con la stessa vibrante tensione che anima i versi dickinsoniani, col pathos che vediamo brillare in quelli della Plath. Figure femminili nelle quali la costrizione spirituale (potremmo forse dire “di genere”?) spreme distillati poetici soavi o intensi, ma ad ogni modo esemplari. Ammirevole la maestria con la quale la poetessa dalla superfice scende alle profondità e risale a vertiginose altezze, cercando il divino. L’effetto nel lettore è di provocare una vertigine, lo induce a sporgersi verso il vuoto a cercare l’assoluto con la stessa brama con cui lo legge nei versi.
La biografia di Fernanda è essenziale, riporta le notizie “agli atti”, e dice poco del carattere, aspirazioni, desideri, esperienze dell’autrice, paradossalmente è soprattutto nella poesia che la ritroviamo. Possiamo ben immaginare lo scorrere della sua vita tra una giovinezza irrequieta, l’attraversamento certo incisivo della querra, un amore impossibile, l’incontro con Vittorio Raganella, l’innamoramento, il matrimonio impegni casalinghi, e, per qualche tempo, lavorativi. Il suo spazio vitale, come si conviene all’essere donna, sposa, madre. Ambito che per alcune è di piena realizzazione, per altre è recinto, senza peraltro che possano focalizzare alternative, essendo la situazione, la convenzione, le aspettative sociali a comportare un senso di delimitazione. Peraltro non era ostacolata dalla famiglia nella sua passione letteraria. D’altro canto il disagio esistenziale può essere un habitus innato, simile a una croce da portare, rispetto al quale la poesia è una forma di sopravvivenza. Fumava sigarette Fernanda, lo dice lei stessa, e beveva caffè al bar, sfaccendava, scriveva, faceva visita ai parenti o agli amici, avrà fatto qualche viaggio e qualche gita, curato la sua unica figlia. Tra pappette per neonati e cambio panni l’avrà cresciuta, una volta cresciuta, avrà tribolato per lei infinite volte. Una normalissima vita che non impedisce alla poetessa di essere tale. Trasfigurare in versi l’agonia di un bruco è un attimo poetico fissato per i posteri di potenza immaginifica brillante.
Bruco
Tagliato in due col suo frutto il bruco si torce, precipita nel piatto, ove un attimo orrendo sopravvive al suo lutto. Coperto di bucce, sepolto fra le dolcezze e gli aromi che amava in vita, gli accendo sulla catasta l’incenso della mia sigaretta. Morte pulita – ed in fretta. Ma che ne so della via che il bruco ha percorso in quell’unico istante di agonia.
La stessa “gallina rossa” dell’omonima poesia inchioda danzando verbalmente un’essenza chiocciante o appariscente che riverbera in parole e specchi la propria e altrui natura.
Rossa gallina
Rossa gallina, in te odio – più del tuo chiocciolio di spavento, dell’occhietto puntuto, dello sconcio berretto – in te odio il mezzo metro di vento che spenni nel fracasso di uno slancio già rantolo e frattura allo spiccarsi. In te odio la mia storpia fiammata, il mio abortito amplesso con lo spazio, l’implacata natura che m’aizza a un volo compromesso.
E poi c’è la poesia “Tirando le somme”, dichiaratamente autobiografica, che riepiloga a volo d’uccello l’intera vita in pochi “fotogrammi” fondamentali, nella quale è menzionata la virtù femminile più accreditata della storia, frutto di sviluppo secolare, tramandata di madre in figlia, di suocera a nuora, nei bisbigli di consiglieri parentali o amicali, una specie di collante familiare del quale sono portatrici principali le donne: la pazienza. Un’osservatrice Fernanda, malinconica e composta, probabilmente, per come le imponeva il ruolo di moglie di un militare, ma nemmeno risentita contro la sorte o gli incontri, gli insuccessi , anche perché oggettivamente nulla le sarà mancato, a parte la salute non proprio brillante. E’ nella natura sua propria, nel temperamento incline all’introiezione, che scatta la scintilla espressiva, con risultati che, probabilmente, si dovrebbero inquadrare con spirito oggettivo nel filone intimista, confessionale, pervaso di lirismo, mi sembra tuttavia che nessuna di queste definizioni calzi perfettamente, nel senso di essere riduttive, rischiano, come del resto tutte le classificazioni, di sminuire una voce, già di per sé, ingiustamente poco valorizzata.
Forse la Romagnoli ha la colpa per alcuni di non essere “sperimentale”, di muoversi nel solco della tradizione novecentesca e precedente, di indulgere all’autobiografismo più che all’intrigante all’ermetismo, ma gli “ismi” sono espressioni classificatorie che – in quanto demarcano – hanno a loro volta il limite di essere inadeguate – perché nulla possono riferire sulla bellezza espressiva, le ardite associazioni verbali, i lemmi insoliti, evocativi, ricercati, gli origami verbali, le simmetrie, la costruzione sapiente del ritmo e del suono, la musicalità, che caratterizzano la scrittura di questa poetessa. E’ un dato di fatto che la scrittura femminile trascorsa più riuscita viaggi sulle ali dell’introspezione alla ricerca di un altro-assoluto-divino dentro e fuori di sé che verticalizza, ben più in alto di quanto vediamo riesca quella maschile, come se la voce si assottigliasse in acuti da soprano e penetrasse le nubi, più centrata e fine del corrispettivo maschile. Si potrebbe dire, se fosse un fascio di luce, per proseguire in similitudine, che sia un laser che buca il cielo. Non mi sembra peculiarità da trascurare, al contrario è da esaltare, è da indagare, se possibile, in parallelismo ad altri aspetti, chiedersi quanto questa sorta di “conventualità” femminile si traduca in parossismo di intuizione mistica, quanto sostanzi una produzione poetica intrisa di raccoglimento e canto, come un pulsare di inspirazione ed espirazione che diversamente, vivendo, cioè una vita sociale più ricca, variegata, pubblica ed “esposta” sarebbe forse impossibile da raggiungere. Mi tornano in mente le castrazioni “tecniche” del canto lirico. Una vita di riserbo è cosa meno cruenta sul piano fisico, ma parimenti incisiva psicologicamente, che ha come suo forse-prodotto: la meraviglia in poesia?
Nessun assioma beninteso in queste considerazioni, né rapporto di causalità effetto, nel senso che è abbastanza intuitivo che chiudersi in una prigione non aiuterebbe l’estro dell’aspirante poeta carente o privo d’altro “bagaglio”, né si vogliono esporre suggerimenti da seguire per le nuove generazione emergenti (o magari sì, in verità, suggerire ad esempio che la ricerca parossistica di visibilità non favorisce il risultato), e men che meno vuol essere un sindacato sulla vita scelta da questa poetessa – perché sempre di scelta alla fin fine si tratta – solo interrogativi sull’origine del flusso poetico, i percorsi e risultati raggiunti.
Un appunto finale circa l’esclusione o l’autoesclusione dai circoli e circuiti letterari. Mi chiedo quanto penalizzi il poeta l’essere un isolato, quanto pesi sull’emarginazione che sceglie e infine subisce e se l’esclusione non sia una sorta di pena comminata postuma, non meno che scelta in vita, mancando i gruppi di “amici” che possano conservarne e diffonderne la voce poetica e suoi pregi, carenti i contatti utili a “elevarsi” nelle “gerarchie”, il poeta resta nel limbo, pur avendo prodotto testi il cui pregio surclassa altre e più esaltate produzioni. Avviene quindi che ogni tanto si leva qualche voce isolata mai sufficiente a ricollocarlo nel suo rango, di qualche appassionato estimatore o un familiare.
Molti leggono, tra la chiamata per vocazione, inclinazione e strumento, la Romagnoli andrebbe, ritengo, utilmente indicata come lettura, tenuta da conto per ciò che è, un tassello della scrittura poetica italiana e, come tale, anche nel poco che ha scritto – forse l’unica sua pecca – suggerita come lettura da conoscere. Piolo di una scala su cui salire per progredire in poesia.
La poesia “Oggetti” è di Fernanda Romagnoli. Video e voce di Loredana Semantica
La poesia “Tirando le somme” è di Fernanda Romagnoli. Video e voce di Loredana Semantica
La poesia “Niente” è di Fernanda Romagnoli. Video e voce di Loredana Semantica
Quando ai più che non s’interessano di poesia si nomina Fernanda Romagnoli non è sorprendente che non la conoscano, ma è singolare che spesso nemmeno i poeti, chi scrive o legge poesia, l’abbia mai sentita nominare. Poche note biografiche.
Fernanda Romagnoli, nata a Roma nel 1916, ha compiuto studi musicali, diplomandosi in pianoforte dal Conservatorio di S. Cecilia a diciotto anni, da privatista, a venti anni consegue il diploma magistrale. Nel 1943, in tempo di guerra, pubblica la sua prima raccolta di poesie: Capriccio, con prefazione di Giuseppe Lipparini.
L’anno successivo si rifugia a Erba con la famiglia per poi ritornare a Roma nel 1946. Sposa l’ufficiale di cavalleria Vittorio Raganella, il matrimonio col militare la porterà dal 1948 a vivere in diverse città: Firenze, Roma, Pinerolo, e infine Caserta, dove resterà dal 1961 al 1965. Durante questo periodo lavora come maestra e, nel 1965 pubblica la sua seconda silloge: Berretto rosso.
Nonostante la qualità dei suoi scritti e la pubblicazione delle due raccolte di poesia Fernanda Romagnoli soffrì l’isolamento letterario stemperato dall’amicizia di Carlo Betocchi e Nicola Lisi e, infine, di Attilio Bertolucci, grazie al cui interessamento nel 1973, pubblicò la sua terza raccolta: Confiteor.
Ha collaborato con alcune riviste: La Fiera Letteraria, Forum Italicum, e, per la radio, a L’Approdo. Durante la guerra contrasse l’epatite che minò la sua salute tanto da dover essere sottoposta nel 1977 a intervento chirurgico al fegato. L’intervento comunque non la restituì la salute e rimase sofferente, nonostante ciò, anche per consiglio di Attilio Bertolucci e Carlo Betocchi, continuò a scrivere. Nel 1980 pubblica la raccolta considerata il suo capolavoro: Il tredicesimo invitato. Il libro le darà un minimo di notorietà. Gli anni seguenti sono segnati da una sempre maggiore difficoltà a lavorare e da ripetuti ricoveri. Successivamente i problemi di salute continuarono a tormentarla, conducendola anche a ricoveri, nel frattempo qualche poesia veniva pubblicata sul quotidiano Reporter nell’inserto Fine Secolo e sulla rivista Arsenale. Fernanda Romagnoli muore a Roma all’età di settant’anni, presso l’Ospedale Sant’Eugenio, il 9 giugno 1986
Le sue raccolte
Capriccio, Roma, 1943 Berretto rosso, Roma, 1965 Confiteor, Guanda, Parma, 1973 Il tredicesimo invitato, Garzanti, Milano, 1980 Mar Rosso, Il Labirinto, Roma, 1997 Il tredicesimo invitato e altre poesie, Libri Scheiwiller, Milano, 2003
Più di recente, Interno poesia, 2022, “La folle tentazione dell’eterno”.
“Come illudersi nella poesia” di Angelo Maria Ripellino, video e voce di Loredana Semantica
“Il buon tempo antico” di Angelo Maria Ripellino, video e voce di Loredana Semantica
Poesia n. 13 da “Notizie dal diluvio” di Angelo Maria Ripellino, video e voce di Loredana Semantica
Angelo Maria Ripellino,
La scrittura di Ripellino è un fuoco d’artificio, scoppietta letteralmente di vocaboli e ricercatezza, costruzioni verbali e oggetti, snocciola sequenze a raffica di nomi, sfavilla di ricchezza lessicale, ha come “controindicazione” d’essere spesso vertiginosa. Non è per tutti quindi, oppure è da maneggiare con cura. Pericolosa o forse fragile. Potrebbe persino esplodere.
Leggerla è un’esperienza fonica e immaginifica, ma anche un esercizio linguistico, il rischio è infatti d’impaperarsi nei meandri di un qualche scioglilingua, incespicare in sfidanti giochi di parole, scambiare il senso dei termini per la caduta erronea degli accenti e affrontare in ogni caso coraggiosamente spiraleggianti piane e sdrucciole, discese e salite, oscurità e folgorazioni.
Quale esuberanza si cela dentro questi arzigogoli, tra magie di pizzo e filigrane, perché nell’esprimersi l’autore restituisce il fascino dell’iperbole, dell’enfasi, dei parossismi, metonimie, paronomasie e vi danza dentro la danza del ventre al suono delle parole, come un flauto ipnotico per un serpente.
La risposta, la fornisce lo stesso poeta quando, dialogando col patologo Guido Ceronetti, confessa di essere in una “condizione di ansima e di febbrilità” che riversa nella poesia, una “compassione di se stesso” prossima al melò commista alla determinazione indistruttibile “di partecipare di tutti i colori e di tutte le gioie del mondo, di essere gioia egli stesso”. Intendeva perciò trasferire nella sua scrittura questa immensa “fame di vita”, fame di conoscenza, fame di esperienza, sempre provata e mai interamente appagata (dal sito “Le parole e le cose”).
Possiamo dire che Ripellino abbia raggiunto lo scopo che si prefiggeva non solo perché la maggior parte delle immagini che si trovano in rete lo tramandano sempre con un certo sorriso da siculo sornione e “malandrino”, ma, ancora di più con la sua poesia che manifesta un procedere baldanzosamente festante per poi cedere, non senza ammiccamenti talvolta ironici al lettore, al senso tragico della vita in chiuse malinconie pervase dal senso della fine. La sua poetica acquisisce maggiore chiarezza considerando che Ripellino è stato implacabilmente perseguitato fin dalla gioventù dalla cattiva salute dei suoi tormentati polmoni. Fu ricoverato in un sanatorio prossimo a Praga e ne “La fortezza di Alvernia” racconta in poesia quel periodo. Egli ha vissuto profondamente e da presso l’esperienza della Primavera di Praga, raccontandola da giornalista e scrittore. Innamorato della Capitale della Cecoslovacchia – non a caso vi ha trovato l’amore – riflette la sua profonda cultura mitteleuropea anche nei suoi scritti poetici, così come vi albergano le reminiscenze d’infanzia nella sua Palermo, dichiarata vi è l’avversione per le oppressioni comunque praticate, manifesta inoltre l’attenzione per un sentire ultrasensibile di cose, fatti e persone, caratterizzante tipicamente la figura del poeta.
Egli ebbe inoltre una naturale inclinazione verso il teatro, la scena, la teatralità. Provava sicuramente avversione per la noia e la compostezza degli accademici imbalsamati, preferendo indentificarsi in un clown percepiva il mondo come un palcoscenico nel quale rappresentare sempre una nuova commedia, evoluzione istrionica o uscita di scena.
format di videopoesia a cura di carlotta cicci e stefano massari
Si tratta di cortometraggi, visibili sia sul sito DISFORME che su youtube ZONA DISFORME, pubblicati periodicamente dagli autori che mettono a disposizione contenuti visivi, poetici, letture che “impressionano” sinesteticamente il fruitore.
Di volta in volta i filmati sono dedicati, oppure nei filmati sono citati, riportati, letti, trascritti testi dei poeti del passato o contemporanei. Scorrono nel contempo immagini del tempo presente, caratteri, schemi, ombre, riquadri, in un’ alternanza di stasi e dinamismo. L’iniziativa è giunta al suo settimo appuntamento di prossima pubblicazione, come da locandina sottostante.
L’iniziativa si connota per raffinatezza e suggestione rivolte alla poesia, al sentire e vedere poeticamente il mondo, ma anche per il connubio delle parole – comunicazione rivolto alla contemporaneità, in audio-visioni che proiettano arte, metabolizzazioni, interazioni, spaesamenti nei quali si percepisce il bisogno infinito della ricerca, il senso e la persistenza dell’esistere, del fare poetico, della memoria.
“Sai che significa essere bruciati” di Angelo Maria Ripellino, video e voce di Loredana Semantica
“Le trombe hanno bisogno di mani” di Angelo Maria Ripellino, video e voce di Loredana Semantica
“Un lupo nero addenta la luce” di Angelo Maria Ripellino, video e voce di Loredana Semantica
Angelo Maria Ripellino, nato a Palermo il 4/12/1923, è stato slavista, poeta, giornalista, docente universitario, traduttore, critico, saggista. Già a soli diciannove anni conosceva russo, polacco, olandese e rumeno, manifestando giovanissimo quell’interesse per l’ambiente e la cultura mitteleuropea che diverrà il filo conduttore della sua vita. Studiò all’Università di Roma e frequentò le esclusive lezione di Ettore Lo Gatto, slavista, scegliendo a sua volta questa professione. Già in quel periodo si manifestarono i primi segni della tubercolosi che condussero il poeta dapprima al sanatorio di Dobřiš, vicino Praga e, successivamente a subire un intervento di pneumectomia. Visse a Praga negli anni tra il 1946 e 1947 per specializzarsi in lingua e letteratura ceca. A Praga conobbe e frequentò artisti, poeti, intellettuali tra i quali Vladimir Holan, diventandone amico. Sempre in quegli anni a Praga conobbe la studentessa Ela Hlochová con la quale torna in Italia e che diverrà sua moglie. Angelo Maria Ripellino ha insegnato come docente all’Università di Bologna e a quella di Roma, dove nel 1961 rileva la cattedra di Ettore Lo Gatto. Ha collaborato con numerose riviste specialistiche e con la casa editrice Einaudi, sia come consulente editoriale che, successivamente, curando con passione una rubrica di critica teatrale fino alla sua morte avvenuta a Roma il 21/4/1978. Ha pubblicato le seguenti raccolte di poesie, diversi libri sono postumi “curati da una cerchia ristretta di studiosi che per anni si sono prodigati nel cercare di diffondere l’ opera di Ripellino” https://blog.maremagnum.com/la-magia-dellanima-angelo-maria-ripellino/
Non un giorno ma adesso, 1960
La fortezza d’Alvernia e altre poesie,1967
Notizie dal diluvio Torino, 1969
Sinfonietta, 1972
Lo splendido violino verde, 1976
Autunnale barocco, 1977
Scontraffatte chimere, 1987
Poesie. Dalle raccolte e dagli inediti, 1990
Poesie prime e ultime, 2006
Notizie dal diluvio. Sinfonietta. Lo splendido violino verde, 2007
Video virale è l’espressione con la quale si definisce un video che, immesso nel web, in poco tempo viene visualizzato da un numero elevato di persone.
Di recente questa sorte è toccata a un video “motivazionale” girato da dipendenti della Banca Intesa San Paolo, capitanati dalla direttrice di una filiale in provincia di Mantova: Katia Ghirardi. A comprova qualche altro video che gira in rete che interpreta diversamente la “motivazionalità”
Il video si avvia con una breve presentazione della protagonista del video, della “squadra” di lavoro e del lavoro svolto nella filiale, prevede anche un breve intervento di ogni impiegato che pronuncia una o due parole e si chiude con una canzoncina cantata dalla stessa Ghirardi a mo’ di slogan “ io ci metto la faccia, ci metto la testa, ci metto il cuore” e l’inquadratura di una torta a forma di cuore, preparata per l’occasione.
Come ho detto sopra, pare si tratti di un video di partecipazione a un contest interno della banca tra video promozionali girati dagli stessi dipendenti, insomma una “festa in famiglia” che avrebbe dovuto restare privata, oppure, se anche resa pubblica, sostanzialmente ignorata, e, invece ha avuto uno sviluppo sorprendente. Si potrebbe persino ipotizzare una strategia pubblicitaria geniale, studiata a tavolino, se non fosse che il video ha troppo il sapore di spontaneità, per quanto non di improvvisazione, anzi, si comprende che c’è una sorta di “sceneggiatura” ed anche di “regia”, da video delle feste di compleanno tuttavia, nulla di professionale. E’ piuttosto simpatica la Ghilardi, sicuramente motivata e decisa, un po’ meno i collaboratori che sembrano vagamente imbarazzati.
Questo video mi ha fatto tornare in mente la vicenda di quello girato a Siracusa nel 2014, in occasione della visita dell’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi, dove alunni delle scuole cantavano una canzoncina di benvenuto e omaggio al Presidente, diretti dagli insegnanti. Anche lì tante critiche a livello provinciale e oltre, passate, giustamente, nel dimenticatoio.
Cosa c’è di “sbagliato” in questi video? Perché diventano virali? Oggetto di battute ironiche, critiche anche feroci da parte del cyberbulli. La risposta è che sono ingenui. Questo è il loro grande difetto: l’eccesso di ingenuità. L’ingenuità non è un sentimento ammissibile in questi tempi smagati. Affidarsi, credere profondamente in qualcosa, entusiasmarsi con dedizione può anche accadere, ma ciò che non bisogna mai fare è dichiararlo pubblicamente con sentimento. Occorre calarsi piuttosto nei clichè per i quali: il datore di lavoro si deve odiare, il Presidente del Consiglio denigrare, la prof. è stronza, i genitori rompono e via discorrendo e soprattutto non manifestare pubblicamente fiducia grata nel “superiore” , come se fosse un eroe, un salvatore, il proprio benefattore. Al più ciò si può fare per l’attore o il cantante famoso. Per loro anche gridolini acuti di emozione ed urla di entusiasmo, svenevolezze varie. Questo non è tempo di canzoncine da “viva viva il direttore” che marcatamente inscenano un atto di omaggio all’autorità, al potere. Questi sono tempi in cui il potere si lusinga diversamente in modo sotteraneo non appariscente, strisciando singolarmente, per ottenerne la benevolenza; ancora meglio, se si ha “merce” di contraccambio, scambiandosi favori. Oserei dire che non è cosa solo di questi tempi. E’ veramente ingenuo credere di potere conquistare qualcosa del potere mettendo in scena senza veli la propria dedizione. Fiducia, dedizione, autenticità sono da mostrare con moderazione, niente picchi di asservimento a rischio di scadere nel patetico. La grande colpa di questo video è mostrare un entusiasmo eccessivo, senza misura, tanto da giungere a far pensare che contenga un fondo di ironia e autoironia. Che poi converrete, già metterci la faccia è tanto, ma anche la testa (soprattutto la testa è molto grave) è esagerare. Nel video si esagera ancora di più, giungendo al sentimentale e mettendoci pure il cuore. Amare il proprio lavoro. Davvero un’enorme colpa. Una colpa grave.
I video che commentano, fanno la parodia o analizzano la vicenda fanno pena ben più del video che vorrebbero commentare. Ne ho visti solo un paio, non ne riporto nessuno e non perdete tempo a guardarli, cercano soltanto di sfruttare la vicenda per ottenere visualizzazioni, inscenando cose di nessun interesse, stile imitazione de “le iene” che già “ienizzano” abbastanza il mondo, senza che occorrano ulteriori scadenti amplificazioni.
L’intervento dei bulli del web è l’aspetto meno gradevole della vicenda. I commenti che accompagnano il video vanno da quelli bonari, spiritosi, ironici dietro ai quali ci sono semplici spettatori curiosi o persone che cavalcano l’onda per un briciolo di visibilità, ai commenti peggiori, aggressivi, offensivi. Analizzare il fenomeno, anche per questi aspetti richiede di far ricorso a sentimenti umani negativi, come invidia, emulazione, odio. Un video che diventa virale si potrebbe definire un video di successo, quanti preparano video per conquistare visualizzazioni, alle quali in certi ambiti sono anche legate forme di compenso che gratificano i migliori. Il video virale balza all’attenzione di moltissimi, riscuotendo proprio quel “successo” che alcuni agognano,. Questo già è sufficiente a scatenare invidia. C’è inoltre che nel web la faccia è nascosta e ciò favorisce l’emersione delle deviazioni: si pensa di poter aggredire verbalmente una persona restando sostanzialmente impuniti. C’è che esiste come piaga il frustrato vendicativo, il portatore di odio. Esistono gruppi di portatori di odio che operano con meccanismi da “branco”, portando in giro per la rete il loro carico di bassezza. Avere un obiettivo su cui scaricarla è una ghiotta occasione, a cui si correla un fenomeno di imitazione e contagio, virale anche quello, nel senso più proprio del termine perché maggiormente si avvicina alla malattia, all’infezione: menti infette che brulicano cattiveria. Questo possibile aspetto negativo della vicenda è stato recentemente messo in luce da Selvaggia Lucarelli. Una donna che balza improvvisamente all’attenzione di tanti, in un successo sgradevole, fastidioso, a volte insostenibile per le persone non avvezze e che diventano inoltre oggetto di aggressione mediatica.
Per concludere, io, al posto di Intesa San Paolo, un pensierino a cavalcare l’onda lo farei, tipo girare uno spot da diffondere sulle reti nazionali, magari proprio lo stesso, proprio con la Ghirardi e gli altri, ma coi controfiocchi, cioè massimamente professionalizzato e galvanizzante. A lei una remunerazione che compensa (in fondo il contest l’ha vinto lei), ai cyberbulli lo scorno, alla Banca l’anima della pubblicità.
Non so se abbiate avuto modo di vedere gli spot del buondì motta che da qualche settimana sono trasmessi in televisione. Confezionati all’insegna del politically incorrect gli spot sono diventati virali anche nel web. Creati dalla Saatchi & Saatchi Italia, il cui direttore artistico è Alessandro Orlandi, si muovono sul terreno del colpire oltre che fulminare. Fulminare la protagonista e colpire lo spettatore.
Il primo effetto è in sé nella storiella ironico-noir narrata nello spot. Il secondo effetto lo riporto pari pari a come si è svolto nella cucina di casa mia, qualche settimana fa, alla prima visione dello spot.
Lei “Caro, hai visto il nuovo spot del buondì motta?”
lui “No, perché?”
lei “Eh tu guardalo …”
Trenta minuti dopo la pubblicità si ripresenta a interrompere puntuale una qualche forse interessante trasmissione.
Lei “Caro, vieni vieni che la ritrasmettono, guardala!”
Dalla televisione esce la vocina petulante di bambina pretenziosa, capricciosa e saccente nel suo linguaggio finto-ricercato da pubblicità televisiva tradizionale: “Mamma, mamma, vorrei una colazione leggera ma decisamente invitante, che possa coniugare la mia voglia di leggerezza e golosità”
Risponde serafica la mamma, sistemando fiori nei vasi: “Non esiste una colazione così, cara. Possa un asteroide colpirmi, se esiste”
Non ha nemmeno finito di pronunciare la frase che un asteroide sbadabam fshiufff tum la colpisce, facendola svanire presumibilmente schiacciata al suolo
Immagine del buondì motta in sovrapposizione. Sullo sfondo scie di asteroidi in rotta di collisione con altre mamme.
Lei “L’hai vista?”
lui “Cose da pazzi”
lei “Ma l’hai vista la bambina? Che insopportabile! Almeno l’asteroide l”avesse colpita”
lui “Invece uccide la mamma, sicuramente ci sarà un vespaio di proteste”
lei “Vedrai che la ritireranno dalla programmazione”.
Questo l’antefatto domestico.
Dopo di ciò l’ondata di post in facebook e discussioni, critiche e polemiche.
Vi propongo la serie dei tre video virali degli spot dei buondì, perché la creatività pubblicitaria mi ha sempre affascinato, almeno al pari del fastidio che è sapere la pubblicità un elemento di condizionamento che sfrutta le debolezze umane
Al primo spot ne sono seguiti altri due che sono prosecuzioni narrative con varianti di protagonista: papà e postino. A commento degli spot due brevi considerazioni da due diverse angolazioni.
da spettatori adulti: oltre al sorriso che poi, riflettendo appena un attimo, ingenera la pubblicità stessa per l’inventiva, non si puo` disconoscere che essa ha fatto centro, inducendo a parlare del prodotto e imprimendolo nella memoria dei potenziali acquirenti.
da spettatori bambini: il compatimento per lo sconvolgimento di immaginare la mamma spiaccicata al suolo. È sicuro tuttavia il balzo in avanti sulla strada della consapevolezza. La visione del filmato è l’occasione – spero – di impartire subito la spiegazione della differenza tra il falso della televisione e il vero della vita. So già che qualche bambino non si farà convinto.
Qui l’intervista ai creatori dello spot.
Al momento non si conoscono gli effetti sull’incremento vendite.
Venerdì scorso abbiamo proposto il video LUDI FLORALES di Alessandro Bavari con un nostro commento. Nel prendere contatti con l’autore per il consenso alla pubblicazione gli abbiamo proposto di rispondere ad alcune domande per capire come nasce l’idea, come si realizza un video di questo tipo, l’impulso che lo spinge al suo lavoro, per conoscerlo meglio e magari per tentare inutilmente di carpire i segreti del suo talento. Qui di seguito l’intervista ad Alessandro Bavari al quale con l’occasione esprimiamo i complimenti per la recente selezione del suo video LUDI FLORALES all’Odense international film festival.
Alessandro Bavari
Come è nata l’idea di realizzare questo video? E perché questo titolo omaggio alla cultura latina?Continua a leggere →
Fiorire – è il fine – chi passa un fiore con uno sguardo distratto stenterà a sospettare le minime circostanze
coinvolte in quel luminoso fenomeno costruito in modo così intricato poi offerto come una farfalla al mezzogiorno –
Colmare il bocciolo – combattere il verme – ottenere quanta rugiada gli spetta – regolare il calore – eludere il vento- sfuggire all’ape ladruncola-
non deludere la natura grande che l’attende proprio quel giorno – essere un fiore, è profonda responsabilità –
Emily Dickinson
Da girovaghi del web accade che si facciano incontri d’arte sorprendenti, dove talento e lavoro si fondono armonicamente restituendo grazia, stupore e spettacolo, in una sola parola: arte. Continua a leggere →
,Avevo scritto il testo in corsivo più sotto per i bambini siriani coinvolti in una guerra che segnerà inevitabilmente l’intera loro esistenza o ha già causato la loro morte.
L’avevo scritto qualche giorno fa prima dei recenti attentati in Iran a sud di Bagdad e in Pakistan a Lahore. In entrambi un kamikaze si è fatto esplodere seminando il suo carico di terrore, distruzione, dolore. Gli attentati hanno avuto come obiettivo momenti di vita di serenità e festa: a Bagdad la premiazione di un torneo di calcio, a Lahore un parco dove molte famiglie si erano riunite a festeggiare la Pasqua. Continua a leggere →
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