Il 21 marzo di quest’anno il blog Liminamundi ha compiuto un anno di attività. Per festeggiare, a partire dal 21 marzo scorso e fino a ieri, giorno di Pasqua, abbiamo invitato poeti e non poeti ad inviare una poesia sui temi della rinascita, primavera, risveglio, natura, Pasqua. Una festa di primavera e di poesia.
Hanno partecipato: Liliana Zinetti, Clara Chiariello, Pier Franco Uliana, Silvia Rosa, Marisa Guagliardito, Maria Allo, Federico Preziosi, Leopoldo Attolico, Giovanni Baldaccini, Emma Istrini, Daìta Martinez, Loredana Semantica, Deborah Mega, Francesco Tontoli, Rita Pacilio, Francesco Palmieri, che ringraziamo di cuore per essere stati con noi con questi fiori di primavera. L’immagine della rosa che funge da divisorio tra le poesie è una creazione di Maria Rita Orlando.
Di regola tutte le poesie sulla primavera vengono automaticamente cestinate. Questo tema ha cessato di esistere in poesia, Nella vita ovviamente continua a esistere. Ma si tratta di due faccende diverse. (Szymborska, Posta letteraria, Scheiwiller 2002)
Chi ha visto primavera? Era la poesia
ancora da scrivere, un suono di nuvole,
il foglio dove il vento
tra soffi di anemoni si sarebbe posato
L’hanno vista, dicono, i bambini
che sono stati bambini nei cortili,
l’hanno vista in tutti gli azzurri
e nei verdi dell’erba cantare.
Ho perso la primavera.
È andata con la luce dei prati
e le corse dei bambini.
Guardavo le case, gli alberi
stretti, in un silenzio di cose
finite molto prima di adesso:
l’acqua senza le ninfee di Monet
i fiori di bosco che il babbo
più non porterà alla mamma.
Mi fermavo davanti al bianco delle betulle
che mangiava la luce
e alla riga scura della pioggia
che fa triste la poesia e i giorni.
E mi pareva un assurdo scherzo la vita,
come chi dice ridendo vado via
e scompare per sempre.
da Nel solo ordine riconosciuto, Gianfranco Fabbri editore
Liliana Zinetti

Cambiare
Il vagito della primavera
ha portato via il mantello del gelo.
Gli animali cambiano
piumaggio,
pelle,
manto.
Gli alberi
colore,
fogliame,
frutti.
E io?
Io posso cambiare
aria alla casa,
coperte al letto,
abbigliamento,
colore e taglio dei capelli
e poi …
Il mondo
si chiude sempre a ombrello.
Il rumore
di ieri è sempre vita di un giorno.
Un giro di anime
segna sempre un vissuto.
Il tempo
nasce età
e muore sempre in eterno.
I ricordi
riposti sempre in stanze chiuse
con muri senza finestre.
I rancori
s’imprigionano in scrigni
in fondo al mare
ma emergono sempre
dal fango melmoso.
Sempre!
Sempre!
Sempre!
Ho capito.
Devo cambiare
sole,
pelle,
viso.
Essere amore.
Un amore
che ti fa odorare
la pelle del tuo uomo.
Il suo profumo di maschio.
Ti togli la maschera.
Ti presenti nuda nell’anima.
Vestita con le tue fragilità.
Un segreto …
Non murarti dentro
con l’ultimo respiro
devi … cambiare!
Clara Chiariello

Vèrta in Canséi*
A pas lidier la va la cerva piena
incontra a l’orìvo ndove i saléz
i met i primi but, la bat al trói
de la nef de la vèrta, ognequaltrato
la trà, squasi a assar indrìo la mòrt
che la ghe mòrz le cadìce, al so vèrs
l’é ’n reciamo che ’l sgorla in cao al bosch
al costà dei faghèr, na ora la val
n’altra stajon intiera, na nassesta
che la fà del futur tut al presente,
la se met prèssa, al so òcio l’é ’n mondo
che ’l sogna na ciarèla che la sìe
cesura de erba, co ’n ùltemo sfòrz
la salta ’l fil spinà, vers un tenp novo.
Primavera in Cansiglio
A passo leggero la cerva gravida va / incontro al limitare (del bosco) dove i salici / mettono i primi germogli, batte il sentiero / della neve primaverile, ogni tanto / scalcia, quasi a lasciare indietro la morte / che le morde le caviglie, il suo bramito / è un richiamo che scuote in fondo al bosco / il costato dei faggi, un’ora vale / un’altra stagione intera, una nascita / che fa del futuro tutto il presente, / si mette fretta, il suo occhio è un mondo / che sogna una radura che sia / recinto d’erba, con un ultimo sforzo / salta il filo spinato, verso un tempo nuovo.
* Dialetto veneto della Foresta del Cansiglio
Pier Franco Uliana 
Primavera altra
Il giovane corpo d’albero robusto, folto
i capelli abitati da corvi dentro a un nido
di ricci: quanto tempo è passato? mi chiedo,
da quando eri un cucciolo magro, petulante,
con parole gracili invece che mani irrequiete,
quelle che adesso tieni sui fianchi della tua sposa,
giovinezza accecante che invidio – un bocciolo –,
per la prima volta vedo il segno delle stagioni
sul volto degli altri, mi accorgo di essere oltre
gli anni di polpa rossa da mordere, sono il frutto
per terra, ora, e osservo i fiori crescere altrove,
la mia primavera è una pallida offerta a un sole
indifferente, sono io adesso la donna che
non vale la pena. Meno male, mi dico,
da questa altezza non ho più le vertigini,
lascio a te e alla tua bella il vertice da cui
all’improvviso, inevitabile, arriva la resa,
la china dei giorni. Dopo è solo questione
di ombre da imparare a memoria,
da non avere paura di niente.
Silvia Rosa

maiuscole di vita
dove sporgono le rapide del sogno
come visioni su rasoi di luce
dove guardano i bambini che scoprono
in un gambo di prato
maiuscole di vita
nel piccolo largo delle loro mani
in fondo al bianco delle scale sole
le voci
i bambini che pedalano l’aria
e il pasto del cielo che vola
è musica il suono di piccole mani
il giallo a stento delle loro ali
è un passo largo tra gli spigoli delle ombre
l’odore è buono
una stanza di pane e di domenica
l’azzurro del bucato
Marisa Guagliardito 
Stamane, all’improvviso …
C’è un silenzio antico nelle cose
sui crinali dei colli nei limoneti
in fondo alle valli intrecciate di ortiche
grovigli di rami disseminati
erbe aromatiche finocchi selvatici
menta e rucola.
C’è un silenzio antico nelle cose
aspetta da sempre, sorregge radici di ulivi
nidifica nel forno sconnesso…
Tendo l’orecchio a inseguire voci
che invadono segni consonanze
di parole lievi librate nelle crepe
dei muri sconnessi tra ciottoli e spini
dietro ogni siepe.
C’è un silenzio antico nelle cose
estenuato da parole di sempre
in ogni angolo della vecchia casa
nella speranza che tende la mano.
Inseguo tenacemente l’azzurro
con occhi spalancati
ma respirare cieli è un’altra cosa
E c’è un silenzio dentro le parole
che rimbalza distrattamente
mai al tempo giusto muto nel dolore
un silenzio non ancora sfiorato
da venti lievi come le mie ciglia,
c’è un silenzio che nessuna parola
può penetrare senza fiatare
con mille nodi i suoni
ne infittiscono gli echi
segnati da erba calpestata
e rami che annaspano
al fruscio dei pioppi ansimanti.
Ma poi senti l’acqua del torrente
borbottare prima piano
poi sempre più incessante
parole e parole
c’è silenzio nel nido
di quei passerotti implumi
c’è silenzio nel buio che trasmigra certezze
nel rumore incessante dei dubbi
nelle pagine bianche nei luoghi di frontiera
in questo tempo che se ne va
c’è silenzio anche nel fuoco
che divampa e zampilla
empiti di poesia arde seguendo tracce
di odori suoni e colori…
Ma non ti ho detto che la pietà
ha grosse ali di viva carne e linfa nuova
a foglia di mandorlo
come segreto albero radicato nell’aria
impastato di lava e comprensione radiosa
nelle braccia gigantesche di perdono.
Cresce stamane all’improvviso l’universo
tra solchi e semi come ininterrotti fiori
nel vorticare di memorie salde a questa terra.
Lentamente torna più calda
la fragranza di essenze mutevoli
ma immortali lungo questo fiume.
Persefone s’imperla come il suono
di ogni voce in un ciliegio.
Maria Allo

Prima Vera
La bella stagione zufola Zefiro
pollini ed erba, tutto sospeso
lo scoppio del canto
la coltre del chiaro discanto
dischiuso il sereno passeggia
con la pace benigna
in un ciondolo al seno
falene di notti ancora insonni
affanno di brame contuse
al cuscino d’incudine e cotone sogno
e rapace possesso
notturno cinereo infetto
domani il sole nuovo
scaccerà altre nubi
evaporando inutili scuse
sul prato in cui rinasco
ingoiando foglie secche
per poi ritornare verde
Federico Preziosi

Primavera a Piazza di Spagna
Passioncella canuta, mio fiore nero (ti sei tinta?)
chi (cosa) ti alimenta
ti accudisce e ti accredita
oltre la circostanza di un sorriso?
Maggio è tornato.
Alla mattina dipinta dai suoi colori forti
sottentra una controra di smog che non lo onora…
Tu rovesci in questo cielo
la tua vecchia cartolina in bianco e nero
e dribblando il nepente del benzene
mi fai subito planare
in un terso mattinale annicinquanta.
Da “Siamo alle solite”, Fermenti Editrice, 2001
Leopoldo Attolico

I giorni dell’acqua e delle rose
I giorni dell’acqua e delle rose
quando la prima pioggia sa di vino
e il tuo stelo è un istante
se ti amo.
Giovanni Baldaccini

(Primavera)
fa carezza, dove Amore ha scordato la viola nei silenzi
le nascono fiori fragranze distribuite ai vari sensi
quando la Vita sospende nei fuori corso
c’era una volta e c’è
la scultrice del sogno che non perde la musa
di bellezza senza dannazione
nell’anima in lirica..
non osa morire, non osa il dolore
non ama dice…
e s’ inganna nel continuo
©Emmaistrini

l’attesa leggera il tonfo
dondolìo d’un immenso
istante dal vento scende
sai d’acqua a maggio le
ciglia di bianco silenzio
la mano quasi un odore
il girotondo accucciato i
tuoi gesti nel soave dire
fammi di niente domani
la casa la margherita di
un bambino e il sole giù
dal tetto al mio petto un
saremo nudità anteriore
andando e stando inizio
nel cavo come arreso di
una mora addormentata
e d’innocenza accesa la
vertigine così all’infinito
s’è fiorita al nido la ferita
dall’alba bagna doralisa
( daìta martinez, 2017 )
Non si pente l’incedere
di sempre si ripete
uguale nei secoli
mantiene la promessa
atavica alla vita
tornerò nella cadenza della terra
tornerò eterna nel tempo
più d’ogni virgulto
d’ogni vagito avrò le vene
mosse dall’impulso
che segue il germoglio
il piacere del gemizio
che spreme linfa agli atomi
alle cellule ai versi di tutti
gli animali allo sbocciare
d’inni e magnificat
al vortice di pollini
di odori a tutta questa
grazia pompata nei polmoni
d’api di chimica d’ormoni
s’inchina implacabile e commossa
alla bellezza indicibile dei fiori.
Loredana Semantica

E’ un canto senza voce
un grido represso inespresso
il turbinio di emozioni
vigili ma contenute
fili di seta che si aggrovigliano
annodati ma vitali
vibrazioni gravi che si fanno strada
in questa primavera
un’altra delle tante
ma non trovano il varco
il passaggio naturale ed obbligato
la soluzione che dal corpo cassarmonica
risuoni e si innalzi
libera.
Deborah Mega
Se ci pensi potrebbe anche essere primavera
ma le cose sembra siano andate tutte storte.
Potrebbe per esempio, esser fiorito aprile
col caldo e sudati, staremmo a fare le salite
dei sentieri che conoscevamo da ragazzi
oppure ad ascoltare le rane nelle pozze
gracidare, e noi imitarle e tirar sassi.
Suonare tutti i campanelli dei palazzi
fare le squadre con nessuno in porta
e le ragazze tiferebbero per noi
e proprio a quello timido che segna
andrebbe forse un bacio o un cenno d’occhi.
Se ci pensi si sta qui a sperar di maggio
e per molti versi credimi, inutilmente.
E il tepore che ora proviene dal riverbero
d’asfalto, oppure dagli schermi azzurri
delle case tutte divise dal tessuto connettivo
che ci rende eremiti societari, non ci scalda
e non ci asciuga. Come la mano delle mamme
quando tornavamo dentro tutti sporchi
a prendere la dose santa degli schiaffi.
Francesco Tontoli

In fondo l’aveva sempre saputo
che sarebbe accaduto il cambio
anatomico del saluto a mascelle
tese per evitare l’affanno dell’addio
durato quattro anni e mezzo
la ripetizione sovrabbondante
della chiusura. In fondo già
conosceva la sbattuta del portone
le parole che sarebbero tornate
quel tono negativo di cui preoccuparsi.
Vecchia storia suggerita dalla forza
gravitazionale nell’aria immobile
in cui tutto il mondo va alla deriva.
Rita Pacilio

Dis/lirica
il pesco era rosa
nella stagione dell’amore,
poi venne il vento
di rasoi e lame
(ma chi l’aveva chiamato?
da dov’era venuto?)
freddo era il fiato
sulle corolle aperte
(oh fiori innocenti
oh petali ardenti)
e si vive l’aprile
come il mese più vile.
Francesco Palmieri

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