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Orso Maria Spingherli de’  Bonitatibus si è appena svegliato. Indugia ancora un poco nel letto a due piazze e mezza quasi tre, poi alza lentamente  braccia e gambe verso il soffitto, così come gli ha insegnato il suo terapista personale. Stamattina ha tutto il letto per sé. Sua moglie è uscita presto per andare a correre con le amiche. Orso odia la corsa, preferisce attività fisiche più dolci, più languide e infantili, per così dire.
Allunga un braccio e la gamba opposta, due tre dieci volte, poi fa il cambio. Altro braccio, altra gamba. Sembra un neonato enorme e grinzoso che tenti di afferrare un giocattolo  con le mani e con i piedi da una di quelle giostrine rotanti che si appendono sulle culle. Dalla finestra entra un raggio di sole sottile sottile  attraverso le tende color grigio pepe, i cui angoli sono impreziositi da ricami a mano raffiguranti lo stemma di famiglia. Non uno ma ben due orsi passanti, grigi anch’essi, ma di una tonalità più scura, a cui è stato aggiunto un cucciolo. Orso Maria è uno che alla famiglia tiene molto, tanto è vero che ne ha  quattro, di famiglie, e durante l’anno le frequenta tutte, ripartendo equamente le festività civili e religiose, i ponti,  i compleanni dei figli e delle ex-mogli e moglie attuale  e, all’occorrenza, se le date non bastano per tutti, inventando ricorrenze ad hoc. I suoi figli, ancora piccoli, le adorano. Il giorno dei pelouche, per esempio, nel quale ognuno di loro riceve un pupazzo nuovo in regalo e poi si va tutti insieme a far merenda in pasticceria. Oppure, la sua ultima idea, di cui va molto fiero, Il giorno dei mercatini, in cui partono in automobile tutti insieme per raggiungere quella località al confine  tanto carina e famosa,  appunto, per i suoi bellissimi mercatini. Ognuno dei suoi figli riceve una capiente borsa ed è autorizzato a metterci dentro tutto quello che vuole, dai biscotti artigianali agli animaletti in ceramica,  dai fazzoletti colorati a qualunque altro oggetto che in quel momento stuzzichi il loro interesse o la loro gola.
“Signor Spingherli, non si possono aggiungere figure agli stemmi”  disse l’esperto di araldica, provocandogli una risatina. “Sistemerò anche questo”, pensò Orso, “così come ho sempre sistemato ogni cosa”. D’altra parte, la sua professione consisteva appunto nel sistemare cose e situazioni, spostare o  rimuovere ostacoli di ogni genere (anche di genere umano, per così dire)  per far posto ad altre cose, altre situazioni, altre persone.
L’importante è fare tutto in contemporanea e legalmente, neanche a dirlo. E poi sparire, lasciare la patata bollente al successore, nel caso venga deciso che ce ne sarà uno.  Orso ricorda ancora con piacere  la sua ultima impresa ma soprattutto il discorso, ripetuto sempre uguale, a una platea di centinaia di persone alla volta, con quei loro ridicoli striscioni di protesta.  “Signore e signori, bambine e bambini, non abbiamo intenzione di togliervi il vostro meraviglioso parco, credetemi! Non siamo quel tipo di persone, noi! Lo spostiamo di un chilometro, ecco tutto. E qui, dove siamo ora, vi prometto che sorgeranno le case più all’avanguardia, con grandi cortili  coperti dove giocare anche nei giorni di pioggia  e le prime scuole, tutte a portata di piedini!”. Quanti applausi ricevette, quella volta! Tantissimi!
E anche le volte successive. Data la particolare conformazione della zona, ci volle un po’ di tempo prima che il trucchetto venisse alla luce. Ma Orso contava soprattutto sul fatto che la gente non sempre ha il tempo e le energie per star dietro a tutto quello che succede, perfino nei dintorni di casa. Le persone lavorano, studiano,  badano alla famiglia, oppure cercano un lavoro, o si disperano o sono malate e cercano di guarire… o un insieme di tutto questo. Al solo pensiero Orso si sfregava ancora le mani, ridacchiando e socchiudendo gli occhi con ingordigia.  Un parco, lo stesso parco, per dieci complessi residenziali medio-grandi. Formalmente era tutto a norma: nessun albero abbattuto, ogni pianta spostata con tutte le radici. E come si era divertito, quando durante il primo “trasloco” un operaio gli raccontò che  centinaia di conigli, lì sotto,  erano tutti fuggiti dalle loro tane,  terrorizzati,  all’arrivo delle ruspe.  Da quella volta volle  essere sempre presente il giorno dei primi scavi. Cappello, occhiali, giubbotto e pantaloni dei grandi magazzini, un  binocolo e via, a gustarsi lo spettacolo! Di solito si trattava di colonie di conigli, ma c’era sempre qualche sorpresa. Talpe, uccellini, roditori di vario genere, piccoli rettili,  tutti stanati e quasi rincorsi da bulldozer e scavatrici.
Orso si è ritirato dal lavoro, di recente. E’ un normale pensionato, ecco. Per dirla tutta, questo è ciò che cerca di far credere ai suoi amici al bar, conosciuti da poco. “Io sono un pensionato come voi”, ripete ogni tanto. E loro ci credono. Perché Orso si traveste. Niente completi da seimila euro né orologio d’oro, quando scende al bar per la colazione. Le scarpe fatte a mano invece se le tiene ben strette. Sono irrinunciabili, così comode! Finora nessuno gli ha chiesto niente, di quelle scarpe, ma non si può mai sapere. Gli dispiacerebbe moltissimo perdere i suoi  amici dato che è la prima volta nella vita che ne ha qualcuno. Orso guarda l’orologio e decide che è proprio ora di alzarsi. “Il mattino ha l’oro in tasca”, pensa, facendosi mentalmente i complimenti per aver inventato un proverbio. Quasi inventato, in effetti.  Stamattina ha deciso che salterà la colazione e si concederà invece un brunch rilassante nel nuovo locale non lontano da casa, quello con le grandi vetrate che separano l’interno dall’esterno e dove sembra di stare in un giardino anche d’inverno. Ma prima farà un salto alla lombricaia.
Nei primi giorni di pensionamento, aveva preso l’abitudine di andare a comprare il pane fresco ogni mattina, prima di uscire di nuovo con gli amici. Per raggiungere la forneria attraversava un boschetto dove, a un certo punto, aveva iniziato a guardare ogni cosa con grande meraviglia: alberi da frutto selvatici, fiorellini, api e farfalle… Ma ciò che lo incuriosiva e attraeva più di tutto era il lavoro dei lombrichi, quel mangiare la terra e poi farla uscire da sé, arricchita di sostanze fertilizzanti. 
Orso ci vedeva una continuità con la sua occupazione di un tempo che, in qualche modo, aveva a che fare con la terra. Il fatto che quei preziosi animaletti migliorassero  il terreno con il loro lavorio e che invece lui contribuiva a depauperarlo con immense colate di cemento non gli passava neanche per la testa. Non ci arrivava proprio.
Insomma, a lui i lombrichi piacevano molto; a volte si paragonava niente meno che  a Darwin, che li annoverava giustamente  tra gli animali più importanti del pianeta. E così Orso si era informato, spulciando febbrilmente  articoli di storia naturale, lui, che nella vita aveva letto quasi solo testi e giornali di economia e finanza.
Com’è fatto un lombrico? In quale maniera regola la temperatura del suo corpo? Come si sposta e come si riproduce? Mano a mano che Orso apprendeva tutte queste sorprendenti nozioni, aumentava di pari passo il suo interesse e il suo immedesimarsi con l’animaletto.
“Siamo uguali, uguali! Anch’io mentre fecondavo le mie mogli ne sono stato a mia volta fecondato! Tanto è vero che le mie idee migliori mi sono sempre venute nove mesi prima della nascita dei miei figli. Prodigioso!”, diceva a se stesso, nell’illusione di aver sempre elaborato idee innovative quando, in realtà,  applicava varianti piccole  ma dagli esiti devastanti a idee e progetti ampiamente collaudati e stantii.
“Si tratta di creature davvero potenti: la muscolatura sviluppata permette loro di spostare oggetti molto più pesanti del proprio peso”, leggeva sul Manuale del perfetto lombricoltore. “Anch’io, anch’io ho spostato tutta quella terra con le mie sole forze!”, delirava, dimenticando le decine di mezzi da lavoro pesante all’opera nei cantieri e gli uomini che le manovrano.
“Che cosa mangia il lombrico? Il lombrico si nutre di terra, da cui assimila i nutrienti”. Ed è stato in quel momento che Orso iniziò a fantasticare di comprare un terreno. Grande, molto grande, non distante da casa, in modo da poter visitare i piccolini almeno una volta al giorno. Fece arrivare camion colmi della terra più adatta (“solo il meglio per i miei tesori”) e di scarti di frutta e verdura dei mercati generali. Poi, per accelerare le cose, comprò lombrichi in quantità, sessualmente maturi. In capo a un mese, ecco che la lombricaia iniziò a pullulare di vita, che si traduceva nei noti coaguli di terra, i coni,  che si vedono comunemente soprattutto dopo le piogge. Fece piantare alberi a crescita rapida tutt’attorno, avendo appreso che i suoi prediletti temono le alte temperature. Con tutta quella terra a disposizione, in lungo e in largo, non dovrebbero esserci problemi, ma non si è mai abbastanza prudenti, in certe cose.
Fece coprire l’area con teli  abbastanza scuri  per lasciarli lavorare in tranquillità. Una volta al giorno si recava in visita al  lombricaio per  osservare l’attività di quelle creature, alzando delicatamente i lembi dei teli per non infastidirle.
Quella mattina decise di indossare i suoi nuovi abiti in puro cotone biologico trattato con tinte naturali,  e scarpe prodotte con la  stessa fibra.   Portò con sé una sedia pieghevole e una buona lente d’ingrandimento. Arrivato alla lombricaia si mise comodo, posizionò la lente all’ombra in modo da non attirare i raggi del sole e tutto contento iniziò le sue osservazioni. La terra era diventata di un ricco color marrone, soffice, umida e ben aerata. Orso si commosse; l’assaggiò, mettendone un pezzetto sulla lingua e rigirandosela in bocca per assaporarla meglio.  Era talmente concentrato ed emozionato da non accorgersi che una faccia enorme e setolosa,  senza occhi né naso,  gli stava di fronte come se, non potendo vederlo,  tentasse almeno di percepirlo. E ciò che percepì sembrò soddisfarlo. A Orso, dopo un lungo momento di sorpresa purissima, si rizzarono i capelli sulla testa e tutti i peli del corpo. Si girò, cercando una via di scampo lontano dalla lombricaia. Ora toccava a lui correre col cuore impazzito nel petto, così come aveva visto fare ai coniglietti  e agli altri animali durante gli scavi, quando si era tanto divertito. L’enorme  anellide,  lungo un paio di metri, capace di avanzare in fretta coi suoi  muscoli possenti,  lo ingoiò a partire dai piedi, la parte  più raggiungibile.  Poco a poco Orso sparì all’interno della creatura che, dopo qualche minuto di assestamento, tornò verso casa e si immerse nelle gallerie.
Se, per assurdo,  Orso Maria avesse potuto essere presente all’avvenimento anche  da vivo,  avrebbe apprezzato enormemente  il fatto che nessuna sostanza artificiale fosse stata introdotta nel suo adorato lombricaio, essendo lui stesso e i suoi indumenti biodegradabili – e quindi commestibili – al cento per cento, senza dannosi scarti. 

Patrizia Destro