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“Il marziano innamorato” è un racconto umoristico di Stefano Benni, tratto da Il bar sotto il mare del 1987. L’opera comprende 24 storie; 23 di loro sono raccontate dai clienti, l’ultima dall’Ospite. All’inizio del libro c’è un disegno che rappresenta le sagome di tutti i personaggi indicati con i numeri, legenda che ci aiuta a orientarci meglio nella storia, segue una fotografia dei personaggi. Ogni racconto presenta la stessa struttura: prima Benni menziona il nome del narratore, seguito dal titolo della storia e poi da una citazione letteraria che  riassume la morale contenuta nelle storie che seguono. Nel bar sottomarino Benni descrive ventitrè personaggi che si incontrano e raccontano storie di diverso genere: storie felici e tristi, gialli, horror, parodie di opere celebri. L’ospite è invitato a rimanere per ascoltare i narratori, in caso contrario non potrà mai uscire dal bar e tornare a casa. I narratori non hanno un nome, Benni gli dà un nome tratto dalle loro caratteristiche tipiche: il primo uomo col cappello, la bionda, il venditore di tappeti, il marinaio, il ragazzo col ciuffo, la sirena, ecc. La storia del marziano innamorato è raccontata dal nano, che, mentre pesca nel fiume di Sompazzo, incontra il marziano Kraputnyk Armadillynk, venuto sulla Terra dal pianeta Becoda per portare un regalo alla sua fidanzata. Il marziano cerca di comprendere le persone  che incontra e le loro azioni e, soprattutto, ciò che le donne terrestri desiderano di più. Con grande delusione scopre che le donne sono entusiaste di quazz e trond, probabilmente diamanti, di cui Becoda è ricco. Il marziano scopre che un’altra cosa che tutti vogliono sono i fatti. Qui l’autore allude alla politica attuale ma anche all’eccessiva produzione di rifiuti, vera tragedia dei tempi moderni. Il racconto presenta diversi momenti esilaranti ma che fanno riflettere sulle incoerenze e sulle contraddizioni che viviamo ogni giorno sulla nostra pelle.

IL RACCONTO DEL NANO

 IL MARZIANO INNAMORATO

«Ma gli innamorati, i veri innamorati inventano con gli occhi la loro verità.»

(Molière)

 

Questa è la vera storia di Kraputnyk Armadillynk, così come mi fu raccontata dalla sua viva voce. Una mattina presto stavo pescando nel fiume di Sompazzo quando sentii alle mie spalle un fragore impressionante. Vidi gli alberi tremare e gli uccelli fuggire. Poi uno scoppio e più nulla. Attraversai l’argine e mi apparve una creatura singolare: un barilotto di metallo con un nasone da talpa e due braccini snodabili con catarifrangente. Stava prendendo a calci un disco volante e con voce irosa gridava più o meno così:

– Zukunnuk dastrunavi baghazzaz minkemullu mekkanikuz!
Vedendomi si inchinò e disse:
-Signore, mi dispiace assai di averla disturbata, ma se sarà tanto gentile da ascoltarmi, penso che potrà capirmi e darmi l’aiuto necessario. Mi chiamo Kraputnyk Armadillynk e vengo dal pianeta Becoda. Il mio pianeta è a settecento anni luce dal vostro e la temperatura media è di cinquanta gradi all’ombra. E’ un pianeta rosolato e desolato. Ci si possono coltivare solo due cose: il Trond e il Quazz. Il Trond è un tubero tondo dal sapore insipido. Il Quazz è un tubero quadrato dello stesso sapore del Trond. Si potrebbe tranquillamente dire che sono la stessa cosa, ma per il morale di noi becodiani è meglio distinguerli. Così possiamo dire: “Cosa abbiamo stasera di buono per cena, Trond o Quazz?” e creare un po’ di suspense. Esistono tre modi di mangiare il Trond: e precisamente seduti, in piedi e sdraiati. Parimenti esistono tre modi di cucinare il Quazz: con sugo di Trond, con sugo di Quazz o con ripieno di Trond. Avrà perciò capito che la vita sul nostro pianeta è assai dura. Non abbiamo altro che terra bruciata e campi di Trond e Quazz, rocce nere, montagne di lava e qualche Nerpero (vulcano) che sputa in aria lapilli bollenti. Non esistono animali, ad eccezione di un verme che si chiama Krokuplas ed è immangiabile, ma costituisce un’ottima esca per i pesci. Sfortunatamente su Becoda non esistono né acqua né pesci. Beviamo però ottime spremute di Trondquazz. Sul nostro noioso pianeta l’unico divertimento è corteggiarsi. Gli abitanti di Becoda sono infatti incredibilmente belli. Almeno, così è scritto nel primo articolo della nostra Costituzione. Noi maschi, come vede, siamo formati da due piedi trond, un corpo quazz, e testa lievemente trondoide da cui sporge un tubo (che non è il naso! ). Le femmine hanno piccoli piedi quazz, delizioso corpicino trondeggiante e testa alquanto bitrondica. La mia femmina si chiama Lukzenerper Graetzenerper Bikzunkenerper. Che vuole dire Lukz che nacque vicino al vulcano, figlia di Graetz che vive sul vulcano e di Bikz che cadde nel vulcano. Lukzeccetera è molto giovane, ha diciotto anni becodiani, che corrispondono circa a due telenovele terrestri. Io l’amo, e passeggiare con lei grunka nella grunka per i sentieri del pianeta è la mia unica gioia. Ma avvenne che una notte, mentre eravamo soli nella mia quazzomobile e guardavamo le mille stelle dell’Universo, lei si strinse a me e cominciò a lazigàr. Che è la cosa più terribile che ti possa capitare su Becoda. Lazigàr è come il vostro piangere, ma noi piangiamo olio, prezioso olio lubrificante, per cui se uno lazìga troppo resta arrugginito, grippa e muore. Così io la consolavo e cercavo di rimetterle nel serbatoio tutto il lazigàto che potevo, ma lei continuava il suo lazighenzeinzein e io non sapevo più cosa fare.
“Lukzettina” le dissi “ti prego, parla. Non lazigare più, mi strazi! Cosa posso fare per te?”
“Oh, Kraputnyk” rispose lei “tu sei buono come un trond (non era poi un gran complimento. Noi diciamo anche: carogna come un trond, perché abbiamo così poche cose per fare paragoni)… ma io vorrei una cosa impossibile… vorrei… vorrei…”
Nel vederla così disperata un lazigòne salì al mio ciglio.
“Parla, cara, non esitare” dissi “farò qualsiasi cosa per te.”
“Oh, Kraputnyk” disse lei “in vita mia non ho mai ricevuto un regalo. E morirò senza che nessuno mi abbia fatto un regalo!”
Ma come, pensai, se le avevo appena regalato una collana di trond! Già, ma che regalo poteva essere un trond su quel pianeta maledetto dove non c’erano che trond e quazz e pietre a forma di trond e pezzi di quazz sempre tra i piedi! Un regalo è qualcosa che non ti aspetti. Cosa c’era su Becoda che potesse sorprendere una fanciulla? Fu in quel momento che guardai il cielo stellato e mi illuminai (dico davvero: quando noi abbiamo una grande idea si accende una luce rossa). L’universo era abitato da molti mondi trond e grandi strutture quazz. Diceva la televisione (quella l’abbiamo anche noi, è obbligatoria) che questi mondi sono assolutamente uguali al nostro. Su Giove ci sono dei trond più grandi, su Venere ci sono dei quazz particolarmente belli, ma niente di più. Ebbene, pensai, sarà così, perché la televisione non mente quasi mai, ma voglio controllare di persona. Perché se esiste in qualche lontana parte dell’universo un vero regalo, qualcosa che non sia né trond né quazz da portare alla mia amante, ebbene io lo troverò. Ciò deciso, la sera stessa feci una provvista di filetti di trond in scatola e lanciai la mia astroquazzomobile nei corridoi stellari del Serpentone numero otto, quello che porta all’incrocio Zatopek e da lì al vostro sistema solare. Non so perché puntai subito sulla Terra. Forse per il colore, che mi sembrava bello, o per il modo in cui trondava nello spazio. Fatto sta che misi in azione il mio macrocanocchio e lo puntai su di voi. Ahimè, la prima cosa che vidi mi scoraggiò. C’era un grande spazio di pelo verde e tutto intorno migliaia di persone che urlavano. In mezzo alcuni esseri vestiti di due colori diversi si disputavano con i piedi un piccolo trond. Qua sono messi anche peggio di noi, pensai: noi abbiamo solo i quazz e i trond, loro scarseggiano anche di trond. Infatti intorno a questo trond si scatenavano risse gigantesche, ognuno lo voleva per sé e la gente urlava come impazzita. Puntai il macrocanocchio in un altro punto e vidi una città fatta di quazz uno sopra l’altro. Nessun segno di vita. Forse, pensai, gli aborigeni del luogo non mangiano i quazz, ma sono i quazz che mangiano gli aborigeni. Infatti ne vedevo sparire a migliaia dentro a giganteschi quazz illuminati. Avvilito e deluso ero già intenzionato a ripartire quando, oh meraviglia! vidi finalmente una cosa che non era né quazz né trond né pietra né lapillo, una meravigliosa nuova cosa. Atterrai e mi avvicinai. Era uno scatolone metallico, simile a un becodiano obeso, ricolmo di oggetti misteriosi fatti con materie, che poi seppi chiamarsi carta plastica e latta. Avevano diversi colori, e anche se in essi c’erano esempi di quazzismo e trondismo, la varietà era strabiliante. E che odori strani emettevano! Forti, penetranti, così diversi dall’odore becodiano, cenere e quazz lesso. Frugai un po’ col mio braccetto e tirai su dallo scatolone un oggetto stupendo: un cilindro rosso rilucente. Era firmato con una scritta trondeggiante che attraverso il mio universibolario decifrai in coco-colo o colo-coco. Pensai che fosse opera di due artisti. Poi vidi un animale splendido, formato da un corpo tutto irsuto di pelo terminante in una lunga coda di legno, e delle stoffe preziose e candide con le scritte “supermercato Pam” e “Standa” e ancora oggetti oblunghi e trasparenti, meravigliosi sughi odorosi, bucce a spirale, carte fruscianti piene di geroglifici. Ero lì con il portello spalancato a guardare tutta quella ricchezza, quando vidi la prima creatura terrestre. Stava frugando beata tra gli oggetti meravigliosi dello scatolone. Subito presi il dizionario turistico interstellare e scandii bene questa frase:

“Sku-ssi, lei uommo di terrah, po-tzo io komp-rarre uno dei kuesti suoi ztu-pehndi ogetti?” La creatura spalancò i bellissimi occhi gialli, mosse la coda e rispose:
“No komp-rarre, tutti pozzono prendherre, ma ora skampare via, poi ke venire uommini di spah-tzaturra.”
Ed ecco la creatura che credevo un uommo balzare via spaventata all’arrivo di un essere rombante grande come venti becodiani, da cui discendono gli uommini, uno dei quali mi guarda e dice:
“Da quando in qua hanno messo questi nuovi bidoni?”
“Boh” dice l’altro, “comunque sembra vuoto.” E mi prende per il naso (che non è il naso!) e mi scosta.
“Al lavoro” dice l’altro “buttiamo questa schifezza!”
Prendono lo scatolone delle meraviglie e lo ribaltano nella bocca dell’essere grande. Poi ci saltano su e se ne vanno. Lì per lì ci resto male, poi penso: se buttano via questa splendida roba e la disprezzano, figuriamoci che altre cose meravigliose hanno, molto più preziose di queste. Pensando rincuorato alla mia cara Lukzenerper, mi lancio dietro a loro a tutta velocità sui trondopattini, finché arrivo in città e quasi fondo per lo stupore. Che varietà di forme e di colori! Che regali portentosi ovunque, immobili o semoventi, piccoli o grandi! Questo è il paradiso, mi dico, ma devo restare calmo e scegliere bene, non lasciarmi stordire dall’abbondanza. Anzitutto non voglio un regalo qualsiasi. Voglio un regalo che anche le femmine terrestri ritengano pregiato e importante. Gli uommini li so già riconoscere, adesso devo trovare una femmina terrestre. Come sarà fatta? Entro prudentemente in un locale con la scritta “bar tabacchi”. Vedo subito una cosa che potrebbe essere una femmina, una cosa con molti nasi e un uommo che li tira su e giù, il che da noi vuole dire gibolàin, accoppiarsi. Ma poi sento che l’uommo la chiama “macchina del caffè”. Non è lei. Eccola là, la vedo, la femmina. È bellissima, tutta addobbata di luci colorate, lancia urla e gridolini mentre un uommo la tiene per i fianchi e la scuote tutta. Se non è gibolàin questo! Improvvisamente però le luci della femmina si spengono e l’uomo le dà un grande calcio e impreca. Come sono violenti dopo aver gibolainato! L’uomo mi passa davanti e lo sento dire: “Quel flipper è un cesso, non si vince mai. E questo cos’è, un nuovo distributore automatico?” E mi tocca il naso (che non è il naso).
“Boh” fa l’uomo che maneggia la macchina del caffè” che ne so, l’avrà messo lì il padrone. Ehi, guarda lì fuori che femmina sta passando!”
Ci siamo! Guardo dove guardano i due uomini. Stanno passando due cose: una è una cosa gialla con la scritta taxi. L’altra è un uomo con più trond davanti, dei bei fili colorati in testa e gli occhi più vivaci. Mi metto a seguirla discretamente finché non incontra una simile a lei. Le dice:
“Lo vedi quel coso dietro di noi? Le pensano tutte ormai per fare pubblicità alle lavatrici.” Che sia io il coso?
Poi la prima femmina si ferma ed esclama:
“Che auto! Cosa darei per averne una così!”
Quella che chiama auto è una quazzomobile che fa molto più fumo e rumore. Un po’ ingombrante da regalare, ma se piace tanto… Le auto stanno tutte ferme in fila. Dentro uommini e femmine suonano una nota picchiando un tasto che sta al centro di un trond. Stanno ore e ore a suonare anche se sembrano stanchissimi. Ho capito: l’auto è uno strumento musicale! Dopo un po’ la femmina arriva in un posto con la scritta “parcheggio” e trova la sua auto con un foglietto giallo sul vetro. Sarà lo spartito per suonare, penso, invece la femmina si arrabbia, straccia il foglietto e urla:
“Ingorghi, traffico e adesso anche la multa! Piuttosto che andare ancora in auto la butto in un burrone! Bisognerebbe bruciarle tutte, le auto!” E se ne va, senza neanche suonare.
Ahi, ahi! Non è un gran regalo, allora. Mi metto a seguire un’altra femmina e la vedo che incontra un uommo. Entrano in un mangiaquazz. Mi infilo dentro anch’io: ho imparato che se sto immobile nessuno dice niente, tutt’al più cercano di darmi da mangiare delle monete. Aguzzo bene le orkekkys e sento la femmina che dice:
“Caro, questo è il regalo più bello che potevi farmi… è splendido, non ho parole” e lo bacia.
Piano piano mi infilo sotto il loro tavolo. Guardo, e sapete che cosa ha in mano la femmina? Un astuccio nero con dentro una collana di quazz, quelle pietrine trasparenti che a Becoda troviamo a migliaia nella cenere. Bel regalo davvero!
Deluso, decido di farmi ispirare dalla televisione, perché anche qui come a Becoda dovrebbe dire quasi la verità. Analizzo tre ore di telegiornali terrestri col mio computer analogico-galattico e il risultato è che il regalo che tutti vogliono, di cui tutti parlano e che tutti ritengono indispensabile ed auspicabile è: “fatti”. Entro perciò in un negozietto con la scritta: “Abbiamo tutto” e senza esitare dico: “Mi dia subito due fatti, uno per me e uno per la mia fidanzata. E mi raccomando: fatti, non parole.”
L’uommo mi guarda torvo e dice:
“Guardi, io non so se lei è un robot o un nano pagato da qualche partito politico, ma le dico che ne ho piene le palle di propaganda elettorale.”
“Un momento, ripeta” cerco di dire, ma altri uommini entrano nella discussione e alzano la voce, e poco dopo cominciano a litigare e a tirarsi dei quazz in testa. Mi allontano proprio stufo. Cammina cammina, esco dalla città e arrivo da queste parti. Penso di caricare sulla astromobile uno di quei tappeti grigi che chiamate strade. Ma è pesante da arrotolare. Oppure potrei prendere una fetta di pelo verde. Ma non ho capito nulla della terra e rischierei di portar via un regalo da poco. Tutti riderebbero di me e della mia Lukz. Che scoraggiamento! In quell’istante sento alcuni piccoli di uommo che parlano tra loro:
“Che sete” dice uno.
“Cosa darei per un chinotto” dice l’altro.
“Pensa” dice il terzo “che regalo se qualcuno ce lo portasse qui…”
Stavolta metto su addirittura la turboelica da spostamento rapido e volo al primo negozio. Sono pronto a usare anche il cannone fotonico. Al banco c’è una donnina con due quazz di vetro davanti agli occhi.
“Femmina” dico “mi dia tutti i chinotti che ha.”
“Sei strano, bambino” dice, e anche lei mi tocca il naso (che non è il naso). “Me ne sono rimasti quattro, ti bastano?”
“Szyp” dico io.
“Duemila quattrocento lire.”
Ahi, a questo non avevo pensato! Però ho un’idea: le metto in mano due o tre di quei quazz sbrilluccicanti che piacevano tanto all’altra femmina. La vedo sbiancare e ammutolire. Fatto!
Volo indietro e atterro davanti ai tre piccoli di uommo.
“Ehi, che buffo” dicono “che cosa sei?”
“Sono il robotto del concorso vinci il chinotto” dico “e voi ne avete vinti tre, uno per uno.”
“Uahu!” grida il primo.
“Grande!” ulula il secondo.
“Che felicità” dice il terzo, e si mettono subito a romperli finché non esce l’olio e se lo bevono. Tutti uguali i bambini.
“Ma insomma” chiedo “è un bel regalo o no?”
“E’ il più bel regalo che potevo aspettarmi oggi” dice il primo.
“E’ un regalo meraviglioso” conferma il secondo.
“Adesso sto proprio bene” dice il terzo.
Stavolta è fatta. Ci salutiamo: loro sventolano le mani e io sventolo il naso, quello vero, che ce l’ho a destra in basso. Torno alla mia quazzomobile a rimirare il chinotto che ho tenuto per Lukz. Che bello, che trasparenza, con l’olio scuro che si muove dentro, e che odore stupendo. In cima c’è anche un gioiello trondo merlettato e la scritta “Chinotto” in lettere rosso fuoco. Che regalo da portare al collo o in testa, o nelle orkekkys, che regalo per il mio amore! Accidenti! Ho così fretta di tornare a casa che ingolfo il motore e la quazzomobile si blocca. Ora lei mi ha trovato, signore, e so bene cosa vuole: lei vuole il mio prezioso chinotto. Ma la prego, prenda qualsiasi altra cosa, tutti i miei quazz brillanti, la mia calotta cranica, il pezzo della quazzomobile che le piace di più, il volante in similtrond o l’astrocane che fa sì sì con la testa, le do tutto quanto ma, la prego, mi lasci il chinotto! Lukzenerper mi aspetta.
– Signor Kraputnyk – gli rispondo io – non solo non voglio portarle via il chinotto, ma a nome del popolo terrestre le consegno in più un mio regalo personale: è un optional del chinotto. Se un giorno lei volesse far sentire l’odore del chinotto agli amici, faccia leva con questo e il contenitore si aprirà…
– Bellissimo oggetto. E come si chiama?
– Apribottiglie.
– A-pree-bok-thiglie – ripete il becodiano, commosso.
– Grazie, è troppo per me. Chissà quanto costa!
– Via via, gli dico, – non ci pensi e torni a casa che la aspettano.
Con la mia cinquecento gli do una bella spinta. La quazzomobile vibra un po’ poi si mette in moto e, accidenti che motore! In dieci secondi è scomparsa tra le nuvole. Mi sono rimesso a pescare e ho preso tre lucci di cinque chili l’uno.

Stefano BENNI, «Il marziano innamorato», in Il bar sotto il mare, Universale Economica Feltrinelli, Milano, 2016, pp. 65-73.