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1)

Con Giuseppe

a Porto Cesareo

d’estate

incontro Abramo

e altri migranti

che percorrono chilometri e chilometri di spiaggia

per vendere la loro mercanzia.

Il mare

sa essere benevolo,

il mare

sa essere crudele.

Sulle coste di Crotone

in un utero d’acqua

donne uomini bambini

hanno trovato la morte

in un brutale fragore di onde.

Solenne

s’è levata la voce del Papa

per reclamare pietà

per quest’umanità martoriata avvilita ferita.

I professionisti della politica

sanno urlare

solo la parola “rigore”,

perché poverini

non conoscono altro.

Loro ignorano

drammaticamente

la meraviglia.

Loro non s’accorgono mai

di quell’esperanto di compartecipazione

che è radice

fra le persone in fuga.

I professionisti della politica

nazionale e internazionale

Sanno solo giocare,

giocare a scaricabarile.

Questa estate

tornerò con Giuseppe

a Porto Cesareo.

Incontreremo Abramo

e altri migranti

e ci saluteremo.

Ci stringeremo

nell’abbraccio più lungo,

nell’abbraccio più lungo.

 

2)

L’approdo (Porto Cesareo), venerdì 4 agosto 2023

 

Navigare

nei mari adamantini.

Quest’acqua,

madre primigenia

d’eternità.

Sempre cercammo

in quest’utero accogliente

le motivazioni più intime

d’un miracolo

chiamato vita.

Veleggiare

e capire che l’insoluto quesito

che s’agita nella mente

è una risposta chiara.

Io e Giuseppe

salutiamo

i nostri amici migranti.

Abramo, Paco e suo figlio

si fermano a parlare con noi.

È viva

quest’umanità errante,

è fraterna.

È modesta

quest’umanità silente

che s’aggira

per il mondo

senza nulla chiedere,

senza nulla pretendere.

L’acqua

ci guarda.

È una culla di cristallo,

l’acqua.

Noi siamo qui

ancora

ancora,

ai bordi d’un disvelamento.

 

 

 

3)

Abramo

e il suo carretto

di umile mercanzia.

T’incontro in piazza,

amico caro,

Cristo nero,

venuto dal Senegal

a donare

gentilezza e tenerezza.

Le tue parole

usuali: “Come stai?”.

Mi stringi la mano,

l’ebano forza

d’una affettuosità fraterna.

I fenicotteri d’Africa

sono rosa,

come le albe nostrane al mare.

Le rose

della tua terra natia

arrivano da noi,

cariche di messaggi.

T’aspetto

sempre in piazza,

dolce Abramo,

per farmi narrare

la favola,

la stella che traluce

sui volti

d’ogni lignaggio.

T’aspetto

in piazza

ogni giorno,

amico premuroso,

per farmi svelare da te

i cammini alterni

degli incerti destini.

 

 

4)

Cosa è il mare

se non la voce

della memoria.

Popoli migranti

in fuga

da guerre persecuzioni cupidigie.

Urla di bambini

di bambine

nel fondo degli abissi.

Strazio di madri

dal seno avvizzito

dalla miseria.

Vecchi

che non sappiamo

più portare sulle spalle,

uomini e donne

che non sappiamo

guardare.

Viltà meschinità

d’un Occidente opulento

che non sa accogliere.

L’Occidente

che s’è sempre “distinto”

per le sue scelte rapinose.

E i potenti?

Che dire di loro?

I potenti sono intenti

a costruire steccati

a pianificare l’esclusione

a esaltare

a reti unificate

le ragioni profonde

d’un totale fallimento politico.

 

 

5)

Aprite

gli arsenali di grano,

fate tacere

gli arsenali di guerra.

La gente

ha fame e sete di verità

di giustizia di equità.

Silenziate le armi,

padroni della terra.

La terrà è violata,

la terra è sconfitta,

la terra è martoriata

dalla vostra smisurata insensata cupidigia.

La terra

giace in un lago di sangue.

Le fosse comuni

i vecchi, le vecchie in fuga

I bambini deportati

sono la vostra condanna a morte.

Non c’è tribunale penale internazionale

che possa giudicare

i vostri inverecondi misfatti.

Non c’è dio della misericordia

che possa perdonare

la vostra folle efferatezza.

Non c’è uomo

che non sappia distinguere

il probo dall’iniquo.

Padroni del mondo

siete la iattura,

siete la rovina

della civiltà.

 

6)

Stasera

t’ho visto in piazza

fiero vu cumprà

che offrivi

la tua povera merce.

Non avevo denari con me,

non ho acquistato nulla.

Non avevo denari,

t’ho solo salutato.

Mi hai donato

il sorriso più sfavillante del mondo,

scintillio per le mie ore melanconiche,

luccichio per quest’affanno

che mi serra e mi morde il petto.

C’era tristezza

in quei tuoi occhi grandi

immensi come il tuo Senegal.

La nostalgia delle lontananze.

Avrei voluto

dirti qualcosa,

ma ho taciuto,

non sono riuscito

a proferire alcunché.

Avrei voluto

parlare dell’epoca,

di questa triste epoca

che fa strame degli uomini sensibili.

La vita ambulante,

errante come la luna.

La vita pellegrina

che va e poi ritorna.

Sì, lo so,

nel tuo Senegal

vedrai sorgere

nuove aurore.

E i fenicotteri

t’aspettano

per impazziti voli

d’amore.

 

Marcello Buttazzo, “Ti seguii per le rotte”, I Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno, 2024

NOTA BIOBIBLIOGRAFICA

Marcello Buttazzo è nato a Lecce nel 1965 e vive a Lequile, nel cuore della Valle Della Cupa salentina. Ha studiato Biologia con indirizzo popolazionistico all’Università “La Sapienza” di Roma. Ha pubblicato numerose opere, la maggior parte di poesia. Scrive periodicamente in prosa su Spagine (del Fondo Verri), nella rubrica Contemporanea, occupandosi di attualità. Collabora con il blog letterario Zona di disagio diretto da Nicola Vacca. Tra le pubblicazioni in versi ricordiamo: “E l’alba?” (Manni Editori), “Origami di parole” (Pensa Editore), “Verranno rondini fanciulle”(I Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno). La sua ultima raccolta di versi “Ti seguii per le rotte” è stata pubblicata nel 2024, per I Quaderni del Bardo Edizioni di Stefano Donno.