
Il mare a Chetaibi è splendido, di un blu cristallino e profondo, soprattutto al largo. Lo sa bene Ahmed, proprietario di una piccola barca da pesca, che ogni notte prende il largo per catturare i piccoli pesci che il mare gli offre: sardine, acciughe, merluzzi e sgombri in via eccezionale. Ahmed rispetta il mare più di qualsiasi altra cosa, crede che sia la rappresentazione di Allah perché può offrirti molto pesce o solo inutili alghe, in base a come ti comporti con lui: se butti la plastica in mare o lo inquini in altro modo non sarà magnanimo con te. Allah, come il mare, può prenderti la vita in qualsiasi momento e in qualsiasi modo, ma può anche renderti felice e farti godere di paesaggi mozzafiato.
Ogni notte Rabah, vecchio amico di Ahmed, lo accompagna al largo, gettano le reti insieme cantando canti propiziatori. I due eseguono il rituale in modo preciso ogni giorno: dopo aver gettato le reti e cantato aspettano pregando in silenzio. La prima folata di vento è il segno di Allah che le loro preghiere sono andate a buon fine, è una carezza che li ringrazia per ciò che hanno fatto e gli comunica la sua benevolenza.
Dopo la folata di vento iniziano a parlare, dapprima sussurrando, poi a voce sempre più alta fino ad un tono normale. I due parlano di tutto, dagli argomenti più terreni, come gli eventi che accadono ai loro conoscenti, fino a discorsi sulla sacralità del mare e sulla nobiltà dei pesci, idea discussa e approvata dai due una notte. Sono pescatori molto rinomati nel loro paese, sia perché pescano quotidianamente: non tornano mai con la rete vuota ma neanche con un carico eccessivo, sia perché sono molto cordiali e saggi, amano leggere e discutere le loro idee, spesso vengono interrogati su questioni importanti dai loro compaesani.
Rabah non è sposato e non ha figli, è cordiale ma schivo con gli sconosciuti, molti lo considerano un eremita che intervalla la sua solitudine solo con le battute di pesca.
Ahmed ha una moglie, Fatima, e un figlio, Yanis, di 11 anni.
Fatima è una discreta sarta, confeziona abiti che settimanalmente vende al mercato del paese, aiutando come può la famiglia sul lato economico. Il resto del tempo lo dedica alle cure casalinghe e al figlio. Per molti vicini lei dovrebbe solo accudire la casa e i figli perché è questo che secondo loro una brava donna musulmana dovrebbe fare. Ahmed non è di quest’opinione, lui crede che il Creatore abbia generato l’essere umano e l’abbia diviso in due sessi solo per ragioni riproduttive, senza idee di superiorità o pensieri simili.
Yanis parla algerino ma anche francese, entrambe da quando era piccolo perché già all’asilo glielo insegnavano. A volte mischia inconsapevolmente le due lingue e se ne accorge solo guardando le facce stranite dei genitori che non sanno il francese, ma solo l’algerino, dato che non hanno mai frequentato le scuole; ai loro tempi non era consuetudine. A scuola ci va volentieri perché gli piace conoscere, una passione trasmessa dal padre; poi con gli altri ragazzini si diverte. Gli piacerebbe che la sua scuola fosse più aperta a conoscenze non islamiche, leggendo anche libri scritti da cristiani, buddhisti o atei, conoscendo le culture e le tradizioni di altri Paesi o vedendo film non sempre di matrice araba. Una volta ha parlato di questa sua idea con il maestro che gli ha risposto che il mondo arabo deve restare puro, così com’è, senza essere contaminato da blasfeme opere o azioni scorrette. Yanis pensava che conoscere questi argomenti non avrebbe voluto per forza dire condividerle e lo disse al maestro che reagì dicendogli che le conoscenze influenzano sempre, anche se noi non vogliamo, e che quindi è meglio non conoscere.
Questo pensiero restò nella testa del ragazzo che lo confidò al padre. Ahmed aveva un’idea precisa su questo argomento, uno dei tanti dibattuti una notte di un giorno dimenticato con Rabah. Disse che la conoscenza serve in modo tale che ognuno possa decidere il proprio pensiero, senza che esso venga imposto e si tenda, perciò, a ribellarsi. Una cosa colpì molto Yanis, perché non aveva mai messo in discussione il suo Dio e quella fu la prima volta. Suo padre gli disse che Dio era uno solo ma che aveva tante forme: per i cristiani era la Trinità, per gli ebrei Dio, per gli induisti era composto da più parti, più dei, come per alcune religioni africane. Per i musulmani Allah era Dio, ma Allah non era l’unico Dio, era solo una rappresentazione di un Dio unico, di conseguenza la fede cristiana o ebrea non erano sbagliate o da condannare duramente come pensavano molti musulmani. Quest’idea restò nella mente di Yanis per diversi giorni. Avrebbe voluto conoscere una persona di un’altra religione perché questo avrebbe annullato i suoi dubbi, le sue domande, il suo dibattito interno riguardante Dio e la bravura delle persone in base alla loro fede. Nel profondo del suo essere sapeva che esistevano persone buone e cattive in ogni popolo e questo non riguardava la religione; anche alcuni musulmani rubano, ad esempio.
Le uniche persone non musulmane che vedeva erano i turisti, la maggior parte europei venuti a trascorrere le vacanze estive. Aveva paura della loro reazione, avrebbero potuto stizzirsi perché non tutti hanno una mente adatta a questo tipo di ragionamenti, e questo non centra con la fede. Il suo timore era accresciuto dalla consapevolezza che nel paese i turisti europei non erano visti di buon occhio e sopportati solo perché portavano soldi. Yanis non capiva quest’ostilità per persone che non facevano nulla di male. Si diceva che potessero attaccare la frivolezza, intrinseca nella loro mente. Assurdità.
Un giorno in cui il sole splendeva così forte che gli occhi bruciavano solo voltandosi verso di esso, Yanis vide un gruppo di turisti, presumibilmente due famiglie: quattro adulti, intorno ai quarant’anni e tre bambini di circa tre, cinque e sette anni. Erano vicino a casa sua e i genitori stavano osservando la baia mentre chiacchieravano. I bambini scorrazzavano in giro cercando di prendersi con le braccia sempre tese in avanti, probabilmente giocavano a ce l’hai. Yanis era molto tentato di avvicinarsi al gruppetto di adulti ed esporre tutti i suoi dubbi. Fece un bel respiro, profondo, e cercò di trovare dentro di sé il coraggio necessario per affrontare la situazione. Si avviò verso di loro, divaricò le labbra ma non riuscì a dire nulla. Proseguì con il sole negli occhi oltre i turisti mentre copiose le lacrime gli irrigavano il bel viso abbronzato; lacrime causate dalla sua paura di parlare e dall’intenso sole. Yanis pensò che sarebbe stato brutto disturbarli in un momento contemplativo. Ma in fondo stavano parlando tra loro senza guardare davvero bene il mare, che creava solo un magnifico sfondo alla loro conversazione. Forse non sarebbe stato preso sul serio: un ragazzino che chiede a degli adulti di confessare i loro pensieri esistenziali più intimi, un pazzo. Magari sarebbe rimasto deluso per la loro poca profondità d’animo, magari si sarebbero offesi perché si chiedeva se musulmani e cristiani fossero uguali nell’essere. Ma ogni supposizione è inutile perché al momento opportuno passò oltre.
Cosa fare? Avrebbe potuto aspettare di diventare più grande per essere più sicuro di sé stesso e riuscire ad affrontare un discorso simile con degli sconosciuti. Ma anche questo in fondo era inutile: chiacchierando con quattro persone non si riesce certamente a capire l’identità di un popolo. Immergersi nella loro cultura sarebbe stata la giusta soluzione, un viaggio in Francia, magari lavorando lì così da spendere meno soldi e capire di più quel mondo. Ma era ancora troppo piccolo e i soldi per un viaggio così lontano non ci sarebbero mai stati.
Parlò di nuovo con suo padre. Yanis lo considerava saggio e intelligente, ma soprattutto comprensivo.
Questa dote era pressocché unica nella zona quando un ragazzino parlava di cose così profonde, soprattutto associate agli infedeli. Solitamente veniva visto come stupido o addirittura pazzo. Il padre, invece, lo capiva. Forse a quell’età anche lui aveva avuto quei dubbi. Yanis raccontò delle sue difficoltà a parlare con i turisti e dell’inutilità di fondo di questo gesto. Il padre stette in silenzio, un silenzio di approvazione perché il suo ragazzo stava crescendo grazie a ragionamenti sempre più complessi e completi.
Yanis concluse dicendo che avrebbe aspettato e che il tempo gli avrebbe di certo portato la soluzione o almeno il modo per risolvere i suoi dilemmi. Ahmed, a questo punto, espresse il suo pensiero. Sulla prima parte del discorso fatto dal figlio non proferì alcuna parola, segno che concordava anche lui con quel pensiero. Sulle ultime parole dette dal figlio disse che il tempo è un’arma a doppio taglio, un giorno ti porterà ad avere un’intuizione che ti permetterà di togliere dalla mente quella spada che ogni giorno ti turba, ma che fino a quel giorno la spada di taglierà sempre più e vivrai quelle giornate triste, sottomesso a quelle ferite, cercando inutilmente un modo per toglierti dalla testa quel pensiero. In sostanza la soluzione andava trovata subito; o comunque in tempi brevi. L’ultima cosa che disse al figlio fu quella di affidarsi al mare e che le idee si curano con le idee, non con fatti o parole.
Per giorni quelle ultime parole risuonarono dentro Yanis. Dove voleva portarmi dicendo che le idee si curano con le idee? E poi cosa centra il mare in tutto ciò?
La primavera iniziava a mostrare i suoi primi segni: i primi fiori sugli alberi, le primi rondini e le prime giornate calde. Yanis era appena uscito da scuola e chiacchierando con i compagni attraverso la strada per prendere un’aranciata che lo dissetasse in quel caldo pomeriggio. La finì in qualche sorso, seduto all’ombra di un vecchio albero e si mise a roteate a terra la bottiglia, facendola girare con le mani. Luce. Nel cervello di Yanis una lampadina si accese: avrebbe scritto un messaggio e l’avrebbe chiuso in una bottiglia affidandolo al mare. Meditò per qualche giorno sul contenuto della lettera. Quando fu convinto del contenuto da scrivere raccontò la sua idea al padre. Ora aveva capito il significato di “curare le idee con le idee”. Non era necessario vedere dal vivo una cultura o parlare con qualcuno di essa per placare la sua sete di conoscenza. Sarebbe stato sufficiente mettere la sua idea in una bottiglia e lasciarla al mare, in modo tale che qualcuno la trovasse ed eventualmente gli rispondesse. Yanis sapeva che non avrebbe mai ricevuto la risposta ma a lui bastava inviare la domanda per essere tranquillo. Il padre sorrise, era contento che il figlio avesse capitò ciò che lui gli aveva consigliato di fare. Quando il messaggio fu scritto in modo definitivo Ahmed aiutò il figlio a sigillare in modo corretto la bottiglia cosicché non si aprisse durante il suo lungo viaggio verso l’Europa. Il foglio conteneva domande su Cristo, sul modo di vivere e sul pensiero degli europei. Le ultime domande si concentravano su come fossero percepiti i musulmani nel Vecchio Continente. Un paio di righe conclusive spiegavano il perché della lettera. In fondo al foglio, sulla destra c’era la firma di Yanis. Tutto era scritto in francese, così da renderlo più comprensibile a chi l’avrebbe trovato. Yanis affidò al padre il tutto, chiedendogli di gettarlo al largo durante la prossima notte di pesca.
C’era la luna piena, illuminava la distesa marittima altrimenti scura come carbone bruciato. Ahmed lanciò la bottiglia che fece un rumore profondo nell’acqua e creò tanti anelli concentrici di ondine. Pochi istanti dopo il buio aveva inghiottito la bottiglia: ora era in balia dell’antico mare, un tempo solcato da greci e romani.
Era estate a Cannes quando un ragazzo di circa quattordici anni, biondo e di carnagione molto bianca faceva il bagno al largo. Solo vedendolo in costume si poteva notare la sua appartenenza a un ceto sociale elevato: il costume era firmato e il suo portamento era fiero, aristocratico, il perfetto erede dei re francesi.
La sua visione del mondo era assai semplice: i ricchi dovevano arricchirsi sempre di più e questi ricchi dovevano essere rigorosamente europei o americani, perché più intelligenti secondo lui. Trovò la bottiglia di Yanis, ne scorse velocemente le righe, si mise a ridere, gettò in mare la bottiglia e la lettera, ovviamente separate, poi continuò a nuotare. Quel ragazzo in un gesto aveva commesso due imperdonabili errori:
gettato via mesi di pensiero e inquinato con l’inchiostro la cosa più preziosa, il mare. In quello stesso gesto era anche spiegata la mentalità di molti europei.
Yanis restò per tutta la vita a Chetaibi: non visitò mai quel mondo che avrebbe tanto desiderato conoscere, ma che l’avrebbe certamente deluso nel profondo. Non rinunciò mai, però, a porsi sempre nuovi interrogativi.
Luca Lazzarini
Una storia intensa profonda, scritta con passione.
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