Epitaphium
il silenzio s’imprime sulla terra
e tutto si schiaccia col suo peso
la sera va mi toglie un altro giorno
nel buio resta il tempo che non vivo
*
Asfissia
la notte sa di ferro e di saliva
stringe con la morsa un fello fiato
stritola l’atra pressa punitiva
la bocca spasma un nome non sfiatato
la trista ombra strangola ogni promessa
la vita si contorce e poi si arresta
(così morì la sua bella voce
lasciando il silenzio boia feroce)
*
Nos quoque floruimus, sed flos erat ille caducus
Mi dirigo sulle strade di marzo.
Corro finché resisto, l’ombra sfiora
l’asfalto frantumato dalle attese.
Resta muta la casa erta sul campo.
Chiedo alle margherite con le dita
inquiete. I petali gialli cadono
vorticando lungo i passi veloci,
i non deturpano il volto del cielo.
La primavera si schianta sul mondo:
fiato di terra che torna a salire.
Entra nel naso, si avventa sul petto,
il verde azzanna e lascia il suo vuoto.
Arrivo alla chiesa di pietre e sogni,
sento l’eco di un sì mai pronunciato.
Il fiore di un pesco cade appassito.
Il sole insiste, ma resta l’inverno.
*
Alba rossa, o vento o giozza
galleggia nel fuoco la laguna
sui marmi i ricordi si frantumano
la pelle trova sollievo al buio
continua a bruciare al sole
cerco quegli occhi nei visi mascherati
mentre il vuoto pulsa nelle vene
e l’abisso mi sorride voluttuoso
alla stazione corre uno zaino
sembra il suo quello bordeaux
è un lampo un battito
un breve varco nel tempo
un salto in un cerchio di fumo
inseguo tra la folla la mia follia
corro il fiato si spezza
la sagoma scatta subito via
e svanisce silenziosa tra i passi
riprendo il cammino
con il suo cuore in tasca
e i pensieri che annegano nel mare
coperti dalla tenue scia di una gondola
è stata luce attesa che freme
la grazia che vizia
la magia che mai sazia
ma poi alla sera mestizia e tristizia
ora è vento che tace
*
Alba
le labbra sfiorano il bordo
della tazza rossa bollente
il suo fiato caldo mi bacia
e gioca come una bimba
appannandomi gli occhiali
è il suo buondì
osservo assonnato
il vapore danzare lento
scorrere con garbo
sfaldarsi informe
tenue tremula bruma che vagando
imita la mente intorpidita
ed evoca l’eco
di un pensiero che non torna
forse perché devo destarmi
ma sento di voler dire
qualcosa che ho perso
è come un’ombra che indugia
con passo esitante sulla porta
rossa anche quella
fisso per un po’ un punto nel vuoto
il nescafé si sta raffreddando
il velo acqueo si dirada
assaporo gli ultimi sorsi
osservo l’immagine sul fondo
e la trovo indecifrabile
la luce si affaccia
bussando piano sui vetri
prima di stendersi sul tavolo
e illuminare
le briciole di ieri sera
il tempo si piega
ma il giorno
seppur senza fretta
senza scuse
s’incammina comunque
prima di me
Nota biografica
Jacopo Pignatiello si è laureato in Filologia Moderna presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, con una tesi in Letterature comparate. Attualmente insegna discipline storiche e letterarie nelle scuole superiori. Ha curato contributi di ricerca letteraria e storica pubblicati in periodici, atti di convegni e miscellanee. Alcuni suoi componimenti sono apparsi su delle riviste online e in delle antologie poetiche.