
(Di Yuleisy Cruz Lezcano)
Sin dai tempi più remoti, l’essere umano si è trovato di fronte alla necessità di distinguere: questo è tale, quello è tal’altro. Ha cercato di dare un nome alle cose, di separarle, di misurarle, di definirle nei loro tratti distintivi. E così ha costruito una realtà fatta di dualismi.
Secondo la logica del razionalismo occidentale, se due cose sono diverse, non possono essere la stessa cosa. La ragione non tollera che l’opposto sia anche l’identico. Ma altrove, nella sapienza orientale, si è tracciata una via diversa: quella che intuisce che le cose, pur apparendo distinte, sono in fondo espressione della stessa unità insondabile. Il “tale” e il “tal’altro” sono solo manifestazioni superficiali di un’unica realtà profonda. Differiscononelle forme, ma non nella sostanza. E a quell’unità, prima o poi, tutto ritorna.
Eranos (1) — la corrente culturale e spirituale che ha riunito pensatori come Carl Gustav Jung, Henry Corbin, Mircea Eliade — non si schiera né da una parte né dall’altra. Non afferma una verità assoluta e non nega l’altra. Eranos cerca di comprendere entrambe le visioni del mondo, creando uno spazio in cui l’opposizione diventa relazione, e la differenza, dialogo.
Propone un Immaginario Simbolico che si muove tra il conscio e l’inconscio, tra l’intelletto e l’intuizione, tra il visibile e l’invisibile. È attraverso il simbolo che questa alleanza può avvenire. Il simbolo è ponte, è relazione vivente tra gli opposti. E il linguaggio che lo esprime è quello dell’arte, della musica, della mitologia. Non è un linguaggio dogmatico, ma un linguaggio mitico, relazionale, che scrive la realtà dentro un contesto significativo. Il senso della vita sta nella relazione, nella partecipazione, nella comunione. Questo è il cuore del pensiero di Eranos.
Tuttavia, oggi viviamo un’epoca di frattura profonda. Le relazioni umane, soprattutto quelle tradizionali e le dinamiche tra donne, sono attraversate da una crisi che non è solo sociale o affettiva, ma simbolica, archetipica. Si è perso il senso del “mettere in relazione”. Il gesto del mediare — quella sapienza antica del fare da ponte tra differenze, tra corpo e anima, tra spirito e materia — si sta dissolvendo. E con esso, la rete simbolica che dava senso all’esperienza umana si disgrega. Il pensiero dell’Unus Mundus, centrale nella visione junghiana, rappresenta un invito a ricostruire l’unità perduta. Un mondo unificato, in cui l’anima e il corpo, il maschile e il femminile, il pensiero e l’emozione, non siano in opposizione, ma in tensione creativa. Ma la cultura contemporanea sembra invece precipitata in un dualismo sterile, dominato da una visione patriarcale e mascolina fatta di controllo, gerarchia, dominio.
In questa frattura, il femminile — inteso non solo come identità biologica ma come principio archetipico — è stato marginalizzato, rimosso, persino dalle donne stesse. Il patriarcato non è più soltanto un sistema esterno: è diventato un habitus mentale, un codice interiorizzato. Oggi molte donne, nel raggiungere ruoli di potere, finiscono col riprodurre modelli maschili, dimenticando la fatica del corpo, la ciclicità del sentire, la potenza della maternità psichica, la responsabilità di tenere uno spazio per le altre donne.
L’archetipo della Magna Mater, figura ancestrale del femminile generativo, guida di civiltà e custode dei ritmi della vita, è oggi silenziato. Ma non dagli uomini: è dimenticato in primis dalle donne, che, nella competizione reciproca, si escludono dalla propria sorgente archetipica. La cultura attuale esalta modelli di potere neutri o androgini, che in realtà portano a una virilizzazione delle donne, non all’integrazione del femminile. Questo squilibrio genera una società che non sa più riconoscere il valore del femminile nella maturazione maschile.
L’uomo non può completarsi senza l’incontro con la propria Anima, con il femminile interno e con donne reali capaci di incarnare qualità relazionali, ricettive, accoglienti. Ma queste qualità, oggi, vengono svalutate o associate alla debolezza.
Da qui emerge la necessità di una ermeneutica simbolica, come quella proposta da Eranos: una lettura della realtà che vada oltre la superficie e penetri nei livelli più profondi della psiche collettiva. Le crisi relazionali, le guerre tra i sessi, la frammentazione della coscienza non sono che sintomi di una scissione radicale: quella tra i poli dell’esistenza. Maschile e femminile, spirito e corpo, logos ed eros, non comunicano più. Eppure, senza il principio maternale, non c’è rigenerazione. Non solo maternità biologica, ma cura, accoglienza, presenza relazionale, tempo dato all’altro. Il femminile è ciò che unisce, che tiene insieme, che guarisce la ferita della separazione. Ma per restaurarlo serve un lavoro profondo: simbolico, interiore, politico.
Occorre restituire dignità alla cura, valore alla vulnerabilità, rispetto all’altro. Rompere la fascinazione per il potere come dominio e riscoprirlo come servizio, custodia, responsabilità.
Solo così potremo iniziare a risanare la frattura dell’umano, a ricostruire i ponti tra i poli dell’esistenza, e a ritrovare, come ci insegna Eranos, quel Unus Mundus in cui tutto è connesso e nulla è privo di senso.
1)In greco antico, “Eranos” (ἔρανος) significa “banchetto” o “convivio”, un evento nel quale i commensali contribuiscono liberamente portando cibo, bevande o denaro. Questo termine ha anche un significato più ampio, riferendosi a un luogo di incontro e scambio culturale. Il termine è stato adottato per definire il luogo di incontro e scambio culturale di Eranos fondato ad Ascona nel 1933, che si poneva come un punto di incontro tra Oriente e Occidente. Eranos indica anche il movimento intellettuale e culturale sviluppatosi a Basilea, in Svizzera, attorno alla figura di Otto Gross e successivamente di altri studiosi, tra cui Carl Jung. La corrente di pensiero Eranos è caratterizzata dall’esplorazione dei temi archetipali, dell’individuo e dei mondi interiori dell’uomo, attraverso l’uso di diverse metodologie scientifiche.