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LIMINA MUNDI

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LIMINA MUNDI

Archivi tag: Antonella Anedda

Le geografie umane di Antonella Anedda

08 giovedì Apr 2021

Posted by Deborah Mega in LETTERATURA, Segnalazioni ed eventi

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Tag

Antonella Anedda, Fabio Prestifilippo, Geografie

A quasi tre anni dall’uscita di Historiae, Antonella Anedda torna nelle librerie italiane con Geografie edito per i tipi di Garzanti: “In questo suo nuovo libro, dove la lingua poetica è magistralmente cucita nella stoffa della prosa, Anedda parla di luoghi, dalla foresta pietrificata di Lesbos al monte Toc, di isole e di mari, usuali e allo stesso tempo straordinari. Ma sullo sfondo di Geografie, dietro i luoghi che evoca, c’è la riflessione sul significato profondo dei mutamenti, siano questi biologici o geologici, politici o climatici.”. Un libro che propone, non solo a livello stilistico, ma anche nell’approccio a ciò che può contenere la scrittura, un punto importante della riflessione trentennale della poetessa. Se Historiae, come afferma Guido Monti dalle pagine di Doppio Zero: “è anche cronistoria, resoconto, narrazione dei fatti più strettamente intimi che nel loro ricomporsi in parola poetica assumono però un significato tutto da decifrare; difatti quegli accadimenti non sono sepolti dal tempo e nel tempo ma attraverso i versi s’increspano di vita come onde sempre in movimento”, in Geografie la Anedda estende la parola poetica – pur mantenendo i sopraffini filtraggi di parola  – fino a trasformala in brano. Questa “scelta formale” ha una sua ragione d’essere, in prima istanza nella natura stessa della scrittura letteraria, nella fattispecie perché Antonella Anedda ci propone altro rispetto alla gioia del racconto. Non ci sono punti d’approdo in questo che sembra un viaggio nello splendore e nella miseria della terra e di chi la osserva, la divaricazione dello sguardo tocca anche la formalità di come lo si riproduce: sembra che la poesia non basti, sembra che la parola non abbia fine.

Cominciamo da Huan, La Dispersione o la Dissoluzione, che nell’I-Ching corrisponde all’esagramma numero 59, formato dai trigrammi del vento sull’acqua: “Il vento soffia sopra l’acqua che, la sparge e la dissolve in schiuma e spruzzi. Quando l’energia vitale di un uomo è bloccata al suo interno (in questo viene indicato un pericolo dall’attributo del trigramma inferiore), sarà nuovamente dispersa e dissolta dalla dolcezza.”. Partiamo dal segno Huan poiché è fra i luoghi per eccellenza nell’immaginario che la poetessa propone al lettore di Geografie. La dissipazione da una pienezza che ingombra sembra essere la condanna ad un eterno ritorno, tuttavia Antonella Anedda ci indicache l’ingolfarsi della concettualizzazione occidentale è un processo che può trovare un suo apice e un suo dissolvimento. Il senso della pienezza quindi non si definisce nell’accezione negativa di uno straripamento del pensiero che implode in se stesso, non è un sintomo dal quale liberarsi attraverso una sanificazione analitica semmai un processo che deve svolgersi per potersi concludere: “L’acqua non può scorrere dal monte se è impedita dalle pietre: deve raccogliersi e fermarsi fino ad aumentare e straripare. […] Come questo avvenga non è chiaro, ma ognuno di noi sa cosa significhi impedimento, conosce il groppo anche non visibile che blocca le nostre azioni e che interrompe i pensieri”. Il concetto è amico della moderazione, ma la misura del concetto si riempie facilmente ponendoci ad una distanza dalle cose, che disumanizza.

Molto di quanto abbiamo detto si produce nella metafora della cartina geografica: “Il lato incoraggiante del viaggiare e che puoi voltare la solitudine in direzioni diverse puntandola sui luoghi. Una carta geografica ha i confini che non hanno muri, con i fiumi tranquilli, i monti di gesso, il mare teso. Non ci sono i vivi, non ci sono i morti. Nessuna storia, nessun taglio del tempo. Peccato per le luci. Pazienza per il grumo di lecci, per il cambiamento delle stagioni, le ortiche, lo sciame degli insetti, i falchi, i gridi dei pavoni, ma è una liberazione immaginare di essere le sagome dei piloti sulle carte nautiche.” Il disegno della terra (la geografia nel suo senso letterale) allora diventa il primo luogo dove si alza il vento dello Huan, dove il concetto di spazio può “attrezzarsi” per esperire il mondo: “Sulla mappa non ci sono guardiani, né truppe, né numeri. Puoi attraversare i suoi confini. Nessuna pozzanghera, niente catrame. Annusa pure una mappa, non ha odore, è di carta come una banconota. Le carte geografiche danno pace come gli scheletri nel deserto.”. E poi ogni viaggio che: “[…] contiene una specie di diario di solo anni dopo e a distanza riusciamo a leggere qualche pagina. Solo ora capisco che una serie di forze da me non previste si erano unite fra loro per a) darmi piacere b) liberarmi dal terrore di salire su un aereo.”.

Dentro e fuori il pensiero, dentro e fuori creando un cortocircuito che porta, in alcuni momenti della lettura ad una vera divaricazione della percezione, alla perdita del punto di vista, al non sapere realmente di chi sia la voce narrante; se essa è narrata o narra. Sebbene ci troviamo alla prese con brevi prose Antonella Anedda non dimentica la possibilità straniante della poesia. Per questo non accade mai durante la lettura di Geografie di essere colti dalla spiacevole sensazione di avere a che fare con un testo di suggerimenti esistenziali; il corpo filtrante che genera questa scrittura peculiare ha in sé una doppia salvezza; ci preserva da una retorica inaccettabile e rende l’autore esente dall’essere un riferimento: “A volte le linee della mente si aprono senza sforzo, lasciano entrare quello che c’è: una particolare roccia, il modo in cui una macchina si ferma sul ciglio della strada, il timbro di un verde opaco di una quercia. Qualcosa in te si assottiglia e iniziano i giorni di guarigione”; “Non è vero che se ti se non ti muovi si sposta, se provi davvero vedrai che rimane e rimanendo si approfondisce, si scava un suo luogo, entra e modifica il tessuto cerebrale, il dolore non è mai da te diviso, sei tu e non puoi farci niente. Nel brano Presente esteso la Anedda ci svela la sua disillusione rispetto alla possibilità d’essere liberi dalla presenza mentale, ipotesi nemmeno caldamente auspicata dall’autrice che, come si ipotizzava qualche riga fa crede piuttosto al potere taumaturgico della dissoluzione: “Inutile negarlo, esiste la presenza mentale: te a te presente in un groviglio, lungo i rami che vanno in avanti e toccano altri rami, foglie secche, foglie vive”

La Geografia è il “luogo” primario su cui far aderire il nostro desiderio. La sua essenziale e secca ripartizione del mondo è come una misura vuota che ci invita a scoprire la complessità di ciò che si conclude tra le linee. Se è vero come affermò un noto psicoanalista francese, che il soggetto è per natura frammentato, come lo sono i trucioli dispersi sul tavolo del fabbro, allora la calamita che aggrega e rende compatta la dispersione è la forza del desiderio. In questa accezione possiamo immaginare la cartina geografica come il piano su cui si poggia il nostro desiderio ed il viaggio la risposta alla sua chiamata.  Antonella Anedda in Geografie, prima di ogni altra cosa ha intrapreso un viaggio nel concetto, amando il concetto, ed è stata nel mondo esperibile, amando il mondo: “Una carta geografica ha i confini che hanno muri, con i fiumi tranquilli, i monti di gesso, il mare teso. Non ci sono i vivi, non ci sono i morti […] Chi scrive di un’isola senza conoscerla davvero venendo, metti, da un paese soffocato di tufo, non ha lo sguardo e di conseguenza il linguaggio per sapere che l’isola non è mai isolata, ma esposta, che il continente è la salvezza che la conterrà, le darà una capsula”.

Fabio Prestifilippo

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Parole di donna 11: ANTONELLA ANEDDA

03 lunedì Lug 2017

Posted by Deborah Mega in Appunti letterari, LETTERATURA, Parole di donna

≈ 1 Commento

Tag

Antonella Anedda, Deborah Mega, In una stessa terra

by Abbas Kiarostami

 

Se ho scritto è per pensiero

perché ero in pensiero per la vita

per gli esseri felici

stretti nell’ombra della sera

per la sera che di colpo crollava sulle nuche.

Scrivevo per la pietà del buio

per ogni creatura che indietreggia

con la schiena premuta a una ringhiera

per l’attesa marina – senza grido – infinita.

 

Scrivi, dico a me stessa

e scrivo io per avanzare più sola nell’enigma

perché gli occhi mi allarmano

e mio è il silenzio dei passi, mia la luce deserta

– da brughiera –

sulla terra del viale.

 

Scrivi perché nulla è difeso e la parola bosco

trema più fragile del bosco, senza rami né uccelli

perché solo il coraggio può scavare

in alto la pazienza

fino a togliere peso

al peso nero del prato.

 

Antonella Anedda, In una stessa terra, da  Notti di pace occidentale, Donzelli, Roma 1999

 

Nonostante la consapevolezza dei limiti del linguaggio, Antonella Anedda scrive perché è in pensiero per la vita, per coloro che sono felici ma su cui incombono la caducità e la precarietà mentre già arriva la sera di ciascuno. Semplicemente, quasi umilmente, la poetessa innalza la sua preghiera laica spiegando che scrive perché ha pietà del buio e di tutti coloro che indietreggiano di fronte ad una difficoltà, che sono con le spalle al muro, appoggiati ad una ringhiera. Si scrive per avanzare nell’enigma, per tentare di comprendere il perché delle cose e degli eventi, perché niente e nessuno è difeso e protetto e anche le parole sono più fragili delle cose stesse, come la parola bosco quando è priva di uccelli e di rami. Solo il coraggio e la pazienza possono sostenerci. Continua a leggere →

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