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Archivi tag: Eliodoro

“Eliodoro”, i “Quadri di un’esposizione” di Mario Fresa

26 lunedì Giu 2023

Posted by Deborah Mega in LETTERATURA, Recensioni, Segnalazioni ed eventi

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Deborah Mega, Eliodoro, Mario Fresa

 

Sconvolge, spiazza, incuriosisce, diverte, questo Eliodoro, originalissimo romanzo di Mario Fresa, appena pubblicato negli Specchi Mercuriali di Fallone Editore. Fin dalla prima lettura, con il suo susseguirsi di immagini sempre diverse e variegate, con il fantasmagorico avvicendarsi di figure, colori, suoni, ricorda la celebre suite di Musorgskij, in cui i brani sono ispirati a quadri e al movimento dell’osservatore che si sposta da una tela all’altra. È un libro caleidoscopico, da leggere con distacco e meraviglia in cui la complessità del reale è trattata attraverso una fitta serie di libere associazioni. Non si è ancora conclusa una rappresentazione, un percorso, la caratterizzazione di un personaggio, che già si introduce un’altra suggestione iconografica che soddisfa archetipi come il mondo dell’infanzia, della fiaba, il grottesco e il macabro. Come nei Quadri, il tema dominante è ricco di variazioni ed elaborazioni continue e funge da elemento di coesione in una rappresentazione basata sul contrasto di personaggi e azioni eppure tutt’altro che episodica. Ma procediamo con ordine. Partiamo dal dire ciò che Eliodoro non è. Non è un romanzo consueto o prevedibile, una delle innumerevoli narrazioni che costellano il panorama editoriale degli ultimi anni. Devo ammettere che conoscendo la scrittura e la cifra stilistica di Fresa in poesia, un po’ me l’aspettavo. Sapevo che il suo Eliodoro non sarebbe stato un romanzo prevedibile. Eliodoro è “un romanzo-gioco” di pannelli e di schegge movibili che possono essere letti in successione o in modo più rapsodico […]”. L’autore fornisce perfino note e indicazioni utili per la lettura, una sorta di bugiardino per il paziente-lettore, affinché ne “assuma” la lettura rispettando la corretta posologia o anche la tolleri “pazientemente”. Si tratta di una composizione stravagante in cui è evidente l’eterogeneità della narrazione ma in cui è comunque ravvisabile la dipendenza dai canoni tradizionali come emerge dalla citazione conclusiva, tratta dal congedo della canzone 146 del Rerum vulgarium fragmenta di Petrarca, una delle liriche più note della poesia italiana delle origini ma anche da citazioni riconoscibilissime come le dannunziane coccole aulenti e tante altre a cui il lettore si aggrappa alla ricerca disperata di una trama a cui appigliarsi ma che non esiste, nel senso classico del termine, mentre le riflessioni multiple e parallele costruiscono immagini che mutano in modo variabile e imprevedibile a ogni movimento. Non è un libro da leggere tutto d’un fiato, dicevo, non a caso, tra i suggerimenti del bugiardino, Fresa invita ad utilizzare un segnalibro perché il lettore potrebbe sentire la necessità di rileggere le pagine più di una volta. E questo è vero: la rilettura apre orizzonti di senso. L’incipit colloca il lettore in un’atmosfera rarefatta e sospesa in cui è evidente la compartecipazione ironica e a volte amara dell’autore per il proprio protagonista e per le sue disavventure. Il cavaliere Magonza ricorda il Don Chisciotte di Cervantes, in entrambe le figure, le meravigliose utopie della letteratura si scontrano con la durezza della vita. Lo studioso russo Michail Bachtin ha evidenziato le principali novità del romanzo moderno a cui è possibile ricondurre anche l’opera di Fresa, la dinamica temporale appartiene alla categoria della contemporaneità, tempo non concluso, in continuo divenire, propone il racconto di un’esperienza individuale, ha un’impostazione soggettiva che tende ad approfondire la psicologia dei personaggi descritti. Bachtin definisce il romanzo un genere dialogico perché accoglie diverse visioni del mondo, quella dei vari personaggi e dello stesso autore. Questo comporta precise conseguenze sul piano stilistico: il romanzo si caratterizza per il plurilinguismo, è una forma aperta che si serve delle proprietà demistificanti del riso, strumento di rovesciamento degli stilemi e dei valori ideologici offerti dalla tradizione. Nel caso di Eliodoro il romanzo è psicologico, polifonico, corale, in esso vi interagiscono tante coscienze indipendenti, portatrici ciascuna di una propria visione del mondo, che interagiscono in un dialogo privo di esito finale. Nessuna, tra l’altro, prende il sopravvento o rivela, in nessun caso, la posizione dell’autore. In Eliodoro il deragliamento del lessico e della sintassi tradizionale è assicurato, Fresa indulge nella inconsueta tendenza ad associare due nomi e ad invertire la posizione di nomi e aggettivi, ecco dunque che la madre di Magonza è una grossa donna-dattero, Eliodoro e Luisa si scambiano un bacio nell’auto-pianoforte (un Bösendorfer più che uno Steinway), si badi bene, oltre a espressioni come le rosse mosche, la piccina suocera mosca, gli amici, un po’ acufeni, un po’ vermi, gli insetti giornalisti, un sapiente cane, i muti parroci, le diaboliche spade, i pazienti familiari, il cane cappellano, i mostri bambini, l’ospite ragazza, i topi-cittadini. Lo stesso terapeuta di Eliodoro è un ambiguo angelo misto: un po’ buono un po’ dottore, che prima di diventare terapeuta era stato un “Elefante ragazzo”. Tutto ricorda Eliodoro sotto ipnosi e denuncia nel suo flusso di coscienza nel quale si fondono realtà e immaginazione, coscienza e inconscio, eliminata ogni barriera tra la percezione reale delle cose e la rielaborazione mentale. Il mago Eliodoro diventerà insensibile fino a divorare i suoi figli (Crono?), ricorda la prima supplenza di sua madre, i sorrisi-temporale dei padroni risentiti, le mosche segretarie, il bidello-guardiano, il taverniere mostro, il vento figliolo e poi le sue donne amate, sognate o evocate (Luisa, Clara, Ester, Vanitosa). Oltre a riferimenti frequenti a dipinti della Storia dell’Arte, il lessico è spesso specialistico della musica, il gatto dal passo mahleriano, l’operistica sprezzatura, la mezzavoce di Giovanna, il Loggione, il liuto barocco, il giro di Suite, la cui struttura è proprio menzionata (allemanda, corrente, sarabanda, giga), gli acuti virtuosismi, i Lieder, le acciaccature, ma anche specifico della scuola con i suoi permessi retribuiti, le ratifiche finali, l’Aula Magna, il tema argomentativo, le competenze, il registro, la circolare ministeriale, il disturbo oppositivo, le note disciplinari. Oltre a memorie scolastiche e ad aneddoti attinti alla carriera scolastica dell’autore da discente prima e da docente in seguito, si aggiungono pagine tratte da una sorta di diario pediatrico, con annotazioni relative all’accrescimento, alla deambulazione, al linguaggio di Luisa. È un labirinto letterario in cui Fresa ci introduce, fingendo crudelmente di fornirci delle chiavi di lettura che facilitino la comprensione e l’orientamento (informazioni, note, bugiardino, riferimenti, indicazioni), mentre in realtà ci lascia sprovvisti di una via d’uscita. Per non parlare di tutti quei costrutti lessicali come guardanti respiranti, sterminare sterminerà, conservare, conserverà, votare votano che ricordano anche il linguaggio tipico delle fiabe. I personaggi, raccontati con bonaria ironia da Fresa, fanno sorridere e allo stesso tempo riflettere, sono emblematici ma rispecchiano la varietà del mondo, un’umanità multiforme che si dilata attraverso il racconto. La capacità affabulatoria di Fresa è implacabile, incalzante, stordisce tanto è inverosimile e surreale la rappresentazione degli eventi che l’autore sottomette alla sua volontà, al gioco di specchi, al citazionismo enciclopedico di titoli, di incipit, di formule letterarie celebri. Allo stesso tempo avviene il recupero di strategie narrative come la falsa enunciazione, la destrutturazione logica e temporale, il suggerimento su come leggere un’espressione (neanche ci si trovasse a teatro e si dovessero seguire le indicazioni di un Fresa regista). In fin dei conti, le riflessioni di Eliodoro sulla malattia, sulla vita e sulla morte sono universali e condivise, Le malattie sono i nostri amori più duraturi: sono da custodire dentro di noi, come il fiabesco ricordo del primo rapporto completo…Perché si è schiavi dei morti?…Perché ogni fine è a portata di mano, proprio così, con assoluta naturalezza, senza che tu lo sappia… Ecco dunque che la polifonia di Eliodoro, dietro l’apparente divertissement, esprime il comune senso di precarietà e di provvisorietà delle certezze, il desiderio di un volo senza volo, di una sparizione senza tanto clamore, nonché la negazione di ogni prospettiva fissa e totalizzante.

Deborah Mega

Mario Fresa, Eliodoro, Fallone editore, ‘Gli Specchi Mercuriali’, 2022, pp. 160, euro 22.

 

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“Un fecondo gioco” – Marco Furia legge “Eliodoro” di Mario Fresa

22 mercoledì Feb 2023

Posted by Loredana Semantica in LETTERATURA, Recensioni

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Eliodoro, Marco Furia, Mario Fresa

Come un gioco verbale sospeso sul suo medesimo linguaggio, “Eliodoro”, romanzo di Mario Fresa, si presenta al lettore quale specchio capace di riflettere non una singola immagine ma una precisa, grottesca, serie di frammentate sequenze.
Del resto, l’autore, nel capitoletto d’appendice “a. Che cos’è Eliodoro. Caratteristiche e posologia”, tiene a dire:

“Eliodoro è un romanzo-gioco di pannelli e di schegge mobili che possono essere letti in successione o in modo più rapsodico, per esempio aiutandosi con l’aiuto di un dado e di una seconda voce femminile o maschile […]”.

Schegge e pannelli, dunque?
A prima vista sì, tuttavia …
Tuttavia, pagina dopo pagina, ci si accorge di come una ben poco lineare trama non si limiti a far emergere personaggi e circostanze, ma, nel farsi acrobatica parola, suggerisca una sua originale visione del mondo.
Non mi riferisco a una sorta di senso della storia che lo stesso Fresa propone, per esempio, indicando i titoli dei singoli capitoli, né ai più o meno ampi funambolici tratti, penso piuttosto a un dinamico quid che sembra superare-costituire il concetto di racconto.
Si tratta, a mio avviso, di un desiderio di vicenda che non s’intende ignorare, di un originale persistere quale espressivo narrante nel suo nemmeno troppo mascherato confessarsi: il Nostro non entra nel romanzo nelle usuali maniere perché è ben cosciente di farne parte, in ogni modo.
Affermazione banale, si dirà: chiunque si esprime per via di scrittura è presente nella scrittura stessa.
Qui, però, qualcosa di diverso si aggiunge, qualcosa in grado di chiamare contemporaneamente dentro e fuori.
Togliere il nome dell’autore dalla copertina o, al contrario, renderlo incancellabile?
Ambedue le cose.
Atteggiamento dalla valenza assai creativa proposto, almeno in apparenza, con noncurante naturalezza: atteggiamento nel cui àmbito il lettore si viene a trovare come per caso, passando da un brano all’altro, da una visione all’altra.
Simile a una roulette che sembra non fermarsi mai, questa scrittura non si preoccupa né di arrestarsi né di proseguire: il suo è moto perpetuo, ma è pure continua fine
d’isolati attimi-tratti, di singole particelle di spazio-tempo-parola.
Si legge, ad esempio, a pagina 71

“E poi, sorpresa amara, soltanto per fregare il destino, Ruggeri che sta per fare, in un momento, il salto salutare vede tutto con un certo anticipo allarmato: vede vicino a quello sbarco, con l’aiuto gentile del principe alato, mosca-radente, comparso sul labbro della tazzina lasciata lì […]”

e a pagina 105

“Il maestro Denise è in bilico solenne, adesso, col suo equilibrio in pezzi, con quel suo piangere ridere, con quel suo tipico urto di potenza, insomma; come un bimbo che non dorme ma che s’incanta mentre sente la TV-giovinezza […]”.

Come si vede, lo sguardo dell’autore nel suo essere acuto, attento al particolare, partecipa d’un non consolante senso del favolistico che porta lontano pur essendo vicino, proprio lì, negli accostamenti di un probabile che evoca realtà anche quotidiane.
Davvero, ci si trova di fronte a uno specchio verbale preciso nel suo rendere evidenti vividi tratteggi di un non racconto che, tuttavia, è anche racconto: mettere in discussione certi nostri schemi significa promuovere feconde riflessioni sugli schemi medesimi e, alla fine, su noi stessi?

                                                                                               Marco Furia

Mario Fresa, “Eliodoro”, Fallone Editore, 2022, pp. 150, euro 22,00

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Dirottare l’esistenza: “Eliodoro” di Mario Fresa

12 lunedì Dic 2022

Posted by Deborah Mega in LETTERATURA, Recensioni, Segnalazioni ed eventi

≈ 2 commenti

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Eliodoro, Mario Fresa, Rosa Pierno

 

*

Nel romanzo di Mario Fresa Eliodoro (Fallone editore, 2022) la letterarietà è certamente il soggetto-principe, mentre realtà e sogno si palesano come materiali indistinguibili: “certe mosche dalle cinque ali, violente come nei sogni”. È un testo metaletterario in cui il teatro inscena le proprie tecniche rappresentative, i personaggi stanno per gli autori o viceversa, con il coro che interviene, attante fra gli altri; insomma è una letteratura di secondo grado, come dichiarava Genette (in Palinsesti), vale a dire che mette in relazione, segreta o manifesta, un testo con altri testi. Ma è anche un romanzo acustico-visivo, in cui la parola dispiega il proprio desiderio di ingaggiare, con le arti visive e musicali, una gara. Viene in mente il paradosso di Zenone, quello della corsa tra Apollo e la tartaruga, dove il più veloce non raggiunge mai il più lento. Ce lo conferma Mario Fresa stesso, quando scrive “è un susseguirsi di immagini non più sovrapponibili, ciascuna delle quali non è mai identica a ciò che la precede”. Nel testo sui testi tutto si trasforma, non è più simile, ha subito trasformazioni irreversibili, una delle quali è la non ricomponibilità, la misurabilità smarrita. Certamente la coscienza, che dovrebbe reggere le briglie dell’unità, sembra frantumarsi e frammentarsi all’infinito. Quando la coscienza non compie più il suo dovere, le immagini, difatti, si moltiplicano, non vengono scelte in base alla necessità, soprattutto quelle relative a una logica della sussistenza biologica, ma si moltiplicano, quasi ad offrire un florilegio delle possibilità.

*

Ritornando alla parola, essa mostra un’invidia nei confronti delle arti plastiche e musicali. Nel senso che la parola, dall’alto della sua astrazione, le tenta tutte per superare, non la mimesi, giacché di mimesi mai vi è traccia nelle arti, ma appunto ciò che deriva dai sensi. Sarebbe mai la parola, già solo per questo, capace di tenere fermo il toro per le corna, di tenere a freno la sua stessa corsa? Intanto, la sintassi mostra un respiro corto; risente della velocità delle associazioni che vengono alla mente. Deve roteare, mitragliare in tutte le direzioni. Il lessico è accuratissimo, penso alle coppie di participi presenti (“guardanti respiranti”), agli aggettivi joyciani e longhiani profusi nel testo, ma soprattutto al linguaggio pirotecnico, capace non solo di tessere, fra le pagliuzze d’oro, alcune escrescenze dialettali, ma di tenere l’acceleratore premuto senza mai consentire che la tensione cada o si allenti! Se non che, per seguire, quanto più metamorficamente, le arti visive, accade che anch’essa si spacchetti in incongruenze: certi aggettivi sorprendenti rispetto al sostantivo che accompagnano denunciano la rincorsa delle parole ai riflessi, anziché alle sorgenti luminose; si disperde in rivoli fluenti di disgressioni locali. Esattamente come il progetto dell’opera pretende. Con la sua forza propulsiva e deragliante, che gli abbiamo visto sfoggiare nelle sue raccolte poetiche, Fresa fa risuonare la grancassa e rilucere il firmamento.  Il lettore non può lasciare nemmeno per un istante la guida al solo sguardo, staccare il cervello e scivolare sui declivi del consueto. La macchina di Fresa lo costringe a seguire con ansia il prossimo svincolo, il luogo ove si produce uno sviamento continuo: “è tempo di rinunciare a capire”. È tempo cioè di abbandonare la logica, di utilizzare gli strumenti della complessità, di abituarci a un nuovo paesaggio, a nuove figure (gli altri, “se li prendi a uno a uno sono gelati misti, mostruosi dorsi pieni di cecità, di fragore indescrivibile”).

*

La psicanalisi viene equiparata a un’indagine poliziesca che il paziente vuole depistare (e il pensiero corre subito ai testi di Dürrenmatt, dove sono l’ingiustizia e il sopruso a pretendere che sia impossibile annichilire l’indagine). Eliodoro, dallo psicoterapeuta, costruisce l’inconscio che gli aggrada. Ma ancora altri percorsi riflessivi si dipartono dalla frase “ogni malato ha un talento che non mostrerà mai a nessuno” poiché ci sovviene il ricordo della mostra La ricerca dell’identità di Gianfranco Bruno sulle capacità artistiche di soggetti etichettati come mentalmente disagiati o il lavoro ostinato di Nannetti sul muro dell’Ospedale psichiatrico di Volterra. Ciò esige che si estirpino certi paletti divisori all’interno della cultura, i quali sono utilizzati come paratie difensive poste dai benpensanti. Inoltre, l’indagine poliziesca è un genere letterario e i pensieri liberi della madre di Eliodoro ci riportano al discorso interiore della Molly di Joyce. Per quanto giriamo nel labirinto letterario, ci ritroviamo allo stesso punto. E dal linguaggio che non si esce: la realtà così come il sogno noi li restituiamo con la parola. Realtà e sogno sono allora cose già altre, già perdute: “o si parla o si ama” o anche “la vita non mentiva, ma era sempre una cosa dipinta”.

*

Frequentissimi anche i riferimenti non solo ai quadri della storia dell’arte, ma anche alla musica: il gatto che ha “il passo mahleriano”, l’”operistica spruzzatura”, “in un giro di Suite”, “e poi si mette ritto ritto come l’Eroica”, “andatura diavolesca tartiniana”. Certo, se il desiderio di descrivere la musica è ancora più difficile da raggiungere rispetto a quello di far parlare l’arte, nel testo di Fresa si assapora, non di meno, un rutilante, festosissimo ritmo. Sonorissimo. È un romanzo corale; si direbbe che ci siano tutti, da Clara e Schumann a von Eyck, e gli autori non citati esplicitamente vedono comunque i loro personaggi partecipare all’affresco tratteggiato da Mario Fresa, il quale avvisa che “cercheranno di nuovo di far tacere tutte le voci”. Ecco ciò contro cui si deve combattere. Disseppellirle, renderle attuali con la conoscenza, con lo studio, vuol dire fare largo a un pensiero critico, non omologato: “Lottiamo per trasformarci in un verbo finito” e, invece, dovremmo, per l’autore, restituire alla mente la sua potenza, non spaventarci delle sue risorse. Il sogno ridiventa il luogo del possibile, del rovesciamento. Si dovrà però anche comprendere che la storia è sempre la stessa. Che si è affetti dagli stessi vizi, che si hanno pensieri miseri sempre, che tutti compiono bastardate. Che invece, una posizione bisogna assumerla. La storia, presente nella mente dell’autore, diventa, nella sua totalità, attuale: Napoleone o Lenin sono contemporanei. Sono divenuti materiale esistenziale: Robespierre “schiva le pallonate della storia”: la sala della Pallacorda è produttore di metafore attinenti alla sovrapposizione di passato e presente. L’autore si assume la responsabilità di un resoconto da cui non ha alcun senso espungere qualcosa, ma che è da rivisitare e valutare! L’ironia di Fresa è attingibile ad ogni passo e vale come cartellino abbassato o alzato. Ci viene in mente La Divina Commedia per quella perlustrazione che vale come summa, costruzione di valori, mentre si esecrano gli ingiusti!

 

*

Oltre al mito, che funge da materiale costruttivo al pari delle percezioni e degli oggetti, dei personaggi romanzeschi (Malebolge, Ananke) o biblici (Ester), che sono materiali letterari, i quali appartengono alla nostra esistenza al modo dei materiali esistenziali, sono presenti anche materiali televisivi (previsioni meteorologiche, telegiornale), e poi il cinema, la poesia, le ballate, le canzonette. A ogni nome, da Cacciatore al Rinoceronte, sembra di assistere a un continuo scambio di identità. Ci sono ricordi, nella confessione che Eliodoro fornisce al suo psicoterapeuta, che sono parodie (si pensi alle pagine di Klossowski o di de Sade, di cui vengono restituiti protagonisti e vicende). Diversamente che nel gioco del Domino, i pezzi non cadono in maniera prevedibile, ma si aprono a raggiera, captando nuovi sviluppi testuali. E, d’altronde, non sono forse ascrivibile a ogni personaggio molteplici interpretazioni? Dunque, tutto è aperto. Che sarà mai il romanzo, se non lo sviluppo continuo e imprevedibile di casi, quelli sì, sempre prevedibili e finiti, della violenza sessuale, del predominio, del tradimento, dell’innocenza raggirata, delle speranze disilluse, così come naturalmente dei piaceri della carne e del gusto, della felicità, dell’allegria e dell’ingenuità infantile! Ma forse prevale la denuncia che ci fa riassaporare le pagine di Dickens, contro le sopraffazioni, gli appetiti sessuali, le aberrazioni comportamentali. Eliodoro è un testo che ingloba la morale come condizione necessaria per distinguere il bene dal male: ecco ciò su cui non si nutre mai un dubbio nel leggere il romanzo di Mario Fresa.

*

Tutti i materiali collaborano in egual grado alla tessitura dell’arazzo: il filo non si perde. L’associazione è sempre proficua, anzi, la fervida inventiva, la capacità associativa di Mario è strabiliante, oltre che sorprendente, e apre di fatto a nuovi percorsi di senso, di cui uno, particolarmente rorido, è il filone erotico. Nessun materiale letterario è fatto salvo dalla famelica ingordigia citazionista di Fresa. I capolavori che Eliodoro “rivede in mente ovunque” in ogni luogo divengono il nostro inconscio: risalgono, dirottando l’esistenza, il nostro presente. La logica è sopraffatta da codesta immissione continua di materiali testuali ed esistenziali, che passando al vaglio della scrittura, divengono effusiva lava. Non siamo, d’altra parte, lontani dalla Sicilia con Eliodoro, il mago di Catania, invero metamorfico, protagonista del romanzo, ma anche alter ego autoriale. Colpisce, nel romanzo di Mario Fresa, la resa stilistica omogenea capace di tenere testa alle enciclopedie musiliane, la composizione che vale non solo per il presente, ma che si trascina tutto il retaggio culturale messo a segno in tutti i campi dello scibile umano, scienza non esclusa! In questo senso, il romanzo ridiviene strumento efficacissimo che, al di là dell’annuncio sul suo stato di salute, rilancia la questione degli infiniti romanzi che mancano all’appello. Ma vale anche come verifica di ciò che sappiamo e di ciò che non abbiamo ancora imparato. Come se la storia, la narrazione cronologica degli eventi umani, non avanzasse, e per sempre si ritornasse alla favola dei bambini e dell’orco e fosse necessario un pensiero diverso per valutarne possibili origini e probabili esiti.

“La ragione cos’è? “A questa età si crede a tutto…”. “Giganti e fantasmi insieme”.

In un’età in cui sempre più prossima appare la dipartita, non è la ragione, quella ragione che separa e divide, che importa, quanto un accettare qualsiasi cosa, senza preclusione. L’esistenza di tutto e tutto insieme. Soprattutto in riferimento alla seguente questione da non deporre mai come fosse irrilevante: “Perché volere bene se può diventare qualcosa come niente, un breve incidente da cancellare dalla memoria dei più curiosi?”. Non sarà nemmeno una sperata faccenda di metempsicosi: in fondo tutti vivono nella mente degli altri. Certo, negli orti culturali, l’innesto è immediato e inevitabile. Si tratta di qualcosa che invita a non sterminare sensazioni e sentimenti in nome di una logica censurante, spesso scientifica. Se logica non può mancare, a maggior ragione debbono sedere a tavola sensazioni ed emozioni. Leggere Eliodoro è un atto terapeutico, come lo è ogni classico. Sgombra la mente, fa accedere all’intero, accoglie tutte le voci, non più sottoposte ad oblio, soprattutto quando sono una marca del male, consentendo di prendere posizione su una scacchiera finalmente sgombra da rimossi e cancellazioni, macerie di nessuna utilità per la storia.

                                                                                                Rosa Pierno

 

Mario Fresa, Eliodoro, Fallone editore, ‘Gli Specchi Mercuriali’, 2022, pp. 160, euro 22.

 

Mario Fresa

 

Mario Fresa (10 luglio 1973) ha collaborato e collabora a riviste italiane, francesi e internazionali come «Paragone», «il verri», «Nuovi Argomenti», «Caffè Michelangiolo», «Recours au Poème», «Nazione Indiana», «Smerilliana», «La Revue des Archers» e «Poesia». È presente in varie antologie pubblicate sia in Italia sia all’estero, tra le quali Nuovissima poesia italiana (Mondadori, 2004), Almanacco dello Specchio n. 8 (Mondadori, 2008), Veintidós poetas para un nuevo milenio (in «Zibaldone. Estudios italianos»; Università di Valencia, 2017). Ha pubblicato vari libri. In poesia e in prosa: Liaison (Plectica, 2002, Premio Giusti Opera Prima); Alluminio (2008; tradotto in Francia da Viviane Ciampi); Uno stupore quieto (Stampa2009, 2012; menzione speciale al Premio Internazionale di Letteratura Città di Como); Teoria della seduzione (Accademia di Belle Arti di Urbino, 2015); Svenimenti a distanza (Il Melangolo, 2018); Bestia divina (La scuola di Pitagora, 2020). Nel campo saggistico, ha tra l’altro curato l’edizione critica del poema Il Tempo, ovvero Dio e l’Uomo di Gabriele Rossetti (nella collana «I Classici» di Rocco Carabba, 2010) e la traduzione e il commento dell’Epistola De cura rei familiaris attribuita a Bernardo di Chiaravalle (Società Editrice Dante Alighieri, 2012). Ha curato, inoltre, il Dizionario critico della poesia italiana (Società Editrice Fiorentina, 2021). Fa parte del Comitato di redazione del semestrale «La clessidra» e della rivista internazionale «Gradiva» (Università di Stony Brook, New York). Una nuova raccolta poetica, Il mantello di Goya, uscirà nel 2023 a cura di Maurizio Cucchi.

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Il blog LIMINA MUNDI è stato fondato da Loredana Semantica e Deborah Mega il 21 marzo 2016. Limina mundi svolge un’opera di promozione e diffusione culturale, letteraria e artistica con spirito di liberalità. Con spirito altrettanto liberale è possibile contribuire alle spese di gestione con donazioni:
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