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LIMINA MUNDI

~ Per l'alto mare aperto

LIMINA MUNDI

Archivi tag: Stefano Benni

“Nastassia” di Stefano Benni

29 lunedì Set 2025

Posted by Deborah Mega in Appunti letterari, LETTERATURA, Racconti

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Il bar sotto il mare, Nastassia, Stefano Benni

immagine creata con OpenArt

“Nastassia” è un racconto di Stefano Benni, tratto da Il bar sotto il mare del 1987. L’opera comprende 24 storie; 23 di loro sono raccontate dai clienti, l’ultima dall’Ospite. All’inizio del libro c’è un disegno che rappresenta le sagome di tutti i personaggi indicati con i numeri, legenda che ci aiuta a orientarci meglio nella storia, segue una fotografia dei personaggi. Ogni racconto presenta la stessa struttura: prima Benni menziona il nome del narratore, seguito dal titolo della storia e poi da una citazione letteraria che riassume la morale contenuta nelle storie che seguono. Nel bar sottomarino Benni descrive ventitrè personaggi che si incontrano e raccontano storie di diverso genere: storie felici e tristi, gialli, horror, parodie di opere celebri. L’ospite è invitato a rimanere per ascoltare i narratori, in caso contrario non potrà mai uscire dal bar e tornare a casa. I narratori non hanno un nome, Benni gli dà un nome tratto dalle loro caratteristiche tipiche: il primo uomo col cappello, la bionda, il venditore di tappeti, il marinaio, il ragazzo col ciuffo, la sirena, ecc. La storia di Nastassia è raccontata dall’uomo invisibile. Si tratta di un racconto breve ma intenso e struggente. Gregorij Alexeij Alexandrevič è innamorato di Nastassia Nicolaevna e sta aspettando la risposta della ragazza alla sua dichiarazione d’amore. Per seguirlo a Pietroburgo lei dovrà lasciare la sua casa e la sua famiglia. Mentre lui si dirige verso il capanno del giardiniere, immerso nei suoi sentimenti di beatitudine e allo stesso tempo di angoscia, sono evocate le immagini delle tortore che tubano e di un fringuello che prende il volo. L’atmosfera è romantica e nostalgica, i due si incontrano, la ragazza accetta la proposta di Gregorij. Sembra che per una volta l’amore stia trionfando ma il colpo di scena finale ribalta completamente le aspettative e invita a riflettere sull’imprevedibilità della vita.

IL RACCONTO DELL’UOMO INVISIBILE

NASTASSIA

«L’unica passione della mia vita è stata la paura.»

(Thomas Hobbes)

Gregorij Alexeij Alexandrevič percorreva col cuore in tumulto il viale di betulle che portava al capanno del giardiniere. Su tutto aleggiava una luce dorata, intensa e gradevole che penetrava persino nell’ombra. Le tortore tubavano senza sosta, un fringuello spiccó il volo da un ramo di lillà verso una nuvola rosa, opalescente come la lampada che Gregorij aveva visto la sera prima sul tavolo di Nastassia Nicolaevna. Nastassia! Al solo rievocarne il nome il cuore appassionato di Gregorij precipitava in un abisso ove beatitudine e angoscia erano avvinte, senza che una potesse lasciare l’altra, nella fatale estasi della caduta. Nastassia! Gli sembrava di udire quel nome nello sciabordio del fiume, nel respiro di ventaglio delle chiome dei tigli, nel canto appassionato del cuculo. Nastassia, egli ripeté a bassa voce, trattenendo sulle labbra ogni sillaba di quel nome, degustandola come l’elisir che avrebbe potuto dare la vita, o toglierla. Nastassia! Cuore mio, non fuggirmi dal petto! Il capanno del giardiniere era coperto da un manto di edera rossa che riluceva nel tramonto con sfumature di fiamma e rubino. Mojka, la cavallina di Nastassia brucava pigramente, ancora sudata per la corsa. Lei dunque c’era! Era venuta! Cuore, un attimo ancora, intimò Gregorij Alexandrevič, avvicinandosi al capanno. La mano del giovane aprì lentamente la porta, che cigolò con discrezione, quasi a dimostrare che anch’essa conosceva la segretezza di quell’incontro. Nastassia Nicolaevna sedeva su un ceppo di ciliegio. La veste bianca brillava nella semioscurità come un esotico fiore misterioso, e i piedini ondeggiavano come due uccellini nervosi. Nastassia sorrise al giovane e con un gesto irresistibile, scostò dalla bianchissima fronte una ciocca dei capelli ricci. Gli occhi celesti brillarono di una luce seducente. Dio, com’era bella! Pensò Gregorij Alexandrevič, avvicinandosi, e ammirandone, come se fosse la prima volta, il delicato ovale. il disegno sensuale della bocca, la quieta pienezza delle spalle candide. E quei piedini inquieti, quelle caviglie da angioletto d’alabastro! O cuore mio!

– Volete dunque la mia risposta? – disse Nastassia abbassando gli occhi.

Cuore, resisti, pensò Gregorij Alexandrevič, nell’udire quella voce, quella voce che sapeva leggere i più delicati versi di Puškin come domare gli scarti dei cavalli e le bizze della servitù.

– Ebbene la mia risposta… – disse Nastassia. E tacque a lungo.

Cuore, resisti! Quanta grazia e pudore, pensò Gregorij, in questa donna che non vuole forse ferirmi con un rifiuto, o forse ha un ultimo momento di naturale timidezza nel pronunciare le parole che la porteranno lontano dal luogo ove è nata, dal luogo che ha illuminato con la sua incomparabile bellezza.

– La mia risposta è sì – disse Nastassia tutto d’un fiato -Gregorij Alexandrevič, verrò con voi a Pietroburgo e sarò vostra moglie.

– Nastassia! Nastassia! – sospirò Gregorij Alexandrević e non aggiunse altro. Stramazzò tra l’edera crepitante e il soffice muschio, fece appena in tempo a vedere i piedini di Nastassia che si avvicinavano allarmati, poi più nulla. Il cuore appassionato di Gregorij Alexandrevič non aveva resistito.

 

Stefano BENNI, «Nastassia», in Il bar sotto il mare, Universale Economica Feltrinelli, Milano, 2016, pp. 75-77.

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“Il marziano innamorato” di Stefano Benni

17 lunedì Giu 2024

Posted by Deborah Mega in Appunti letterari, LETTERATURA, Racconti

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Il marziano innamorato, racconto umoristico, Stefano Benni

 

“Il marziano innamorato” è un racconto umoristico di Stefano Benni, tratto da Il bar sotto il mare del 1987. L’opera comprende 24 storie; 23 di loro sono raccontate dai clienti, l’ultima dall’Ospite. All’inizio del libro c’è un disegno che rappresenta le sagome di tutti i personaggi indicati con i numeri, legenda che ci aiuta a orientarci meglio nella storia, segue una fotografia dei personaggi. Ogni racconto presenta la stessa struttura: prima Benni menziona il nome del narratore, seguito dal titolo della storia e poi da una citazione letteraria che  riassume la morale contenuta nelle storie che seguono. Nel bar sottomarino Benni descrive ventitrè personaggi che si incontrano e raccontano storie di diverso genere: storie felici e tristi, gialli, horror, parodie di opere celebri. L’ospite è invitato a rimanere per ascoltare i narratori, in caso contrario non potrà mai uscire dal bar e tornare a casa. I narratori non hanno un nome, Benni gli dà un nome tratto dalle loro caratteristiche tipiche: il primo uomo col cappello, la bionda, il venditore di tappeti, il marinaio, il ragazzo col ciuffo, la sirena, ecc. La storia del marziano innamorato è raccontata dal nano, che, mentre pesca nel fiume di Sompazzo, incontra il marziano Kraputnyk Armadillynk, venuto sulla Terra dal pianeta Becoda per portare un regalo alla sua fidanzata. Il marziano cerca di comprendere le persone  che incontra e le loro azioni e, soprattutto, ciò che le donne terrestri desiderano di più. Con grande delusione scopre che le donne sono entusiaste di quazz e trond, probabilmente diamanti, di cui Becoda è ricco. Il marziano scopre che un’altra cosa che tutti vogliono sono i fatti. Qui l’autore allude alla politica attuale ma anche all’eccessiva produzione di rifiuti, vera tragedia dei tempi moderni. Il racconto presenta diversi momenti esilaranti ma che fanno riflettere sulle incoerenze e sulle contraddizioni che viviamo ogni giorno sulla nostra pelle.

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“La chitarra magica” di Stefano Benni

27 lunedì Mag 2024

Posted by Deborah Mega in Appunti letterari, LETTERATURA, Racconti

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fiaba moderna, La chitarra magica, Stefano Benni

 

“La chitarra magica” è una fiaba di Stefano Benni, tratta da Il bar sotto il mare del 1987. L’incipit non prevede il tradizionale C’era una volta, tipico delle fiabe, ma utilizza un generico C’era che introduce un’ambientazione diversa dal solito perché la storia si svolge in una città dei nostri giorni e trae ispirazione dal mondo della musica rock contemporanea. Il protagonista è un giovane musicista che desidera studiare al Conservatorio e diventare una grande rockstar. Un giorno, mentre Peter si sta esibendo in strada, incontra un vecchio con un mandolino che lo sottopone a tre prove, come in ogni fiaba che si rispetti. Peter, dato il suo buon cuore e la sua generosità, ottiene un premio che però gli si rivelerà fatale. I personaggi sono appena caratterizzati. Anche l’aiutante, Lucifumàndro, è un mago moderno. Nella fiaba manca il lieto fine, non è il giovane buono e di grandi speranze ad avere la meglio ma l’antagonista. La fiaba, infatti, con un sorprendente capovolgimento di ruoli e situazioni, ha un esito imprevedibile e drammatico, non solo non avviene la punizione del malvagio ma si conclude con effetti tragico-caricaturali.

 

IL RACCONTO DELLA RAGAZZA COL CIUFFO

 LA CHITARRA MAGICA

« Ogni ingiustizia ci offende quando non ci procuri direttamente alcun profitto. »

Luc de Vauvenargues

 

C’era un giovane musicista di nome Peter che suonava la chitarra agli angoli delle strade. Racimolava così i soldi per proseguire gli studi al Conservatorio: voleva diventare una grande rock star. Ma i soldi non bastavano, perché faceva molto freddo e in strada c’erano pochi passanti. Un giorno, mentre Peter stava suonando “Crossroads”, gli si avvicinò un vecchio con un mandolino.
-Potresti cedermi il tuo posto? È sopra un tombino e ci fa più caldo.
-Certo- disse Peter che era di animo buono.
-Potresti per favore prestarmi la tua sciarpa? Ho tanto freddo.
-Certo- disse Peter che era di animo buono.
-Potresti darmi un po’ di soldi? Oggi non c’è gente, ho raggranellato pochi spiccioli e ho fame.
-Certo- disse Peter che eccetera. Aveva solo dieci monete nel cappello e le diede tutte al vecchio. Allora avvenne un miracolo: il vecchio si trasformò in un omone truccato con rimmel e rossetto, una lunga criniera arancione, una palandrana di lamé e zeppe alte dieci centimetri.
L’omone disse: – Io sono Lucifumàndro, il mago degli effetti speciali. Dato che sei stato buono con me ti regalerò una chitarra fatata. Suona da sola qualsiasi pezzo, basta che tu glielo ordini. Ma ricordati: essa può essere usata solo dai puri di cuore. Guai al malvagio che suonerà! Succederebbero cose orribili!
Ciò detto si udì nell’aria un tremendo accordo di mi settima e il mago sparì. A terra restò una chitarra elettrica a forma di freccia, con la cassa di madreperla e le corde d’oro zecchino. Peter la imbracciò e disse:
-Suonami “Ehi Joe”.
La chitarra si mise a eseguire il pezzo come neanche Jimi Hendrix, e Peter non dovette far altro che fingere di suonarla. Si fermò moltissima gente e cominciarono a piovere soldini nel cappello di Peter.
Quando Peter smise di suonare, gli si avvicinò un uomo con un cappotto di caimano. Disse che era un manager discografico e avrebbe fatto di Peter una rock star. Infatti tre mesi dopo Peter era primo in tutte le classifiche americane italiane francesi e malgasce. La sua chitarra a freccia era diventata un simbolo per milioni di giovani e la sua tecnica era invidiata da tutti i chitarristi.
Una notte, dopo uno spettacolo trionfale, Peter credendo di essere solo sul palco, disse alla chitarra di suonargli qualcosa per rilassarsi. La chitarra gli suonò una ninnananna. Ma nascosto tra le quinte del teatro c’era il malvagio Black Martin, un chitarrista invidioso del suo successo. Egli scoprì così che la chitarra era magica.
Scivolò alle spalle di Peter e gli infilò giù per il collo uno spinotto a tremila volt, uccidendolo. Poi rubò la chitarra e la dipinse di rosso.
La sera dopo, gli artisti erano riuniti in concerto per ricordare Peter prematuramente scomparso. Suonarono Prince, Ponce e Parmentier, Sting, Stingsteen e Stronhaim. Poi salì sul palco il malvagio Black Martin.
Sottovoce ordinò alla chitarra:
-Suonami “Satisfaction”. Sapete cosa accadde?
La chitarra suonò meglio di tutti i Rolling Stones insieme. Così il malvagio Black Martin diventò una rock star e in breve nessuno ricordò più il buon Peter.
Era una chitarra magica con un difetto di fabbricazione.

Stefano BENNI, « La chitarra magica », in Il bar sotto il mare, Universale Economica Feltrinelli, Milano, 2016, pp. 153-155.

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Le lacrime

09 lunedì Gen 2023

Posted by Deborah Mega in LETTERATURA, Racconti

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La grammatica di Dio, racconto fantastico, Stefano Benni

 

“Le lacrime” è uno dei venticinque racconti brevi che costituiscono “La grammatica di Dio” di Stefano Benni. Il sottotitolo Storie di solitudine e allegria introduce il senso delle vicende tragicomiche e talvolta surreali descritte nei racconti da cui emerge una sorta di tristezza e di malinconia che vuole sottolineare la solitudine e l’imperfezione dell’uomo contemporaneo. Ogni personaggio di Benni, animato o inanimato che sia, acquista cuore, anima, personalità. Benni concentra la complessità del reale, le nevrosi collettive e, da grande affabulatore, seduce e incanta con le sue storie fantastiche eppure verosimili. In questo racconto, nella normale vita quotidiana di una città moderna improvvisamente compaiono oggetti misteriosi, strane formazioni definite lacrimoidi. Nessuno riesce a dare una spiegazione razionale del misterioso evento, né le autorità né l’Istituto di medicina legale e la facoltà di Zoologia, ad eccezione di un bambino, l’unico in grado di trovare una spiegazione logica. Il racconto fa riflettere il lettore trasmettendo il messaggio che l’insoddisfazione a volte derivi da una vita vissuta senza coltivare e perseguire i propri ideali e le proprie passioni.

*

Le prime apparvero all’alba in periferia. Gli addetti alla spazzatura ne trovarono una decina in un prato. Stavano per caricarle sul camion, pensando che fossero sacchi di plastica, quando si accorsero della loro stranezza. Grandi bolle sgonfie, meduse traslucide, alcune ovali, altre oblunghe, talune di forma irregolare, come un frutto flaccido e malformato. Al tatto non erano viscide né molli, ma possedevano la consistenza della pelle di un animale, un delfino ad esempio, mentre alcuni avvertivano il calore di un tessuto morbido. In realtà, parevano consistere di materia diversa a seconda di chi le avvicinava. Anche se sembravano guaste, morte, non emanavano cattivo odore. Erano di colori tenui e incerti, dal giallo chiaro all’azzurro perlaceo. Ma quello che colpì i primi scopritori fu che dentro alla materia opalina, lattescente, di alcune di esse sembrava apparire, a tratti, l’ombra di un volto, o l’istantanea di una scena, e qualche volta dall’interno esalava un lieve suono, una voce remota.
Le autorità presero in mano la situazione. Le lacrime, o lacrimoidi, come furono subito battezzate, furono esaminate in luoghi diversi. Alcune furono portate all’Istituto di medicina legale, altre alla facoltà di Zoologia, e un paio, segretamente, a un laboratorio militare che si diceva specializzato nello studio di apparizioni aliene.
In un primo tempo corse la voce che potessero essere pericolose uova marziane, pronte a schiudersi e scatenare un’invasione. Ma le analisi stabilirono che non erano forme di vita, almeno come noi le intendiamo. Non avevano organi né metabolismo, erano inerti, formati da materie terrestri, silicio, carbonio, sali, anidride carbonica, mucine e lipidi, anche se combinati in modo assai strano, né minerale né vegetale, qualcuno disse primordiale, senza saper spiegare di più.
Ma studiarle a fondo non era facile: se si cercava di penetrarne le pareti svanivano quasi senza lasciare traccia, riducendosi a una goccia che evaporava in pochi istanti. Alcune si dissolsero sotto gli occhi degli scienziati, quasi non sopportassero neppure uno sguardo indagatore.
E il giorno dopo, un centinaio di lacrimoidi furono segnalati in varie parti di quella città. In cortili, in strade, anche sul terrazzo di una casa.
Chi le trovava confermava che si potevano toccare, ma appena si provava ad aprirle, si dissolvevano. E svanendo esalavano nell’aria rumori simili a voci umane, e sprigionavano riflessi e colori, schegge di aurora boreale. Ma nessun registratore o telecamera riusciva a catturare il minimo suono o immagine.
Non erano urticanti, né velenose, né tossiche, stabilì l’apposita commissione scientifica. La conclusione era quindi che, con ogni probabilità, si trattava di grosse, anomale gocce di pioggia, che l’inquinamento aveva reso mutanti, mostruose. Non era escluso che contenessero qualche tipo di gas sconosciuto, in grado di causare lievi allucinazioni uditive o visive.
Inutile dire che su stampa e televisione uno sciame di esperti si scatenò a ipotizzare e teorizzare, anche perché la città era ormai invasa dai lacrimoidi. Per gli scienziati erano il frutto inquietante dell’incombente marasma climatico. Per i fanatici religiosi erano un avvenimento soprannaturale. Per i politici erano il risultato della dissennata politica ambientale della parte avversa. Per gli intellettuali erano materiale poetico scadente, anzi meraviglioso, anzi indicibile, e la polemica li torceva in liti interminabili.
Un giovane medico scrisse in un articolo di aver notato una particolarità. Molti, quando si avvicinavano alle lacrime, erano colti da una sottile malinconia. Non paura, né angoscia, ma l’indefinibile sensazione di ritrovare qualcosa di conosciuto. Una confusa nostalgia. La reazione della scienza ufficiale fu secca: da sempre la suggestione crea fantasmi, che poi svaniscono alla prima prova empirica. Goccioloni di pioggia, e basta.
Ma le rassicurazioni non bastavano. Di giorno in giorno i lacrimoidi si moltiplicavano, i camion ne scaricavano centinaia nell’inceneritore fuori città, anche se sarebbe bastato farle scoppiare. Si temeva il mistero della loro fragilità o qualche oscuro contagio?
Solo una piccola parte veniva ancora conservata e studiata. Ma intanto si moltiplicavano e invadevano le strade. Prendere a calci i lacrimoidi e farli scoppiare divenne per teppisti vecchi e giovani uno sport abituale, anche se c’era una multa. Nel frattempo i misteriosi invasori erano diventati più piccoli, ma sembravano, per così dire, più vivaci, quasi arrabbiati. Cadevano in testa alle persone. Avevano fremiti improvvisi. Nello svanire, alcuni emettevano un grido animale, altri diffondevano una morgana di luce sanguigna. Uno ferì lievemente un bambino, con una vampata bollente. La città accolse inizialmente con piacere i turisti in visita. Fu allestito uno speciale parco, con vasche in cui i lacrimoidi erano esposti, con giochi di luce e musica. Ma dopo neanche un mese, la moda turistica svanì. Migliaia di portachiavi di plastica molliccia restarono invenduti. I comici non li usarono più nelle loro battute. Nessuno sapeva più cosa pensare di loro. Continuavano a moltiplicarsi, e la gente cominciava a detestarli. Ma non tutti li odiavano. Qualcuno, preso da una strana attrazione, li teneva in casa. Una donna si buttò da un tetto stringendone uno tra le braccia, e subito si sostenne che avevano un potere malefico. I giornali ebbero l’ordine di non parlarne più, gli scienziati si arresero. Non si potevano cucinare. Non si potevano vendere. Bisognava dimenticarli.
Finché una sera, uno scienziato più cocciuto degli altri stava studiando una lacrima che aveva trovato nel giardino. L’aveva stesa sul tavolo, oblunga e lucente, e guardava i suoi cambiamenti di colore.
Entrò il figlio di sette anni.
Osservò con attenzione e disse: – Io so cos’è.
Lo scienziato rise.
– Non ridere, papà – disse il ragazzo. – Quello è un sogno. è  il sogno che mi hai raccontato il mese scorso, quando hai detto che volevi andare a lavorare su quell’isola, per studiare le malattie degli indigeni. Vedi, dentro si vede, il mare e l’isola. Se ascolti, puoi sentire le voci di quegli uomini lontani. E questo, – disse indicando col dito una parete del lacrimoide – sei tu.
A quelle parole, la lacrima si ingigantì, divenne quasi sferica, e per un attimo fu visibile allo scienziato il sogno intero, il paesaggio e i volti.
Sulle prime non volle convincersi. Fece altre analisi. Il figlio lo guardava scuotendo la testa.
Finché una sera, alla luce del tramonto, lo scienziato vide chiaramente dietro la materia opalina l’immagine di una donna che aveva amato.
Così capì: i lacrimoidi erano sogni trascurati, mai coltivati con cura, mai seguiti con passione. Sogni perduti senza combattere, sogni buttati via. Lo scienziato ne parlò con il suo capo. Quello non gli credette, anzi si arrabbiò, sembrava che quell’idea lo sconvolgesse. Disse che ormai i lacrimoidi stavano diminuendo, non valeva la pena di rinfocolare l’interesse. Guai a lui se diffondeva quella assurda teoria.
Infatti i lacrimoidi scomparvero.
Il comune licenziò gran parte degli operatori addetti alla ripulitura. Un libro, Il mistero delle lacrime aliene, neanche arrivò in libreria. Un ultimo lacrimoide, chiuso in una teca del museo, si dissolse.
Poi, una mattina, la città si ritrovò immersa dentro una grande bolla trasparente. La gente respirava a fatica. E volti, parole, iniziarono ad appannarsi… Continua a leggere →

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Una rosa rossa

02 venerdì Dic 2016

Posted by Deborah Mega in Appunti letterari, Consigli e percorsi di lettura, LETTERATURA

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Deborah Mega, La grammatica di Dio, racconto psicologico, Stefano Benni

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Uno dei grandi meriti della scrittura in genere é fungere da strumento di impietosa e indiscussa critica dei costumi. Nella raccolta di racconti La grammatica di Dio del 2007, lo scrittore Stefano Benni rappresenta la realtà italiana dei nostri giorni, riflette sull’egoismo e sul cinismo di affaristi privi di scrupoli per i quali predominano le leggi di mercato e nulla contano gli altri.

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