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Gli abbandonati dall’indifferenza

Il binario è lungo, il mare in tempesta.
Nelle iridi-vortici, vive la disperazione,
nei cuori-percussioni, echi di fiducia.

La fame artiglia gli stomaci, l’esistenza
evapora dagli squarci della sete.
E il freddo della notte e il caldo del giorno,
fiaccano le membra-countdown di provata vita.
Ma non importa quanto impervio il cammino,
quante volte ricucire la propria ombra,
la ricerca della libertà, genera forza.

Perché dietro regnano anelli
di povertà e malattie o la guerra
con sbavanti fauci spalancate.
Davanti si ergono i muri d’odio.
E tutt’intorno il mare
in attesa di sogni da rapire,
il deserto a consegnarli a Morgana,
ingannatrice tra le fate.

E i bambini scavano
tra corpi che non chiedono più aria,
in cerca di madri e padri.
La scelta è la sopravvivenza o la dipartita,
e con la tenacia della speranza
le mani si levano in cerca d’aiuto…
Ma ricadono esanimi nel fango,
tra un’offesa e uno sputo,
abbandonate dall’indifferenza.

*

Mahsa Amini

Quell’hijab ha una ciocca fuori posto,
è una ragazza che forse sogna con il vento
che le corteggia i capelli…

Ma una morale in divisa
le ha sistemato il velo,
facendolo aderire stretto stretto,
con le nocche e i manganelli,
cosicché non sfugga l’idea di un diritto.

( Le guerriere hanno lasciato ciocche
a pregare sulle tombe,
a mettere radici verso la luce).

Allora le strade sono esondate
dalle ombre del regime,
legando i capelli in una coda
che non si scioglie nel sangue
e la stoffa è diventata fiamme.

( L’occidente si è fermato un’attimo
a guardare, a spendere parole,
a difendere quella rivoluzione,
come testuggine e aquila).

Ma gli schermi hanno
un deficit d’attenzione
e la protesta si dissolve in eco…
Le ciocche crescono sole,
cosa sarà quando le ceneri tesseranno altro velo?
Le punte avranno pieghe vecchie o nuove?

*

Siamo tutti uguali

Quante sfilate di morti ingiuste,
prima di imparare ad abbracciare un’ombra.
Quanti secoli di di occhi chiusi
nell’odio per ciò che si crede diverso,
nel timore di quello che non si conosce.
A te che sopravvivi tra l’ignoranza delle persone, dico:
“Tu sei mio amico, sei mia amica!”

Per quanto tempo una persona può trattenere il fiato,
prima di potersi sentire libero,
schivando baci di piombo e scalando onde.
A te che guardi negli occhi la signora con la falce,
inseguendo un sogno, una speranza, dico:
“Tu sei mia madre, sei mio padre!”

Per quanti millenni rigurgiteremo razze
e immaginarie superiorità,
di uomini padroni ed altri schiavi.
A te che sogni attraverso anelli di catene, dico:
“Tu sei mio fratello, sei mia sorella!”

Per quante ere le urla renderanno sordi,
assedieranno menti e mureranno cuori,
con l’eresia di un unico modo naturale d’amare.
A te che dormi abbracciato al tuo amore,
a te che vivi il corpo nel quale sentirti vivo, dico:
“Tu sei mia figlia, sei mio figlio!”

Quanti mondi vivremo seppellendo terre promesse,
con vanghe di religioni o culture buone ed altre cattive,
o colori della pelle puri e altri marchiati dal male.
A te che lotti contro le ingiustizie,
e sotto il peso di questa croce, non ti spezzi,
a te mi inchino e ti rispetto, e ti prometto:

Che non esisteranno mai
confini, muri o leggi,
che potranno convincermi
che non siamo tutti uguali!

*

NOTA BIOGRAFICA

Andrea Abruzzese nasce a Foggia, città nella quale vive, il 27/04/1989.
Scrive poesie dall’età di 14 anni, alcune delle quali sono state pubblicate sui siti:
“L’Altrove – Appunti di poesia”, “Poetarum Silva” , “Poesie sull’albero”, “La Nuova Rivista Letteraria”, “L’Ottavo”, “Leggere poesia”, “Intermezzo Rivista”, “The Bookish Explorer”, “La Seppia”, “L’Incendiario”, “Aratea Cultura”, “Aquile Solitarie”, “Margutte”, “Momenti DiVersi”, “Mosse di Seppia” e “Pioggia Obliqua”.
Altre sono state commentate sul sito “Poesia del nostro tempo”, all’interno della rubrica “Laboratori di poesia”. Inoltre alcune sue poesie sono state pubblicate all’interno della rubrica “La Bottega della poesia”, del quotidiano “La Repubblica” nelle edizioni di Milano, Torino, Napoli e Bari.