Il prof Braccini ci aveva già abituato a parlare del regno dei morti in diversi suoi volumi, uno scritto insieme a Silvia Romani dal titolo “Una passeggiata nell’aldilà”(Einaudi, 2017) e l’altro più recente “La nave di Caronte” (Einaudi, 2022) scritto insieme a Luigi Silvano. In “Ade e Persefone” (edito Pelago, 2021, scritto da Braccini in collaborazione a Datati con una introduzione di Giulio Guidorizzi) troviamo il racconto del mito del curatore pistoiese, le variazioni sul mito di Dadati e una antologia commentata di testi che parlano di Persefone e Ade tratta da l’Inno a Demetra attribuito ad Omero, dal poema epico il Ratto di Proserpina del poeta Claudiano e dalle Metamorfosi di Ovidio. Guidorizzi nella sua introduzione sottolinea come Frazer avesse già iscritto il mito tra quelli legati al ciclo della vegetazione in un ritmo che scandisce il ciclo vita-morte-rinascita; si ripete anche il fatto che tutta la simbologia del mito è sacra e non è solo oggetto dell’antropologia ma anche della psicologia: il legame madre-figlia, le nozze violente, il melograno. Seppure macabro quello di Ade e Persefone fu amore. Persefone, figlia di Zeus e Demetra, fu rapita da Ade, dio degli inferi e dei morti, dando poi vita al ciclo delle stagioni ma in origine ci fu lo scontro tra Crono e i Titani, da una parte, e Zeus e i suoi fratelli dall’altra, da qui i secondi ebbero la meglio e cominciarono a spartirsi l’universo. Ad Ade (l’invisibile veniva detto dagli antichi, grazie anche all’elmo che indossava che rendeva invisibili, la kynee) toccò il regno dell’oltretomba. Il dio degli inferi pare vivesse in una dimora putrida e orribile e che fosse uscito solo per regolare con Zeus la questione delle anime, della conoscenza del momento della morte, e per affrontare Eracle (da questa lotta Ade ne uscì sconfitto con una spalla trafitta da una freccia). In greco Ade era noto come Plouton, Plutone, da “ploutos” che significa “ricchezza”, in effetti il dio, non solo era ricco, perché sottoterra si celavano tesori e miniere, ma godeva anche di un certo fascino somigliando al fratello Zeus. Il poeta Claudiano lo definisce «terribile e oscuramente maestoso». Stanco di vivere da solo nell’Ade, il dio dei morti chiese aiuto al fratello Zeus per cercarsi una sposa. Il re dell’Olimpo, chiese a sua volta, aiuto ad Afrodite che insieme ad Atena e Artemide (ignare dell’accordo tra Afrodite e Zeus) convinse Persefone ad uscire dal palazzo per raccogliere dei fiori. Da qui le versioni del mito sono diverse, nel brano tratto dall’Inno a Demetra tradotto da Braccini, si narra il rapimento: “Lontano da Demetra dalla spada d’oro, dai bei frutti,/ ella giocava con le figlie di Oceano dai pepli drappeggiati;/ raccoglieva fiori, rose e crochi e belle violette/ nel soffice prato, iris e giacinti/ e il narciso, che al fine di ingannare la rosea fanciulla aveva fatto sbocciare/ la Terra, per volontà di Zeus e per compiacere Colui che accoglie molti”. Omero descrive Persefone in modo distaccato, nel rispetto della religiosità eleusina, si limita a raccontare la violenza perpetuata ai danni della figlia di Demetra: “La ghermì e contro la sua volontà sull’aureo carro, la portò via tra i suoi lamenti: e infatti gridò a gran voce, invocando il padre Cronide, altissimo ed eccelso”. Diversamente il poeta Claudiano, agli inizi del V secolo d.C, tratteggia un ritratto di Persefone in rivolta, che protesta e si lamenta così nella traduzione di Braccini: “Perché contro di noi le saette fabbricate dalle mani dei Ciclopi/ non hai scagliato padre? Così volesti consegnarmi/ alle crudeli ombre, così esiliarmi dall’intero mondo? Non ti piega nessuna pietà, in te non c’è nulla di sentimento paterno? Per quale colpa ci siamo meritate tanta ira? […] Per il tentativo di quale sacrilegio, per la complicità di quale colpa/ sono cacciata nei baratri immani dell’Erebo?/ Fortunatamente chiunque fu rapita/ da altri! Almeno può godere del sole comune./ A me invece al contempo viene negata la verginità e il cielo,/ insieme alla luce è tolto il pudore, e abbandonata la terra sono trascinata a fare da schiava al tiranno stigio! […] aiutami nella disgrazia! Trattieni il rapitore furioso!”. Parole intense, toccanti, attuali che cercano di penetrare la psicologia della vittima con femminile sensibilità. Ma ecco che una sensibilità nuova interessa Claudiano nel punto di svolta della maturazione della protagonista “Da tali parole e dal bel pianto quello spietato/ è vinto e percepisce gli aneliti del primo amore”. Da questo punto si disvela la promessa concessa dal regno degli Inferi, il potere sulle anime: “Ai tuoi piedi giungeranno i re vestiti di porpora,/ privati di ogni sfarzo, frammisti alla folla dei poveri/ (la morte tutto pareggia!), tu condannerai i colpevoli/ tu concederai il riposo ai pii; di fronte al giudizio i rei/ saranno costretti a confessare i crimini compiuti durante la vita”. Meno sublime e struggente è Ovidio nelle Metamorfosi, nel brano scelto e tradotto da Braccini si svela anche il ruolo di Ascafalo, che avrebbe rivelato che Persefone ha mangiato dei chicchi della melagrana, seppure per caso: “Il fato però non lo permette, perché la vergine il digiuno/ aveva interrotto e, mentre ingenua vagava nei rigogliosi giardini,/ aveva colto una melagrana da un albero onusto/ ed estratti sette chicchi dal pallido involucro,/ con la bocca li aveva spremuti; solo tra tutti/ l’aveva visto Ascafalo […] vide tutto e, facendo crudelmente la spia, le impedì di tornare”. Già nel libro “Indagine sull’orco. Miti e storie del divoratore di bambini” (Il mulino, 2013), Braccini aveva avuto modo di parlare degli Inferi, infatti pare che la parola “Orcus” facesse riferimento sia agli Inferi che al signore degli Inferi. Non avendo tracce delle caratteristiche specifiche di questo dio nella religione romana, siamo disposti al pensare che si sovrapponesse a Ade e Plutone. In effetti gli Inferi erano collegati anche al “Mundus”, una struttura romana che probabilmente si trovava presso il Comizio, non lontano dall’ara Saturni, con una parte sotterranea coperta da un tholos e con una apertura circolare detta oculus. Il Mundus era consacrato a Dite e Proserpina e funzionava da accesso negli Inferi. Nell’Alcesti di Euripide, Thanatos era la personificazione della morte, ben diversa da Ade, che veniva associata all’Orcus come in Macrobio. Thanatos, la Morte, o “sacerdote dei morti” come Euripide fa dire per bocca di Apollo, è crudele e malvagia, uccidendo e per giunta, preferendo le anime dei giovani a quelli dei vecchi per dimostrare la sua potenza. In vari glossari antichi medievali così come in Isidoro di Siviglia, Plutone, Orco e Caronte sono la stessa cosa e anche negli anni fino al folklore moderno le figure si trovano spesso sovrapposte, così come in un manoscritto del 1320-1325 il nome di Thanatos nell’Alcesti viene sostituito con quello di Caronte.