
Persegue la sua “poesia del possibile”, Emilia Barbato, nell’ultima silloge Capogatto, edita per i tipi puntoacapo Collezione Letteraria. L’opera si presenta tripartita nelle sezioni Bastìa, Capogatto, Via dei transiti attraverso un percorso programmatico fortemente connotato di simbolismo e sacralità. Partiamo dal titolo. La prima definizione di Capogatto nel dizionario è capogiro, giramento di testa, la stessa autrice però precisa che l’espressione faccia riferimento ad una tecnica che, in agronomia, è impiegata alle propaggini della vite e che consiste nell’interrare l’apice del tralcio affinché generi nuove radici. La vite, e con essa qualsiasi germoglio venga riprodotto, rappresenta la vita stessa. Non a caso ne condivide la stessa etimologia e ne rispecchia il desiderio di fertilità, bellezza, prosperità, equilibrio. Leggendo i versi di Emilia Barbato emerge un vigile controllo della parola, del lessico, perfino dei sentimenti, delle pulsioni, delle tentazioni, che, inevitabili, sembrano scorrere come linfa “nei nodi, nei tessuti conduttori”, talvolta guizzano in superficie per pochi attimi rivelatori per poi essere nuovamente controllati e messi a tacere. Sacrificio inteso come disciplina, volontà e fede sono le qualità richieste affinchè la pianta madre dia frutto. Questo nobilissimo desiderio di riproduzione attecchisce nella sezione centrale del libro, intitolata non a caso “Capogatto”, certamente la più riuscita, laddove l’autrice, immedesimandosi con la talea, afferma “modulo un vagito -attecchisco- / fuori di me schiudo / gemme, cresco una figlia.” Continua a leggere