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LIMINA MUNDI

~ Per l'alto mare aperto

LIMINA MUNDI

Archivi tag: Salvatore Quasimodo

Prisma lirico 42: Cecília Meireles, Tamara de Lempicka, Egon Schiele

27 giovedì Feb 2025

Posted by Loredana Semantica in Prisma lirico

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Tag

Jan Mankes, Leo Putz, Salvatore Quasimodo

Tamara de Lempicka

Cecília Meireles nel “Prisma lirico” di oggi con Tamara de Lempicka ed Egon Schiele

Ordinazione

Desidero una fotografia
come questa – vede? – come questa
in cui per sempre me la rida
come un vestito d’eterna festa.

Siccome ho la fronte buia
versi luce sulla mia testa.
Lasci questa ruga che mi presta
una certa aria di saggezza.

Non metta fondali di foresta
né di fantasia arbitraria.
No… in questo spazio che ancora resta
ponga una sedia solitaria.

Cecília Meireles

Egon Schiele

Poesia di Cecília Meireles

Opere:

“Ritratto di giovane ragazza”, Tamara de Lempicka, 1933

“Ragazza inginocchiata con abito arancione” Egon Schiele, 1910

“La stanza di Schiele a Neulengbach”, Egon Schiele, 1911.

Egon Schiele

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Prisma lirico 41: Salvatore Quasimodo, Leo Putz, Jan Mankes

13 giovedì Feb 2025

Posted by Loredana Semantica in Prisma lirico

≈ Lascia un commento

Tag

Jan Mankes, Leo Putz, Salvatore Quasimodo

Leo Putz

Salvatore Quasimo nel “Prisma lirico” di oggi con Leo Putz e Jan Mankes

Desiderio delle tue mani chiare
nella penombra della fiamma:
sapevano di rovere e di rose;
di morte. Antico inverno.

Cercavano il miglio gli uccelli
ed erano subito di neve;
così le parole.
Un po’ di sole, una raggera d’angelo,
e poi la nebbia; e gli alberi,
e noi fatti d’aria al mattino.

Jan Mankes

Poesia di Salvatore Quasimodo da “Acque e terra”, Solaria 1930

Opere:

“Ritratto di donna”, Leo Putz, 1922

“Filari di alberi”, Jan Mankes, 1915

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“Ora che sale il giorno” di Salvatore Quasimodo

01 domenica Set 2024

Posted by Deborah Mega in POESIA

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Tag

Ed è subito sera, Ora che sale il giorno, Salvatore Quasimodo

Con il testo di oggi riprende l’ordinaria programmazione di LIMINA MUNDI.

 

Finita è la notte e la luna
si scioglie lenta nel sereno,
tramonta nei canali.

È così vivo settembre in questa terra
di pianura, i prati sono verdi
come nelle valli del sud a primavera.
Ho lasciato i compagni,
ho nascosto il cuore dentro le vecchie mura,
per restare solo a ricordarti.

Come sei più lontana della luna,
ora che sale il giorno
e sulle pietre batte il piede dei cavalli!

 

SALVATORE QUASIMODO, Ed è subito sera, Poesie, 1942

 

L’incipit di Ora che sale il giorno descrive il tramonto della luna, in particolare l’attimo prima dell’alba quando la notte sembra sciogliersi nella luce che avanza.
Nella seconda strofa il poeta descrive le verdi pianure della Lombardia, vive come le vallate del Sud in primavera. Settembre diventa canto di nostalgia e solitudine. Il poeta manifesta i suoi sentimenti di esule che vive lontano dalla propria terra e dagli affetti più cari. Il paesaggio si fa simbolo del suo stato d’animo; egli ha abbandonato i compagni per rifugiarsi nella propria solitudine in cui poter rievocare, senza alcuna interferenza, l’immagine della donna amata, più lontana e irraggiungibile della luna stessa, descritta all’inizio della lirica, condannata a svanire, come un sogno, quando sorge l’alba sulle pianure erbose. Lo scalpiccio duro degli zoccoli dei cavalli sulle pietre del selciato segna il rumore sgradevole del risveglio che costringe ad abbandonare l’incanto del sogno. Lo scarto tra sogno e realtà emerge in tutta la sua drammaticità: persino la nostalgia sembra appartenere alla dimensione onirica, che si scontra con l’esistenza fatta di impegni, doveri e concretezza.

 

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CONTRO LA GUERRA!

07 lunedì Mar 2022

Posted by Deborah Mega in Cronache della vita

≈ 4 commenti

Tag

Bertold Brecht, Clemente Rebora, Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo

L’articolo 11 della nostra Costituzione recita: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.”
Anche noi di Limina condanniamo ogni azione armata: per noi non esistono “guerre giuste” o “sbagliate”, non vogliamo parlare di guerra nè schierarci con l’imperialismo russo o con quello occidentale. Allo stesso modo, contro la guerra, si sono schierati molti grandi poeti e intellettuali della storia: alcuni hanno raccontato la tragicità di un’esperienza vissuta sulla propria pelle, altri sono stati impotenti testimoni del dramma. Meditiamo dunque sull’assurdità della guerra in compagnia di alcune delle grandi voci del Novecento da cui, alla luce dei fatti odierni e cioè del conflitto Russia-Ucraina, possiamo affermare di non aver appreso nulla, dal momento che la guerra è tornata, ciclicamente, a manifestarsi.

François Flameng, Craonne, 1917

 

Bertold Brecht

 

La guerra che verrà

La guerra che verrà
non è la prima. Prima
ci sono state altre guerre.

Alla fine dell’ultima
C’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
Faceva la fame. Fra i vincitori
Faceva la fame la povera gente egualmente.

 

Mio fratello aviatore

Mio fratello era aviatore
Un giorno ricevette la cartolina.
Fece i bagagli, e andò via,
Lungo la rotta del sud.

Mio fratello è un conquistatore.
Il popolo nostro ha bisogno
di spazio. E prendersi terre su terre,
da noi, è un vecchio sogno.

E lo spazio che si è conquistato
È sui monti del Guadarrama.
È lungo un metro e ottanta
E di profondità uno e cinquanta…

 

Al momento di marciare

 

Al momento di marciare molti non sanno
che alla loro testa marcia il nemico.

La voce che li comanda
è la voce del loro nemico.

E chi parla del nemico
è lui stesso il nemico.

 

*

 

Giuseppe Ungaretti

Fratelli

 

Di che reggimento siete
fratelli?

Parola tremante
nella notte

Foglia appena nata
Nell’aria spasimante

involontaria rivolta
dell’uomo presente alla sua
fragilità

Fratelli

 

San Martino del Carso

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro

Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto

Ma nel cuore

Nessuna croce manca

È il mio cuore

Il paese più straziato

 

 

Veglia

 

Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore
Non sono mai stato
tanto

attaccato alla vita

 

Soldati

 

Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie

 

*

 

Clemente Rebora

 

Viatico

O ferito laggiù nel valloncello,
tanto invocasti
se tre compagni interi
cadder per te che quasi più non eri.
Tra melma e sangue
tronco senza gambe
e il tuo lamento ancora,
pietà di noi rimasti
a rantolarci e non ha fine l’ora,
affretta l’agonia,
tu puoi finire,
e nel conforto ti sia
nella demenza che non sa impazzire,
mentre sosta il momento
il sonno sul cervello,
lasciaci in silenzio
grazie, fratello.

*

 

Salvatore Quasimodo

 

Uomo del mio tempo

 

Sei ancora quello della pietra e della fionda,

uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,

con le ali maligne, le meridiane di morte,

t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,

alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,

con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,

senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,

come sempre, come uccisero i padri, come uccisero

gli animali che ti videro per la prima volta.

E questo sangue odora come nel giorno

Quando il fratello disse all’altro fratello:

«Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,

è giunta fino a te, dentro la tua giornata.

Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue

Salite dalla terra, dimenticate i padri:

le loro tombe affondano nella cenere,

gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.

 

 

Alle fronde dei salici

E come potevano noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.

*

Continua tu…

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