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Giuseppe Migneco, Uomo che legge il giornale (1940)

Continuità dei parchi, tratto da “Final del juego” del 1954, è un racconto breve, ma a dir poco ingegnoso dello scrittore argentino Julio Cortazàr, il quale rivela ancora una volta la sua predilezione per la narrativa fantastica che presenta finalità conoscitive e che risulta dominante nella sua opera. L’unico personaggio del racconto é un uomo di cui si sa poco: vive in una casa di campagna adiacente ad un bosco di roveri e ama leggere nel suo studio dotato di una grande vetrata, che si affaccia sul parco circostante. Il protagonista sta ultimando la lettura di un romanzo che lo sta prendendo molto: tratta di una coppia di amanti che sta progettando di eliminare il marito di lei, unico ostacolo alla libera espressione del loro amore. L’uomo si assume il compito di uccidere il marito della donna che ama, la quale gli fornisce informazioni su come raggiungere la casa e come muoversi al suo interno.

Aveva incominciato a leggere il romanzo alcuni giorni prima. Lo abbandonò per affari urgenti, tornò ad aprirlo mentre rientrava in treno al podere; si lasciava interessare lentamente dalla trama, dal disegno dei personaggi. Quella sera, dopo aver  scritto una lettera al suo procuratore ed aver discusso con il fattore una questione di mezzadria, tornò al libro nella tranquillità dello studio che si apriva sul parco di roveri. Sdraiato nella poltrona preferita, dando la spalle alla porta che lo avrebbe infastidito come una irritante possibilità di intrusioni, lasciò che la mano sinistra carezzasse più volte il velluto verde, e si mise a leggere gli ultimi capitoli. La sua memoria riteneva senza sforzo il nome e le immagini dei protagonisti; l’illusione romanzesca lo conquistò quasi subito. Godeva del piacere quasi perverso di staccarsi di riga in riga da ciò che lo attorniava, e di sentire al tempo stesso che la testa riposava comodamente sul velluto dell’alto schienale, che le sigarette erano sempre a portata di mano, che al di là delle vetrate danzava l’aria del crepuscolo sotto i roveri. Di parola in parola, assorto nel sordido dilemma degli eroi, lasciandosi andare verso le immagini che si componevano ed acquistavano colore e movimento, fu testimone dell’ultimo incontro nella capanna sul monte. 

Prima entrava la donna guardinga ; adesso arrivava l’amante, la faccia ferita dalle sferzate di un ramo. Ammirevolmente lei tamponava il sangue con i suoi baci, ma lui rifiutava le carezze, non era venuto per ripetere le cerimonie di una segreta passione, protetta da un mondo di foglie secche e di sentieri furtivi. Il pugnale si intiepidiva contro il suo petto, e sotto pulsava acquattata la libertà. Un dialogo ansioso correva per le pagine come un ruscello di serpi, e si sentiva che tutto era deciso da sempre. Persino quelle carezze che avviluppavano il corpo dell’amante quasi volessero trattenerlo e dissuaderlo, disegnavano abominevolmente la figura di un altro corpo che era necessario distruggere. Niente era stato dimenticato: alibi, circostanze, possibili errori. A partire da quell’ora, a ciascun istante era minuziosamente fissato il suo impiego. Il duplice spietato riepilogo si interrompeva appena per permettere che una mano carezzasse una gota. Cominciava ad annottare. Senza neppure piú guardarsi, legati strettamente al compito che li aspettava, si separarono sulla porta della capanna. Lei doveva proseguire per il sentiero che andava verso nord. Dal sentiero opposto, lui si voltò un istante per vederla correre con i capelli sciolti. Corse anche lui, proteggendosi contro gli alberi e le siepi finché distinse nella bruna malva del crepuscolo il viale che conduceva alla casa. I cani non dovevano latrare, e non latrarono. Il fattore non doveva esserci a quell’ora e non c’era. Salì i tre scalini del porticato ed entrò. Dal sangue che gli galoppava nelle orecchie gli giungevano le parole della donna: prima una sala turchina, poi una galleria, una scala con tappeto. Al piano superiore, due porte. Nessuno nella prima camera, nessuno nella seconda. La porta del salotto, e allora il pugnale in mano, la luce delle vetrate, l’alto schienale di una poltrona di velluto verde, la testa di un uomo nella poltrona che sta leggendo un romanzo.

Julio Cortàzar, Fine del gioco, trad.it.di F. Nicoletti Rossini, in I racconti, Einaudi, Torino 1994

Durante la lettura di un romanzo o di un racconto si verifica un processo di immedesimazione e identificazione nella vicenda e nei personaggi. Tale processo attiva il patto narrativo, cioè la relazione che si instaura implicitamente tra l’autore e il lettore durante la lettura. Esistono strategie narrative che, creando effetti di suspense o di sorpresa, rafforzano il coinvolgimento emotivo del lettore nella vicenda. Il patto narrativo, d’altro canto, può risultare indebolito con conseguente attenuazione del coinvolgimento emotivo del lettore da intrusioni del narratore, commenti espliciti o appelli al lettore o da intrusioni che fanno riflettere il lettore sui meccanismi stessi della narrazione. E’ questo il caso degli interventi metanarrativi come la mise en abyme, la collocazione in un inserto, cioè l’inserimento in un’opera di un riferimento all’opera stessa attraverso un racconto o una scena che riproduce il significato dell’opera principale.

Il racconto di Cortàzar si svolge su due livelli: il primo è rappresentato dalla storia principale dunque dall’uomo che legge; il secondo livello riguarda la trama del romanzo che il protagonista stesso sta leggendo. Fino alla fine leggiamo un racconto nel racconto, con schema narrativo ad incastro; non a caso lo stesso titolo suggerisce l’idea di continuità tra i due piani narrativi. Solo alla fine si scopre che la vittima cioè il marito da eliminare, è il protagonista del racconto. Il finale surreale sorprende il lettore, l’ultima sequenza tramite gli elementi del racconto di primo livello (le vetrate, la poltrona, l’uomo che legge e fuma), crea un collegamento tra le due parti: la sequenza finale del racconto di secondo livello contiene espliciti riferimenti al racconto di primo livello. Il protagonista che all’inizio del racconto amava leggere e non voleva essere disturbato, non solo subisce l’intrusione di qualcuno ma quel qualcuno lo ucciderà trasformandolo in vittima.

Allo stesso modo noi lettori reali che leggiamo libri per assistere allo spettacolo della vita senza correre alcun rischio perchè la pagina letteraria funge da barriera protettiva come lo schermo cinematografico durante la visione di un film, assistiamo ad un ribaltamento della prospettiva, la possibilità del pericolo non è più altrui ma assume una piega personale. Un racconto di questo tipo scardina tutte le nostre certezze, le stesse che sostengono la nostra relazione con la lettura.

Deborah Mega