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In un testo narrativo e in una descrizione il punto di vista è il punto di osservazione, la posizione di colui che narra o descrive. Tale descrizione può essere monoprospettica quando esiste un’unica angolazione e pluriprospettica nel caso di descrizioni viste da più angolazioni. Quello di cui vorrei occuparmi in questa nuova rubrica, recuperando alcune reminiscenze scolastiche, è l’analisi e il commento di opere d’arte famose e meno famose che apprezzo particolarmente.
Oggi analizziamo Il Cristo velato di Giuseppe Sanmartino.

Il Cristo velato è una delle opere più note e suggestive al mondo, uno dei più grandi capolavori della scultura di tutti i tempi. è realizzato in marmo da Giuseppe Sanmartino nel 1753 e conservato nella Cappella Sansevero di Napoli, al centro della navata. L’incarico di eseguire il Cristo velato fu dapprima affidato allo scultore Antonio Corradini che per il principe aveva già scolpito la Pudicizia e che riuscì a realizzare solo un bozzetto in terracotta oggi al Museo Nazionale di San Martino perché colto dalla morte. L’incarico passò così a Giuseppe Sanmartino che realizzò un’opera dove il Cristo morto, sdraiato su un giaciglio, appare ricoperto da un velo.  Ai piedi della scultura, infine, l’artista scolpisce anche gli strumenti del suddetto supplizio: la corona di spine, una tenaglia e dei chiodi. La firma dello scultore è apposta sul retro del piedistallo: «Joseph Sammartino, Neap., fecit, 1753».

La magistrale resa del velo ha nel corso dei secoli dato adito a una leggenda secondo cui il committente, il famoso scienziato e alchimista Raimondo di Sangro, settimo principe di Sansevero, avrebbe insegnato allo scultore la calcificazione in cristalli di marmo. La fama di alchimista di Raimondo di Sangro, infatti, ha fatto fiorire numerose leggende sul suo conto. Molti visitatori della Cappella, data la trasparenza del sudario, lo ritengono erroneamente esito di una “marmorizzazione” alchemica effettuata dal principe. In realtà un’attenta analisi non lascia dubbi sul fatto che l’opera sia stata realizzata interamente in marmo, e questo è anche confermato da alcune lettere dell’epoca. Lo stesso di Sangro descrive il velo come realizzato dallo stesso blocco della statua, senza l’utilizzo di alcun espediente alchemico. Ricordiamo un documento conservato presso l’Archivio Storico del Banco di Napoli, che riporta un acconto di cinquanta ducati a favore di Giuseppe Sanmartino firmato da Raimondo di Sangro, il costo complessivo della statua ammonterà alla ragguardevole somma di cinquecento ducati. Nel documento, datato 16 dicembre 1752, il principe scrive esplicitamente: “E per me gli suddetti ducati cinquanta gli pagarete al Magnifico Giuseppe Sanmartino in conto della statua di Nostro Signore morto coperta da un velo ancor di marmo…”. Anche nelle lettere spedite al fisico Jean-Antoine Nollet e all’accademico della Crusca Giovanni Giraldi, il principe descrive il sudario trasparente come “realizzato dallo stesso blocco della statua”. Il Cristo velato è, dunque, un capolavoro dell’arte barocca che dobbiamo esclusivamente all’abilissimo scalpello di Sanmartino. Fin dal ’700 viaggiatori più o meno illustri sono venuti a contemplare questo capolavoro. Tra i moltissimi estimatori si ricorda Antonio Canova, che durante il suo soggiorno napoletano provò ad acquistarlo e pare abbia dichiarato che avrebbe dato dieci anni di vita pur di essere lo scultore dell’opera. La vena del Cristo ancora gonfia e palpitante sulla fronte, i segni dei chiodi sui piedi e sulle mani, il costato scavato così come gli strumenti della Passione posti ai piedi del Cristo sono segno di una ricerca intensa. L’arte di Sanmartino diventa un’evocazione drammatica, che rende la sofferenza del Cristo simbolo del sacrificio e di conseguenza del riscatto dell’intera umanità.

Deborah Mega