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Questa intervista appartiene ad un’iniziativa del blog Limina mundi che intende dedicare la propria attenzione alle pubblicazioni letterarie (romanzi, racconti, sillogi, saggi ecc.) recenti, siano esse state oggetto o meno di segnalazione alla redazione stessa. Ciò con l’intento di favorire la conoscenza dell’offerta del mercato letterario attuale e degli autori delle pubblicazioni.

La redazione ringrazia Federico Preziosi, per aver accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera: “Variazione Madre”.

1. Ricordi quando e in che modo è nato il tuo amore per la scrittura?

Credo sia nato da adolescente con le canzoni. Il primissimo gruppo che mi ha fatto capire quanto fossero importanti i testi sono stati sicuramente i Marlene Kuntz, avevo 12 anni e cercavo di riempire di significati la realtà che vivevo e/o immaginavo di vivere. Provare a entrare in certe atmosfere era come un’elevazione, mi sentivo nobilitato da tanta struggente decadenza. Poi ho cominciato a scrivere canzoni anch’io quando avevo la mia band, mi lasciavo ispirare da libri, articoli, storie andate male, ma anche da un fervido immaginario. La poesia è arrivata molto dopo, qualche anno fa.

2. Quali sono i tuoi riferimenti letterari? Quali scrittori italiani o stranieri ti hanno influenzato maggiormente o senti più vicini al tuo modo di vedere la vita e l’arte?

Credo che i miei pilastri siano Svevo e Pirandello per la capacità prodigiosa che hanno avuto nell’individuare le contraddizioni nell’animo umano. Ho riletto di recente La coscienza di Zeno e il Fu Mattia Pascal, li trovo nei contenuti sempre molto attuali, pieni di quei piccoli pensieri scomodi che terrorizzano i benpensanti, ovvero la maggior parte delle persone. Tra gli scrittori stranieri amo Herman Hesse, Siddharta è il romanzo che preferisco. In poesia in un primo momento ho amato il Palazzeschi futurista per la giocosità e l’arguzia; oggi penso che senza Amelia Rosselli non sarei arrivato a concepire la parola come vibrazione, scossa tellurica, ma al tempo stesso uno scavo dritto nei punti nevralgici delle emozioni che tocca in particolare il dolore. Non che nella vita sia una persona triste, ma è nella non realizzazione delle cose, nella mancata espressione, che si prova dolore e spesso si fa fatica a trovarne le radici. Quando non si riesce a risalire all’origine il dolore è puro, irrazionale, inspiegabile. La Rosselli è per me rivoluzionaria perché a partire dalla sua scrittura ho avvertito la necessità di trasmettere il sentire e non la visione. Essere capaci di trasmettere agli altri il groviglio esistenziale che si custodisce dentro è una grande dote, un atto di amore indescrivibile.

3. Come nasce la tua scrittura? Che importanza hanno la componente autobiografica e l’osservazione della realtà circostante? Quale rapporto hai con i luoghi dove sei nato o in cui vivi e quanto “entrano” nell’opera?

La mia scrittura nasce per rispondere a un’esigenza creativa ed è fatta per lo più di immedesimazione, sono pochissimi gli elementi autobiografici, ma questo non vuol dire che non siano determinanti. Per me l’arte è scoperta ed esplorazione del sé e della realtà, anche solo immaginandola, non potrei vivere senza fare qualcosa di creativo e privarmi del piacere della condivisione. Vivo all’estero, eppure devo dire che più che i luoghi è la distanza a ispirarmi. Vengo dall’Irpinia, ho lasciato il mio paese tempo fa e ho imparato presto a fare i conti con la nostalgia e la lontananza. Questi sono oramai sentimenti e condizioni che sento innervati nel mio essere: se tornassi in Italia in questo momento, forse potrei stare ugualmente bene, ma mi mancherebbe qualcosa della vita all’estero; in Ungheria non me la passo male, ma spesso avverto il desiderio di ritornare in patria. Tuttavia, quando torno al paese per fare visita a miei, ricordo esattamente il motivo per cui ho piantato tutto e sono andato altrove a costruire la mia vita. Non nutro nessun odio, semplicemente non ho avuto un ruolo da ricoprire. Ad ogni modo questo vivere tra nostalgia e voglia di restare è solo uno dei tantissimi contrasti che mi attraversano. Non so quanto si riflettano nella scrittura tutti questi elementi, ma sicuramente ho sviluppato ed esercitato un’interiorità molto forte. Suppongo che ciò abbia un peso, ma non saprei quantificarlo con esattezza.

4. Ci parli della tua pubblicazione?

Variazione Madre è nata dall’esigenza di mostrare un lato femminile. Immagino che tutti gli uomini ne abbiano uno, ma lo lasciano vedere raramente e probabilmente anche malvolentieri. Io ho provato a farlo immedesimandomi nel corpo della donna, cercando di provare desideri e aspirazioni che una persona eterosessuale di sesso maschile non dovrebbe provare. Non è mai stata una mia intenzione quella di dare un taglio ideologico all’opera, non penso che questo sia l’approccio giusto per addentrarsi nelle liriche: mi sono semplicemente chiesto, essendone fortemente attratto, quali fossero le componenti principali del linguaggio femminile e ho cercato di renderle seguendo la mia sensibilità. A quanto pare sono due i poli principali attraverso cui identifico la scrittura femminile: la sessualità e il dolore, spesso entrambi parte di un sentimento più grande e dirompente, l’amore.

Ad ogni modo queste sono tutte considerazioni postume. Quando ho cominciato a “interpretare” la donna (circa un anno fa) non immaginavo che alla fine ne sarebbe uscito fuori un libro e nemmeno che potesse avere tutti questi contenuti “politici” del tutto involontari. Il femminile costituisce una forza potente e creatrice, capace di portare alla luce, e potenzialmente esprime il lato materno. Lo stesso titolo dell’opera gioca con l’ambivalenza delle parole: Variazione come cambiamento, ma anche come termine afferente al mondo della musica, al quale mi sento fortemente legato, e omaggio alla Amelia Rosselli delle Variazioni belliche; Madre come possibilità di cui ogni donna dispone per generare esseri viventi, sentimento di cura e difesa, punto di origine della vita stessa. Tuttavia a leggere il titolo si potrebbe intendere anche come “origine del cambiamento”, in quanto per la scrittura delle liriche dovevo, in un certo senso, mutare, non potevo restare uomo. E, metaforicamente, è sempre una “Madre” ad avermi generato, così come recita la poesia che apre la silloge: “Sono nata dall’incesto di una Madre/ da un sangue rappreso in due palmi di mani/ cosparso sul ventre in un mattino/ in novembre, sul tramonto dell’autunno.” Di “Madri” ce ne saranno molte nella silloge, rappresentate nella vita, nel pensiero o nella fantasia. Tutte determinanti nell’avermi reso ciò che sono diventato, nel bene e nel male.
Ho scritto circa 90 poesie immaginandomi donna, ma solo 41 sono finite su Variazione Madre grazie all’interesse e alla curatela di Giuseppe Cerbino, che ha voluto includere l’opera nella collana Lepisma-Floema di Controluna.

5. Pensi che sia necessaria o utile nel panorama letterario attuale e perché?

Ritengo che il femminile sia un bene da valorizzare, che vada sentito per essere capito (o forse immaginato) anche da chi donna non è. Non si tratta di orientamento sessuale, ma di dare importanza a un aspetto molto importante della vita sulla terra. Creare, accudire, liberare la propria spiritualità, ma anche la potenza sessuale, sono tutti elementi necessari alla nostra esistenza, tutte voci di una partitura più grande. L’amore è un sentimento complesso, troppo spesso identificato con scenette da soap opera e poco dibattuto considerando l’effetto dirompente che spesso ha nelle nostre vite. Vorrei tanto si potesse parlare di questo argomento con più naturalezza, il che non significa fare sfoggio di atteggiamenti esibizionisti: spesso i desideri vengono affidati alla politica che li utilizza per scopi propagandistici. Fa comodo a qualcuno tenere sotto controllo la sfera degli affetti e della sessualità, dividerli per ottenere un vantaggio personale e illudere gli altri offrendo comode soluzioni del tutto incuranti della molteplicità umana. Vorrei che Variazione Madre, nel suo essere oscuro e per nulla rassicurante, fosse un abbraccio: io ti amo perché sei diversa da me, perché ho bisogno di te, mio punto di origine e di ricerca, per salvarmi. Se tutto questo è utile lo giudicheranno i lettori.

6. Quando e in che modo è scoccata la scintilla che ti ha spinto a creare l’opera?

Non saprei rispondere con esattezza, credo che sia stato un momento in cui certe letture e certi confronti abbiano fatto in modo che mi occupassi di questa parte di me, che la facessi uscire allo scoperto.

7. Come l’hai scritta? Di getto come Pessoa che nella sua “giornata trionfale” scrisse 30 componimenti di seguito senza interrompersi oppure a poco a poco? E poi con sistematicità, ad orari prestabiliti oppure quando potevi o durante la notte, sacra per l’ispirazione?

Sono sempre in giro, lavoro in luoghi diversi, essere sistematico nella scrittura mi è impossibile. Molte cose le appuntavo su un taccuino e le facevo maturare, altre sono state scritte di getto, sul cellulare, tra uno spostamento e l’altro oppure in casa, nei bar, nei luoghi di lavoro durante le pause, a tutte le ore, anche di notte. Ad ogni modo ogni singola poesia è frutto di una forte suggestione che in certi momenti si faceva così ossessiva da possedermi. Ho avvertito in certi casi delle sensazioni molto particolari, smosse da un sentimento di gioia e dolore insieme che, in fondo, accompagna tutta la silloge: quella “propria vulnerabile capienza” di cui parlo in una delle poesie di Variazione Madre.

8. La copertina. Chi, come, quando e perché?

La copertina è stata scelta dall’editore. Posso dire di aver apprezzato molto la scelta e lo ringrazio.

9. Come hai trovato un editore?

Giuseppe Cerbino mi ha proposto una pubblicazione per la collana Lepisma-Floema ed io ho accettato ben volentieri conoscendone la competenza e la professionalità. Avevo già letto alcuni poeti di cui si era occupato in precedenza: Beatrice Orsini, Andrea Casoli, Giovanni Sepe, Antonello Sollai, Luca Crastolla, Agostina Spagnuolo… non potevo dire di no. Penso che stia facendo un lavoro importante per la poesia, con passione, attenzione e dedizione. Doti rare, rarissime.

10. A quale pubblico pensi sia rivolta la pubblicazione?

Mi rivolgo a tutti, in particolare agli uomini. Ma credo che questi versi facciano maggiore breccia nelle donne, per natura più curiose su certi temi e determinate espressioni.

11. In che modo stai promuovendo il tuo libro?

Quando torno in Italia cerco di organizzare presentazioni, provo a sottoporre l’opera all’attenzione di poeti e critici importanti, invio email a tutti i potenziali interessati. Anche Facebook mi aiuta tanto: in questi anni posso vantare di aver stretto amicizie vere ed essermi conquistato qualche estimatore nei gruppi attraverso la condivisione e il confronto: in tanti mi scrivono per avere una copia di Variazione Madre e, se è possibile, incontrarmi. Da parte mia vivo gli eventi o gli incontri con le persone come un dono, un momento di socializzazione della poesia unico e irripetibile. La promozione, in sostanza, è per me una parte della poesia, che mi permette di diffondere il mio messaggio e conoscerne tanti altri.

12. Qual è il passo della tua pubblicazione che ritieni più riuscito o a cui sei più legato e perché? (N.B. riportarlo virgolettato nel testo della risposta, anche se lungo, è necessario alla comprensione della stessa).

Estendo la citazione precedente: “C’è nella cicatrice l’onore del disarmo, una propria vulnerabile capienza”. Credo che dalla parte della sconfitta, di chi si arrende, ci sia molto da imparare: la nostra società afferma e intende imporre soltanto vincitori, preconfezionati e usa e getta, in altre parole una vittoria di consumo; agli sconfitti non spetta alcun onore, eppure a pensarci bene è proprio nel perdere che ci accogliamo davvero, che comprendiamo i nostri limiti, che ci abbracciamo in tutto e per tutto se davvero ci amiamo empatizzando con il dolore proprio e degli altri. Una capienza vulnerabile, labile, perché per la maggiore non accettata, e tuttavia ci contiene, ci determina e ci dà forma. E ho in mente le parole della mia amica e poeta Floriana Coppola, che nel cambio di stagione della vita afferma: “Non ho vinto e non ho perso/ non mi hanno avuto e non mi avranno mai/ rimango fuori dal coro, raccolgo e semino carezze/ fragili gusci d’uovo nelle mie mani” (Floriana Coppola, Cambio di stagione e altre mutazioni poetiche, Oédipus). È necessario preservare identità, avere amore e cura per gli altri. Se penso alla donna e a tutte le sconfitte, la femminilità è di certo una caratterizzazione che per la nostra società capitalistica costituisce una debolezza e per questo si sta affievolendo sotto i colpi del carrierismo. Bisognerebbe fare tesoro delle sconfitte per non perdersi in volatili imposizioni che non si preoccupano del benessere globale, ma soltanto di quello individuale. Non ho una soluzione da offrire a tutto questo, naturalmente, indico solo un problema rifacendomi alle parole di Virginia Woolf: «Può accadere qualsiasi cosa quando la femminilità cesserà di essere un’occupazione protetta».

13. Che aspettative hai in riferimento a quest’opera?

Me la vivo giorno per giorno, impegnandomi nella diffusione della poesia, proponendomi, per quanto sia possibile, in vari contesti. Il resto verrà da sé, se questo libro vale qualcosa farà strada. Sicuramente non mi arricchirà economicamente, su questo posso stare tranquillo! Al contrario, dal punto di vista umano, ho delle buone aspettative.

14. Una domanda che faresti a te stesso su questo tuo lavoro e che a nessuno è venuto in mente di farti? Per quale motivo spetta proprio a te rappresentare il sentire e l’animo femminile?

15. Quali sono i tuoi progetti letterari futuri? Hai già in lavorazione una nuova opera e di che tratta? Puoi anticiparci qualcosa?

Scrivo tantissimo, ma parlare di opera in cantiere mi pare prematuro. Ultimamente il mio stile si è fatto più asciutto e alcuni siti hanno già pubblicato poesie di quello che potrebbe essere il mio nuovo corso. Ne condivido una qui, per dare l’idea di quella che potrebbe essere la poesia di Federico Preziosi in un prossimo lavoro.

Sei un tutt’uno con la carne
intonaco di sangue e affresco d’anima,
un sussurro intimo che danza
anestetizzando il tronco. Un bisturi
separa linfa e corpo in questo lascito
dello spirito che è un non sentire,
una lobotomia d’amore sulla dipartita.

Federico Preziosi nasce ad Atripalda (Av) nel 1984. Studia Musicologia e Beni musicali presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, laureandosi in Estetica e Filosofia della musica con una tesi su Béla Bartók. Suona il basso negli “Slow Motion Genocide”, con i quali pubblica l’omonimo ep e un disco, Unculture. Oggi vive in Ungheria dove insegna lingua e cultura italiana a Budapest. Si avvicina alla poesia grazie all’incontro con Armando Saveriano, con il quale fonda il gruppo facebook “Poienauti”. La frequentazione virtuale con numerosi poeti provenienti da tutta Italia porta alla costituzione di “Versipelle”, una comunità poetica che esprime la propria voce attraverso il sito http://www.versipelleblog.wordpress.com. Nell’aprile 2017 vede la luce il suo esordio, Il Beat sull’Inchiostro, poetry slam ideata su intrecci di rime e assonanze a ritmo di rap. La silloge ritrae l’odierna società utilizzando robuste dosi di sarcasmo, irriverenza e tanta schizofrenia. Nel luglio 2019 viene pubblicato da Controluna, nella collana Lepisma-Floema, Variazione Madre con la curatela di Giuseppe Cerbino, un’opera in cui il poeta irpino si immedesima nel mondo femminile cercando di emularne il linguaggio in poesia.