
Tutto era cominciato l’anno in cui la biblioteca chiuse al pubblico. “Manutenzione straordinaria”, così dissero. “Tra quattro mesi al massimo riapriremo”.
I quattro mesi erano ormai passati da tempo. Di mese in mese, di stagione in stagione, in tutto ne passarono quasi trentasei. Tre anni, giorno più, giorno meno.
Frank, in principio, vi tornava, pieno di speranza, una volta alla settimana per controllare se avessero riaperto. In seguito vi ritornava una volta al mese ma poi decise di abbandonare del tutto l’attesa.
Il soprannome gli era stato affibbiato da un signore anziano all’esterno del supermercato dove a volte comprava del cibo vicino alla scadenza, a metà prezzo. L’anziano lo aveva visto appoggiato al muro vicino alla porta d’ingresso, mentre stava mangiando un tramezzino, e lo aveva chiamato. “Dammi una mano, Frank. Aiutami a caricare l’automobile. Queste borse sono pesantissime”. E Frank lo aveva aiutato, ricevendone in cambio una banconota da cinque e un nome nuovo di zecca.
La biblioteca chiusa era un grosso problema per i molti studenti che ogni giorno avevano riempito le sue
sale, anno dopo anno. Ed era un problema enorme per Frank che, con l’arrivo dell’estate, non aveva più un posto fresco e accogliente dove trascorrere la giornata con un buon libro, una bottiglia d’acqua e un bicchierino di caffè preso al distributore di bevande. Tempo prima le panchine del vicino punto scambio libri erano state eliminate, e così trovare un posto dove sedersi a leggere diventava arduo. Era un buon posto, quello! Frank lo rimpiangeva amaramente. Una piccola oasi in mezzo al cemento, una nicchia fatta di alberi ad alto fusto, scaffali di libri sempre in movimento, tra arrivi e partenze, proprio come i treni che sfrecciano alle spalle di quella biblioteca all’aperto. Alcune panchine quasi nuove completavano il piccolo rifugio per amanti della lettura, così come il saluto degli altri utenti e dei volontari con i quali Frank, a volte, scambiava quattro chiacchiere.
Spesso, su una di quelle panchine, Frank ci aveva anche passato la notte, un po’ dormendo e un po’ leggendo alla luce del vicino lampione. Il dormitorio, in certi giorni, è davvero troppo lontano da raggiungere a piedi, a volte a causa di un malessere, altre volte per la stanchezza di aver lavorato troppe ore per racimolare solo un paio di banconote. E non sempre ci si può permettere di pagare una moneta da due euro per un viaggio in metropolitana.
“Guarda che bella borsa abbiamo ricevuto oggi!” gli dissero un giorno al guardaroba pubblico. “Se la vuoi
è tua, puoi metterci i libri e i vestiti di ricambio. E’ arrivato anche questo bel completo. Provalo, sembra fatto su misura per te”. Frank ringraziò e si ritirò nell’angolo adibito a spogliatoio. Dopo aver tirato la tenda si spogliò con calma; indossò prima i pantaloni e poi la giacca e sentì che effettivamente il completo gli stava comodo. Era quasi nuovo. Prese un lembo della giacca e lo saggiò con una mano. “E’ di cotone!” pensò. “E’ così fresco e profumato!” Aveva fatto da poco la doccia e tagliato barba e capelli, laggiù, alle docce pubbliche. Si sentiva un altro, quasi nuovo e fresco anche lui, come il vestito e la borsa in simil-cuoio che, dall’aspetto, si notava che era stata usata proprio pochissimo.
“Sembra una borsa da medico” pensò Frank. “O forse da uomo d’affari”, aggiunse. O forse nessuno dei due. E’ da tanto di quel tempo che Frank non trova più un lavoro, un impiego stabile. Che cosa può saperne? “A proposito: che lavoro facevo? Non me lo ricordo quasi più. Tanti lavori, nessun lavoro, alla fine”.
“Vieni a guardarti allo specchio” disse la voce del guardarobiere-operatore sociale, distogliendo Frank da pensieri cupi. Vedere la propria immagine riflessa e sentire un sorriso enorme spuntargli prima negli occhi e poi sulle labbra fu un tutt’uno.
“Il meraviglioso abito color gelato alla panna! (*) Non è esattamente color panna, tutt’altro! Si tratta più di un grigio, un grigio chiaro, certo, ma è il concetto che conta”. La mente di Frank sta velocemente rispolverando una propria, personalissima gamma cromatica formatasi in uno degli ultimi posti di lavoro, un colorificio.
“Color panna grigia! Forse è stato aggiunto del pepe nero…” pensa Frank, ridacchiando tra sé e sé.
“Metti tutto in questa busta, maglione giaccone e pantaloni, così li mandiamo in lavanderia” gli dice il volontario. “Te li restituiremo in autunno, promesso!” Frank sa che non glieli ridaranno, non proprio questi, almeno, ma sta al gioco. E’ sempre uno shock, per lui, separarsi dagli indumenti invernali. Soffre il freddo, anche d’estate. “Quel che protegge dal freddo protegge anche dal caldo” è il motto che ripete a se stesso – e talvolta anche agli altri – quando si accorge che i suoi vestiti fuori stagione attirano gli sguardi dei passanti.
“Non mi sento a mio agio, così elegante. Grazie per avermelo fatto provare, ma…” Quel vestito, in realtà, non è così lussuoso come sembra a Frank. Ma il fatto è che lui, ormai, è abituato a indumenti smessi adatti alla vita per strada. E così, per lui, un completo giacca pantaloni pur di seconda mano è uguale ad
un vestito da cerimonia.
“Ascoltami, ho avuto un’idea: ti porti via il vestito così ti ci abitui. Sotto la giacca metti questa maglietta grigia scura, che è in tinta. Domani hai un appuntamento per quel colloquio di lavoro, ti ricordi? Vestito così vedrai che ti prendono. Nella borsa ho messo un paio di jeans e una maglietta blu, così hai il cambio pulito per i prossimi giorni. Cerca di non sporcare i pantaloni! Nella borsa troverai anche della biancheria nuova. Dammi quelle scarpe, che ormai sono sfondate. Prendi queste, più leggere e sportive. Vanno con tutto!”
“Tranquillo, non mi siedo mica ovunque!” (E si, certo che mi ricordo del colloquio, come farei a dimenticarmelo? Un posto di custode giù ai magazzini della stazione, un posto di lavoro con una stanza privata e i servizi igienici, l’alloggio del personale…)
Frank non si sedeva mai per terra; faceva già abbastanza fatica a tenere i vestiti puliti per una settimana, a volte dieci giorni. E quando si sedeva sulle panchine ci metteva sopra un giornale di quelli in distribuzione gratuita. Ne prendeva sempre due copie, di cui una da leggere. Ma le panchine pubbliche
diminuivano, ancora e ancora…
Questa volta aveva un motivo in più per non sporcarsi. Un motivo importantissimo, essenziale. E quando c’è un motivo così grande per fare una cosa, si diventa più audaci.
Frank iniziò a maturare una decisione: avrebbe trascorso il tardo pomeriggio e la notte in un albergo. Da
quanto tempo non entrava in un albergo? Da tanto di quel tempo che ormai dubitava di averne mai visitato uno.
Si ricordò dell’hotel di otto piani a due strade di distanza dal Centro dove si trovava ora. Ogni tanto ci passava perché, lì vicino, c’era una di quelle panetterie dove, nel tardo pomeriggio, il pane e altri prodotti sono venduti a metà prezzo o regalati. Frank aveva voglia di un trancio di pizza, anche semplice, era da tanto che non ne mangiava! Ma temeva di sporcare il vestito, cosa che non poteva assolutamente permettersi. “Vediamo che cosa è avanzato”, si disse. “Magari una fetta di focaccia non molto condita”.
Si avvicinò e si accorse che questa volta il fornaio aveva lasciato fuori dalla porta, in una cesta, pizzette e biscotti già imbustati. Con l’acquolina in bocca, Frank disse a se stesso che avrebbe fatto molta attenzione. Afferrò due buste con delicatezza, una per tipologia di prodotto, e si avviò verso l’albergo.
“Se è rimasto tutto come prima dovrebbero esserci ancora le chiavi metalliche”. Frank nutriva un’avversione per le tessere elettroniche – con tutti quei dati personali in memoria! – tanto maggiore adesso, che stava per diventare un probabile ospite insolvente e temeva che, a causa di un guasto, avrebbe potuto rimanere chiuso dentro…
Prese il coraggio a quattro mani, inspirò profondamente ed entrò. Alla reception non c’era nessuno. Il registro delle presenze non si vedeva: usano il computer, qui! e le chiavi di metallo, uno strano abbinamento di antico e moderno su cui Frank si ripromise di riflettere in seguito. Una rapida occhiata alla bacheca portachiavi e documenti gli rivelò che, molto probabilmente, la camera 412 era libera. Frank afferrò le chiavi e, con il cuore in gola per l’emozione, si avviò in fretta su per le scale. La stanza era effettivamente libera; niente valigie, l’armadio vuoto, il letto – singolo -intatto. Con un respiro di sollievo, Frank chiuse la porta, si tolse i vestiti e li appese sulle grucce, accarezzandoli con un dito. Si sdraiò sul letto, pregustando una cena a base di prodotti da forno e acqua del rubinetto. Da molti anni,
ormai, non aveva più una casa. Se tutto andava bene, da domani ne avrebbe avuta di nuovo una, minuscola ma tutta per sé, insieme ad un lavoro stabile. E poi, chissà, l’estate prossima, risparmiando su tutto, sarebbe riuscito a fare una vacanza al mare, senza pretese…
L’indomani mattina Frank si svegliò presto, si lavò, e dopo una colazione a base di biscotti avanzati dalla sera precedente e un bicchier d’acqua si vestì di tutto punto, prese la sua borsa e uscì dalla stanza, lasciando le chiavi nella toppa. Nessuno lo vide andare via. Quando, un’ora dopo, si trovò a firmare il contratto per il posto di custode, disse a se stesso che forse, dopotutto, anche se è di un colore sbagliato, questo vestito è davvero ‘Il meraviglioso abito color gelato alla panna’, quello che ti dà il coraggio di fare tutto, perfino di esaudire un piccolo enorme sogno a lungo sognato.
(*) cit. Il meraviglioso abito color gelato alla panna di Ray Bradbury.
Patrizia Destro
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.