prima ti sei preso l’infanzia
…quando rondini festose sfrecciavano d’azzurro
intorno ai campanili puntati verso il cielo
dove si credeva dimorasse Dio
ed angeli a schiere, uno per ognuno,
a vigilare il passo a noi che avevamo ancora
un piede sulle nuvole e pensieri con le stelle…
poi anno dopo anno il sodo dei garretti
che correvano puledri
col vento alle criniere
nei giorni all’infinito
e nulla era mortale…
poi vennero gli istanti
del tempo che ti insegna
che qui non c’è durata ma spazi di stagione
che prima è seme e fiore
e poi frutto che aggrinzisce,
la polpa che marcisce
(e fu l’amore dolce di una ragazza azzurra
che diventando donna si fece cielo d’inverno)
e poi vennero anche i morti
che uno dopo l’altro
ti hanno lasciato solo
e infine lo hai capito
che qui sei solamente un numero
in fila per la strage…
adesso ti rimane il fiato
e ancora giorni da camminare,
mattinate al sole e il mare che respira,
il pane e il companatico
e un frutto per finire,
due occhi di ragazza con la gonna a fiori
a ricordarti che l’amore
è stato un gioco rosa,
un tempo dei miracoli
quando ad ogni morte
seguiva resurrezione
e infine il pensiero atroce
di un Cristo che spirato
mai più è sceso dalla croce…
se tu qualcosa hai dato,
l’hai poi strappato a brani,
rimane qualche residuo
ma senza le melodie altissime
di quando si credeva
di avere nelle tasche
l’amuleto portafortuna,
il rotolo lasciapassare
firmato da quel Dio
che per sentito dire
aveva fatto buone
la terra e tutte le cose.
febbraio 2023
Francesco Palmieri
(dalla raccolta inedita “Hai spezzato il ramo”
Con questa reinterpretazione del Pater Noster, le riflessioni di Dante assumono una matrice francescana, richiamando esplicitamente il Cantico delle Creature. Esse non si concentrano sull’individuo, bensì abbracciano l’intera umanità, come chiaramente evidenziato nell’ultima terzina (vv. 22-26).
«O Padre nostro, che ne’ cieli stai,
non circunscritto, ma per più amore
ch’ai primi effetti di là sù tu hai,
laudato sia ‘l tuo nome e ‘l tuo valore
da ogni creatura, com’è degno
di render grazie al tuo dolce vapore.
Vegna ver’ noi la pace del tuo regno,
ché noi ad essa non potem da noi,
s’ella non vien, con tutto nostro ingegno.
Come del suo voler li angeli tuoi
fan sacrificio a te, cantando osanna,
così facciano li uomini de’ suoi.
Dà oggi a noi la cotidiana manna,
sanza la qual per questo aspro diserto
a retro va chi più di gir s’affanna.
E come noi lo mal ch’avem sofferto
perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
benigno, e non guardar lo nostro merto.
Nostra virtù che di legger s’adona,
non spermentar con l’antico avversaro,
ma libera da lui che sì la sprona.
Quest’ultima preghiera, segnor caro,
già non si fa per noi, ché non bisogna,
ma per color che dietro a noi restaro».
Il valore della preghiera e del rito che ne accompagna la recitazione emerge in tutta la sua chiarezza: rappresenta il cuore della proposta francescana, che invita l’umanità a elevarsi e a riconoscere con consapevolezza i propri limiti. È un’umiltà che si rivela grande proprio per la sua capacità di superare la vanità e i rapporti umani deteriorati che essa genera, scegliendo invece di incarnare valori profondi. L’essere umano raggiunge il simbolico stato di “angelica farfalla” solo nel momento in cui abbandona l’illusione di autosufficienza, scoprendo il bisogno dell’aiuto divino e della solidarietà tra gli uomini. Un bisogno che le anime incontrate da Dante non seppero cogliere nella loro vita terrena.