Peso a peso
(…siamo nati a morire
e ancora questo non basta…)
non basta farsi certi a poco a poco
che gli anni invulnerabili sono contati
e poi solo il cadere ad una ad una
di scaglie di metallo dalla pelle
(e carne, soltanto carne esposta,
dai piedi fino alla testa, intorno a braccia e cosce,
nel cavo del torace, nel ventre gommapiuma,
carne soltanto col marchio di memorie
che furono corse sott’acqua e pioggia senz’ombrello,
la svolta in un portone ed una rosa,
il bacio ed una rosa, e l’infinito intorno)
non basta sovrapporre peso a peso,
comprimere le spalle di zavorra e terra
(e rami fracassati per caduta da sospensione al suolo,
i voli trasparenti che hai aspettato in anni
perché non era ancora il tempo degli spari,
dei colpi di fucili nascosti nelle siepi
e i passeri a stramazzare, i cani ad abbaiare,
e terra tutt’intorno, soltanto questa terra)
non basta lo spirare goccia a goccia,
segnare il passo per l’ultimo dei morti
(e chiudere la casa dopo il lutto,
scenderne le scale per non salirle più)
e poi ancora uno che forse ti aspettavi
e poi ancora un altro venuto di sorpresa,
non basta accorgersi e non dirlo
che i vecchi se ne andranno
e resteranno i figli,
che certo è ancora vita il giro di clessidra
ma come sarebbe stato
il durare gli uni e gli altri
lo spazio di un eterno
e non i giorni d’inferno
per i sopravvissuti,
siamo nati a morire,
e fosse stato questo il neo,
il punto di scadenza di una stagione sazia,
un reclinare il capo come i fiori,
un chiudere le imposte per dormire,
l’andarsene non visti, senza lasciare croci,
svanire fra le stelle e nessuna guerra,
sarebbe stata vita, un giorno lungo un sogno,
il canto di un delfino a navigare il mare
(ma forse questo
dio
ancora non l’ha visto).
FRANCESCO PALMIERI