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LIMINA MUNDI

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LIMINA MUNDI

Archivi tag: Jan van Eyck

PUNTI DI VISTA 1: Ritratto dei coniugi Arnolfini

11 lunedì Set 2017

Posted by Deborah Mega in Appunti d'arte, ARTI VISIVE, Il colore e le forme, Punti di vista

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Deborah Mega, Jan van Eyck, Ritratto dei coniugi Arnolfini

In un testo narrativo e in una descrizione il punto di vista è il punto di osservazione, la posizione di colui che narra o descrive. Tale descrizione può essere monoprospettica quando esiste un’unica angolazione e pluriprospettica nel caso di descrizioni viste da più angolazioni. Quello di cui vorrei occuparmi in questa nuova rubrica è l’analisi e il commento di opere d’arte famose e meno famose che apprezzo particolarmente.

Oggi analizziamo il Ritratto dei coniugi Arnolfini del pittore Jan van Eyck, uno dei dipinti ad olio più famosi al mondo.

Realizzato nel 1434, di piccole dimensioni (82 x 60 cm), si trova alla National Gallery di Londra, nella stanza numero 56 con il numero d’inventario NG186. Il ritratto fu commissionato dal lucchese Giovanni Arnolfini, uno dei più facoltosi mercanti di Bruges, rappresentato con la moglie Giovanna Cenani, anch’essa figlia di un mercante di Lucca. I due sposi sono raffigurati in piedi, nella stanza nuziale, nell’atto di pronunciare il solenne giuramento di fedeltà matrimoniale e di scambiarsi la fede secondo l’uso canonico anteriore al Concilio di Trento. L’interno borghese e l’inconsueta ambientazione  in camera da letto sono rappresentati con cura per rendere meglio la caratterizzazione sociale dei personaggi e perché ogni elemento, il cane, il candeliere con una sola candela, lo specchio, gli zoccoli di legno, le arance, si riveste di significati simbolici come la fedeltà matrimoniale e la fertilità. La firma del pittore Johannes de eyck fuit hic posta sopra lo specchio, che lo riflette insieme all’altro testimone, garantisce l’avvenuto giuramento tra i coniugi.

La simmetria della composizione sembra accrescere la solenne austerità del momento, le due figure sono di una immobilità assorta, quasi in meditazione. Sono avvolte di luce ed emergono da uno spazio crepuscolare che accentua le tonalità calde dei colori e l’intimità dell’evento. Il gesto dell’uomo può essere interpretato come una benedizione, un saluto, un giuramento; la donna gli porge la mano destra, mentre appoggia la sinistra sul proprio ventre, con un gesto che sembrerebbe alludere ad una gravidanza futura, in realtà i coniugi non ebbero figli. Il dipinto è un repertorio di elementi tipici della pittura fiamminga: nel clima raccolto e domestico i due personaggi in posa per il pittore sono abbigliati in abiti d’apparato e illuminati dalla luce proveniente da un’alta finestra laterale. L’immagine di Arnolfini appare frutto di uno studio di carattere: il volto è scavato, il naso lungo e sottile, le narici dilatate, l’espressione è intensa e assorta. Il tentativo di interpretazione interiore del personaggio e la cura particolaristica hanno determinato la supposizione che possa trattarsi di un autoritratto. L’unico personaggio a fissare lo spettatore, a non riflettersi nello specchio è il griffoncino di Bruxelles dal pelo rossiccio. La stanza è rappresentata con estrema precisione, tutti gli oggetti sono raffigurati dettagliatamente, tra questi spicca, al centro, uno specchio convesso, dove il pittore dipinse la coppia di spalle e il rovescio della stanza. Jean-Philippe Postel, uno scrittore parigino che è anche un medico, nel suo libro/inchiesta “Il mistero Arnolfini”, pubblicato di recente da Skira con prefazione di Daniel Pennac e la traduzione di Doriana Comerlati, ha analizzato questo quadro così enigmatico. Ha rilevato la presenza di un terzo uomo, l’uomo con il turbante rosso, per molti lo stesso van Eyck; l’ipotesi sostenuta da molti che si tratti del mercante lucchese Arnolfini secondo lui sarebbe da escludere perché negli altri suoi ritratti coevi non mostra alcuna somiglianza fisica con questo dipinto. Nel 1990 un ricercatore francese della Sorbona, Jacques Paviot, scoprì nell’archivio dei duchi di Borgogna un documento matrimoniale di Giovanni Arnolfini datato 1447 e che probabilmente si riferisce al secondo matrimonio. A Bruges nel XV secolo ci furono quattro Arnolfini e due di essi si chiamavano Giovanni, il più ricco era quello che aveva rapporti con il duca di Borgogna per il quale lavorava Jan Van Eyck.

L’opera rimase sino al 1516 nella casa dei coniugi Arnolfini; poi fu sequestrata e donata a Maria d’Ungheria, reggente dei Paesi Bassi. Nel 1556 il dipinto venne collocato nel palazzo reale di Madrid, per poi giungere in Francia, trafugata da Giuseppe Bonaparte. Successivamente venne prelevata dai soldati inglesi e venduta alla National Gallery di Londra per la bella cifra di seicento guinee. Il dipinto sembra rappresentare un’allegoria della maternità oppure alluderebbe al momento del fidanzamento. Altra ipotesi suggestiva è che nel dipinto sia rappresentata la prima moglie di Arnolfini, Costanza Trenta. La maggioranza degli oggetti fu dipinta dopo avere creato la scena principale. Dall’osservazione degli oggetti e degli abiti indossati appare evidente la condizione di agiatezza della giovane coppia. Lui indossa una tunica scura e sobria, coperta da un mantello con le falde foderate di pelliccia di marmotta e indossa un ampio cappello di feltro nero. Lei indossa un vestito verde, colore della fertilità, con guarnizioni di pelliccia d’ermellino. Ha un’acconciatura elaborata ed indossa una collana, vari anelli e una cintura broccata d’oro. La disposizione degli zoccoli sul pavimento della stanza non è casuale: quelli di Giovanna, rossi, stanno vicino al letto; quelli del marito sono in primo piano, più vicini alla porta d’ingresso. Vengono sfruttate più fonti luminose,  la ricchezza dei dettagli, visibile attraverso l’uso della luce, avvicina l’arte fiamminga a quella del Rinascimento italiano. Una certa rigidezza delle forme e l’espressione enigmatica dei personaggi sono anche caratteristiche tipiche della prima scuola fiamminga. Da grande ritrattista e pittore di costume qual è, Jan van Eyck rivela tutto il suo amore per la luce, il senso della materia e della pluralità delle forme, un’arte nuova che concilia sentimento e ragione.

Deborah Mega

 

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