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Per il secondo appuntamento poetico del Tema del silenzio è la volta di Francesco Tontoli, anche lui autore  di questo blog e, tra le innumerevoli altre, di una poesia sul silenzio che mi accingo a presentare.

Questa sua è una poesia metapoetica,   compie cioè un riferimento circolare che torna a se stessa, cerca infatti di spiegare cos’è la poesia.  Tenta in verità la spiegazione dell’inspiegabile, ponendo l’accento dapprima sul senso della parola poetica, anche quello che non emerge immediato, poi sul suono ch’è, come la fisica ci insegna, un propagarsi d’onda. La parola in quanto pronunciata è voce, la voce è suono che muove l’aria, provoca vibrazioni che raggiungono la sua destinazione, un punto d’ascolto o di rifrazione. Una poesia è quindi suono, perché è parola pronunciata, ma è anche contenuto, forma, scritto che   manifesta nella cadenza del ritmo, nell’ordine dei versi e nella disposizione delle parole sul foglio il dis-ordine del dire e del sentire.

Altro e diverso prodotto è la meraviglia della parola poetica, uno dei suoi possibili effetti, come aprire la mente, trasformare l’essere, la sua sostanza intelligente in qualcosa d’altro da quello ch’era prima della lettura,  di trasportarlo con l’immaginazione fino ad essere altrove, come estratto da sé, coi sensi talmente acutizzati da avvertire ogni fluire di linfa nei tronchi, nelle foglie, il fruscio di un fiore che sboccia, il soffio del vento, la luce del mondo e il modo in cui essa illumina gli oggetti, la particolare angolazione del riflesso. La meraviglia consiste nel vedere e sentire ogni manifestazione circostante come una cosa nuova, diversa, sorprendente, in una sorta di trasposizione psichica, estrapolazione mentale verso un altrove dove si potenzia la sensibilità dei suoni normalmente non udibili, si vedono cose che normalmente passano inosservate, quasi un fenomeno di immedesimazione o alterazione visivo- acustica da stato di trance o supereroe bionico. Lo stesso stato o simile a quello che induce l’atto creativo poetico.

Alla fine della poesia di Tontoli ritroviamo il silenzio, posto quasi in ultima parola, seguito solo da un complemento di specificazione, ma in quanto si sappia leggere poesia, in quanto se ne sappia cogliere la magia, quel silenzio è la ragione stessa di tutta la poesia precedente. Tutto il testo converge sul finale perché la ricerca diretta a spiegare/analizzare cos’è la poesia approda infine in chiusa alla migliore e più sintetica definizione, meno didattica di altre, ma quanto più vicina all’obiettivo.

Solo tre parole che costruiscono un’immagine e provocano una reazione che in sé costituisce l’effetto più rilevante di un’autentica poesia: lo stupore, un senso di ottundimento e meraviglia, di apertura di sensi mai compresi prima, di unificazione con l’universo per mezzo di un suo frammento, di raggiungimento del mistero dell’assoluto per mezzo di un suo particolare.

D’altra parte, se l’autore avesse emesso la sua voce pronunciando subito e soltanto i tre lemmi della chiusa non avrebbe minimamente prodotto l’effetto ottenuto esplicativo e nel contempo, suggestivo. Non sarebbe stato un approdo, ma un tonfo, un sasso che cade nell’acqua senza spostare onda, invece collocato nel finale, dopo che si è tentato tutto un argomentare per dare chiarimento, raggiunge la chiarezza inutilmente tentata in tutto lo sviluppo precedente, come rivelazione conclusiva resa nell’immagine finale.

In sé l’immagine è insignificante, anzi quanto più simile al nulla, al vuoto, tanto più centrata nel contesto, perché per catarsi acquista massima importanza, diventa da scenario oggetto principale d’attenzione,  segno eminentemente poetico in quanto lo si voglia, in quanto si abbiano strumenti adatti per decodificarlo nella pienezza della sua valenza, strumenti a “portata di mano”, come ad esempio l’anima, come la nostalgia, l’assenza, la soglia, l’oltre e la mancanza, o ancora qualcosa d’inafferrabile come un cielo stellato, il vento sul viso accaldato, un bacio dolcissimo, come il silenzio di una strada.

Loredana Semantica

  

FRANCESCO TONTOLI

 

A volte la poesia ha un ultrasenso
un’ onda non udibile si infrange
alle soglie degli scogli sentinelle
rovescia cose cuori cianfrusaglie
dimore interiori impeccabili e ordinate
scioglie le statue di sale chiamandole lacrime.

Solo alcune volte non sempre
ma per quelle volte basta
smetti di leggere e già sei un altro
rifai le stesse cose con altri gesti
riconsideri la luce nelle foglie che precipitano
la linfa degli alberi che ancora vi circola
e allora ti stupisce il silenzio di una strada.