
Giacomo Balla, Lampada ad arco, 1909, Museum of Modern Art di New York.
05 lunedì Ott 2020
Posted LETTERATURA E POESIA, Poesie
in≈ Commenti disabilitati su “10 Quarantene” di Francesco Tontoli
Giacomo Balla, Lampada ad arco, 1909, Museum of Modern Art di New York.
29 lunedì Giu 2020
Posted LETTERATURA E POESIA, Poesie
in≈ Commenti disabilitati su Mi dormi
Mi dormi
e anch’io dormo
il tuo sonno di fianco.
Non è vero che ci siamo sognati
tutti d’un fiato?
Eravamo sudati e stavamo
accanto a ciascuno dei nostri pensieri
di ieri, con quei gesti e quei visi
che si fanno nel sonno
quando si viene guardati.
Studiavamo il dafarsi
e quasi a contarsi le dita delle mani
dicevamo sommessamente qualcosa
praticando una musica notturna, suonando
dentro un ‘orchestra di corde e di fiati.
Tu ripetevi un verso udito ieri per strada per caso
stando dritti sul filo che segna le notti
dormivamo in silenzio e con il senso del sonno
ritto e puntito, esploravamo la parte taciuta del sogno.
Francesco Tontoli
11 lunedì Mag 2020
Posted I nostri racconti, LETTERATURA E POESIA
in≈ Commenti disabilitati su “Griot in the city”, un racconto di Francesco Tontoli
Nella sua voce vi sono così tanti armonici che anche quando parla, anche quando non canta, gli si può ascoltare il fruscìo sotterraneo di un mondo di muchi e catarri, un lavorìo di bronchi affaticati, un motore non immobile di ottoni e di archi come un’orchestra asmatica che si accordi con difficoltà.
-Canta, canta!…- gli dicono centrando il cappellaccio in terra con una moneta. E lui con lo sguardo acquoso fa cenno di stringersi il pugno al petto gorgheggiando con un suono simile alla carta vetrata un:
-Grazie!- sonante e soddisfatto, imitando il “parlato” d’operetta.
–Dedicherò questa birretta a te, amore mio sconosciuto!…-
La velocità della massa di uomini e donne che si sposta da un punto all’altro della città come in una clessidra, ogni giorno su quel marciapiede, viene alterata dal suono ruvido e dal tono beffardo che fuoriesce dal suo cavo orale.
Un monito, il richiamo di un sirenetto rauco alla vacuità della fretta. Uomini legati a doppio filo alla schiavitù dell’ora esatta, e del minuto secondo da centrare ad ogni passo, vengono intontiti per un tempo indefinibile da una fonte sonora oscura e cavernosa che li blandisce, rapendoli dalla strada.
La cecità non gli è d’ostacolo. Sa esattamente del rumore dei passi di chi esita e di quanti sono quelli che non resistono al duro impatto della sua voce.
Sa quanti corpi barcollano allo scontro con le onde seghettate delle sue blue-notes. E i piccoli cerchi concentrici umani che gli si formano intorno sono simili a quelli che si allargano nell’acqua quando vi affonda un sasso.
Ode chiaramente le corrispondenze lievi degli sguardi che si incrociano e annuiscono. Le labbra che piano si allargano in un sorriso scavando nella pietra dura. E’ tutta gente uscita a sgomitare per lo spazio vitale dei pochi centimetri quadrati concessi graziosamente ogni giorno dall’Entità Sconosciuta chiamata benevolmente Padreterno, che manifesta tutta la sua gentile ferocia nell’abbrutire e nell’annichilire in un luogo denominato “città” , tutta la vita che gli uomini immaginano abbia creato.
Certo che anche gli uomini stessi, qualcuno sospetterebbe soprattutto loro, partecipano allo scempio con una discreta attitudine emulativa che la dice lunga sulla competizione che stabiliscono con Dio per dividersi le spoglie del pianeta che abitano. L’uno nel Sito Immaginario, l’altro in quello Reale.
Chi sono ad esempio quei due che si tengono per mano mentre ascoltano il Griot metropolitano cieco, fare i gargarismi con l’acido muriatico, tutti compresi nello sforzo di carpirgli il segreto della musica e della sua fascinazione?
E quell’altro tipo un po’ in disparte in grisaglia d’ordinanza che sembra fulminato sulla via di Damasco, con la borsa di pelle nera in una mano ingombra del sangue delle sue vittime finanziarie? Come mai si è fermato anche lui in posa mistica, sguardo perso e bocca aperta?
Forse perché il barbone sfatto di cattiva birra ha toccato i loro tasti dolenti, i loro bottoncini segreti, esposto i loro nervi alla radiazione della sua voce facendo emergere un’umanità dimenticata? E’ come scavare in un sito archeologico affondando strumenti in un terreno cedevole, avendo a disposizione il più potente dei mezzi di scavo: la frenesia dovuta al ricordo di qualcosa di irrimediabilmente perduto.
Ognuno di questi uomini in cerchio insomma, anche se ora si ricompone e ritorna a correre, anzi a rincorrere l’oggetto scuro del suo desiderio, ha subìto l’effetto devastante dell’evocazione di un fantasma prigioniero nella propria mente.
I due amanti questa sera si lasceranno senza una ragione così come aveva cantato il Griot. E l’uomo con la borsa nera, dopo aver visto scorrere e cadere i suoi titoli in borsa, verrà attratto dal cassetto della scrivania dove ha riposto la pistola che ha comprato un giorno, più per esibirla che per usarla. Ma questo il Griot non lo canterà sui marciapiedi di New York o Londra, dove si svolge presumibilmente questa storia di possibilità.
Lui vocalizza solo canzoni d’amore.
Francesco Tontoli
13 domenica Mag 2018
Posted Poesie
in≈ Commenti disabilitati su Proprio quella
Bernardino Luini, Madonna del Roseto, 1510
Chiede Lilì: “Ma dimmi, babbo mio,
come hai potuto indovinar da te,
proprio la mamma che volevo io,
proprio la mamma che va ben per me?”
Lina Schwarz
Sono madre: il tuo trampolino per il salto
Sono madre: il tuo trampolino per il salto.
Dove tuffarti devi saperlo da te.
Io guarderò il tuo avvitamento
sarà comunque perfetto
anche tra gli schizzi più alti
e insubordinati.
Non farti troppo male, se puoi.
Disinfettante e cerotti
qui per te non mancheranno mai.
Sbagliare, ferirti, fallire
tutto ti è consentito.
Riuscire, centrare il bersaglio, vincere
tutto ti è permesso.
Sono madre, la lettera iniziale è minuscola
e non è un caso.
Alessandra Fanti
Farsi madre è per ali forti
Farsi madre è per ali forti
farsi madre come cagna
o gatta per la salda presa
del collare per la lingua
che al caldo della cuccia
lecca ruvida di spugna
il pelo ai corpicini.
Farsi madre
di mammelle e latte
pancia utero vagina
tra le zampe soffici di piume
per la cova delle uova
nella paglia il guscio rotto
la placenta amniotica
l’albume.
E sono belli i pulcini
vividi di giallo alti snelli
con o senza barba
con gli occhi chiusi sulla strada
prodighi di tempo e sonno
madre ti dico nella conta
di tazze salici staffette
notti innevate transazioni
nell’attesa del decollo
oltre il nido l’ingresso
l’illuminazione.
Loredana Semantica
Mi hai sottratto presto il tuo corpo
Mi hai sottratto presto il tuo corpo
l’hai sottratto alle mie mani accudenti
hai imparato presto a lavarti, a vestirti
e già mangiavi da sola quando sei nata
nella tua casa nostra.
Era troppo abitare nelle nostre vite
per te abituata ad essere di nessuno?
Credo sia stata una fatica dura
per te bambina forte di mancanze antiche.
Poi sei tornata a me per abbracciarmi
madre bambina di me bambina madre
nonostante gli anni passati a salvarmi
dal non amore con amori santi.
Avevo una lezione da imparare
avevo da scoprire la distanza adatta
per essere vicina senza soffocare.
E tu, nascosto il corpo, ti sei fatta presente
tempo da dove non scappare
materia ad aumentare
respiro spiato la notte
risate e scoperte da far figliare.
Alessandra Fanti
M.A.D.R.E.
Mediatrice
Attenta
Disincantata
Rimani
Essenza.
Io.
Ribelle
Indomita
Troppo
Ancora
Figlia.
Maria Rita Orlando
Lettera a mia madre
Sono arrivato a pensare ai tuoi ricordi e a toccarli
a cosa sarà della tua memoria quando non ci sarai.
Me lo hai fatto capire quando li hai messi in fila
e ancora una volta sei andata più in là nel tempo
arrivando a prima di quando ero bambino
al mondo di prima che io venissi al mondo
-è esistito!- mi hai detto.
Ci sono persone che spingono per farsi ricordare
e bussano alla tua memoria tutte le notti
ti chiedono quell’aiuto che ormai non puoi più dargli.
Mi hai detto che sei andata a cercarle nei vicoli
che hai setacciato i semi che tuo padre comprava
e di un piccolo furto ordito con tua sorella
dove avevate rubato due lire a tua madre.
E io come figlio ho pensato
alle piccole e grandi cose che devo averti rubato.
Ma i tuoi ricordi sono più grandi dei miei
e corrono nella tua testa veloci
ti fanno ritornare nei luoghi dove nessuno può andare
donano una nuova luce ai tuoi occhi ciechi.
Ti sei fatta ascoltare anche sapendo che magari
non ti avrei ascoltato con l’attenzione che richiedevi.
Abbiamo questo tempo consumato e riparatore
che ricuce le diverse trame di tessuti dimenticati
e a incollare il vaso si rischia di vedervi altri disegni
rovistando gli angoli bui che sanno solo i sogni.
Mi hai parlato di almeno un migliaio di scandali
e di cose che si lasciano in deposito
perché le godano gli altri che vengono.
E tutta quella roba che arrivava nella tua testa
io non sapevo dove metterla e cosa farne.
Come sempre e come tutti non ho saputo trarre profitto
della carne delle generazioni venute prima della mia.
E allora devo aver pensato anche a quello che lascerò io
se i miei figli mi ascolteranno quando sarà il momento
se avrò il tempo di farlo e se riuscirò a scandire gli attimi
come hai fatto tu senza aver trovato un interlocutore credibile.
Ma devo aver capito che parlavi più a te stessa che a me
ti confessavi e rimpiangevi amori e morti
e loro ti ripagavano con parole e volti
nella fuga delle storie avvenute o immaginate.
Avevi il bisogno di parlare che solo i vecchi hanno
e che pochi sanno esprimere in pieno.
Sorprende il grande silenzio di non sapere più dire nulla
e il non sapere più farsi ascoltare.
E noi sempre a valutare se poi vale la pena
stare a parlare con qualcuno, fosse pure nostro figlio
sangue del sangue , seme del seme.
Francesco Tontoli
L’immagine della rosa che funge da divisorio tra le poesie è una creazione di Maria Rita Orlando. PER FESTEGGIARE INSIEME LE NOSTRE MAMME, INVITIAMO GLI AMICI POETI A INVIARE ALLA NOSTRA MAIL liminamundi@gmail.com, ENTRO LA MEZZANOTTE DI OGGI, UNA POESIA SUL TEMA DELLA MATERNITA’.
22 domenica Apr 2018
Posted COSTUME E SOCIETA', Cronache della vita, SINE LIMINE
in≈ Commenti disabilitati su LA SCQUOLA NON E’ ACCUA
(foto di Francesco Tontoli)
Sono 40 anni che sono nel mondo della scuola, e faccio parte del Personale Educativo, ho la Funzione Docente, e tutto il “pacchetto di privilegi” (sic!) e di pene di chi bazzica da quelle parti (mi perdonerà Michele Serra di questo linguaggio terra terra?). Per me è un periodo di magra qui su Facebook, non mi sento coinvolto quasi in nulla. Leggo post, faccio cose… (pochissime cose), utilizzo il Mezzo ormai senza l’entusiasmo di una volta nelle discussioni, che sbircio con sempre più sgomento. Sono smarrito, sopraffatto dagli eventi che si affollano e nutrono i profili social che ho di fronte quando siedo davanti a questo schermo. La nausea è forte, gli argomenti spesso durano il tempo di una giornata o due, su episodi che attraversano la cronaca o la politica con la velocità di un meteorite. L’indifferenza si sta impadronendo anche della mia curiosità di comprendere. Il fatalismo del “così è sempre stato” e dell’ “ormai non c’è più nulla da fare” è nell’ordine delle cose della mia giornata.
Eppure l’episodio di Lucca ai danni del prof di Italiano mi ha invogliato a reagire sia pure con i riflessi rallentati e con dubbi, se davvero ne valga la pena di aggiungere il mio mattoncino di opinioni da buttare nel mucchio informe del mondo virtuale.
La scuola italiana è di solito un universo di simulazioni male assortite della vita cosiddetta “vera”. Ci si sta per delle ragioni che i ragazzi fanno fatica a comprendere, e i docenti fanno altrettanta fatica a comunicare. Dall’una e dall’altra parte di questi due schieramenti simulati e strutturati qualche volta i ruoli saltano. E i motivi possono essere diversissimi. Ho in mente decine di colleghi docenti che ho conosciuto nel passato che hanno attraversato momenti terribili, prima di tutto con sé stessi, chiedendosi se erano ancora capaci di potere sostenere l’impatto della gestione di un gruppo di adolescenti attraversati da tempeste ormonali. Spesso il senso di inadeguatezza si impadronisce delle persone , il burn out è malattia diffusa non riconosciuta. Di gente sottoposta a mobbing massiccio è pieno il mondo del lavoro, ma nella scuola le conseguenze possono assumere effetti catastrofici.
La velocità di diffusione di video registrati denuda e scarnifica di significato qualsiasi tentativo di spiegazione o di “giustificazione”. In un video non si può far altro che vedere un povero cristo sgomento e rassegnato, sottoposto ad angherie e a soprusi. Non esiste la possibilità di astrarre dal contesto. L’immagine diventa il documento di una verità crudele e certificata. Un adulto con un ruolo specifico di guida deriso è il segno del fallimento dei modelli di trasmissione dei saperi. Anni fa si contestavano i metodi di questo passaggio di testimone tra generazioni. Stavolta a saltare è il banco tutto. Messo alla berlina è il singolo anello debole, che rappresenta un sistema ritenuto inutile. A scuola, sembrano dire questi ragazzi che filmano loro stessi, le proprie eroiche gesta, ci si va per far casino e poco altro.
Non credo per tutti sia così, ma stavolta c’è di mezzo la prova, non le chiacchiere pedagogiche o le lamentele di categoria. Stavolta il mezzo ha soppiantato qualsiasi analisi e decontestualizzazione mobilitando lo sdegno, che credo durerà qualche settimana in più del solito. Il mezzo sappiamo quale è, ce l’abbiamo tra le mani molte ore al giorno. La responsabilità è di tutti avendone fatto un feticcio da esibire nelle sue possibilità di mostrare spezzoni di vita squallida e di realtà sovradimensionata. Sappiamo da tempo che chiunque di noi forte o debole che sia può essere sottoposto a un crudele giudizio collettivo con sentenza immediata dei suoi presunti pregi e difetti messi all’asta. Non discuto i torti criminali di questi ragazzi che meritano tutto il mio biasimo e la mia condanna, ma la possibilità diabolica di ricatto che ha qualsiasi documento sul nostro mondo privato e sul nostro universo pubblico. L’espressione rassegnata del collega vittima dell’aggressione dice tutto (sembrava dicesse “Cosa ci faccio io ancora qui alla mia età?”) su un passato di tentativi di ribellione al lasciar fare, lasciar passare probabilmente da parte della Direzione. Insomma una pena indicibile.
Francesco Tontoli
21 giovedì Dic 2017
Posted Appunti letterari, LETTERATURA E POESIA, Poesie
inNOTTURNO I
io, di notte
conto sempre i quarti d’ora
e in molti ovili il contatore mi salta a tal numero
e tastando le pecore nel sonno sento che hanno
quel pelo che immagini sotto ci sia chissà cosa e
allora io, di notte
oltre alle cose che mi passano accanto
mi tengo lontano dal sonno dei lupi
in una veglia interiore che molte volte
attende un albeggiare pallido
come fossi immerso con le mani nel nulla
a dipanare i fili che
invece io, di notte
sto lì a tendere
e ogni filo, di notte, diventa il mio tessuto
che si fa e si disfa in una trama sempre nuova
come se raccontasse quella storia o quell’altra
e a volte con la navetta e il pettine
di un telaio musicale
purtroppo io, di notte
a furia di cantare curvo sulle corde tese
mi consumo come se consumassi la notte stessa
e quando anche ne aspettassi un’altra
la notte
le altre volte tesse sé stessa senza che
insomma io, di notte
possa cantarne i suoi oscuri motivi notturni
sicché la notte
mi vince con la forza della sua musica
e i suoi disegni pare si cancellano non appena
per caso io, di notte
cesso di far fluire le mezzore nelle clessidre
e dimentico di svuotare nel cielo della notte
la sabbia delle stelle
il tempo consumato nelle veglie
NOTTURNO II
Tu, stanotte
hai di che dormire
stringo la tua mano
tengo nella mia mano il tuo sonno
veglio i fremiti della tua elettricità
che ti attraversano i palmi su binari che si biforcano
e la pulsazione delle tue vene
mi fa pensare che di notte vivi di altro ulteriore
e mi aiuti con il sonno a stare in questa notte
tu, stanotte
col treno fai arrivare alle stazioni
gli esseri alati che volano nel tuo sogno
delle cui storie mi racconterai domani
e lì accadono cose che ti fanno muovere labbra
e aggrottare sopracciglia, distendere gli arti
accennare a un dolore e fare di conto
e attraverso sottrazioni dell’essere
arrivi a sospirarmi qualcosa che non capisco
nella lingua che precede la poesia
NOTTURNO III
la notte per loro è una tana
si nascondono chiusi dentro quel bozzolo
e l’odio che secernono a ogni sogno
li fortifica convincendoli che sono nel sogno giusto
e che il mondo è conforme a quello
che c’è da aspettarsi da un mondo
il loro sonno ronza progettato giustamente
come è progettato il piano inclinato sul quale rotolare
al risveglio la notte li avrà ricaricati
avranno molte tacche ai loro archi
molte sfide di finanza li attendono
come assalire e predare, uccidere variando i tassi finanziari
considerano la speranza una sconfitta
la notte non li trascura, e stando lì a oliare gli indici
metteranno in ginocchio le loro madri prima che faccia giorno
NOTTURNO IV
Buttato in un aeroporto
la notte non mi fa paura
saporiti dormiamo tra le valigie
sogniamo fusi orari come quelli
dei quadri di Dalì in terre desolate.
Si è fermato alle tre di questa notte
il tempo ha bivaccato cantando
la canzone di chi chiede asilo.
Ognuno al cellulare fotografa la scena
dove i bambini restano di stucco
ridendo sui cartoni illuminati.
Chi dorme sogna i suoi vent’anni
li avrà chi non li ha mai avuti da vivo
la notte stanotte non mi ha divorato.
NOTTURNO V
tenta la notte ancora di annottare
scende, tratta col vento la sua tregua
ma i patti erano patti e dilaga
lungo questo asse non ancora invernale
attendiamo uno strano Godot dall’Artico
si avvicendano i nuovi giorni al calendario
senza che si veda nulla all’orizzonte
dalla nostra fortezza il tenente ispeziona l’oscurità
nel deserto di cose che abbiamo davanti
c’ è l’idea di un nuovo crollo del fronte
spediremo lettere a casa con “amore mio”
come solo ed eterno richiamo che filtri calore
e il ricordo di un pianto dentro un foglio inzuppato.
NOTTURNO VI
Notte di una notte senza fine
notte il cui confine non arrivo a percepire
notte che passo dentro ad altre notti
in bilico a sedere su una sponda di letto
di un orizzonte opaco e imperfetto
Notte che il giorno me lo racconto e me lo canto
me lo tengo stretto accanto sul cuscino
lo vivo come sogno di luce, di cammino
E immagino un rumore di passi che percorrono la notte
con l’aria che si ingoia di notte ad un aprir di finestra
e in quell’affaccio ti vedo attraversare il filo delle ore
che contate e ricontate non sono più notte
su ore non ancora calde che non fanno il giorno
Notte che annotti sulla città
afferrando e scuotendo lampioni
con un vento che vorrebbe parlarmi
senza aver proprio nulla da dire.
Sarebbe molto meglio dormire
quasi (almeno) come un piccolo morire.
Francesco Tontoli
01 venerdì Set 2017
Posted Ispirazioni e divagazioni, LETTERATURA E POESIA, Poesie, SINE LIMINE
in≈ Commenti disabilitati su Souvenir d’estate
L’estate sta finendo e Limina mundi torna con il mese di settembre alla sua programmazione ordinaria con nuove e vecchie rubriche per spaziare senza limiti nel mondo e nell’arte in tutte le sue espressioni.
Iniziamo l’attività di quest’ultimo quadrimestre dell’anno quindi, ma non senza prima dare un saluto all’estate, una specie di souvenir della bella stagione, celebrata con le parole poetiche di alcuni autori del blog che le offrono come dono propiziatore di nuove estati a venire ancora insieme qui su Limina mundi.
Chi sono io
nell’infuocato pomeriggio d’estate
dentro l’alito rovente che brucia lo sguardo
nell’isola di silenzio
quando il vento scava nell’inquietudine
e l’ora contraria intreccia i corpi madidi e ardenti.
Chi sono io
dentro la spaccatura della pietra focaia
nella sospensione del lapillo nell’aria
nel migrare del granello di sabbia sopra il mare
nella cenere vulcanica che rapprende i fossili di conchiglia.
Chi sono io
dentro la chiglia del barcone che mi culla
nella pensione vista mare che mi annulla
nella tensione di due uomini che si contendono l’amante
nella costruzione delle filastrocche che i bambini tentano
mentre gli adulti accaldati dormono
per uccidere il tempo che precipita come una lama
sulle loro teste, e non li ama.
Francesco Tontoli
Per tre volte ha dentro la radice o la parola morte
il mantra estivo che sorge dalla bocca
al ghibli impietoso che soffia caldo asciutto
il sole fa violenza coi suoi raggi sulle cose esposte della terra
quelle vive stimano i margini di sopravvivenza
le carcasse invece senza esalare si fanno cosa secca.
C’è un’aria intorno ch’ è deserto vivo
come il respiro caldo del tuo corpo
la pelle abbacinata al morso dei raggi
riarso il bianco dentro gli occhi
appena poche ore è la risposta
oltre non c’è speranza
la natura è torrida di sete
torna il refrain del principio
un fuoco senza pena purifica e uccide.
Loredana Semantica
Forma idrodinamica
spinta slancio
guizzo propulsione
fendente che divide il corpo
l’acqua al suo passaggio.
Vita non pullula
nel mondo sottoposto
ondeggiano alghe mute
irreali senza tempo
distese ovattate
di ombre e di silenzio.
Penetrano i raggi obliqui
negli anfratti misteriosi
rivelano anemoni
e corpuscoli sospesi
geometrie caleidoscopiche
di luci e di colori.
Mi mimetizzo mare
nella tua trasparenza
nell’acqua che è sorgente
di vita e di purezza
ormai ricordo antico
di ere primordiali.
Mi sfioro con le dita
le squame iridescenti
e poi riemergo ancora
acquamarina fluida
a respirare il cielo.
Deborah Mega
Il ferro d’agosto
L’Agosto siderurgico
ribatte a martello il suo ferro di sole
il gong di rame sonoro
nel cielo d’acciaio rovente
disperde fumaglia e acque reflue
ammorba l’aria di burrofuso
spalmando corpi su spiagge
arrampicando sui monti vecchietti e filosofi.
Tutto qui è greve e mi pesa sul petto
davanti allo schermo di questo similmondo
sto appollaiato e sudaticcio
come un animale in cattività
nella sua gabbia ardente .
Mi rigiro tra le mani lettere di fuoco
vocali incandescenti
e foto carbonizzate agli angoli.
Francesco Tontoli
29 luglio 2010
senza metafora. proprio nel mare. partorisco l’aforisma mio del giorno. le ossessioni rovinano. le passioni invece. salvano gli uomini. lo regalo a mio figlio. per salvagente tra le onde.
1 agosto 2010
ieri il sole splendeva. così vicino nei raggi. da infuocare la ringhiera. la sabbia tra la riva e la salvezza. bruciava le piante. ardendo sotto i piedi. da sempre fallisco l’obiettivo di un grande avvenire da fachiro.
6 agosto 2010
da giorni osservo uno spicchio di mare tra il pino e le palme. il suo colore cangiante. a seconda del vento. blu intenso a scirocco. al tramonto più chiaro. al crepuscolo è di un grigio. azzurro quasi polvere. che si fonde con il cielo. due centimetri al grandagolo che annegano il respiro.
9 agosto 2010
ultimo giorno. raccolgo i pezzi. ciabatte. teli mare. sparse magliette. anche i bagagli di alcune cose belle. che avrei voluto fare. messe da parte. alla fine non è poi così lontana l’altra riva. un’altra vita. ancora poche ore. poi si parte.
da ” Parole e cicale, Diario poetico di una vacanza”, issuu, 13/10/2010
Loredana Semantica
Luglio
Lusingata dagli sguardi sul bronzo
Uscivo dal guscio d’inverno danzando.
Grate alla pelle per la cortese collaborazione
Le ciglia facevano ombra alla paura dei no.
Indossavo sguardi e movenze seduttive.
Osavo ogni giorno un nuovo passo falso.
Agosto
Ancorate sotto vetro museo
Galleggiano impressioni d’agosto
Ora sembrano d’altri e non mie.
So tutto quello che c’è da sapere
Tutto, al riguardo, sui baci sprecati
O sull’essere giovani insicuri.
Settembre
Sembrava lontanissimo
Erano solo
Tre mesi fa
Tutta l’estate ci aspettava
Estasi di libertà obbligate
Misura di bellezza esposta
Brivido calpestato dal cotone leggero.
Ritorna, settembre, carico di noiosa serietà
E ogni anno sembra avere più fretta.
Fresco
Fresco colore
rosa caramellata
marmellata sbocciata
dolcezza di polpa fiorita
non ho più anni da contare
se mi baci con i tuoi occhi belli.
Alessandra Fanti
(il “quadretto” divisorio tra le poesie è una creazione digitale di Loredana Semantica)
14 mercoledì Giu 2017
Posted ARTI VISIVE, Fotografia, Il colore e le forme, MUSICA, Prisma lirico, Proposte musicali
in≈ Commenti disabilitati su Prisma lirico 6: Francesco Tontoli – Emanuele Dello Strologo
Nell’ambito della rubrica Prisma lirico, oggi presentiamo “Neo nati” una poesia di Francesco Tontoli, la fotografia di Emanuele Dello Strologo. In calce link e/o una breve biografia degli autori.
Ai Neo nati
Eoni fa non eravate che idee
e or ora creati ancora impastati
di fango e di sangue
il vostro legame col sole
si spezza coi denti
e vi soffia quel fiato
sappiate che siete stati invissuti
che foste bevuti in un sorso di luna
che eravate la piuma che non si riposa
che assomigliavate a quei punti di stelle
che si congiungono a formare creature
più come cose sognate simili a dubbi
che vengono a chi si rivolta nel sonno
eravate i mille pensieri senza essere nati
col senno di poi i punti del corpo toccati
e benedetti da un rapido segno di croce
eravate nelle gambe di chi corre incontro all’amore
sulle dita di chi chiude gli occhi ad un morto
sostavate dentro una barca prima di prendere il mare
nelle mani del vento che gonfia lenzuoli e paure
e qualcuno di voi è rimasto un’idea
e qualcuno di voi senza verbo che incarna
ha salutato da un posto imperfetto i due sposi
come in un tempo infinito non coniugato
quel gemello che guarda e che cuce
la candida tela, il pezzo di stoffa del mondo
camicia che protegge da futura paura di vita.
testo di Francesco Tontoli
fotografia di Emanuele Dello Strologo
Emanuele Dello Strologo, nato a Genova il 30 novembre 1969, si occupa da anni di fotografia, che, scoperta quasi per caso, è diventata la passione/professione che assorbe tutto il suo tempo. Attraverso le immagini manifesta attenzione per le persone e la loro vita, raccontando di storie umane, quotidianità e vissuto, fissando nei propri scatti volti, momenti, scenari, situazioni che resterebbero altrimenti sconosciuti, trascorrendo nell’indifferenza del mondo. Specializzato in reportage e ritrattistica, collabora con Agenzie fotografiche di livello nazionale e internazionale quali Corbis e Getty Images, proponendo lavori fotografici sui temi di maggior interesse sociale.
31 mercoledì Mag 2017
Posted ARTI VISIVE, Fotografia, Il colore e le forme, LETTERATURA E POESIA, Poesie, Prisma lirico
in≈ Commenti disabilitati su Prisma lirico 4: Francesco Tontoli – René Magritte – Loredana Semantica
Nell’ambito della rubrica Prisma lirico, oggi presentiamo una poesia di Francesco Tontoli, con fotografia di Loredana Semantica e opera di Renè Magritte
ph. Loredana Semantica
VERBO
Credo sia arrivato il momento di dirlo
il sole non è rotondo come non lo è l’arancia
e nemmeno la Terra è blu
azzurro il cielo e i monti e i laghi
non sono morti i morti e i vivi
E’ tutta una fantasia
tenuta gelosamente nascosta
a cui abbiamo creduto perché faceva comodo crederci
Tu per esempio , non sei quella che sembri
così per dire, e io non sono quello che sono.
Ed è davvero strano che nonostante
questo non essere questo o quello
non essere interamente bianco su bianco
non essere il corpo che getta ombra
non essere completamente in accordo
e combaciare perfettamente l’uno dentro l’altro
noi, e dico noi per dire chiunque altro
noi cerchiamo ancora la curva che abbellisce la forma
la ruga del viso dove va a sostare una lacrima
trovando l’uno dentro l’altro uno spazio, un luogo
aprendo porte, attraversando corridoi
rimanendo per anni sospesi dentro a una promessa
accontentandoci di essere curvi minatori
crescendo figli come fossero verbi incarnati.
Poi, dopo le traversate nel deserto
quando la vista del sole ci appare schiacciata ai poli
e il colore sbiadito ci fa immaginare
la stupida perfezione della verità delle cose
il pensarlo ci mette davanti allo specchio dell’altro
e magari ci tocca morire proprio sul più bello
lasciando l’altro nel corridoio delle promesse non mantenute
di un verbo non pronunciato nella sua pienezza
come ad esempio il verbo amare.
Francesco Tontoli
René Magritte
23 mercoledì Nov 2016
Posted ARTI VISIVE, Fotografia, Il tema del silenzio, LETTERATURA E POESIA, Poesie
in≈ Commenti disabilitati su Il tema del silenzio: Francesco Tontoli 5 – fotografia di Lex Lutther
Sole di maggio
Quanto sole ha questo sole stamattina
si è posata sulla terra la parola
luminosa si è schiantata provocando
putiferio sulle foglie e sopra i rami.
Ha scalzato quel silenzio che cammina
come un cieco nella notte, ha toccato
sulle corde dei suoi raggi quelle rose.
Ha baciato le sue donne, s’è infilato
proprio sotto alle lenzuola dove tutto
è addormentato, e ha sparato su un discorso
quasi quasi ci credevo alle sue scuse.
Ha gettato lo scompiglio tra le gambe
ha riaperto i pugni chiusi per trovarvi
molti sogni, ha cambiato alcune trame
di filmini poco onesti, desideri poco chiari.
Poi mi ha detto nell’orecchio illuminato
delle cose che terrò per tutto il giorno
riservate, non volendolo tradire.
(29/5/2015)
Francesco Tontoli
Una poesia luminosa questa di Francesco Tontoli, che spande parola per parola freschezza ben oltre quella singola parola che essa cita al suo secondo verso in enjambement con l’aggettivo luminosa al principio del verso seguente.
26 mercoledì Ott 2016
Posted Il tema del silenzio, LETTERATURA E POESIA, Poesie
in≈ Commenti disabilitati su Il tema del silenzio: Francesco Tontoli 4
Particolare della Creazione di Adamo, Michelangelo, Cappella Sistina, Roma
(4/2/2016)
Ben oltre la soglia dell’udibile il silenzio raccoglie
intorno a sé un nucleo ferroso di senso.
Inghiotte nella sua camera oscura rumori inascoltati
lontane esplosioni avvenute nell’universo
seduce senza essere mai completamente percepito
è uno stato di grazia che si vede e non si sente
come avviene a quei ciechi
che avvertono la luce bruciandosi le mani
e a quei sordi che vedono le voci
attraverso l’urto delle onde sonore sul corpo.
Molte parole dette dalla luna compongono il silenzio
quel chiacchiericcio di stelle che fa da sfondo alle nostre notti
quei piccoli bagliori di frasi luminose e sconosciute
Sarà la nota naturale della radiazione fossile di fondo
che le stazioni radio continuano a trasmettere mentre guidiamo?
Le voci del mondo la coprono e la distorcono
rimane il vibrato del cielo simile a quello delle foglie di un albero
il reverbero della somma delle onde infrante sulla spiaggia
in un mare silenzioso visto a mezzanotte.
Bisognerebbe non avere orecchi
ma molte milioni di mani
per costruire un secondo di silenzio.
Ben oltre il tempo c’erano miniere di silenzio
i cui mattoni sono serviti a costruire
il tacito vocalizzo primordiale.
05 mercoledì Ott 2016
Posted ARTI VISIVE, Fotografia, Il colore e le forme, Il tema del silenzio, LETTERATURA E POESIA, Poesie
in≈ Commenti disabilitati su Il tema del silenzio: Francesco Tontoli 3 – fotografia di Samuele Romano
Dammi il tuo silenzio
con due silenzi noi ci parleremo
tu nella tua stanza io nella mia
tu mentre rifai il letto
e aggiusti quelle pieghe che non ti tornano
io mentre mi fermo a pensare
che dovrei mettere ordine alle carte
proseguire le terapie
e tirare giù gli accordi di quel pezzo così bello.
Tu con quel silenzio spesso
io col mio silenzio stupido e rarefatto
in questa casa impastata di silenzio
con alle pareti quadri silenziosi e libri muti
con ritratti e foto dei nostri figli
che non parlano più con noi da anni
cresciuti e silenziosamente andati via.
E anche se parlano le cose intorno
Noi il nostro silenzio lo coltiviamo dentro
nella serra umida con quei fiori finti
così colorati e violenti che una vita non basta
a considerarli fiori come di sogni persi
ideali rimpianti diventati anch’essi taciturni.
29 mercoledì Giu 2016
Per il tema del silenzio presento oggi un testo breve di Francesco Tontoli posto in calce a questa breve nota di lettura. Il commento visuale è affidato a una mia foto di pesci rossi.
foto di Loredana Semantica
La poesia di Tontoli si apre con una similitudine tra il silenzio e un metallo, non un metallo qualunque freddo inerte, pesante e solido, ma un metallo differente, pericoloso, radioattivo: l’uranio che ha un cuore venefico, pulsante, come sangue infetto estratto dalle viscere della terra, potente e destruente, un concentrato di energia pronta a deflagrare o a decadere.
Questo silenzio, al pari dell’uranio, emette radiazioni, che non si vedono, come non si vede il silenzio, ma si rivelano agli strumenti, come si percepisce con le antenne dell’intuito un silenzio sdegnoso, fatto di voluta non risposta, animato di disprezzo o disgusto. Allo stesso modo le radiazioni, invisibili ad occhio nudo, ledono le cellule, compromettono l’integrità del corpo, lo corrodono, lo divorano. Occorre stare alla larga da questo silenzio, maneggiarlo con cura, proteggersi con tute isolanti.
Un silenzio di peso e sostanza quindi, prende il posto della parola che, date certe premesse, sarebbe necessaria, forse, ma insufficiente, in certi casi se anche non necessaria, sarebbe quanto meno opportuna, ma volgare. Come il linguaggio dell’oggi infarcito di scurrilità. E quindi un silenzio che si rivela dannifico per colui a cui è diretto e che aspetta una reazione, rispetto a chi lo esercita al contrario si rivela salvifico, lo salva infatti dalla decadenza di una risposta che innalza i toni o abbassa i livelli, negativi in egual misura. Urlare o insultare squalifica e degrada l’attore che aggredisce verbalmente l’interlocutore, il quale a sua volta, reagirà replicando, scatenando una reazione a catena non meno nucleare di quella che può il metallo, propagando tensioni e dissapori, avversione e persino odio, quanto meglio allora il silenzio che salva la buona grazia e diventa, se non rispetto degli altri, certamente di se stessi, perché, diciamolo, rispetto a determinate manifestazioni verbali, ragionamenti insulsi, offese gratuite, vana è ogni ragionevolezza e considerazione, la risposta più adeguata si rivela tacere, non di un silenzio muto, ma significativo, pesantissimo appunto e destruente.
L’unica scelta possibile diventa quindi oltrepassare l’interlocutore, eliminarlo dal nostro raggio d’azione, spostare energie ed attenzione verso altre mete, più stimolanti, cortesi, ragionevoli o intelligenti, verso altra altezza umana, che pensi e interloquisca, costruendo attorno aloni di interesse e riflessione, di bellezza, se possibile, di simpatia almeno.
Ecco che in una poesia sul silenzio è racchiuso tutto un ventaglio d’incontri e di relazioni, approcci più o meno felici, scontri reali e virtuali. Confronti dove l’intelligenza umana metabolizza lo scontro, scosta l’ostacolo e procede, poiché l’idiozia non vale nemmeno il tempo di una sosta.
Apprezzabile anche l’intento del poeta di fotografare un episodio rappresentativo di un vissuto personale, ma accomunante, perché molti certo riconosceranno lo scenario di personali approcci conclusi in modo analogo.
Non credo di sbagliare poi nel riconoscere alla forma della poesia, le stimmate dell’instant poem, cioè la poesia nata di getto, sulla scorta di episodi, vicende, osservazioni praticamente contestuali, un’ispirazione immediata e immediatamente catturata sul supporto cartaceo o virtuale a disposizione, un testo quindi non particolarmente rimaneggiato o limato nella forma, che perciò conserva la freschezza e un qualcosa di grezzo che hanno spesso questi piccoli accattivanti diamanti talentuosi.
Questo testo infine conferma l’idea diffusa che la vita è poesia e la poesia è vita, in ogni suo aspetto, angolazione, sfaccettatura, nulla tralasciando, non gli aspetti più intimi, non quelli più orridi, e nemmeno le imprecazioni.
La poesia si chiude infatti con un’imprecazione di uso frequente nel linguaggio comune, abusata anzi, come lascia intendere l’unità di misura delle tonnellate, ma essa nel testo poetico produce un singolare spiazzamento per la contrapposizione all’andamento piano, composto e compatto dei versi precedenti, rispetto ai quali rappresenta la chiusa ad effetto, che risveglia il lettore e lo catapulta con massima chiarezza alle radici del silenzio che precede, cioè nel mondo dell’insofferenza all’idiozia dalla quale spesso vorremmo schermarci ricorrendo proprio ad analoga allocuzione, ma che altrettanto signorilmente dell’autore, preferiamo molte volte correlare al tacere significativo e pesante proprio come questo silenzio d’uranio.
Loredana Semantica
il silenzio talvolta ha un suo peso specifico
una sostanza simile a quella di certi metalli
radioattivi tossici e solitari come l’uranio.
Tracce di silenzio, pesantissimi grammi di silenzio
sostituiscono la stupida leggerezza di una neolingua
costituita essenzialmente da tonnellate di vaffanculo
Francesco Tontoli
(4/2/2016)
18 mercoledì Mag 2016
Posted Il tema del silenzio, LETTERATURA E POESIA, Poesie
in≈ Commenti disabilitati su Il tema del silenzio: Francesco Tontoli
Per il secondo appuntamento poetico del Tema del silenzio è la volta di Francesco Tontoli, anche lui autore di questo blog e, tra le innumerevoli altre, di una poesia sul silenzio che mi accingo a presentare.
Questa sua è una poesia metapoetica, compie cioè un riferimento circolare che torna a se stessa, cerca infatti di spiegare cos’è la poesia. Tenta in verità la spiegazione dell’inspiegabile, ponendo l’accento dapprima sul senso della parola poetica, anche quello che non emerge immediato, poi sul suono ch’è, come la fisica ci insegna, un propagarsi d’onda. Continua a leggere
12 giovedì Mag 2016
Posted Ispirazioni e divagazioni, SINE LIMINE
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Francesco Tontoli.
(Excusatio non petita)
Ho scelto deliberatamente di scrivere un articolo invece di rispondere a singole domande attraverso un’intervista riguardante il “cos’è una poesia” con tutte le variabili annesse. Non sono stato mai intervistato in vita mia rimanendo indenne da questa seccatura fino agli attuali 60 anni. Posso cedere alla tentazione solo davanti a una Barbaradurso. Almeno negli incubi. La verità è che naturalmente le interviste mi imbarazzano. Continua a leggere
11 mercoledì Mag 2016
Posted LETTERATURA E POESIA, Poesie, SINE LIMINE
in≈ Commenti disabilitati su sono ganzo anche da cecato
Fui ganzo e lo seppi
ma non abbastanza
mai si è ganzi abbastanza
per vedere il cieco in una stanza.
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