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Di solito siamo abituati a guardare in modo causale e non organizzato, sebbene ben volentieri ci soffermiamo a guardare le immagini che comportano violenza e brutalità. La frenesia della modernità elabora nell’uomo una molteplicità di sensazioni difficilmente gestibili. Non vi è l’abitudine ad osservare. Il tempo è considerato opprimente ed è vissuto come incessante ripetizione. La bellezza delle cose non intriga, non serve, fa perdere tempo all’occhio e alla mente. Immaginiamo di vedere un albero: in un secondo, l’occhio liquida l’immagine, archiviandola nell’oblio. Immaginiamo, invece, di osservare un albero: scorgiamo le foglie, i rami, il fusto, i frutti, i colori, il movimento del vento, le ombre. Ma al di là delle cose esteriori possiamo anche avere la consapevolezza di tutto ciò che non è visibile: le radici, ad esempio che si ramificano profonde ed entrano in contatto con altre realtà.

La fotografia implica l’osservazione, l’attesa di un tempo idoneo a documentare l’azione, l’immediatezza di uno scatto, la ponderazione dello sguardo, l’immaginazione, ma soprattutto imprime storicità all’immagine, estraendola da un mero fatto simbolico di ricordanza. Foto come immagine del mondo, illudendoci che ogni cosa lontana sia vicina a noi. Ma è il mondo a farsi leggere oppure siamo noi che tentiamo di leggerlo? Il fotoreporter statunitense Eugene Smith sosteneva: «La fotografia è la più grande bugiarda che ci sia, complice la convinzione che essa mostri la realtà così com’è». Cosa succede quando un’immagine è fra le nostre mani? Cosa leggiamo? Cosa vediamo effettivamente?

Queste domande sono prepotentemente affiorate nella mente, quando ho incominciato a sfogliare le pagine del libro di Elio Scarciglia: Tre valli, uno sguardo (edizioni Terra d’ulivi). Le valli sono: Val Chiavenna, Val Lesina, Val Masino.

L’autore spiega così il suo lavoro: «Questo mio percorso è un semplice vagare in una terra che mi ha ospitato per molti anni e che, in qualche modo, ha lasciato in me tracce indelebili e molto profonde». Nulla da eccepire. Continua: «La mia ricerca è basata sulle emozioni che la forma della luce riesce a dare quando la si osserva con occhi del tutto scevri da ogni tipo di condizionamento; ho infatti desiderato riprodurre la realtà così come si presenta». Invero, le immagini realizzate da Scarciglia irrompono nella vista del lettore, lo inebriano di sostanza di luce e di tempo. Allora un incerto e indefinibile condizionamento mi pare sia inevitabile sia per l’osservatore che per il lettore. Nelle immagini prevale la tematica del luogo e delle sue caratteristiche naturali. Le case di pietra ruvida consunte dal tempo affascinano e rimandano ad un altro tempo genuino, naturale. E ciò che è scontato acquista una valenza di originalità del luogo. Possiamo domandarci su dove siamo e sull’esserci dello sguardo. La forma delle immagini è curata negli aspetti allestivi, materiali e formali, e colpisce l’occhio nella sua complessità di variazioni tematiche, protesa a realizzare un’opera d’arte fotografica fondante sulla concezione di bellezza.

Le valli mostrano i propri confini racchiusi nei bordi della fotografia con i colori dei tramonti e delle albe, con le tonalità naturali delle foglie degli alberi, con le nubi che si assopiscono sui rami alti, con il colore cobalto delle acque dei fiumi, con la gente in ossequio all’eternità, con il tempo che arretra e avanza in avamposti di infinito. Ci sono i ricordi del passato, di un medioevo favoloso riproposto con immagini statiche di antichità suggestive di temporalità suggellata dalla storia.

Le foto realizzate da Scarciglia chiedono l’intervento del lettore per un’ulteriore analisi (soggettiva) della realtà, una sorta di riscrittura dei luoghi, delle persone, delle cose rappresentate con la consapevolezza di consegnare un messaggio con elementi surreali facilmente riconoscibili.

In fondo l’immagine fotografica raccoglie i significati perduti del tempo, li cataloga in una prospettiva di memoria affinché l’identità stessa dell’immagine si relazioni con la storia individuale, che rappresenta l’unica forma di conservazione e di legame con la vita di ognuno di noi. Il linguaggio della fotografia riproduce quell’istante attuato dall’autore per riprodurla in immagine statica di tempo, ma dinamica nel vertiginoso susseguirsi di impulsi emozionali e interrogativi nell’attualizzazione personale di un contesto.

Infine c’è da sottolineare la bravura dei Scarciglia nel fare uso sapiente di luce fisica, non per meravigliare, ma per dare giusto risalto ad essa: quale forza generatrice di bellezza incontaminata dalle ombre, che nello disvelamento dell’assoluto nasce come perfezionamento dell’universo ed esaltazione di esso.

La luce è la più semplice cosa dell’universo. La percezione dei colori dipende dall’equilibrio che si instaura tra luminosità e oscurità. La vista ci pone in contatto diretto e materiale con gli oggetti reali, li accarezza o li contagia. Quando li contagia, se ne appropria per modulare sensazioni e stabilire un legame tra la fantasia e la creatività. In tal modo, Scarciglia ha impresso nella fotografia scorci di vita quotidiana, spazi definiti di luoghi, cose, per fare rivivere nell’osservatore suggestioni di realtà dimenticate, non assunte nella quotidianità, non distinte nei dettagli, affinché qualcosa del tempo rimanga e sia nuovamente riutilizzabile a comporre fotogrammi del passato. La storia, quella minima che riguarda la gente, è il prodotto di interpretazione del passato, che diventa la base di una nuova narrazione.

Il libro di Scarciglia con le sue immagini sfida il presente a caratterizzarsi di nuove speranze per un futuro meno angoscioso e più consono all’indole umana. È una sfida che impone riflessione, osservazione, decisione, agire per un nuovo approccio con l’umanità e con la Natura, senza la pretesa di ricercare qualche modello salvifico ed esaustivo.

Per ognuno di noi, l’esperienza del mondo comporta presenze e assenze nei luoghi e nei rapporti umani, per tale ragione è indispensabile porre nelle staticità delle immagini le nostre insignificanze per trarne serbatoio di bellezza e illimitata quiete, e tra l’altro in esse si può ipotizzare un luogo in cui l’uomo è davvero libero anche nelle singole diversità.

Elio Ria