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Cinquant’anni fa, esattamente il 15 aprile 1967, si spegneva a Roma Antonio De Curtis, in arte Totò, uno dei più grandi attori comici italiani. E’ stato la risposta italiana a Charlot e a Buster Keaton, un attore istrionico, un artista irresistibile e poliedrico, dotato di grande acume e di straordinaria umanità. La morte per lui significò l’inizio di una nuova fase, quella del riconoscimento incondizionato, della scoperta da parte delle nuove generazioni, del pentimento da parte di chi lo aveva criticato definendo totoate i suoi film e lui un clown, un attore improvvisato, scurrile, da quattro soldi, ecc. Pare che Totò abbia sempre sofferto molto per queste critiche infelici, dopo una prima consultava tutte le principali testate alla ricerca di una frase di elogio e di riconoscimento. Spesso la ricerca si rivelava vana, la lettura gli lasciava l’amaro in bocca tanto che era solito dire che “in Italia bisogna morire per essere apprezzati”. E aveva ragione. Il pubblico, per fortuna, incurante dello sprezzante giudizio dei critici, è sempre accorso ad assistere ai suoi spettacoli e ai suoi film. Da anni Totò è addirittura divenuto oggetto di culto, venerato come San Gennaro e pure la cappella gentilizia che fece erigere nel cimitero di Santa Maria del Pianto, nei pressi dell’aeroporto di Capodichino, è divenuta un vero e proprio santuario. La morte lo colpì all’età di 69 anni nella casa romana di via Monti Parioli 4 per un attacco alle coronarie, per lui fu celebrato un triplice funerale: a Roma presso la Chiesa Sant’Eugenio, a Napoli in presenza di 250.000 persone presso la chiesa di Sant’Eligio, ancora a Napoli nel Rione Sanità il 22 maggio. A Napoli Totò si era sempre sentito legato: lì era nato e lì aveva intrapreso la sua carriera, l’anima napoletana si agitava dentro di lui con la tipica umanità dolente e la lotta quotidiana per la sopravvivenza. Ecco forse perché i familiari portarono la salma a Napoli, dove Nino Taranto si preoccupò di organizzare i funerali, a lui toccò l’onore dell’orazione funebre. “Tu, amico mio, hai fatto sorridere la tua città, sei stato grande, le hai dato la gioia, la felicità, l’allegria di un’ora, di un giorno, tutte cose di cui Napoli ha tanto bisogno”. Totò era nato a Napoli nel rione Sanità in via Santa Maria Antesaecula al secondo piano del civico 109, il 15 febbraio 1898, da una relazione illegittima di sua madre Anna Clemente con il marchesino Giuseppe De Curtis, giovane rampollo di una nobile famiglia decaduta che si tirò indietro appena seppe della futura nascita di suo figlio. Dopo la morte del marchese padre, il marchesino decise di assumersi finalmente le sue responsabilità e di riconoscere suo figlio che ormai aveva ventiquattro anni mentre i due sposi erano ormai cinquantenni. Su questa vicenda la moglie di Totò, Diana Rogliani, fornisce una versione piuttosto attendibile: pare che Totò si sia presentato dal padre e gli abbia chiesto di sposare sua madre per dargli il nome che gli spettava, in cambio di un vitalizio per tutta la vita. Successivamente Totò ha rafforzato il suo nome facendosi adottare da altri nobili anziani decaduti in cambio di vitalizi mensili. Trascorse un’infanzia difficile, vissuta nella strada, in un contesto di miseria ed emarginazione, se si fa eccezione per tre anni di scuola elementare trascorsi in un collegio per ragazzi poveri. In strada Totò osservava e imitava i movimenti, i tic, gli intercalari di personaggi eccentrici che lo spinsero a caratterizzare ed arricchire poi il suo repertorio dello sciocco, del miope, del debole, del bambino, del dongiovanni, aiutato anche da una mimica facciale particolare con naso e mento tendenti a destra a causa di un pugno involontario da parte di un educatore durante un allenamento e occhi capaci di agire indipendentemente l’uno dall’altro. Totò ha costruito nel tempo il suo personaggio con esercizi e allenamenti estenuanti di fronte allo specchio, condotti dall’infanzia fino agli anni della maturità. Le prime esibizioni avvennero nelle periodiche, così si chiamavano a Napoli le recite in famiglia,  e in altre manifestazioni di teatro popolare, improvvisazioni su canovacci antichi alla maniera della commedia dell’arte. Questa fu la sua più grande scuola, vi incontrò i fratelli De Filippo, Nino Taranto, Enzo Turco e poi il suo modello, Gustavo De Marco, di cui aveva imparato tutto il repertorio. Durante gli anni della prima guerra mondiale si arruolò volontario e fu assegnato al 22º Reggimento fanteria stanziato a Pisa. Fu poi trasferito in Piemonte in un battaglione destinato a partire per il fronte francese; alla notizia che avrebbe dovuto condividere un alloggio con un reparto di soldati marocchini dalle temute abitudini sessuali simulò un attacco epilettico. Restò in osservazione per breve tempo e poi inserito nell’88º Reggimento fanteria “Friuli” di stanza a Livorno; in quel periodo subì continui soprusi da parte di un graduato; forse da quell’esperienza nacque il celebre motto dell’attore che poi divenne anche un film: «Siamo uomini o caporali?», per lui il termine “caporale” costituiva un’offesa piuttosto grave e umiliante.

Determinante per la sua carriera fu il trasferimento a Roma, dopo il servizio militare e la guerra. Cominciò a recitare nella compagnia comica di Umberto Capece presso il teatro Salone Elena, dopo poco tempo, in seguito ad un ritardo e alla richiesta di una paga migliore, fu licenziato. Seguirono giorni difficili di miseria e di insoddisfazione, finchè si fece ingaggiare come maschera nel teatro di Peppe Jovinelli, in cui lavorava De Marco. Una sera ci fu un diverbio tra Jovinelli e De Marco che faceva il divo, arrivava in ritardo e rispondeva con arroganza al proprietario del teatro. In breve il De Marco fu licenziato in tronco e Totò si offrì di presentare il suo repertorio. Il suo abito di scena era costituito da una bombetta, un tight largo, una camicia con il colletto basso, una stringa di scarpe per cravatta, un paio di pantaloni corti e larghi a zompafosso, calze colorate e scarpe nere. Finalmente era giunto il tanto sospirato successo. Jovinelli gli rinnovò il contratto per diverse settimane e Totò divenne sempre più famoso ed acclamato. Tra il 1923 e il 1927 si esibì nei principali caffè-concerto italiani e acquisì ben presto la fama di «sciupafemmene». Prima di iniziare un suo spettacolo, sbirciava sempre tra il pubblico alla ricerca della “bella di turno” alla quale dedicare la sua esibizione e con cui quasi sempre intraprendeva poi una relazione. Nel 1929, mentre si trovava a La Spezia con la compagnia di Achille Maresca, venne contattato dal barone Vincenzo Scala, il titolare del teatro Nuovo di Napoli per alcuni spettacoli, Messalina rimase particolarmente impresso negli occhi del pubblico, in quanto Totò improvvisò una scenetta in cui si arrampicava su per il sipario fingendo di essere inseguito da qualcuno. Ad un certo punto irruppe nella sua vita la sciantosa Liliana Castagnola, una soubrette molto nota nelle cronache mondane perché spesso oggetto di litigi e perché era stata ferita al viso da un amante geloso. La donna si presentò una sera ad un suo spettacolo e Totò non si lasciò sfuggire l’occasione di corteggiarla. La Castagnola nutriva per lui un sentimento sincero e cercava una relazione stabile. Dopo il primo periodo però iniziarono i problemi legati alla gelosia e la loro relazione si deteriorò. Liliana, pur di restargli accanto propose di farsi scritturare nella sua stessa compagnia ma Totò, sentendosi oppresso decise di accettare un contratto che lo avrebbe portato a Padova. Liliana, dopo una lunga telefonata in cui fu chiaro che l’amante non l’avrebbe raggiunta, si suicidò ingerendo un intero tubetto di sonniferi. Fu trovata morta nella sua stanza d’albergo, con al suo fianco una lettera d’addio a Totò che ne rimase sconvolto tanto che decise di seppellirla nella cappella dei De Curtis a Napoli, avrebbe inoltre battezzato sua figlia con il nome di Liliana e non col nome della nonna paterna Anna, secondo l’uso napoletano. Nel 1932 Totò diventò capocomico di una propria formazione che si proponeva nell’avanspettacolo, un genere teatrale che continuò a diffondersi in Italia fino al 1940. In tournée a Firenze conobbe l’allora sedicenne Diana Rogliani che sposò nel 1935 e da cui ebbe la figlia Liliana. I copioni di Totò spesso erano sottoposti alla censura che modificava una battuta o la tagliava completamente, ma nel suo caso il pericolo era dovuto alla capacità di improvvisazione su qualsiasi tema, all’estro del momento, ad un’intuizione improvvisa e liberatrice. Si fingeva di accettare la revisione ma si finiva per recitare un altro testo. A volte il riferimento era casuale, bastava che Totò si affacciasse a un balcone o un gesto o un’inflessione della voce per ricordare Mussolini e il pubblico rideva a crepapelle. Totò si definiva un attore pigro, nonostante ciò pare che abbia lasciato 97 film. Il numero esatto non lo sapeva neanche lui se in una delle più recenti interviste ha parlato di 116 film e moltissimi lavori teatrali e televisivi. La filmografia completa si conobbe dopo la pubblicazione del libro dell’ultima compagna, Franca Faldini nel 1977, dal titolo Totò: l’uomo e la maschera, realizzato insieme a Goffredo Fofi. Questo fatto denota l’assenza di una storiografia critica completa sulla sua opera. Giancarlo Governi, totologo, giornalista e autore televisivo, nel suo ultimo lavoro Totò/ Vita, opere e miracoli ha notato che mentre Alberto Sordi conservava copioni, foto di scena, costumi perché qualsiasi lavoro andava giustamente documentato, la famiglia di Totò invece non conserva neanche il suo baule di scena che egli si portava dietro ovunque. Forse negli ultimi anni per lui era giunto il senso del fallimento; di tutti i film fatti in trent’anni di carriera ne salvava pochissimi: la critica aveva convinto lo stesso Totò di non aver mai girato un film degno di essere ricordato. Il suo debutto nel cinema risale al 1937 in Fermo con le mani! di Gero Zambuto, il precedente tentativo del 1930 con Pittaluga e la Cines non andò a buon fine perché il regista avrebbe voluto che Totò imitasse Buster Keaton, cosa che non gli andava a genio. Il film però non ebbe successo; l’intenzione era proporre al pubblico italiano un’alternativa del personaggio di Charlot di Chaplin. Nel corso della sua carriera ci furono importanti sodalizi artistici come quello con Peppino De Filippo. Insieme girarono Totò, Peppino e la… malafemmina e La banda degli onesti. Da ricordare inoltre le collaborazioni con i registi Mario Mattioli e Camillo Mastrocinque.

Gli anni Trenta furono un periodo di grandi successi: Totò impose la sua maschera surreale dalla mimica grottesca, utilizzava doppi sensi, allusioni e giochi linguistici diventando uno dei maggiori protagonisti dell’avanspettacolo. Prendeva in giro i potenti, esaltava i bisogni e gli istinti primari: la fame, la sessualità, la salute mentale. Nel 1938 Totò fu vittima di un infortunio: ebbe un distacco di retina traumatico e perse la vista dell’occhio sinistro. Nello stesso periodo a causa della sua opprimente gelosia nei confronti della giovane consorte la sua vita coniugale entrò in crisi. Si accordò con Diana per la separazione che fu ottenuta  in Ungheria. Dopo l’annullamento, continuarono comunque a vivere insieme, insieme alla figlia e ai genitori di lui. Dopo Fermo con le mani!, ci fu nel 1939 un secondo tentativo cinematografico, Animali pazzi di Carlo Ludovico Bragaglia, dove Totò interpretò un doppio ruolo ma anche questo non ottenne il successo sperato. Alla fine del 1939, andò in tournée a Massaua e Addis Abeba, in Etiopia, presentando lo spettacolo 50 milioni… c’è da impazzire! e al suo rientro in Italia interpretò la sua terza pellicola, San Giovanni decollato, sceneggiata da Amleto Palermi. Il film fu un successo di critica, Zavattini invece scrisse per lui il soggetto Totò il buono, con cui fu realizzato Miracolo a Milano di Vittorio De Sica. Il quarto film fu L’allegro fantasma sempre di Amleto Palermi, dove a Totò vennero affidati tre ruoli differenti, successivamente tornò al teatro. In questi anni fu importante l’incontro con Michele Galdieri, con cui strinse un sodalizio durato nove anni, il repertorio fu ampliato ma cambiò soprattutto il pubblico, da quello popolare dei cinema-varietà a quello alto-borghese dei grandi teatri. Con gli autori poi c’era un tacito accordo: lui forniva l’idea, loro scrivevano il copione e Totò interpretava il personaggio con tutte le varianti e le improvvisazioni del momento. Galdieri fu l’artefice dell’incontro fra Totò e Anna Magnani, l’unica attrice che non ebbe un ruolo secondario accanto a lui. L’avanspettacolo era già tramontato, sostituito dalla “rivista”, un genere teatrale sorto a Parigi  e dal carattere satirico. Totò debuttò al teatro Quattro Fontane di Roma insieme a Mario Castellani ed Anna Magnani. La rivista era Quando meno te l’aspetti di Michele Galdieri, altre furono: Quando meno te l’aspettiVolumineideOrlando CuriosoChe ti sei messo in testa? e Con un palmo di naso. In particolare Che ti sei messo in testa (che avrebbe dovuto chiamarsi Che si son messi in testa?, chiara allusione ai tedeschi occupanti, creò problemi al comico napoletano, che dopo le prime rappresentazioni, le cui battute venivano modificate ogni sera, venne intimorito con una bomba all’entrata dal teatro, poi denunciato insieme ai fratelli De Filippo, infine costretto a nascondersi per qualche tempo nel rifugio di Valmontone insieme a tutta la sua famiglia finchè non intervenne, provvidenziale, la liberazione. In Volumineide c’è la parodia di Pinocchio nel paese di butattini manovrati dall’alto mentre la censura è rappresentata dal personaggio dell’Ipersensibile. Il sodalizio artistico con la Magnani si interruppe solo quando l’attrice si rivelò al grande pubblico internazionale con la sua interpretazione in Roma città aperta, diretto da Roberto Rossellini. Totò venne scritturato dalla Bossoli Film per prendere parte ad una nuova pellicola del regista Giorgio Simonelli, Totò nella fossa dei leoni,  nel cui cast c’era anche il pugile Primo Carnera e che venne girato con animali autentici. Negli anni successivi Totò alternò teatro e cinematografia, dedicandosi alla creazione di canzoni e poesie e lavorando anche come doppiatore. L’attore era sempre molto precipitoso quando gli venivano proposti dei progetti, non voleva conoscere nulla della pellicola e quasi sempre recitava a braccio, era imprevedibile. Probabilmente non era tagliato per il cinema, il fatto di non riuscire a comunicare direttamente con il pubblico lo limitava molto, si distraeva e si stancava quando doveva ripetere il ciak più volte. Per questo spesso i registi ricorrevano a controfigure e lo chiamavano solo quando tutto era pronto e definito. Totò, abituato agli orari teatrali, non si alzava mai prima di mezzogiorno, girava solo dalle 13 alle 21. Nella stagione 1949/1950 ottenne l’ultimo successo a teatro con la rivista Bada che ti mangio!, poi si allontanò per dedicarsi esclusivamente al cinema. Dopo I pompieri di Viggiù, lavorò con Eduardo De Filippo nel film Napoli milionaria. Tra il 1949 e il 1950, oltre a Napoli milionaria, interpretò altri nove film, Totò le MokòTotò cerca moglieFigaro qua, Figaro làLe sei mogli di Barbablù47 morto che parla, tutti diretti da Carlo Ludovico Bragaglia, poi L’imperatore di Capri di Luigi Comencini, Tototarzan e Totò sceicco di Mario Mattoli, Yvonne la nuit di Giuseppe Amato, Totò cerca casa di Steno e Monicelli.

In questi anni Totò restò solo: Diana Rogliani se ne andò di casa e si risposò; altrettanto fece, appena maggiorenne, la figlia Liliana. In quel breve lasso di tempo Totò scrisse la nota canzone Malafemmena, apparentemente scritta per la ex moglie Diana, ma i giornali dell’epoca affermarono che Totò l’avesse dedicata a Silvana Pampanini, l’attrice con la quale recitò in 47 morto che parla e che, in quel periodo, corteggiava.  Venne richiamato da Steno e Mario Monicelli per interpretare il ruolo del ladro Ferdinando Esposito in Guardie e ladri, al fianco di Aldo Fabrizi, appena uscito nelle sale fu un successo unanime: alti incassi, grande apprezzamento di pubblico e critica, un nastro d’argento. Nello stesso anno interpretò, sempre per la regia di Monicelli e Steno, Totò e i re di Roma, l’unico film che lo vide recitare con Alberto Sordi. Proprio nel 1952 Totò rimase colpito da una giovane ventunenne vista sulla copertina del settimanale Oggi, Franca Faldini, che comparve anche nel cast di alcuni film del compagno, Dov’è la libertà? e Totò e le donne. Restarono insieme fino alla morte di Totò ma la situazione di convivenza senza un legame matrimoniale creò scandalo all’epoca.

Con Steno fu girato Totò a colori, uno dei primi film italiani a colori, girato col sistema “Ferraniacolor”, in cui vennero riproposti alcuni dei suoi sketch teatrali più noti, come quello di Pinocchio o del Vagone letto con Castellani e Isa Barzizza. Nel 1953, in seguito ad alcune illustrazioni disegnate dallo sceneggiatore Ruggero Maccari su Tempo illustrato, furono stampati e distribuiti degli albi a fumetti di Totò, rappresentato in forma caricaturale, la collana Totò a fumetti delle Edizioni Diana che illustrava storie liberamente ispirate ad alcune sue esibizioni teatrali. In questo periodo gli fu diagnosticata una corioretinite emorragica all’occhio destro aggravata dalla lunga esposizione ai fari di scena. Dovette abbandonare definitivamente il teatro, continuando però con il cinema. Pur non coltivando molto interesse per la televisione, nel ’58 accettò l’invito come ospite d’onore nel programma Il Musichiere condotto da Mario Riva e poi un altro nel 1965, quando duettò con Mina a Studio Uno. Sempre nel ’58 recitò con l’attore francese Fernandel in La legge è legge e, prese parte a I soliti ignoti di Mario Monicelli, interpretando lo scassinatore in pensione Dante Cruciani e recitando, tra gli altri, con Vittorio Gassman e Marcello Mastroianni. Per la Rai tra il 1966 e il 1967 durante gli ultimi mesi di vita volle girare la serie Tutto Totò. Furono realizzati nove episodi che rielaboravano alcuni dei suoi più fortunati sketch teatrali. Ogni puntata durava 50 minuti ed era diretta dal regista Daniele D’Anza, Totò inoltre fu uno dei volti degli sketch del Carosello nel 1966. Al culmine della sua carriera, anche se poco prima della morte, arrivarono proposte importanti da cineasti come Alberto Lattuada, Federico Fellini e Pier Paolo Pasolini. Col primo girò, nel 1965, il film La mandragola, nel ruolo di Fra’ Timoteo, che interpretò in modo brillante. Lavorare con Fellini era sempre stata una delle maggiori ambizioni di Totò, ma la pellicola purtroppo non fu mai realizzata. L’incontro con Pasolini, invece, permise la realizzazione di Uccellacci e uccellini, che Totò accettò per tentare di produrre opere di qualità, senza condividere appieno il suo personaggio e la poetica del regista. Pasolini lo scelse perché rimase affascinato dalla sua “maschera”, capace di riunire in sé il clownesco e l’immensamente umano. Lo scrittore e regista disse di Totò: “Era un uomo buono e senza aggressività, di dolce cera”. La pellicola fu accolta benissimo dalla critica, molto meno dal pubblico: ne conseguì una menzione speciale al Festival di Cannes e il suo secondo nastro d’argento. Nel 1960 ottenne un ruolo in Operazione San Gennaro di Dino Risi, accanto a Nino Manfredi  e nel 1967 girò con Pasolini il cortometraggio La terra vista dalla luna, Che cosa sono le nuvole? Venne chiamato anche da Nanni Loy per Il padre di famiglia, di nuovo con Manfredi, ma girò solo la prima scena (quella d’un funerale)  perché morì due giorni dopo. Totò si dedicò anche alla poesia: con l’editore Fausto Fiorentino di Napoli, pubblicò il famoso libro ‘A livella, che in origine si chiamava Il due novembre. In quasi cinquant’anni di carriera Totò spaziò dal teatro (con oltre 50 titoli) al cinema (con 97 pellicole) e alla televisione (con vari sketch pubblicitari) e lasciò importanti contributi come drammaturgo, poeta, paroliere, cantante. Totò non ha mai goduto di grande popolarità oltre i confini nazionali. A questo proposito, Claudio G. Fava spiega che «Totò era un comico di linguaggio, e come tale non fu mai esportabile». Luciano De Crescenzo afferma: «Difatti: come è possibile far capire a un contadino dell’Arkansas cosa vuol dire “Sono un uomo di mondo perché ho fatto il militare a Cuneo”. O ancora: “a prescindere”, “eziandìo”, “mi scompiscio” o “tomo tomo, cacchio cacchio”?» Nonostante questi vincoli, alcuni attori stranieri non hanno nascosto di apprezzare la comicità gestuale di Totò: Jim Belushi, lo ha definito un «clown meraviglioso». A proposito di Cuneo l’espressione è stata ripetuta in una decina di film a partire da Totò a colori durante lo storico sketch del vagone letto e dell’incontro con l’onorevole Trombetta e nel 1988 è sorta l’associazione Uomini di Mondo per tutti coloro che hanno svolto il servizio militare in quella cittadina. Cuneo ha dedicato a Totò la piazzetta Principe Antonio de Curtis, adiacente all’ingresso del Teatro Toselli e in occasione dei 50 anni dalla morte c’è stata una celebrazione solenne in Duomo, la proiezione di «Totò a colori» mentre gli spettatori hanno assistito alla visione con la caratteristica bombetta di Totò sul capo. Alcune sue celebri battute e gag sono divenute perifrasi entrate nel linguaggio comune, a cominciare da Signori si nasce e io lo nacqui, modestamente!, Siamo uomini o caporali? e tantissime altre. In occasione dei cinquant’anni dalla scomparsa, la città di Napoli ha inaugurato un monolite in suo onore e ha ospitato la mostra Totò Genio, l’Università degli studi di Napoli Federico II gli ha conferito la Laurea honoris causa alla memoria in “Discipline della Musica e dello Spettacolo. Storia e Teoria”; infine la Zecca dello Stato conierà una moneta da 5 euro in suo onore, che sarà emessa nell’autunno del 2017. Un bel riconoscimento per un artista eccezionale ma convinto di non aver fatto abbastanza.

Deborah Mega