Se non dovessi tornare,
sappiate che non sono mai
partito.
Il mio viaggiare
è stato tutto un restare
qua, dove non fui mai.
Giorgio Caproni
Commento oggi una poesia breve. Giorgio Caproni alla sbarra esegue la sua danza. Un volteggio celeste di parole. Contraddizione e sintesi in questo testo. Un ricercare alla radice della sedentarietà che si sposa con l’esistenza/non esistenza. Uno sparire sullo sfondo dell’essere sempre in un luogo, per andare dove mai si è andati, quindi per restare fermi, non muoversi, quasi piantati, eppure dinamici. Un percussivo battere di infiniti, un andamento circolare di versi che vanno e vengono e restano nella presenza in un luogo – topos fisico e metaforico – dove mai l’io poetico fu.
Caproni semplice e stimolante, lapalissiano e lampante, nel senso proprio di fulminante, in questo inseguirsi verbale di affermazioni e negazioni che richiama molta poesia di Pessoa; il suo eterno contraddirsi consegnato al corpus poetico. Come per Pessoa tuttavia in Caproni sono presenti, nella contrapposizione dell’essere/non essere, restare o andare, gli echi metafisici dell’immaterialità e dell’ assoluto. Grandi temi che denunciano una ricerca profonda della verità personale, un’interrogazione sulla verità del mondo.
Non si tratta dunque di giochi di parole, non c’è alcuna volontà d’impressionare il lettore, il linguaggio è comune, quotidiano. Rimarco particolarmente quest’aspetto in contrasto con certa poesia letta di recente in rete che appare una sorta di trasposizione in versi di un “Grande fratello” (il famoso programma guardone) con intenti di dissacrazione. Poesia che ricorre all’ ostentazione di un linguaggio turpe e ammiccamenti che lasciano intuire perversioni/ossessioni sessuali per impressionare, catturare l’attenzione, incuriosire e interrogarsi fino a che punto viene condotto il gioco.
Non sono io che cerco la poesia da proporre in forma alchemica è la poesia che viene a me. Non per niente leggo in questi giorni Caproni e questa sua, quasi un compensare la cattiva impressione lasciata dall’offerta di altri testi letti. In verità questa forma alchemica muove da questo questo testo e dalla premessa appena esposta per sviluppare una serie di considerazioni sulla poesia: natura, valenza, potenza e potenzialità, veicolo, strumento.
Ho sempre sostenuto che in poesia si possa dire tutto, che non c’è da temere la parola, men che meno temere di pronunziarne una. Non si deve aver paura di chiamare le cose con il loro nome: il pene è l’organo sessuale maschile, il coito è l’accoppiamento, l’elefante ha la proboscide, l’ape punge. La sequenza è volutamente allusiva. Ho appreso recentemente che squirtare è l’atto dell’eiaculazione femminile. Mi sono compiaciuta del grazioso nome che essa ha assunto nel mondo. Mi sono detta che non si finisce mai di imparare. Tant’è che recentemente ho appreso come porre a confronto i dati di due colonne di excel formattando automaticamente gli eventuali duplicati.
Una cosa tuttavia è l’atto di imparare, un’altra è scrivere o leggere poesia. Perché si scrive poesia se non per consegnare al mondo la propria verità profonda? E ci si augura che questa verità ingentilisca il mondo, lo alimenti di bellezza. Scavare nel proprio pensiero fino ai punti più reconditi permette di esprimere concetti sottili e belli che contengono al loro interno riferimenti ai punti critici delle domande esistenziali. Le domande che il poeta pone a se stesso sono al contempo interrogativi che egli ci offre. Noi sentiamo di condividerli ravvisando nella sua ricerca una speciale progressione della ricerca collettiva, un avanzamento verso una verità mai pienamente posseduta, che prima o poi tuttavia raggiungeremo. Le menti più eccelse, le sensibilità più acute si muovono alla sua ricerca, quasi punte avanzate del pensiero umano, rivolte all’oltre, all’introspezione, alla descrizione, mediante il qui e ora, attraversando il presente.
Quando ritorno sfinita da una giornata di lavoro, poesia come quella che qui propongo mi dà ristoro. Viceversa leggere in versi parole che lasciano il sospetto di una voluta ostentazione, esercizio stilistico forte e forse, ma comunque composte da una sequenza di associazioni verbali allusive di perversioni e oscenità, la reazione è di repulsa. La stessa reazione che provoca la poesia scadente pervasa da sentimenti, sentimentalismi, nuvole e tramonti. Certamente è vero che le brutture esistono nel mondo, vero che la poesia accetta la verità come una forma di ricerca di bellezza, ma se si intuisce l’intento di impressionare, di ostentare e provocare allora non so più se sia possibile dirla poesia, perché non so più quanta verità contenga e, pertanto, sento come osceno anche il ricorso a questa forma di arte, che tutto tollera sia con esso espresso, tranne la menzogna.
D’altra parte quante volte ho letto della poesia associata all’idea di scoria, superfluo, escremento, qualcosa di tossico, di cui liberarsi, allora potrebbe succedere che si scriva vomitando addosso al mondo il male percepito, e qualora il male fosse vero, qualora vero fosse il dolore, certo la questione muta angolazione. Ancora una volta torniamo all’idea di verità, sebbene in questo caso la poesia non sia modalità di ricerca della verità che s’illumina di bellezza, ma viene strumentalizzata per restituire il male. Diventa valvola di sfogo del proprio travaglio, del male subito, del dolore provato. A questo proposito devo riconoscere che altra cosa che guasta la bellezza è la virulenza. La bellezza è compostezza, distanza, pace, silenzio. Ha consistenza bianca marmorea fino alla luce accecante. Tra le righe di un foglio bianco traspare questo controllo della potenza, quel domino della parola ch’è setacciare profondità, innalzarsi alle vette. Quando un immenso dolore decanta si esprime con diverse parole che trasmettono sensazioni diverse da quelle suscitate quand’esso è troppo vivo e taglia la carne. La poesia non è fatta per affettare il cuore, ma per suggerire una via di ristoro al dolore, per raccontare il dolore lontano con parole anche forti, ma che ne sostengono il peso, perché frutto di raccoglimento, rassegnazione, riflessione.
In conclusione la poesia non è per la menzogna e neanche per farne strumento dei propri bisogni, ma esiste per volare, condurci oltre, nel luogo dove sappiamo essere l’assoluto. Assoluto impossibile da raggiungere eppure intravisto nei viaggi mentali, ispirati e assorti, che preparano e precedono l’atto poetico. L’assoluto che tutto contiene della nostra vita ed esperienza e comprende ciò che è, sarà e saremo. Tutto questo eterno e infinito contenuto ha modo di manifestarsi nella più alta forma della parola: la poesia.
Non intendo con ciò deificare questa forma espressiva, tantomeno venerarla, ma certo suggerisco a chi si accinga a “maneggiarla” di rispettarla per la sua valenza, per la sua potenza. E’ responsabilità dello scrittore di evitare di aggiungere orrido all’orrido, osceno all’osceno, male che traduce il male, che trasmette il male, ed è sua responsabilità l’incapacità di coltivare la bellezza. Cioè l’unica cosa che ci salva, che ci consola.
Loredana Semantica
La poesia non è un libero sfogo di sentimenti ma un’evasione da essi; non è espressione della personalità ma un’evasione dalla personalità. È naturale, però, che solo chi ha personalità e sentimenti sa che cosa significhi volerne evadere. (T.S. Eliot “Tradizione e talento individuale”).
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In conclusione la poesia non è per la menzogna e neanche per farne strumento dei propri bisogni, ma esiste per volare, condurci oltre, nel luogo dove sappiamo essere l’assoluto. Assoluto impossibile da raggiungere eppure intravisto nei viaggi mentali, ispirati e assorti, …
sono pienamente d’accordo
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