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LIMINA MUNDI

~ Per l'alto mare aperto

LIMINA MUNDI

Archivi tag: Giorgio Caproni

~A viva voce~

30 sabato Ott 2021

Posted by Francesco Palmieri in LETTERATURA E POESIA, ~A viva voce~

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Congedo del viaggiatore cerimonioso, Giorgio Caproni

 

Con questa rubrica si vorrebbe dare ‘voce viva’ a testi di diverso genere e ad autori noti e meno noti che di solito vengono conosciuti tramite lettura personale e spesso silenziosa. Senza nulla togliere alla profondità dell’esperienza soggettiva di immersione nel testo, con questo tentativo si vuole porre l’accento sulla modalità dell’ascolto e della compartecipazione acustica dell’espressione letteraria, così come accade quando assistiamo ad uno spettacolo teatrale o, più semplicemente, quando dialoghiamo. La scelta di autori e testi sarà a cura della redazione, tuttavia non si esclude che potranno essere prese in considerazione proposte di lettura su iniziativa di esterni alla stessa redazione, avendo cura di inviare copia del testo proposto. Solo un’avvertenza: la voce narrante è quella di un lettore comune e non l’espressione professionale di un attore, così come l’ambiente operativo che non è uno studio di registrazione.

 

Congedo del viaggiatore cerimonioso di Giorgio Caproni

 

Amici, credo che sia
 
meglio per me cominciare
 
a tirar giú la valigia.
 
Anche se non so bene l’ora
 
d’arrivo, e neppure
 
conosca quali stazioni
 
precedano la mia,
 
sicuri segni mi dicono,
 
da quanto m’è giunto all’orecchio
 
di questi luoghi, ch’io
 
vi dovrò presto lasciare.
 
 
Vogliatemi perdonare
 
quel po’ di disturbo che reco.
 
Con voi sono stato lieto
 
dalla partenza, e molto
 
vi sono grato, credetemi,
 
per l’ottima compagnia.
 
 
Ancora vorrei conversare
 
a lungo con voi. Ma sia.
 
Il luogo del trasferimento
 
lo ignoro. Sento
 
però che vi dovrò ricordare
 
spesso, nella nuova sede,
 
mentre il mio occhio già vede
 
dal finestrino, oltre il fumo
 
umido del nebbione
 
che ci avvolge, rosso
 
il disco della mia stazione.
 
 
Chiedo congedo a voi
 
senza potervi nascondere,
 
lieve, una costernazione.
 
Era cosí bello parlare
 
insieme, seduti di fronte:
 
cosí bello confondere
 
i volti (fumare,
 
scambiandoci le sigarette),
 
e tutto quel raccontare
 
di noi (quell’inventare
 
facile, nel dire agli altri),
 
fino a poter confessare
 
quanto, anche messi alle strette,
 
mai avremmo osato un istante
 
(per sbaglio) confidare.
 
 
(Scusate. È una valigia pesante
 
anche se non contiene gran che:
 
tanto ch’io mi domando perché
 
l’ho recata, e quale
 
aiuto mi potrà dare
 
poi, quando l’avrò con me.
 
Ma pur la debbo portare,
 
non fosse che per seguire l’uso.
 
Lasciatemi, vi prego, passare.
 
Ecco. Ora ch’essa è
 
nel corridoio, mi sento
 
piú sciolto. Vogliate scusare).
 
 
Dicevo, ch’era bello stare
 
insieme. Chiacchierare.
 
Abbiamo avuto qualche
 
diverbio, è naturale.
 
Ci siamo – ed è normale
 
anche questo – odiati
 
su piú d’un punto, e frenati
 
soltanto per cortesia.
 
Ma, cos’importa. Sia
 
come sia, torno
 
a dirvi, e di cuore, grazie
 
per l’ottima compagnia.
 
 
Congedo a lei, dottore,
 
e alla sua faconda dottrina.
 
Congedo a te, ragazzina
 
smilza, e al tuo lieve afrore
 
di ricreatorio e di prato
 
sul volto, la cui tinta
 
mite è sí lieve spinta.
 
Congedo, o militare
 
(o marinaio! In terra
 
come in cielo ed in mare)
 
alla pace e alla guerra.
 
Ed anche a lei, sacerdote,
 
congedo, che m’ha chiesto s’io
 
(scherzava!) ho avuto in dote
 
di credere al vero Dio.
 
 
Congedo alla sapienza
 
e congedo all’amore.
 
Congedo anche alla religione.
 
Ormai sono a destinazione.
 
 
Ora che piú forte sento
 
stridere il freno, vi lascio
 
davvero, amici. Addio.
 
Di questo, sono certo: io
 
son giunto alla disperazione
 
calma, senza sgomento.
 
 
Scendo. Buon proseguimento.

 

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Prisma lirico 35: Giorgio Caproni – Raynard Dixon – Edward Hopper

06 sabato Feb 2021

Posted by Loredana Semantica in Prisma lirico

≈ Commenti disabilitati su Prisma lirico 35: Giorgio Caproni – Raynard Dixon – Edward Hopper

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Edward Hopper, Giorgio Caproni, Raynard Dixon

Giorgio Caproni nel Prisma lirico di oggi, con Raynard Dixon ed Edward Hopper

1

Sassate di Giorgio Caproni

Ho provato a parlare.
Forse, ignoro la lingua.
Tutte frasi sbagliate.
Le risposte: sassate

2

Poesia: “Sassate”, Giorgio Caproni da Il «Terzo libro» e altre cose, 1968

 

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Sonetto d’epifania

06 domenica Gen 2019

Posted by Deborah Mega in LETTERATURA E POESIA, Rose di poesia e prosa

≈ Commenti disabilitati su Sonetto d’epifania

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Giorgio Caproni, Sonetto d'epifania

New Years Eve at Berlin, photo via GloHoliday

Sopra la piazza aperta a una leggera

aria di mare, che dolce tempesta

coi suoi lumi in tumulto fu la sera

d’Epifania ! Nel fuoco della festa

rapita, ora ritorna a quella fiera

di voci dissennate, e si ridesta

nel cuore che ti cerca, la tua cera

allegra – la tua effigie persa in questa

tranquillità dell’alba, ove dispare

in nulla, mentre gridano ai mercati

altre donne più vere, un esitare

d’echi febbrili (i gesti un dì acclamati

al tuo veloce ridere) al passare

dei fumi che la brezza ha dissipati.

 

Giorgio Caproni

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Forma alchemica 23: Giorgio Caproni

24 giovedì Mag 2018

Posted by Loredana Semantica in Forma alchemica, LETTERATURA E POESIA

≈ 2 commenti

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Giorgio Caproni

Se non dovessi tornare,
sappiate che non sono mai
partito.

Il mio viaggiare
è stato tutto un restare
qua, dove non fui mai.

Giorgio Caproni

Commento oggi una poesia breve. Giorgio Caproni alla sbarra esegue la sua danza. Un volteggio celeste di parole. Contraddizione e sintesi in questo testo. Un ricercare alla radice della sedentarietà che si sposa con l’esistenza/non esistenza. Uno sparire sullo sfondo dell’essere sempre in un luogo, per andare dove mai si è andati, quindi per restare fermi, non muoversi, quasi piantati, eppure dinamici. Un percussivo battere di infiniti, un andamento circolare di versi che vanno e vengono e restano nella presenza in un luogo – topos fisico e metaforico – dove mai l’io poetico fu.

Caproni semplice e stimolante, lapalissiano e lampante, nel senso proprio di fulminante, in questo inseguirsi verbale di affermazioni e negazioni  che richiama molta poesia di Pessoa; il suo eterno contraddirsi consegnato al  corpus poetico. Come per Pessoa tuttavia in Caproni  sono presenti, nella contrapposizione dell’essere/non essere, restare o andare,  gli echi metafisici dell’immaterialità  e dell’ assoluto. Grandi temi che denunciano una ricerca profonda della verità personale, un’interrogazione sulla verità del mondo.

Non si tratta dunque di giochi di parole, non c’è alcuna volontà d’impressionare il lettore, il linguaggio è comune, quotidiano. Rimarco particolarmente quest’aspetto in contrasto con certa poesia letta di recente in rete che appare una sorta di trasposizione in versi di un “Grande fratello” (il famoso programma guardone) con intenti di dissacrazione. Poesia che ricorre all’ ostentazione di un linguaggio turpe e ammiccamenti che lasciano intuire perversioni/ossessioni sessuali per impressionare, catturare l’attenzione, incuriosire e interrogarsi fino a che punto viene condotto il gioco.

Non sono io che cerco la poesia da proporre in forma alchemica è la poesia che viene a me. Non per niente leggo in questi giorni Caproni e questa sua, quasi un compensare la cattiva impressione lasciata dall’offerta di altri testi letti. In verità questa forma alchemica muove da questo questo testo e dalla premessa appena esposta per sviluppare una serie di considerazioni sulla poesia: natura, valenza, potenza e potenzialità, veicolo, strumento.

Ho sempre sostenuto che in poesia si possa dire tutto, che non c’è da temere la parola, men che meno temere di pronunziarne una. Non si deve aver paura di chiamare le cose con il loro nome: il pene è l’organo sessuale maschile, il coito è l’accoppiamento, l’elefante ha la proboscide, l’ape punge. La sequenza è volutamente allusiva.  Ho appreso recentemente che squirtare è l’atto dell’eiaculazione femminile. Mi sono compiaciuta del grazioso nome che essa ha assunto nel mondo. Mi sono detta che non si finisce mai di imparare. Tant’è che recentemente ho appreso come porre a confronto i dati di due colonne di excel formattando automaticamente gli eventuali duplicati.

Una cosa tuttavia è l’atto di imparare, un’altra è scrivere o leggere poesia. Perché si scrive poesia se non per consegnare al mondo la propria verità profonda? E ci si augura che questa verità ingentilisca il mondo, lo alimenti di bellezza. Scavare nel proprio pensiero fino ai punti più reconditi permette di esprimere concetti sottili e belli che contengono al loro interno riferimenti ai punti critici delle domande esistenziali. Le domande che il poeta pone a se stesso sono al contempo interrogativi che egli ci offre. Noi sentiamo di condividerli ravvisando nella sua ricerca una speciale progressione della ricerca collettiva, un avanzamento verso una verità mai pienamente posseduta, che prima o poi tuttavia raggiungeremo. Le menti più eccelse, le sensibilità più acute si muovono alla sua ricerca, quasi punte avanzate del pensiero umano, rivolte all’oltre, all’introspezione, alla descrizione, mediante il qui e ora, attraversando il presente.

Quando ritorno sfinita da una giornata di lavoro, poesia come quella che qui propongo mi dà ristoro. Viceversa leggere in versi parole che lasciano il sospetto di una voluta ostentazione, esercizio stilistico forte e forse, ma comunque composte da una sequenza di associazioni verbali allusive di perversioni e oscenità, la reazione è di repulsa. La stessa reazione che provoca la poesia scadente pervasa da sentimenti, sentimentalismi, nuvole e tramonti. Certamente è vero che le brutture esistono nel mondo, vero che la poesia accetta la verità come una forma di ricerca di bellezza, ma se si intuisce l’intento di impressionare, di ostentare e provocare allora non so più se sia possibile dirla poesia, perché non so più quanta verità contenga e, pertanto, sento come osceno anche il ricorso a questa forma di arte, che tutto tollera sia con esso espresso, tranne la menzogna.

D’altra parte quante volte ho letto della poesia associata all’idea di scoria, superfluo, escremento, qualcosa di tossico, di cui liberarsi, allora potrebbe succedere che si scriva vomitando addosso al mondo il male percepito, e qualora il male fosse vero, qualora vero fosse il dolore, certo la questione muta angolazione. Ancora una volta torniamo all’idea di verità, sebbene in questo caso la poesia non sia modalità di ricerca della verità che s’illumina di bellezza, ma viene strumentalizzata per restituire il male. Diventa valvola di sfogo del proprio travaglio, del male subito, del dolore provato. A questo proposito devo riconoscere che altra cosa che guasta la bellezza è la virulenza. La bellezza è compostezza, distanza, pace, silenzio. Ha consistenza bianca marmorea fino alla luce accecante. Tra le righe di un foglio bianco traspare questo controllo della potenza, quel domino della parola ch’è setacciare profondità, innalzarsi alle vette. Quando un immenso dolore decanta si esprime con diverse parole che trasmettono sensazioni diverse da quelle suscitate quand’esso è troppo vivo e taglia la carne. La poesia non è fatta per affettare il cuore, ma per suggerire una via di ristoro al dolore, per raccontare il dolore lontano con parole anche forti, ma che ne sostengono il peso, perché frutto di raccoglimento, rassegnazione, riflessione.

In conclusione la poesia non è per la menzogna e neanche per farne strumento dei propri bisogni, ma esiste per volare, condurci oltre, nel luogo dove sappiamo essere l’assoluto. Assoluto impossibile da raggiungere eppure intravisto nei viaggi mentali, ispirati e assorti, che preparano e precedono l’atto poetico. L’assoluto che tutto contiene della nostra vita ed esperienza e comprende ciò che è, sarà e saremo. Tutto questo eterno e infinito contenuto ha modo di manifestarsi nella più alta forma della parola: la poesia.

Non intendo con ciò deificare questa forma espressiva,  tantomeno venerarla, ma certo suggerisco a chi si accinga a “maneggiarla” di rispettarla per la sua valenza, per la sua potenza. E’ responsabilità dello scrittore di evitare di aggiungere orrido all’orrido, osceno all’osceno, male che traduce il male, che trasmette il male, ed è sua responsabilità l’incapacità di coltivare la bellezza. Cioè l’unica cosa che ci salva, che ci consola.

Loredana Semantica

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Natale di Giorgio Caproni

25 lunedì Dic 2017

Posted by LiminaMundi in ARTI VISIVE, Rose di poesia e prosa

≈ Commenti disabilitati su Natale di Giorgio Caproni

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Giorgio Caproni

Sandro_botticelli_e_bottega,_madonna_col_bambino_e_san_giovannino_in_un_tondo,_1490-1500_ca._03

Sandro Botticelli, Madonna con Bambino e San Giovannino, particolare (1490-1550 ca.)

Con l’opera di Sandro Botticelli e la poesia di Giorgio Caproni, il blog Limina mundi e la redazione augurano BUON NATALE.

Nel gelo del disamore…
senza asinello né bue…
Quanti, con le stesse sue
fragili membra, quanti
suoi simili, in tremore,
nascono ogni giorno in questa
Terra guasta!…

Soli
e indifesi, non basta
a salvarli il candore
del sorriso.

La Bestia
è spietata. Spietato
l’Erode ch’è in tutti noi.

Vedi tu, che puoi
avere ascolto. Vedi
almeno tu, in nome
del piccolo Salvatore
cui, così ardentemente, credi
d’invocare per loro
un grano di carità.

A che mai serve il pianto
– posticcio – del poeta?

Meno che a nulla. È soltanto
fatuo orpello. È viltà.

(Giorgio Caproni)

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POESIA SABBATICA : Biglietto lasciato prima di non andar via

24 sabato Giu 2017

Posted by Francesco Palmieri in LETTERATURA E POESIA, Poesia sabbatica

≈ Commenti disabilitati su POESIA SABBATICA : Biglietto lasciato prima di non andar via

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Biglietto lasciato prima di non andar via, Francesco Palmieri, Giorgio Caproni

Se non dovessi tornare,
 
sappiate che non sono mai
 
partito.
 
 
Il mio viaggiare
 
è stato tutto un restare
 
qua, dove non fui mai.
 
 
Giorgio Caproni, da “Il franco cacciatore”, Garzanti, 1982

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