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In un testo narrativo e in una descrizione il punto di vista è il punto di osservazione, la posizione di colui che narra o descrive. Tale descrizione può essere monoprospettica quando esiste un’unica angolazione e pluriprospettica nel caso di descrizioni viste da più angolazioni. Quello di cui vorrei occuparmi in questa nuova rubrica, recuperando alcune reminiscenze scolastiche, è l’analisi e il commento di opere d’arte famose e meno famose che apprezzo particolarmente.

Oggi analizziamo L’urlo di Edvard Munch.

“L’urlo” (titolo originale: Skrik), è un celebre dipinto del pittore norvegese Edvard Munch.  Realizzato nel 1893 su cartone con olio, tempera e pastello, come per altre opere di Munch è stato dipinto in più versioni, quattro in totale. Quella collocata nella Galleria Nazionale di Oslo è di 91×73,5 centimetri. Lo spunto del quadro è prettamente autobiografico. È infatti lo stesso Munch a descrivere, in una pagina di diario, le circostanze che hanno portato alla genesi de L’urlo: « Una sera passeggiavo per un sentiero, da una parte stava la città e sotto di me il fiordo… Mi fermai e guardai al di là del fiordo, il sole stava tramontando, le nuvole erano tinte di rosso sangue. Sentii un urlo attraversare la natura: mi sembrò quasi di udirlo. Dipinsi questo quadro, dipinsi le nuvole come sangue vero. I colori stavano urlando. Questo è diventato L’urlo. » La gestazione del dipinto fu assai lunga e richiese vari bozzetti e tentativi.  Fu solo nel 1893 che Munch realizzò finalmente L’urlo, come parte di un ciclo di dipinti che egli stesso definì Fregio della vita. Tra il 1893 e il 1910, l’artista, realizzò altre tre versioni del medesimo soggetto. La prima versione del 1893 (74×56 cm), è un pastello su cartone; la versione definitiva (91×73,5 cm), fu realizzata nello stesso anno. Due anni dopo realizzò una terza versione (79×59 cm), un pastello su tavola, battuto dalla casa d’asta londinese Sotheby’s il 2 maggio 2012 per la somma record di 120 milioni di dollari. L’ultima versione (83×66 cm), una tempera su pannello, è stata invece stesa nel 1910. Nel 2004 alcuni ricercatori hanno supposto che il cielo color rosso sangue del quadro sia in realtà una riproduzione accurata del cielo norvegese dopo l’eruzione del Krakatoa. Però solo sei anni dopo l’eruzione, con gli amici Christian Krohg e Frits Thaulow (identificabili con le due silhouette del quadro), Munch affittò una piccola abitazione nei pressi dell’Oslofjord. L’urlo raffigura un sentiero in salita sulla collina di Ekberg, sopra la città di Oslo, confuso con un ponte, a causa del parapetto che taglia diagonalmente la composizione; su questo sentiero si sta consumando un urlo lancinante, che in quest’opera acquisisce un carattere universale, elevando la scena a simbolo del dramma collettivo dell’angoscia e del dolore dell’uomo.

Il soggetto che urla si comprime la testa con le mani, perdendo ogni forma: il suo corpo sembra quasi privo di scheletro, di capelli, deforme. Ma il vero centro dell’opera è costituito dalla bocca aperta in uno spasmo innaturale ed emette un grido che distorce l’intero paesaggio. A rimanere dritti sono esclusivamente il parapetto e i due personaggi a sinistra. Queste due figure umane sono sorde sia al grido sia alla catastrofe emozionale che sta angosciando il pittore, che allude così alla falsità dei rapporti umani. Sulla destra invece, è collocato il paesaggio, innaturale e inquieto,  il mare è una massa nera, mentre il cielo è solcato da lingue di fuoco, con le nuvole che sembrano essere cariche di sangue.

Le tonalità calde le troviamo nella parte alta del dipinto, i colori chiari invece sono collocati intorno al volto del personaggio;  vi è un netto contrasto anche tra le linee: quelle dello sfondo sono curvilinee, interrotte dalla geometricità delle diagonali che vanno a costituire il parapetto del sentiero. Le linee che formano il personaggio in primo piano sono riproposte dalle linee curve dello sfondo come se l’ambiente partecipasse al dramma dell’uomo, mentre la verticalità delle due figure che percorrono il sentiero è ripetuto dai parapetti del ponte: le due persone viste di spalle appaiono così insensibili al dramma dell’uomo. La versione de L’urlo esposta al Museo Munch è stata oggetto di due furti. Il primo è avvenuto nel 1994, nello stesso giorno dell’inaugurazione dei XVII Giochi olimpici invernali: due uomini, infatti, in quel giorno si introdussero nel polo museale, rubando l’opera in soli cinquanta secondi e lasciando in luogo del dipinto un biglietto con scritto «grazie per le misure di sicurezza così scarse». L’opera venne ritrovata integra tre mesi dopo in un albergo di Åsgårdstrand. Durante il secondo furto, avvenuto nel 2004, oltre alla versione de L’urlo del 1910 venne sottratta un’altra opera munchiana, La Madonna. Entrambe le tele vennero recuperate due anni dopo, il 31 agosto 2006, per poi tornare in esposizione al museo nel 2008, solo dopo un restauro di durata biennale per restituire l’aspetto originale, lievemente compromesso a causa dell’umidità.

Deborah Mega