Tag

, ,

Death is nothing at all.
I have only slipped away to the next room.

Henry Scott Holland

 

Sorprende che a parlare di un tema tanto dibattuto ma mai scontato come è quello della morte sia un poeta giovane che a tutto dovrebbe pensare tranne che a questo. Gabriele Galloni dedica a coloro che non ci sono più la sua seconda silloge, edita da RP Libri. Non è un caso probabilmente che la lirica di apertura tratti il tema della consolazione. Galloni scrive che i morti, pur essendo ancorati loro malgrado all’Invisibile, dimostrano il loro amore tentando di consolare noi e l’inquieta vastità della casa, appaiono nei discorsi e nei ricordi di chi resta, rappresentano il lapsus e l’indicibile nelle conversazioni dei vivi.

Ci si chiede come resusciteranno, in che veste, con quale voce, corpo, lingua; rassicura e consola questa certezza del ritorno. Rientreranno nudi, recitando i classici, al contrario o in forma breve. Diventano presenze silvestri, di notte possiamo trovarli sugli alberi, li si vede a volto coperto passare/dal corridoio al bagno alla cucina, continuano a porsi le stesse nostre domande: i corsi e ricorsi delle due rive sono identici. Il loro dilemma è lo stesso che si pongono i vivi: “In che luce cadranno tornati alle cellule?” Il loro lessico è la metà del nostro, non hanno bisogno di parlare del resto, per intendersi, sono muti, ci diranno zero ma sono dotati dell’incredibile facoltà di farsi capire. In compenso non parlano ma scrivono infinite lettere d’amore. La loro musica è il contrappunto dei passi sulla terra, con quest’unico verso si conclude la silloge. Galloni dimostra grande maturità stilistica e di pensiero, in stretta continuità con la dogmatica cristiana riassume e sintetizza con apparente leggerezza e semplicità conoscenze filosofiche, gnoseologiche e teologiche sotto l’insegna della luce. I suoi testi sono brevi ed essenziali, quasi epigrammatici, non per questo però meno intensi e incisivi.

Morte, vita, ma anche luce sono i vocaboli più ricorrenti, le due facce della medaglia, in dialogo perpetuo tra loro; i morti godono del dono dell’immortalità, meno di quello della conoscenza, ancora si chiedono la strada per le stelle, il senso della luna, dove e cosa sia quell’oltre a cui non sanno di appartenere. Dal momento che non si può entrare in contatto con verità eterne, la luce, fin dalle speculazioni filosofiche medievali, rappresenta il principio ontologico di tutto ciò che esiste, l’intermediario tra il divino e il terreno. I morti di Galloni sono più vivi di alcuni vivi, attraversati da febbri e bisogni fisiologici, ecco dunque che la poesia ancora una volta compie miracoli. Del resto quante volte i vivi sono assenti e i morti presenti, sullo sfondo di una comune precarietà esistenziale?

Deborah Mega

*

I morti tentano di consolarci

ma il loro tentativo è incomprensibile:

sono i lapsus, gli inciampi, l’indicibile

della conversazione. Sanno amarci

con una mano – e l’altra all’Invisibile.

*

I morti – loro, l’ultima

didascalia del mondo

conosciuto – in colloquio

fitto tra un buio di falò e la resina

delle pinete a mare.

*

I morti vanno in cerca di riposo

l’uno dell’altro facendosi carico

inutilmente; ché nel continente

si va un giorno in avanti e due a ritroso.

*

Lecito chiedersi come resuscitino

i morti e quale voce verrà data loro

in dono. E quale lingua e che corpo.

I morti hanno la febbre. Non è tempo.

*

Ci basterebbe credere a una riva;

a una luce che vada scomparendo

dietro gli scogli; o che un morto riviva,

che si perda tornando.

*

I morti continuano a porsi

le stesse domande dei vivi:

rimangono i corsi e i ricorsi

del vivere identici sulle

due rive. In che luce cadranno

tornati alle cellule.

*

Se la madre dei morti è sempre polvere,

i morti cercano la loro madre

ogni sabato sera sulle spiagge

libere; sotto le sedie o nei gelati

caduti di mano ai ragazzini

in chissà quante estati, in chissà quanti

alberghi, marciapiedi, lungomari.

Testi di Gabriele Galloni, tratti da In che luce cadranno, RP Libri, 2018